GIOVANNI PALO II e ASSISI
Riflessioni di un “avvocato del diavolo”
Parte II
(vai alla Parte I)
Articolo del Padre Brian W. Harrison, O. S., pubblicato su The
Latin Mass, vol. 15, n. 1, Inverno 2006
Traduzione dall'inglese di Daniela Sgro dell'ufficio romano di Vita
Umana Internazionale
Le foto a corredo sono state inserite da noi
P. Brian W. Harrison O.S., convertitosi al Cattolicesimo dal Presbiterianesimo
è nativo dell'Australia.
Ha un dottorato in Teologia, summa cum laude, conseguito
presso l'Ateneo Romano della Santa Croce, ed è ora un Professore
Associato di Teologia alla Pontificia Università Cattolica di Porto
Rico.
È un membro della Società Sacerdotale degli Oblati
della Sapienza.
PARTE II
Cooperazione formale al peccato?
Nella prima parte di questo articolo, che è essenzialmente
un ampliamento e una difesa della mia lettera di protesta pubblicata sul
numero di aprile 2002 della rivista Inside The Vatican, mi sono
soffermato sul fatto che le allocuzioni pubbliche del defunto Santo Padre
e le azioni collegate agli incontri interreligiosi di preghiera ad Assisi
nel 1986 e nel 2002 non possono non aver lasciato l’impressione tra i comuni
osservatori in tutto il mondo, che la Chiesa Cattolica moderna considera
adesso che tutte le religioni sono più o meno “buone e lodevoli”,
una posizione fortemente censurata da Papa Pio XI nella sua enciclica del
1928 Mortalium Animos.
Il teologo (1)
alle cui critiche ho risposto in quella prima parte ha messo in discussione
anche un altro passo della mia lettera pubblicata, questa volta con una
domanda retorica.
Come prima cosa, ho notato che nelle iniziative di Assisi
del 1986 e 2002, “il Romano Pontefice ha invitato ebrei, islamici, capi
religiosi panteisti o politeisti, ad andare a praticare le loro rispettive
forme di culto all’interno di chiese cattoliche e case religiose, offrendo
ad ogni gruppo spazi e strutture per questo scopo” Allora io ho chiesto:
“Come può un invito simile evitare l’accusa di cooperazione formale
in una pratica oggettivamente peccaminosa di culto pagano?”
Di conseguenza, sollevando la domanda se è stato
commesso pubblicamente un grave peccato contro il Primo Comandamento nientemeno
che da una personalità come il pastore supremo della Chiesa, ho
apparentemente scioccato il mio critico fino al punto in cui è entrato
in uno stato psicologico nel quale si rifiutava di accettare la realtà.
Infatti egli ha cominciato a cercare di negare che Papa Giovanni Paolo
avesse realmente fatto le cose che gli attribuisco precedentemente al sollevamento
della mia domanda. In particolare, egli ha dichiarato che il Santo Padre
non ha di fatto invitato i capi religiosi pagani a venire a praticare “le
loro rispettive forme di culto”.
Dunque credo che la mia breve relazione dei fatti essenziali,
sopramenzionati, descrive esattamente e in modo imparziale ciò che
il Romano Pontefice veramente ha fatto! Non solo ha invitato quelle persone
ad andare ad Assisi per “praticare le loro rispettive forme
di culto” pregando per la pace, ma ha anche pubblicamente ripetuto quell’invito
nel suo saluto iniziale, quando erano già tutti lì riuniti
di fronte a lui. Lasciamo al lettore giudicare. Le parole del Papa (il
corsivo é aggiunto da me) furono:
Andremo da qui ai nostri separati luoghi di preghiera.
Ciascuna religione avrà il tempo e l’opportunità di esprimersi
nel proprio rito tradizionale. Poi dal luogo delle nostre rispettive
preghiere, andremo in silenzio verso la piazza inferiore di San Francesco.
