Summorum Pontificum cura
 

Qualche considerazione in occasione della sua entrata in vigore


- Aspettative deluse
- Il contenuto del Motu Proprio
- La storica data del 14 settembre 2007
- Conseguenze operative per i laici
- Conseguenze operative per i sacerdoti
- Conclusione
 

Aspettative deluse

Venerdì 14 settembre 2007 entrerà in vigore il Motu Proprio Summorum Ponficum cura, con il quale il Santo Padre Benedetto XVI ha stabilito che la Santa Messa tradizionale, e con essa l’intera liturgia in vigore fino al Concilio Vaticano II, possono liberamente essere usate sia dai chierici sia dai laici.

Questa decisione del Santo Padre ha sorpreso un po’ tutti.  Nessuno si aspettava che il tenore del documento fosse di così ampio respiro e, per certi versi, così dirompente.

Chi, come noi, si batte da anni per la salvaguardia della Tradizione cattolica pensava ad un documento che, riprendendo le raccomandazioni della Commissione cardinalizia del 1986 (della quale faceva parte l’allora Card. Ratzinger), fissasse norme ampie e certe per l’utilizzo della liturgia preconciliare. 
Pensava ad un documento che limitasse o costringesse l’arbitrio dei vescovi, avendo in vista le legittime aspettative dei fedeli tradizionali e i legittimi diritti della stessa liturgia di sempre.

Chi, come altri, si batte da anni per la trasformazione e l’azzeramento della Tradizione cattolica pensava ad un documento che, pur superando i limiti del Motu Proprio Ecclesia Dei adflicta, lasciasse ai vescovi quella necessaria discrezionalità perché la sua applicazione potesse sempre dipendere dal loro esclusivo orientamento e, in definitiva, potesse essere vanificata o comunque ridotta al minimo.

Nessuna delle due ipotesi ha trovato riscontro nel documento in questione.

Per i primi si è trattato di una piacevole sorpresa e non sono stati pochi i centri di Messa (tradizionale) nel mondo nei quali è stato elevato un Te Deum di ringraziamento nel corso della S. Messa solenne della VI Domenica dopo Pentecoste, l’8 luglio 2007, a. D.. Quanto meno sono risuonate alte le note dell’Oremus proPontifice nostro Benedicto.
La mattina della Domenica fatidica erano già pronte in lingua volgare migliaia di copie del Motu Proprio Summorum Pontificum cura, che sono state distribuite ai fedeli cattolici in tutto il mondo.

Già a partire dal pomeriggio del sabato 7 luglio, per mezzo del telefono e per mezzo di internet, in tutto il variegato mondo dei cattolici tradizionali si diffondeva a macchia d’olio la notizia che, per grazia di Dio e per volontà del Sommo Pontefice regnante, una grande battaglia era vinta.

Chi si è trovato in mezzo a questo rincorrersi di notizie, ha potuto toccare con mano, per così dire, il crescendo di un entusiasmo che ha contagiato perfino tantissime persone interessate anche solo indirettamente o marginalmente. 
Pur nella limitatezza delle informazioni, pur insieme a tante imprecisioni e perfino confusioni, per tutto il mondo tradizionale è passato come un fremito che ha colpito oltre ogni pensabile aspettativa gli interessati, i parenti, gli amici, i conoscenti, i laici, i religiosi, i chierici.

Per i secondi, cioè per coloro che hanno in antipatia la liturgia tradizionale della S. Chiesa, si è trattato di una sorpresa spiacevole. Ancor più difficile da accettare perché impossibile da aggirare. 

Tutti i sacerdoti di Rito Romano sono liberi di usare la liturgia preconciliare, senza bisogno di chiedere il permesso ad alcuno.
Il resto delle precisazioni e dei distinguo lasciano il tempo che trovano, poiché il nocciolo è questo: la liturgia di sempre è tale anche oggi, quasi a sottolineare e a ricordare che, in tutte le lingue, il termine “sempre” comprende il passato, il presente e il futuro.

Un colpo terribile per i fautori del “rinnovamento”, per i partigiani del “nuovo è bello”.  E lo si è capito quando, tolti alcuni casi emblematici, la stragrande maggioranza dei commenti si è limitata a prendere atto del dettato del Motu Proprio: non c’era molto da dire: o respingerlo o dissimulare
La maggior parte ha preferito dissimulare, poiché è evidente a chiunque che le stesse precisazioni avanzate, tutte collegate alla lettera di accompagnamento dello stesso Benedetto XVI, non toccano minimamente la sostanza del Motu Proprio.

Per quanto riguarda, invece, certe dichiarazioni apertamente contrarie, come quelle di Martini, per esempio, è chiaro che si tratta di prese di posizioni obbligate: ognuno deve fare la parte che è la sua, soprattutto se, in pratica, la sua presa di posizione non cambia niente e, in definitiva, non serve a niente.

E già ! Perché l’opposizione vera, quella seria, quella dura, verrà condotta con ogni mezzo lecito e illecito da tutti i vescovi e i preti che hanno preferito dissimulare. 
Non solo si daranno da fare tutti i modernisti dichiarati, tutti i cattolici “adulti” ormai spintisi ben oltre la stessa eresia protestante, tutti i movimentisti della dottrina e della liturgia del “fai da te”, tutti gli ecumenisti intercristiani e interreligiosi, ma si daranno da fare soprattutto i “benpensanti”, tutti i moderni conservatori, che ci tengono a conservare le novità dottrinali e liturgiche spuntate come funghi più o meno velenosi nel sottobosco del dopo Concilio.
Assisteremo sorprendentemente perfino a delle motivatissime conversioni di tanti di quelli che fino ad oggi non hanno mai permesso che si celebrasse, né hanno mai voluto celebrare, fosse solo un semplice funerale col Rito tradizionale.
Ha riscosso poca attenzione quest’ultimo gruppo, ma è in esso che vi sono stati di quelli, chierici e laici, che in sostanza hanno sostenuto che “bisogna cambiare tutto per non cambiare nulla”. Costoro sono convinti che per difendere nel modo migliore le “conquiste e i frutti del Concilio” val bene celebrare la Messa antica !

Ma andiamo con ordine.

Partiamo dal contenuto del Motu Proprio
 
Dopo una articolata presentazione, in esso il Sommo Pontefice afferma che il Messale Romano ancora in vigore nel 1962 non è stato mai abrogato (art. 1 § 2).
Per quanto questo possa contrastare con le esplicite dichiarazioni dello stesso papa Montini (Concistoro segreto del 24 maggio 1976 - si veda il riquadro a fianco), è indubbio che questa affermazione, non casualmente inserita in questo testo normativo, stabilisce un punto fermo dal quale scaturiscono tantissime considerazioni di una rilevanza tale da sconvolgere l’intero sviluppo liturgico e pastorale del dopo Concilio.
È nel nome della Tradizione che noi domandiamo a tutti i nostri figli, a tutte le comunità cattoliche, di celebrare, in dignità e fervore la Liturgia rinnovata. L’adozione del nuovo "Ordo Missae" non è lasciata certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei fedeli: e l’Istruzione del 14 giugno 1971 ha previsto la celebrazione della Messa nell’antica forma, con l’autorizzazione dell’ordinario, solo per sacerdoti anziani o infermi, che offrono il Divin Sacrificio sine populo. Il nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico, dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano II.
(Paolo VI, Concistoro segreto del 24.5.1976)
Ma, in questa sede, non entreremo nel merito di queste considerazioni, ci limiteremo a fare notare che, con questa dichiarazione, il Sommo Pontefice afferma implicitamente che la tenuta quarantennale dei fedeli legati alla Tradizione, laici, religiosi, chierici e vescovi, era ed è del tutto fondata anche “normativamente”, ragion per cui l’essere stati sottoposti per tanto tempo all’esclusione dalla comunione ecclesiale (formale o di fatto) o all’indulto intraecclesiale è stato un atto di palese ingiustizia e di colpevole mancanza di carità pastorale.

Partendo da questo punto fermo, il Sommo Pontefice stabilisce che “ ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o il Messale Romano edito dal Beato Papa Giovanni XXIII nel 1962, oppure il Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno, eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l'uno o l'altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario.” (art. 2).

È evidente a tutti che qui non si tratta della concessione di un qualche permesso speciale, ma della statuizione di un legittimo diritto che il “sacerdote cattolico ” può liberamente e pienamente esercitare in forza del suo stato e della sua ordinazione. Il diritto alla celebrazione secondo il Messale tradizionale, qui detto di Giovanni XXIII, è direttamente e intrinsecamente legato all’essere sacerdote di Santa Romana Chiesa.

Questo dato è di una importanza così rilevante da chiedersi quanto ardua potrà essere l’opera di preparazione a cui dovranno spontaneamente sottoporsi i sacerdoti che intenderanno avvalersi di questo loro buon diritto. Non v’è dubbio, infatti, che non potrà mai bastare la preparazione desunta dai documenti Conciliari e postconciliari, per certuni, o, e a maggior ragione, la preparazione derivata dagli anni di seminario moderno, per certi altri. E questo non in relazione al solo aspetto liturgico, ma e soprattutto in relazione a tutto ciò che sta alla base della liturgia tradizionale.

Prima di celebrare la S. Messa tradizionale è inevitabile che il sacerdote senta il bisogno di mettere a punto, per sé stesso e in sé stesso innanzi tutto, le profonde giustificazioni dottrinali che devono reggere la sua scelta. Dopo la celebrazione della S. Messa tradizionale è altrettanto inevitabile che sorga spontaneamente nel sacerdote la prepotente esigenza di attuare una pastorale ed una catechesi corrispondenti e del tutto coerenti con le predette profonde giustificazioni dottrinali.
Tanto più che questa clamorosa svolta liturgica non si limita a sollecitare i singoli celebranti, ma interpella articolatamente e fortemente tutti gli “Istituti di vita consacrata” e tutte le “Società di vita apostolica” (art. 3)

Lo stesso dicasi per i fedeli laici che intenderanno seguire la S. Messa tradizionale.
Anche qui, il Motu Proprio opera una svolta più che clamorosa, sovverte addirittura tutta la prassi liturgica della Chiesa e instaurata il principio secondo il quale ogni fedele può scegliere la S. Messa e la liturgia che vuole.
È talmente inusuale ed impropria questa possibilità, da costringere a considerazioni molto complesse, di cui non parleremo in questa sede, limitandoci a segnalare due cose importanti che sicuramente saranno oggetto di attenta riflessione da parte di chi legge.

La prima.

Il Motu Proprio non si rivolge a questi o a quei fedeli, particolarmente motivati, ma in maniera concisa e senza lasciare adito ad interpretazioni di sorta, interpella tutti i fedeli cattolici (art. 4). Tolto, infatti, il § 1 dell’art. 5, dove si fa menzione dei “ fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica”, il Santo Padre parla a tutti i fedeli indistintamente. 
Ora, non v’è dubbio che una tale decisione può essere fondata solo su motivazioni di vitale importanza per la vita della Santa Chiesa.


La seconda. 

Il Motu Proprio, per ammissione dello stesso Sommo Pontefice, scaturirebbe dalle preghiere rivolte alla S. Sede dai “fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica”, forse causate dalle disagiate e ingiuste condizioni in cui essi si sono venuti a trovare in questi ultimi quarant’anni. Un’attenta lettura dello stesso Motu Proprio, però, lascia intendere che si vuole corrispondere, quasi primariamente, alle esigenze di tutti i fedeli cattolici, laici e chierici: alle esigenze di tutta la Chiesa. 
Ne deriva che, per molti aspetti, lo stato di disagio dei fedeli tradizionali e soprattutto l’ostracismo nei confronti della liturgia tradizionale e della Tradizione in genere, voluti dai vescovi (anche con la desistenza della stessa Sede Apostolica) senza che fosse mai intervenuta nemmeno una formale “abrogazione”, siano serviti da stimolo e da campanello di allarme per una più ponderata valutazione della complessiva condizione liturgica e pastorale dall’intera Chiesa.
Comunque sia, non sembra eccessivo sostenere che in pratica lo stesso Motu Proprio, seppur implicitamente, riconosce che i fedeli tradizionali, chierici e laici, abbiano svolto in questi anni un’azione provvidenziale per il bene della Santa Chiesa, collaborando con i piani della Divina Provvidenza, perché oggi, per Suo intervento, si realizzasse quanto necessario per la salute terrena della Santa Sposa di Cristo e per la salvezza delle ànime.

È innegabile che è questa la lettura più verosimile di quanto prescritto all’art. 9 e all’art. 10.
Col primo si stabilisce la legittimità dell’uso di tutta intera la liturgia ante Concilio, dall’amministrazione di tutti i Sacramenti all’Ufficio Divino. Col secondo si completa questa possibilità con l’istituzione delle parrocchie personali e cioè di quelle aggregazioni ecclesiali extra territoriali che prescindono dalle parrocchie esistenti e tengono solo conto della omogeneità dei fedeli che le compongono, parroco o cappellano compreso, proprio in forza della giurisdizione “personale” appunto.

E in questi due casi è più che evidente la volontà del supremo legislatore di prescindere dallo specifico interesse dei “fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica”.
In pratica, lo stesso richiamo del § 1 dell’art. 5 dev’essere considerato come un caso particolare, il caso di un gruppo tradizionale che opera manifestamente in parrocchia, caso evidentemente quasi inesistente. Tant’è che subito lo stesso art. 5, ai §§ 2, 3, 4 e 5 fa espresso riferimento a tutti i fedeli indistintamente, laici e chierici, per la celebrazione di battesimi, matrimoni, esequie, devozioni popolari (come i pellegrinaggi) che, al pari della S. Messa tradizionale possono tenersi in tutti i giorni dell’anno e in maniera pubblica.
Contrariamente a quanto potrebbe apparire a prima vista, questo § 1 dell’art. 5, piuttosto che limitare e circoscrivere, introduce sufficientemente i successivi artt. 9 e 10, e insieme ad essi rende chiara l’intenzione del Sommo Pontefice di voler restaurare l’uso diffuso della liturgia tradizionale a favore di tutti i fedeli cattolici, laici e chierici.

Questo, per grandi linee, il contenuto del Motu Proprio Summorum Pontificum cura, ovviamente visto alla luce, non di un’analisi specialistica di tipo canonico, ma di considerazioni di tipo pastorale scaturenti dal buon senso che può legittimamente usare il semplice fedele.

Cosa accadrà il 14 settembre 2007, a. D. ?

Nei limiti delle nostre informazioni possiamo dire che un altro elemento di soddisfazione ci viene dal fatto che migliaia di sacerdoti celebreranno o si avvieranno sicuramente a celebrare la Santa Messa tradizionale. Ci riferiamo al mondo intero, ovviamente, mentre per quanto riguarda l’Italia possiamo parlare di centinaia.

Certo, lungi da noi l’idea di sopravvalutare i dati che abbiamo, ma sentiamo il dovere di segnalare ai fedeli laici, e soprattutto ai chierici, che in Italia l’adesione al nuovo corso liturgico è superiore alle aspettative

Soprattutto i giovani sacerdoti stiano certi che nel loro sentito interesse per la liturgia cattolica di sempre non sono isolati o circoscritti, ma in numerosa compagnia.
Ovviamente si tratta ancora di una situazione particolare, poiché in queste occasioni entra in giuoco il fattore entusiasmo insieme al fattore curiosità, quindi occorrerà aspettare per valutare le cose con ponderatezza e con precisione. 
Se sono rose fioriranno. Si dice. Ma si dice anche che il buon giorno si vede dal mattino. 
Con buona pace di tanti cattolici all’avanguardia che, con l’aiuto di Dio, si spera proprio che si riducano a retroguardia e poi a zavorra.

Certo, sappiamo di alcune situazioni ove è presente dell’approssimazione e della leggerezza, ma questo non meraviglia, poiché certuni si comportano come se da decenni non avessero aspettato altro; come se da decenni fosse ovunque presente una diffusa e profonda consapevolezza dell’inevitabile necessità della Tradizione, per la Chiesa e per la società.
Invero è un po’ troppo. 
Ma il fenomeno è inevitabile. Sul carro del vincitore accorrono sempre i più insospettabili. 
Il guaio è che diversi fedeli tradizionali, forse un po’ distratti o forse presi da troppo entusiasmo, non prestano la necessaria attenzione a certe improvvise conversioni.

Un altro elemento che si presenterà spiacevolmente il 14 e il 16 di settembre è la voglia di protagonismo mista alla confusione tra sacro e profano, che sembra colpire qua e là certi  gruppi di laici. 
Grazie a Dio si tratta di pochi casi, ma la loro risonanza finisce spesso per provocare guasti e confusioni.
Continuiamo ad avere serie difficoltà nel cercare di comprendere perché certi amici cattolici tradizionali siano portati a fare dell’inutile e spesso inopportuno clamore intorno alle cose della Religione. Addirittura certuni tra questi non sono soddisfatti se non riescono a montare un caso “mediatico” e a coinvolgere nella bagarre qualsivoglia figura di rilievo, foss’anche notoriamente avversa al cattolicesimo e particolarmente accanita contro la Tradizione.
Sappiamo benissimo che lo fanno in buona fede, che si impegnano anche tanto per rendere un servizio “alla causa”, come credono loro, ma questo non toglie nulla al fatto che spesso la Religione e la Tradizione subiscono un processo di banalizzazione e di riduzione al mero umano che finisce col fare il giuoco dell’avversario, sia minuscolo sia maiuscolo.
 

Conseguenze operative per i laici.

Con la pubblicazione di questo Motu Proprio, per i fedeli tradizionali si è venuta a determinare una situazione del tutto nuova.
Con l’abrogazione della lettera Quattuor abhinc annos e del Motu Proprio Ecclesia Dei adflicta, si è chiuso il controverso capitolo del permesso del vescovo. 

Solo laddove si è certi che il vescovo sia ben disposto è il caso di chiedere l’assegnazione di una chiesa per la celebrazione della liturgia tradizionale, avendo fin da subito in vista la successiva costituzione di una parrocchia personale. 
Diversamente non è più opportuno innescare diatribe, ricevere umiliazioni, ottenere elemosine liturgiche.
Se il vescovo non è ben disposto lo si lasci alla misericordia di Dio. 

Parimenti non è opportuno ricorrere all’uso del § 1 dell’art. 5.
Intanto è davvero improbabile che in qualche parrocchia esista “ stabilmente un gruppo di fedeli aderenti …”. Posto che l’espressione in verità non è né felice né significativa, in una parrocchia il gruppo stabile potrebbe esistere o come componente attivo e ufficiale della vita parrocchiale, e in questo caso il § 1 non serve a niente perché, praticamente, basta solo l’art 2, o come gruppo clandestino o semiclandestino, e in questo caso sarebbe proprio questo stato di clandestinità a sconsigliare questa scelta. 
Nel caso di un parroco mal disposto, a che serve chiedergli la celebrazione della S. Messa tradizionale ? Nel caso di un parroco tiepido o tremebondo, magari con un vescovo mal disposto, perché mettere in difficoltà il parroco, con la prospettiva di ottenere dei risultati pasticciati e inopportuni o indesiderati ?

Non bisogna dimenticare che la S. Messa e la Tradizione sono cose serie e non possono e non devono essere usate come strumento provocatorio o propagandistico, neanche a fin di bene.
A volte questo è accaduto nei nostri ambienti, perfino con l’uso di mezzi fin troppo mondani, ma fino ad oggi vi era una certa giustificazione, data la situazione: da oggi le cose sono cambiate. 
Per non parlare delle possibili implicazioni di tipo blasfemo che potrebbero sorgere con un celebrante che non ci crede: abbiamo già fatto esperienze del genere !

Nel caso invece di un parroco ben disposto le cose stanno diversamente, ma è opportuno rientrare sempre nella prassi che indicheremo tra poco, poiché occorrerà tenere conto della realtà complessiva della parrocchia e non è il caso di creare incomprensioni, divisioni o scandali. 
A maggior ragione, alla disponibilità del parroco deve corrispondere una grande disponibilità dei fedeli tradizionali ad aiutarlo a gestire comunque una parrocchia dove i fedeli fino ad oggi sapevano che la liturgia tradizionale era stata abolita e il celebrarla equivaleva ad un comportamento scismatico. Vulgata, questa, che sarà duro modificare dopo quarant’anni di veleni e di disinformazione.

Siamo convinti che quanto disposto dal § 1 dell’art. 5 non sia da praticare, salvo qualche caso particolare.
Se prima serviva almeno una celebrazione, comunque fosse, oggi è necessario che celebrante e fedeli costituiscano una cellula omogenea e compatta, in grado di realizzare quella realtà ecclesiale che sola è in grado di dare fondamento ad una vita veramente cattolica.
A ben vedere, il Motu Proprio chiede implicitamente anche questo.

Riteniamo quindi che sia opportuno individuare un sacerdote disponibile a celebrare la liturgia tradizionale, quindi creare intorno a lui, senza clamori, una aggregazione in grado di aiutarlo e sostenerlo, perché si possa crescere insieme in dottrina e in catechesi e si possa seriamente dar vita ad una aggregazione ecclesiale cattolica tradizionale avente in vista la creazione di una parrocchia personale.
Da notare che questa alternativa permette di intravedere la possibilità che in una stessa zona o in una stessa città possano sorgere più aggregazioni di questo tipo, le quali possono prescindere dalle parrocchie territoriali e costituire i semi di qualcosa d’altro, in avvenire, se Dio vorrà.

A coloro che pensassero che la poca disponibilità di sacerdoti potrebbe porre i fedeli in situazioni simili a quelle in cui si sono già trovati, ricordiamo che fino ad ora praticamente non esistevano sacerdoti disposti a celebrare la liturgia tradizionale e, ove si verificava il caso interveniva l’impedimento diretto o indiretto del vescovo o della Conferenza Episcopale Regionale o della Conferenza Episcopale Nazionale. Oggi questi impedimenti son venuti meno, quindi c’è posto per la buona volontà e la speciale vocazione dei sacerdoti, soprattutto se affiancate dalla disponibilità e dalla devozione dei fedeli.
È indubbio che i primi tempi bisognerà fare dei sacrifici, ma ci sembra superfluo ricordare che in questa valle di lacrime nulla si ottiene senza sforzo e senza dedizione.

Un discorso a parte merita la possibilità offerta dal Motu Proprio di celebrare il Battesimo, il Matrimonio, l’Estrema Unzione, usando i libri liturgici del 1962 (art. 5, § 3). In questo caso potrà bastare una semplice richiesta orale o scritta (si veda lo schema approntato da noi) da presentare al parroco, il quale non può opporre un rifiuto.
Ovviamente, anche in questo caso è necessario usare il buon senso e la dovuta prudenza.
Vero è che il parroco non può opporre un rifiuto, ma è altrettanto vero che se si dichiara inidoneo, incapace ad amministrare il Sacramento richiesto, non solo non si può costringerlo, ma sarebbe davvero assurdo farlo.
Piuttosto, come previsto dallo stesso art. 5, insieme alla richiesta si sottoponga al parroco il nome del celebrante disponibile, in questo caso egli non potrà assolutamente dire di no.
Certo, anche così le cose non sono né facili né automatiche, ma lo stato di fatto nel quale viviamo è ben quello che è. 

Ecco perché il primo grande traguardo da raggiungere è la costituzione delle parrocchie personali.
 
 

Conseguenze operative per i sacerdoti

Mentre per un verso il Motu Proprio agevola i singoli sacerdoti, svincolandoli dalle eventuali limitazioni volute dai loro vescovi, per l’altro scarica su di essi un peso non poco gravoso. 
Innanzi tutto l’impegno notevole di imparare a celebrare la S. Messa e ad amministrare gli altri Sacramenti. 
Ci vorrà del tempo per fare le cose come si deve e sarà indispensabile l’aiuto diretto dei confratelli che utilizzano già i libri liturgici del 1962.
Non bastano né il Messale, né le registrazioni, sarà necessario procurarsi qualche manuale e decidersi per la frequentazione delle cappelle dove la liturgia tradizionale si celebra da tempo: senza remore, senza titubanze: lo stesso Motu Proprio ha provveduto a fugare definitivamente tutti i cavilli procedurali e tutte le letture canoniche più o meno legittime ma interessate.

Sappiamo bene che i sacerdoti desiderosi di celebrare col Rito tradizionale hanno già delle motivazioni di ordine dottrinale e teologico, ma è necessario che si soffermino a considerare l’importanza di vivere nella vita di ogni giorno le istanze ideali e i convincimenti teorici.
Non v’è dubbio che una delle prime necessità che scaturisce dall’uso della liturgia tradizionale è quella della appropriata catechesi. Il rapporto tra il sacerdote e i fedeli e tra tutti loro e la liturgia può consolidarsi solo sulla base di una catechesi tradizionale che sappia cogliere opportunamente i fattori temporali condizionanti e i segni dei tempi. Non escluso l’approfondimento delle serie e complesse motivazioni che hanno condotto al ripristino di questa antica liturgia.

La scelta del sacerdote potrà essere seguita da pochi o da molti fedeli, ma, in ogni caso, insieme dovranno mirare alla costituzione di aggregazioni di fedeli fortemente motivati, per il bene loro e della stessa comunità cattolica in cui vivono.
Molto più di prima, il sacerdote deve diventare veramente il direttore spirituale di coloro che si stringono intorno a lui per rendere a Dio il culto dovutoGli.
All’uopo è oltremodo opportuno che egli stabilisca dei solidi legami con altri confratelli che intendono vivere la sua stessa spiritualità. 

Con l’aiuto di Dio si potrà arrivare ad un grande movimento ecclesiale che fondi la sua esistenza sulla dottrina, sulla liturgia e sulla pastorale tradizionali. 
Questo non significa dar vita a qualcosa di nuovo, a qualcosa d’altro, perché l’ossequio alla Tradizione è tutt’uno con l’ossequio alla stessa Santa Chiesa di sempre, senza nuovi o vecchi, senza salti in avanti o ricadute all’indietro. 
La Tradizione della Santa Chiesa, che discende direttamente dal nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo, porta in sé tutti i possibili adattamenti che i tempi potranno richiedere, fino alla Parusia, e non ha alcun bisogno di forzate innovazioni che finiscono sempre col corromperla, se possibile, a causa della stoltezza della presunzione umana. 
Questi ultimi quarant’anni ne sono testimonianza tangibile.

Se il Santo Padre non avesse intravisto questa possibilità, per il bene della martoriata Sposa di Cristo, non avrebbe caricato i sacerdoti di tanta responsabilità.

La Santa Madre Chiesa ha bisogno di operai vigorosi disposti a dissodare le aride vigne pasticciate da vignaioli distratti, faciloni e poco preparati; ha bisogno di una rinnovata spiritualità che guardi alle cose del cielo e alla salvezza delle ànime piuttosto che alle cose della terra e al benessere dei corpi. 
I sacerdoti devono impegnarsi in questo gravoso compito, e possono farlo appoggiandosi alla diurna celebrazione della S. Messa tradizionale, che è veicolo certo di grazie celesti.
Conclusione

Ci auguriamo che questi nostri appunti servano da strumento di riflessione a molti amici, che invitiamo fin d’ora a farci pervenire le loro osservazioni, a renderci partecipi delle loro intuizioni e delle loro considerazioni, magari rendendosi disponibili sia teoricamente sia operativamente.
Serve la collaborazione di tutti, soprattutto dei più giovani, che fin d’ora sono chiamati a sostituire i più vecchi, poiché la lotta a venire sarà lunga e perigliosa.

La battaglia condotta in questi quarant’anni è cosa relativa di fronte al compito ben più grave che ci attende. