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Summorum Pontificum cura
Qualche considerazione in occasione della sua entrata in vigore
- Aspettative deluse
Venerdì 14 settembre 2007 entrerà in vigore il Motu Proprio Summorum Ponficum cura, con il quale il Santo Padre Benedetto XVI ha stabilito che la Santa Messa tradizionale, e con essa l’intera liturgia in vigore fino al Concilio Vaticano II, possono liberamente essere usate sia dai chierici sia dai laici. Questa decisione del Santo Padre ha sorpreso un po’ tutti. Nessuno si aspettava che il tenore del documento fosse di così ampio respiro e, per certi versi, così dirompente. Chi, come noi, si batte da anni per la salvaguardia
della Tradizione cattolica pensava ad un documento che, riprendendo le
raccomandazioni
della Commissione cardinalizia del 1986 (della quale faceva parte l’allora
Card. Ratzinger), fissasse norme ampie e certe per l’utilizzo della liturgia
preconciliare.
Chi, come altri, si batte da anni per la trasformazione e l’azzeramento della Tradizione cattolica pensava ad un documento che, pur superando i limiti del Motu Proprio Ecclesia Dei adflicta, lasciasse ai vescovi quella necessaria discrezionalità perché la sua applicazione potesse sempre dipendere dal loro esclusivo orientamento e, in definitiva, potesse essere vanificata o comunque ridotta al minimo. Nessuna delle due ipotesi ha trovato riscontro nel documento in questione. Per i primi si è trattato di una piacevole
sorpresa e non sono stati pochi i centri di Messa (tradizionale) nel mondo
nei quali è stato elevato un Te Deum di ringraziamento nel
corso della S. Messa solenne della VI Domenica dopo Pentecoste, l’8 luglio
2007, a. D.. Quanto meno sono risuonate alte le note dell’Oremus proPontifice
nostro Benedicto.
Già a partire dal pomeriggio del sabato 7 luglio, per mezzo del telefono e per mezzo di internet, in tutto il variegato mondo dei cattolici tradizionali si diffondeva a macchia d’olio la notizia che, per grazia di Dio e per volontà del Sommo Pontefice regnante, una grande battaglia era vinta. Chi si è trovato in mezzo a questo rincorrersi
di notizie, ha potuto toccare con mano, per così dire, il crescendo
di un entusiasmo che ha contagiato perfino tantissime persone interessate
anche solo indirettamente o marginalmente.
Per i secondi, cioè per coloro che hanno in antipatia la liturgia tradizionale della S. Chiesa, si è trattato di una sorpresa spiacevole. Ancor più difficile da accettare perché impossibile da aggirare. Tutti i sacerdoti di Rito Romano sono liberi di usare la liturgia preconciliare, senza bisogno di chiedere il permesso ad alcuno.Il resto delle precisazioni e dei distinguo lasciano il tempo che trovano, poiché il nocciolo è questo: la liturgia di sempre è tale anche oggi, quasi a sottolineare e a ricordare che, in tutte le lingue, il termine “sempre” comprende il passato, il presente e il futuro. Un colpo terribile per i fautori del “rinnovamento”, per
i partigiani del “nuovo è bello”. E lo si è capito
quando, tolti alcuni casi emblematici, la stragrande maggioranza dei commenti
si è limitata a prendere atto del dettato del Motu Proprio: non
c’era molto da dire: o respingerlo o dissimulare.
Per quanto riguarda, invece, certe dichiarazioni apertamente contrarie, come quelle di Martini, per esempio, è chiaro che si tratta di prese di posizioni obbligate: ognuno deve fare la parte che è la sua, soprattutto se, in pratica, la sua presa di posizione non cambia niente e, in definitiva, non serve a niente. E già ! Perché l’opposizione vera, quella
seria, quella dura, verrà condotta con ogni mezzo lecito e illecito
da tutti i vescovi e i preti che hanno preferito dissimulare.
Ma andiamo con ordine. (torna su)
Partiamo dal contenuto del
Motu Proprio
Partendo da questo punto fermo, il Sommo Pontefice stabilisce che “ ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o il Messale Romano edito dal Beato Papa Giovanni XXIII nel 1962, oppure il Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno, eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l'uno o l'altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario.” (art. 2). È evidente a tutti che qui non si tratta della concessione di un qualche permesso speciale, ma della statuizione di un legittimo diritto che il “sacerdote cattolico ” può liberamente e pienamente esercitare in forza del suo stato e della sua ordinazione. Il diritto alla celebrazione secondo il Messale tradizionale, qui detto di Giovanni XXIII, è direttamente e intrinsecamente legato all’essere sacerdote di Santa Romana Chiesa. Questo dato è di una importanza così rilevante da chiedersi quanto ardua potrà essere l’opera di preparazione a cui dovranno spontaneamente sottoporsi i sacerdoti che intenderanno avvalersi di questo loro buon diritto. Non v’è dubbio, infatti, che non potrà mai bastare la preparazione desunta dai documenti Conciliari e postconciliari, per certuni, o, e a maggior ragione, la preparazione derivata dagli anni di seminario moderno, per certi altri. E questo non in relazione al solo aspetto liturgico, ma e soprattutto in relazione a tutto ciò che sta alla base della liturgia tradizionale. Prima di celebrare la S. Messa tradizionale è inevitabile che il sacerdote senta il bisogno di mettere a punto, per sé stesso e in sé stesso innanzi tutto, le profonde giustificazioni dottrinali che devono reggere la sua scelta. Dopo la celebrazione della S. Messa tradizionale è altrettanto inevitabile che sorga spontaneamente nel sacerdote la prepotente esigenza di attuare una pastorale ed una catechesi corrispondenti e del tutto coerenti con le predette profonde giustificazioni dottrinali.Tanto più che questa clamorosa svolta liturgica non si limita a sollecitare i singoli celebranti, ma interpella articolatamente e fortemente tutti gli “Istituti di vita consacrata” e tutte le “Società di vita apostolica” (art. 3) Lo stesso dicasi per i fedeli laici che intenderanno
seguire la S. Messa tradizionale.
La prima. Il Motu Proprio non si rivolge a questi o a quei fedeli, particolarmente motivati, ma in maniera concisa e senza lasciare adito ad interpretazioni di sorta, interpella tutti i fedeli cattolici (art. 4). Tolto, infatti, il § 1 dell’art. 5, dove si fa menzione dei “ fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica”, il Santo Padre parla a tutti i fedeli indistintamente.
Il Motu Proprio, per ammissione dello stesso Sommo Pontefice, scaturirebbe dalle preghiere rivolte alla S. Sede dai “fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica”, forse causate dalle disagiate e ingiuste condizioni in cui essi si sono venuti a trovare in questi ultimi quarant’anni. Un’attenta lettura dello stesso Motu Proprio, però, lascia intendere che si vuole corrispondere, quasi primariamente, alle esigenze di tutti i fedeli cattolici, laici e chierici: alle esigenze di tutta la Chiesa.Ne deriva che, per molti aspetti, lo stato di disagio dei fedeli tradizionali e soprattutto l’ostracismo nei confronti della liturgia tradizionale e della Tradizione in genere, voluti dai vescovi (anche con la desistenza della stessa Sede Apostolica) senza che fosse mai intervenuta nemmeno una formale “abrogazione”, siano serviti da stimolo e da campanello di allarme per una più ponderata valutazione della complessiva condizione liturgica e pastorale dall’intera Chiesa. Comunque sia, non sembra eccessivo sostenere che in pratica lo stesso Motu Proprio, seppur implicitamente, riconosce che i fedeli tradizionali, chierici e laici, abbiano svolto in questi anni un’azione provvidenziale per il bene della Santa Chiesa, collaborando con i piani della Divina Provvidenza, perché oggi, per Suo intervento, si realizzasse quanto necessario per la salute terrena della Santa Sposa di Cristo e per la salvezza delle ànime. È innegabile che è questa la lettura più
verosimile di quanto prescritto all’art. 9 e all’art. 10.
E in questi due casi è più che evidente la volontà del supremo legislatore di prescindere dallo specifico interesse dei “fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica”.In pratica, lo stesso richiamo del § 1 dell’art. 5 dev’essere considerato come un caso particolare, il caso di un gruppo tradizionale che opera manifestamente in parrocchia, caso evidentemente quasi inesistente. Tant’è che subito lo stesso art. 5, ai §§ 2, 3, 4 e 5 fa espresso riferimento a tutti i fedeli indistintamente, laici e chierici, per la celebrazione di battesimi, matrimoni, esequie, devozioni popolari (come i pellegrinaggi) che, al pari della S. Messa tradizionale possono tenersi in tutti i giorni dell’anno e in maniera pubblica. Contrariamente a quanto potrebbe apparire a prima vista, questo § 1 dell’art. 5, piuttosto che limitare e circoscrivere, introduce sufficientemente i successivi artt. 9 e 10, e insieme ad essi rende chiara l’intenzione del Sommo Pontefice di voler restaurare l’uso diffuso della liturgia tradizionale a favore di tutti i fedeli cattolici, laici e chierici. Questo, per grandi linee, il contenuto del Motu Proprio Summorum Pontificum cura, ovviamente visto alla luce, non di un’analisi specialistica di tipo canonico, ma di considerazioni di tipo pastorale scaturenti dal buon senso che può legittimamente usare il semplice fedele. (torna su) Cosa accadrà il 14 settembre 2007, a. D. ? Nei limiti delle nostre informazioni possiamo dire che un altro elemento di soddisfazione ci viene dal fatto che migliaia di sacerdoti celebreranno o si avvieranno sicuramente a celebrare la Santa Messa tradizionale. Ci riferiamo al mondo intero, ovviamente, mentre per quanto riguarda l’Italia possiamo parlare di centinaia. Certo, lungi da noi l’idea di sopravvalutare i dati che abbiamo, ma sentiamo il dovere di segnalare ai fedeli laici, e soprattutto ai chierici, che in Italia l’adesione al nuovo corso liturgico è superiore alle aspettative. Soprattutto i giovani sacerdoti stiano certi che nel loro sentito interesse per la liturgia cattolica di sempre non sono isolati o circoscritti, ma in numerosa compagnia.Ovviamente si tratta ancora di una situazione particolare, poiché in queste occasioni entra in giuoco il fattore entusiasmo insieme al fattore curiosità, quindi occorrerà aspettare per valutare le cose con ponderatezza e con precisione. Se sono rose fioriranno. Si dice. Ma si dice anche che il buon giorno si vede dal mattino. Con buona pace di tanti cattolici all’avanguardia che, con l’aiuto di Dio, si spera proprio che si riducano a retroguardia e poi a zavorra. Certo, sappiamo di alcune situazioni ove è presente
dell’approssimazione e della leggerezza, ma questo non meraviglia, poiché
certuni si comportano come se da decenni non avessero aspettato altro;
come se da decenni fosse ovunque presente una diffusa e profonda consapevolezza
dell’inevitabile necessità della Tradizione, per la Chiesa e per
la società.
Un altro elemento che si presenterà spiacevolmente
il 14 e il 16 di settembre è la voglia di protagonismo mista alla
confusione tra sacro e profano, che sembra colpire qua e là certi
gruppi di laici.
(torna su) Con la pubblicazione di questo Motu Proprio, per i fedeli
tradizionali si è venuta a determinare una situazione del tutto
nuova.
Solo laddove si è certi che il vescovo sia ben disposto è il caso di chiedere l’assegnazione di una chiesa per la celebrazione della liturgia tradizionale, avendo fin da subito in vista la successiva costituzione di una parrocchia personale.Diversamente non è più opportuno innescare diatribe, ricevere umiliazioni, ottenere elemosine liturgiche. Se il vescovo non è ben disposto lo si lasci alla misericordia di Dio. Parimenti non è opportuno ricorrere all’uso
del § 1 dell’art. 5.
Non bisogna dimenticare che la S. Messa e la Tradizione sono cose serie e non possono e non devono essere usate come strumento provocatorio o propagandistico, neanche a fin di bene.Per non parlare delle possibili implicazioni di tipo blasfemo che potrebbero sorgere con un celebrante che non ci crede: abbiamo già fatto esperienze del genere ! Nel caso invece di un parroco ben disposto le cose
stanno diversamente, ma è opportuno rientrare sempre nella prassi
che indicheremo tra poco, poiché occorrerà tenere conto
della realtà complessiva della parrocchia e non è il caso
di creare incomprensioni, divisioni o scandali.
Siamo convinti che quanto disposto dal § 1 dell’art.
5 non sia da praticare, salvo qualche caso particolare.
Riteniamo quindi che sia opportuno individuare un sacerdote disponibile a celebrare la liturgia tradizionale, quindi creare intorno a lui, senza clamori, una aggregazione in grado di aiutarlo e sostenerlo, perché si possa crescere insieme in dottrina e in catechesi e si possa seriamente dar vita ad una aggregazione ecclesiale cattolica tradizionale avente in vista la creazione di una parrocchia personale.Da notare che questa alternativa permette di intravedere la possibilità che in una stessa zona o in una stessa città possano sorgere più aggregazioni di questo tipo, le quali possono prescindere dalle parrocchie territoriali e costituire i semi di qualcosa d’altro, in avvenire, se Dio vorrà. A coloro che pensassero che la poca disponibilità
di sacerdoti potrebbe porre i fedeli in situazioni simili a quelle in cui
si sono già trovati, ricordiamo che fino ad ora praticamente non
esistevano sacerdoti disposti a celebrare la liturgia tradizionale e, ove
si verificava il caso interveniva l’impedimento diretto o indiretto del
vescovo o della Conferenza Episcopale Regionale o della Conferenza Episcopale
Nazionale. Oggi questi impedimenti son venuti meno, quindi c’è
posto per la buona volontà e la speciale vocazione dei sacerdoti,
soprattutto se affiancate dalla disponibilità e dalla devozione
dei fedeli.
Un discorso a parte merita la possibilità offerta
dal Motu Proprio di celebrare il Battesimo, il Matrimonio,
l’Estrema Unzione, usando i libri liturgici del 1962 (art.
5, § 3). In questo caso potrà bastare una semplice richiesta
orale o scritta (si
veda lo schema approntato da noi) da presentare al parroco, il quale
non può opporre un rifiuto.
Ecco perché il primo grande traguardo da raggiungere
è la costituzione delle parrocchie personali.
(torna su) Mentre per un verso il Motu Proprio agevola i singoli
sacerdoti, svincolandoli dalle eventuali limitazioni volute dai loro vescovi,
per l’altro scarica su di essi un peso non poco gravoso.
Sappiamo bene che i sacerdoti desiderosi di celebrare
col Rito tradizionale hanno già delle motivazioni di ordine dottrinale
e teologico, ma è necessario che si soffermino a considerare l’importanza
di vivere nella vita di ogni giorno le istanze ideali e i convincimenti
teorici.
La scelta del sacerdote potrà essere seguita da
pochi o da molti fedeli, ma, in ogni caso, insieme dovranno mirare alla
costituzione di aggregazioni di fedeli fortemente motivati, per il bene
loro e della stessa comunità cattolica in cui vivono.
Con l’aiuto di Dio si potrà arrivare ad un grande movimento ecclesiale che fondi la sua esistenza sulla dottrina, sulla liturgia e sulla pastorale tradizionali.Questo non significa dar vita a qualcosa di nuovo, a qualcosa d’altro, perché l’ossequio alla Tradizione è tutt’uno con l’ossequio alla stessa Santa Chiesa di sempre, senza nuovi o vecchi, senza salti in avanti o ricadute all’indietro. La Tradizione della Santa Chiesa, che discende direttamente dal nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, porta in sé tutti i possibili adattamenti che i tempi potranno richiedere, fino alla Parusia, e non ha alcun bisogno di forzate innovazioni che finiscono sempre col corromperla, se possibile, a causa della stoltezza della presunzione umana. Questi ultimi quarant’anni ne sono testimonianza tangibile. Se il Santo Padre non avesse intravisto questa possibilità, per il bene della martoriata Sposa di Cristo, non avrebbe caricato i sacerdoti di tanta responsabilità. La Santa Madre Chiesa ha bisogno di operai vigorosi disposti a dissodare le aride vigne pasticciate da vignaioli distratti, faciloni e poco preparati; ha bisogno di una rinnovata spiritualità che guardi alle cose del cielo e alla salvezza delle ànime piuttosto che alle cose della terra e al benessere dei corpi. (torna su)
Conclusione
Ci auguriamo che questi nostri appunti servano da strumento
di riflessione a molti amici, che invitiamo fin d’ora a farci pervenire
le loro osservazioni, a renderci partecipi delle loro intuizioni e delle
loro considerazioni, magari rendendosi disponibili sia teoricamente sia
operativamente.
La battaglia condotta in questi quarant’anni è cosa relativa di fronte al compito ben più grave che ci attende. Vinta la battaglia della S. Messa, dobbiamo accingerci ad intraprendere la grande guerra della dottrina, della catechesi e della pastorale. Fino ad oggi, anche giocoforza, abbiamo finito col mirare al mantenimento della S. Messa e della liturgia, e abbiamo fatto bene, e il Signore ha visto e ha provveduto. Da oggi dobbiamo mirare alla costituzione di una grande comunione cattolica tradizionale, che sarà il nerbo di tutta la Chiesa, la quale in un futuro non molto lontano subirà gli attacchi concentrici di tutte le forze del maligno presenti trionfalmente nel mondo moderno. Con l’aiuto della SantaVergine e l’assistenza di tutti i Santi possiamo fare molto di più di quanto pensiamo. Deus vult. IMUV (torna su)
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