Una volta radunati in quella piazza, ciascuna religione avrà
di nuovo la possibilità di presentare la propria preghiera,
l’una dopo l’altra. (2)
Il mio critico ha sottolineato che il Papa non ha parlato
di queste preghiere non cristiane come esempi di “culto imperfetto” o “falsa
religione”, e ancor meno egli li ha invitati per pregare sotto l’aspetto
formale di questa “imperfezione” o “falsità”. Ma dal momento
che non ho mai detto o insinuato che il Papa abbia detto o fatto queste
cose, queste osservazioni del mio critico sono irrilevanti per l’argomento
in questione. Ugualmente irrilevante, in questo contesto, fu la sua protesta
che tutti i non cristiani presenti ad Assisi erano presumibilmente in buona
fede (cioè in ignoranza invincibile della vera religione). Non ho
mai detto o suggerito che essi fossero in cattiva fede. Le
mie obiezioni allo scandalo di Assisi non hanno niente a che vedere con
la buona o cattiva fede soggettiva dei capi religiosi non cattolici a quegli
incontri, cosa che solo Dio può giudicare.
Comunque, le osservazioni del Papa appena citate, mostrano
chiaramente che il mio critico si sbagliava in un altro dei suoi tentativi
di difendere l’iniziativa papale. Egli ha affermato che il Santo Padre
non ha fatto niente più che invitare i non cristiani ad Assisi “per
adempiere il loro naturale dovere di preghiera […] (si trattava solo di
‘pregare Dio’)”. Ma non è così. Come abbiamo appena visto,
il Papa ha esplicitamente e ripetutamente invitato tutti i capi religiosi
lì presenti, inclusi i fedeli africani del “Grande Pollice”, per
pregare “nel proprio rito tradizionale”. Inoltre, non sono
d’accordo con la premessa del mio critico che esista un dovere naturale
di “pregare” genericamente. Neanche esiste nessun dovere naturale
ad “amare” o “venerare” genericamente. Non si può ascrivere
un carattere morale qualsiasi, buono o cattivo che sia, a delle nozioni
astratte
di preghiera, amore e culto. Solo quando l’oggetto di questi verbi è
specificato si può dare loro una valutazione morale. Per esempio,
un amore disordinato per qualsiasi creatura, o qualsiasi tipo di amore
per pratiche che sono peccaminose, sono amori cattivi in se stessi. Allo
stesso modo, le preghiere pagane, il cui oggetto ultimo è qualche
entità che non è l’unico Onnipotente Creatore dell’universo,
sono oggettivamente contrarie alla legge naturale. Non sono solo oggettivamente
“manchevoli”, bensì cattivi (3).
Quindi non esiste nessun “dovere naturale” ad effettuare questo tipo di
preghiere che, sfortunatamente, abbondarono ad Assisi I e II.
Il difensore di Papa Giovanni Paolo per quanto
riguarda Assisi, ha anche insistito con me, che se quei non cristiani “non
sono capaci ancora di pregare per la pace nella giusta maniera cristiana
[…], questo è qualcosa che esula dalle intenzioni del Papa, e infatti
è contrario alla sua volontà”. Ancora una volta questo commento
non c’entra affatto, perché io non ho mai detto o insinuato qualcosa
in contrario. La mia lettera pubblicata su Inside The Vatican non
ha mai dichiarato o insinuato che l’ “intenzione” o la “volontà”
del Papa fosse quella che i non cristiani invitati ad Assisi dovessero
rimanere
incapaci della vera preghiera cristiana, cioè, che
non
dovessero arrivare a credere in Cristo.
Sono d’accordo con il mio critico che il |
Buddisti ad Assisi 2002
|
Papa sarebbe stato presumibilmente molto felice se
si fossero tutti convertiti alla religione cattolica.
La mia lamentela è proprio che, dato il loro
attuale status non cristiano, il Papa nondimeno li abbia invitati,
persino politeisti e panteisti, a pregare in edifici della Chiesa Cattolica,
“nel [loro] proprio rito tradizionale”. E mi dispiace dover insistere che
questo è stato scandaloso.
Ritorniamo ora al suggerimento nella mia lettera pubblicata
che l’azione del Papa ad Assisi possa infatti avere costituito un caso
di “cooperazione formale nella pratica oggettivamente peccaminosa di culto
pagano”. Il mio critico-teologo ha negato questa accusa e ha difeso l’azione
di Giovanni Paolo II con il seguente argomento: “Fornire a questi capi
religiosi alloggi e servizi dove poter adempiere al loro naturale dovere,
ma non approvando né desiderando gli errori nella loro maniera di
interpretare il compimento del loro dovere naturale, non è cooperazione
formale, bensì materiale.”
Non sono convinto.
Infatti più rifletto su cosa è successo
ad Assisi, più mi sembra evidente che la suddetta cooperazione formale
abbia veramente avuto luogo.
Consideriamo i seguenti punti:
1.) Tanto per cominciare, la descrizione del
mio critico delle azioni del Papa ad Assisi è eccessivamente eufemistica,
per due ragioni.
1a.) Prima di tutto, Giovanni Paolo II ha fatto
molto più che semplicemente “fornire strutture e alloggi” alle religioni
non cattoliche rappresentate ad Assisi. Questa espressione potrebbe ugualmente
descrivere un atto intrapreso dalle autorità cristiane civili
o militari nell’interesse dei non cristiani che si trovavano
(temporaneamente o permanentemente) sotto la loro giurisdizione, e in
risposta alla richiesta (espressa o presunta) di quegli stessi non
cristiani. In tali casi, (4)
questo “fornire alloggi e strutture” potrebbe essere legittima cooperazione
materiale, in considerazione del diritto naturale di queste persone ‘ad
essere tollerate’ civilmente nel praticare le loro false religioni fintanto
che ciò non metta in pericolo l’ordine pubblico. (cfr. Concilio
Vaticano II, Dichiarazione sulla libertà religiosa, Dignitatis
Humanae).
Quello che ha fatto il Papa Giovanni Paolo II ad Assisi
non è stato, certamente, niente del genere. Egli ha spontaneamente
fatto di tutto per invitare questi capi religiosi:
(i) nella sua autorità religiosa
(come capo in terra della Chiesa Cattolica);
(ii) come visitatori per un giorno;
(iii) pagando loro tutte le spese di viaggio e alloggio
(che devono essere costate alla Chiesa centinaia di migliaia di dollari!);
e (iv) per pregare in luoghi ed edifici religiosi della
ChiesaCattolica.
Inoltre, non sono stati invitati a partecipare a qualche
iniziativa civile o secolare (per esempio ad un congresso patrocinato dal
Vaticano sul disarmo, sulla salute mondiale ecc.), concedendo loro incidentalmente,
come forma di ospitalità, il permesso di compiere in edifici della
Chiesa, degli atti privati, ciascuno secondo il proprio culto particolare.
No, il Santo Padre li ha invitati, da tanto lontano, come dall’Asia e dall’Africa,
nella
loro autorità di capi religioni non cristiani, e precisamente per
effettuare
pubblicamente, non qualche blanda o genericamente accettabile “preghiera”
per la pace diretta ad una divinità non specificata, bensì,
preghiere “nel proprio rito tradizionale”.
1b.) In secondo luogo, si dovrebbe sottolineare che, parlando
di cooperazione formale al peccato, le mie parole pubblicate precedentemente
sollevano questo punto solo in quanto l’invito del Papa fosse esteso ai
culti “pagani” (5).
L’Oxford Dictionary definisce “pagano” “colui che non è
né cristiano, né ebreo né maomettano”, mentre il dizionario
spagnolo della Real Academia Española, sotto
il termine pagano, dice, “Aplícase a los idólatras y politeístas”
(si applica agli idolatri e ai politeisti). Dunque, quando il mio critico
dice, in risposta a questa particolare accusa, che il Papa ha invitato
certe persone “perché adempissero al loro dovere naturale”, le sue
parole sono di nuovo non pertinenti per il punto della questione; perché
mentre quel dovere naturale (di pregare l’unico vero Dio) si potrebbe dire
che sia adempiuto dai non cattolici monoteisti presenti ad Assisi (cristiani,
ebrei e musulmani), non è stato certamente adempiuto dai pagani.
Come penso di aver mostrato sopra, non c’è nessun dovere naturale
“di pregare” in astratto; e la preghiera pagana, se diretta
ad un ipotetico cosmo “divino” (panteismo) o a uno o più spiriti
o divinità immaginarie (politeismo), lontano dall’adempiere un dovere
naturale, è strettamente vietata dalla legge naturale.
In breve, quando si considera se Giovanni Paolo, ad Assisi,
abbia “formalmente cooperato con il male oggettivo del culto pagano”, penso
che si debba prima descrivere la sua azione, includendo l’oggetto, il fine
e le circostanze, in modo accurato, come ho cercato di fare io qui. Non
penso che questa condizione sia stata soddisfatta dall’inesatta, incompleta
ed eufemistica descrizione offerta dal mio critico.
2.) Il mio avversario ha continuato dando questa definizione
di cooperazione formale: “Nella cooperazione formale con il male,
si aiuta il peccatore a peccare, approvando il suo peccato” (evidenziato
nell’originale). Io penso che tutti i teologi di morale cattolica sarebbero
d’accordo che questa definizione di cooperazione formale è in generale
adeguata; ma io aggiungerei le seguenti chiarificazioni.
Prima di tutto, affinché ci sia cooperazione formale
al male, non è necessario che l’azione peccaminosa in questione
sia soggettivamente colpevole, né da parte dell’agente principale,
né da parte del cooperatore che volontariamente concorre a quella
azione. È sufficiente che l’azione in se stessa, anche se commessa
in buona fede, sia oggettivamente peccaminosa, e che il cooperatore
concorra nel volere che venga commessa. Per questa ragione ho espressamente
incluso la parola “oggettivamente” nella mia lettera pubblicata parlando
di formale cooperazione da parte di Giovanni Paolo II. Un autorevole moralista
contemporaneo, Germain Grisez, dice che la cooperazione formale avviene
“se, e solo se, l’atto col quale uno contribuisce concorda in cattiva intenzione
con l’atto sbagliato con il quale uno coopera”; e aggiunge che “l’intenzione”
è di fatto “cattiva” a condizione che “sia
contro la ragione” (6). Ora, dal momento
che l’intenzione di commettere un atto di idolatria è in se stessa
“contro la ragione”, rimane cattiva, secondo il criterio di Grisez, anche
se l’idolatra stesso, e la persona che volontariamente coopera a questo
atto, ignorino entrambi completamente il suo carattere irragionevole e
quindi sbagliato. Ho già evidenziato che la mia lettera pubblicata
prescinde completamente dalla colpevolezza o innocenza soggettiva dinanzi
a Dio dei politeisti e panteisti che hanno venerato le loro rispettive
divinità ad Assisi. Ora voglio sottolineare che essa prescinde anche
dalla colpevolezza o innocenza soggettiva del Papa.
In secondo luogo, dal momento che la cooperazione è
prima di tutto nella volontà, e non nell’intelletto, non è
necessario, affinché vi sia formale cooperazione, che il cooperatore
concordi
con le opinioni o le credenze che motivano l’agente principale
a compiere il suo atto. La cooperazione formale nel culto idolatra può
essere causata tanto da inavvertenza o indifferenza
al suo carattere falso e cattivo, quanto dal credere che tale |
Indu ad Assisi 2002
|
culto sia vero e buono. Di conseguenza, accusare Papa Giovanni
Paolo di cooperazione formale in questo caso non implica affatto l’accusa
assurda che il Papa stesso abbia aderito intellettualmente ad alcuna affermazione
idolatra sulla natura del culto religioso o sul suo oggetto. Grisez nota
che la cooperazione formale non richiede “la condivisione di tutti gli
elementi della cattiva volontà” (cioè tutti gli elementi
contrari alla giusta ragione) che sono voluti dall’agente
principale. (7)
Terzo, si ha cooperazione formale collaborando volontariamente
alla commissione di qualsiasi azione specifica e concreta
da parte di un altro agente (principale). Ciò non richiede cooperazione
volontaria a tutti quanti questi atti considerati globalmente o in astratto.
Di conseguenza, l’accusa di cooperazione formale al male
da parte del Santo Padre ad Assisi I e II, non implica l’accusa che egli
abbia volontariamente contribuito e approvato quegli atti idolatri in
principio o in generale. (8)
Alla luce di quanto è stato detto finora, credo
che non sia difficile vedere perché la cooperazione formale del
tipo che ho menzionato abbia, di fatto, avuto luogo ad Assisi.
Nessuna delle seguenti nove domande è rilevante
per il punto in questione:
(i) I capi religiosi pagani ad Assisi erano soggettivamente
colpevoli di peccato
per aver compiuto
i propri atti di culto?
(ii) Il Papa era soggettivamente colpevole di peccato
nel ruolo che ha assunto
ad Assisi?
(iii) Il Papa ha manifestato, nel contesto di Assisi,
qualche desiderio o
preferenza che questi
capi pagani, o qualsiasi pagano, rimanessero nel
loro credo pagano,
piuttosto che convertirsi al Cristianesimo?
(iv) Il Papa ha mai manifestato approvazione o
consenso a qualche dottrina
pagana (cioè
falsa)?
(v) Ha il Papa espresso ad Assisi (o altrove) approvazione
globale o
“generalizzata”
di atti di culto pagano in generale?
(vi) Ha il Papa mai manifestato approvazione degli aspetti
specificamente
idolatri di qualche atto di culto pagano?
(vii) La cooperazione del Papa con gli atti religiosi
monoteisti (cristiani
non-cattolici,
ebrei, musulmani) ad Assisi, ha costituito cooperazione
formale
al male oggettivo?
(viii) Era l’intenzione (cioè lo
scopo) di questi atti di culto (vale a dire,
promuovere
la causa della pace nel mondo) buona o cattiva?
(ix) Gli insegnamenti magisteriali di Giovanni Paolo
II, in allocuzioni o
documenti
non collegati agli incontri di Assisi, o almeno
con il dialogo
interreligioso,
hanno mai dichiarato il male oggettivo dei culti pagani? (9)
Solo le seguenti due domande, sostengo io, sono
pertinenti alla mia domanda pubblicata, e cioè se la cooperazione
del Papa Giovanni Paolo al culto pagano ad Assisi sia stata cooperazione
formale nel compimento di atti illeciti:
a) Quegli atti specifici di culto
pagano (politeisti e panteisti) compiuti ad
Assisi
il 27 ottobre 1986 e il 24 gennaio 2002 sono stati oggettivamente
e moralmente
cattivi (peccaminosi)?
b) La volontà di Giovanni Paolo II ha esplicitamente
cooperato nel
compimento
di questi atti specifici?
La risposta alla domanda (a) è chiaramente affermativa,
dal momento che quegli atti di culto erano chiaramente casi concreti di
una categoria di azioni che, secondo le testimonianze congiunte di Scrittura,
Tradizione e Magistero, non sono solo accidentalmente imperfette, ma violazioni
dirette e gravi del Primo Comandamento proprio nella loro essenza.
Anche la risposta alla domanda (b) deve essere affermativa,
perché il Papa stesso ha spontaneamente ed esplicitamente invitato
i capi religiosi pagani per compiere quegli atti, nelle circostanze dette
dettagliatamente sopra (cfr. paragrafo 1a). A livello intellettuale, sicuramente,
egli non era d’accordo e non approvava i loro distinti credi
pagani e falsi. Comunque, dato il fatto che questi capi erano
aderenti convinti di quei falsi credi, fu esplicita volontà
del Pontefice che questi compissero degli atti che esprimevano il loro
credo. Infatti, egli li ha invitati nella loro condizione
di capi religiosi pagani, a viaggiare fino ad Assisi da paesi lontani e
con la precisa intenzione di compiere atti di culto “nel
loro rito tradizionale”.
Questo, lo ribadisco, è un chiaro caso di cooperazione
formale: il Papa ha manifestamente voluto che quei
capi religiosi compissero certe azioni, sapendo molto bene che tipo di
azioni fossero; e quelle azioni erano oggettivamente, e persino
intrinsecamente cattive.
Ci sono inoltre due circostanze aggravanti:
(1) il Papa ha fornito a queste persone strutture
della Chiesa Cattolica nelle
quali compiere culto
pagano; e
(2) egli non solo ha concorso con gli agenti principali
nella volontà di compiere
i loro atti, ma
ha anche preso l’iniziativa nell’organizzare
l’incontro nel
quale quegli atti
furono compiuti. (È più frequente che la cooperazione al
male sia formale
che materiale, avvenga quando l’agente principale,
piuttosto che il
cooperatore, prende l’iniziativa).
Penso di avere sufficientemente dimostrato il carattere
formale della cooperazione del Papa negli atti immorali e
pagani di Assisi.
Comunque, il punto seguente merita di essere menzionato.
Il mio critico ha continuato dichiarando che la mia opinione
“causava ancora più sorpresa in vista del [mio] libro sulla libertà
religiosa. Vale la pena ricordare che persino l’Ancien Régime
[francese] ha concesso ai musulmani condannati a Marsiglia |
Shintoisti ad Assisi 2002
In fondo a destra si vede il Crocifisso di San Damiano
|
luoghi e tempi per i loro propri atti di culto”. Evidentemente
ha visto qualche incongruenza tra la mia protesta all’iniziativa del Papa
ad Assisi da un lato, e dall’altro la mia tesi pubblicata che la Dichiarazione
del Vaticano II sulla libertà religiosa, Dignitatis Humanae,
è in continuità dottrinale con la Tradizione Cattolica. (10)
Non sono d’accordo sul fatto che ci sia incongruenza qui. Ma poiché
penso che questa obiezione sia stata sufficientemente risposta in ciò
che ho già detto nella sezione 1a sopraccitata sui permessi dati
dalle autorità civili o militari, non dirò niente di più
su questo in questa sede.
3.) Infine, il mio avversario ha sollevato una questione
alquanto differente: l’azione senza precedenti di Giovanni Paolo II (menzionata
di passaggio nella mia lettera pubblicata) di aver baciato una copia del
Corano il 14 maggio 1999. Il mio critico sembra determinato a minimizzare
il significato persino di questa sbalorditiva novità papale. Primo,
egli ha dichiarato che ciò ha avuto luogo “in privato” piuttosto
che in pubblico. Infatti, tecnicamente, lo ha fatto durante quella che
è chiamata “udienza privata”, distinta dalla “udienza pubblica”.
Ma nel contesto della mia dichiarazione, la parola “pubblica” si riferiva
al fatto che i fotografi ufficiali del Vaticano erano lì (come il
Santo Padre sicuramente sapeva molto bene) per catturare l’evento su pellicola,
e non c’è nessuna prova che suggerisca che lui o qualcun altro in
Vaticano abbia mai chiesto che il gesto fosse tenuto segreto. In realtà,
qualsiasi cosa il Successore di Pietro faccia, eccetto dietro porte chiuse
e senza fotografi o giornalisti presenti, può ora legittimamente
essere considerato “pubblico” in questa era di comunicazione di massa istantanea.
Il mio critico ha persino dubitato che quel libro fosse
realmente il Corano!
Ma come prova a questo riguardo abbiamo la testimonianza
personale e pubblica di un testimone oculare di questo episodio, niente
meno che l’illustre Cardinale Raphael I, Patriarca della Chiesa Cattolica
Caldea. Le parole di Sua Beatitudine sono quelle che seguono, riportate
da un’agenzia d’informazione in Roma:
Il 14 maggio sono stato
ricevuto dal Papa insieme con una delegazione composta dall’imam sciita
della moschea di Khadum e il presidente sunnita del consiglio di amministrazione
della banca iracheno-islamica. Alla fine dell’udienza il Papa si è
chinato sul libro sacro dei musulmani, il Corano, presentatogli dalla delegazione
e lo ha baciato come segno di rispetto. (11)
Secondo il mio critico, “questo gesto (abitualmente
utilizzato dal Papa Giovanni Paolo come espressione di ringraziamento per
un regalo) non è stato altro che un segno di cortesia”.
Beh, non concordo con il fatto che il defunto Santo Padre,
come mera cortesia, “abitualmente” baciasse qualsiasi tipo di regalo. Non
baciava neppure tutti gli oggetti religiosi cattolici che
gli venivano regalati. Io stesso nel 1984 ho presentato a Giovanni Paolo
II personalmente, un rosario fatto a mano realizzato da un umile artigiano
portoricano che sapeva avrei visto il Papa in una certa occasione. Quando
gli ho dato il rosario, il Santo Padre lo ha accettato molto gentilmente
e cortesemente, esprimendo interesse su chi lo avesse fatto. Ma egli non
si è né chinato né lo ha baciato.
Qualche riga dopo, il mio critico aggiunge che il gesto
di un bacio non ha “particolare significato religioso”. Ma
questo non è come il Patriarca caldeo ha interpretato il bacio al
Corano e l’inchino! Nell’articolo sopraccitato, Sua Beatitudine ha continuato
come segue:
“La foto di quel gesto
è stata mostrata ripetutamente dalla televisione irachena, e ciò
dimostra che il Papa non solo è consapevole della sofferenza della
popolazione irachena, ma anche che ha grande rispetto per l’Islam.”
(12)
E proprio questo è il problema.
Una cosa è per la Chiesa “stimare i musulmani”
come persone la cui dignità umana e presunta buona fede (13)
meritano rispetto. (Il Vaticano II lo dice in Nostra Aetate
e non ho nessun problema in merito a ciò). Ben altra cosa è
‘rispettare’ o ‘stimare’ l’Islam come tale; infatti questa religione di
un falso profeta è stata la più resistente e perennemente
pericolosa nemica della cristianità per ben oltre un migliaio di
anni, includendo un essenziale e persino fiero rifiuto di entrambe le verità
centrali della fede cristiana, la Trinità e l’Incarnazione. Quindi
non posso essere d’accordo con il mio critico che questo gesto dovrebbe
essere minimizzato “nella peggiore delle ipotesi” come una mera “gaffe”
da parte di un uomo anziano. I commenti del Patriarca Caldeo ci fanno sospettare
che questo sia stato un gesto molto consapevole e deliberato da parte di
Giovanni Paolo, un gesto probabilmente inteso a impressionare milioni di
musulmani iracheni.
L’osservazione finale del mio critico è stata
che, in ogni caso, questa “gaffe” del Papa dovrebbe essere “coperta” dal
mantello del silenzio da cattolici leali, proprio come il figlio di Noè
ha gettato il suo mantello sopra la nudità del padre. Dunque, se
il bacio al Corano fosse stato realmente un incidente ‘privato’ che fosse
‘trapelato’ in qualche modo ai media, e se non gli fosse già stata
data ampia pubblicità nel mondo attraverso la stampa e i mezzi di
comunicazione elettronica fino a circa tre anni prima che scrivessi la
mia lettera, allora questo commento avrebbe forse avuto più peso.
Ma per come realmente sono andate le cose, non sento che la menzione di
questo episodio da parte mia fosse manchevole di pietà filiale. |
Vaticano, 14 maggio 1999
Il Papa bacia il Corano
|
Infatti, adesso che il Papa Giovanni Paolo è andato
ad incontrare il suo Creatore, e che la sua causa di beatificazione è
ferventemente promossa da ogni parte, “coprire” le colpe del defunto Santo
Padre riguardo all’episodio del bacio al Corano, e soprattutto, riguardo
agli incontri interreligiosi di Assisi che hanno maggiormente occupato
la nostra attenzione in questo doppio articolo, non sarebbe altro che un
cattivo servizio alla Santa Madre Chiesa.
Ciò è esattamente il motivo per cui essa
ha sempre insistito a lasciare che “il Diavolo” dicesse la sua prima di
innalzare qualsiasi servo di Dio all’onore degli altari.
NOTE
(1) - Le sue
critiche mi sono state comunicate in corrispondenza privata e non posso
prendermi la libertà di pubblicare il suo nome.
(2) - N.d.T.
Testo verificato in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, v. IX, 2
1986.
(3) Cfr.
Catechismo
della Chiesa Cattolica, 2112, 2113.
(4) - Si pensi
ad esempio alle strutture messe a disposizione attualmente dagli Stati
Uniti per il culto islamico dei prigionieri afgani detenuti nella base
militare di Guantánamo a Cuba.
(5) - Ciò
non implica che io sarei stato necessariamente d’accordo con gli incontri
di Assisi se fossero stati invitati solo cristiani, ebrei e musulmani.
Io semplicemente prescindo da quella domanda, dal momento che la realtà
storica è stata diversa.
(6) - G. Grisez,
Difficult
Moral Questions (Quincy, Illinois: Franciscan Press, 1997). p. 873.
(7) - Ibid.
p. 874.
(8) - Non dico
che il mio critico-teologo abbia scritto qualcosa contraria ai tre punti
di cui sopra. Volevo solo aggiungere chiarezza e precisione alla discussione,
e anticipare certi possibili tentativi di ribattere la mia protesta contro
il defunto Santo Padre per mezzo di argomenti reductio-ad-absurdum.
(9) - La risposta
a questa domanda dovrebbe essere affermativa, dati (per esempio) gli insegnamenti
che abbiamo osservato nel nuovo Catechismo (844 e 2112-2113).
(10) - Brian
W. Harrison, Religious Liberty and Contraception (Melbourne: John
XXIII Fellowship Cooperative, 1988). Si può ricevere questo libro
sollecitamente mandando $10 canadesi o americani per posta agli editori
a P.O. Box 22, Ormond, 3204, Australia.
(11) - Agenzia
d’informazione Fides, Roma, 4 giugno 1999, citato in Ferrara &
Woods, op. cit., p. 138, nota 166.
(12) - Ibid.
(evidenziato)
(13) - Non
intendo, ovviamente, la virtù teologale della fede, che richiede
che si creda nella Trinità e nell’Incarnazione.
(vai alla Parte I)
(maggio 2006)
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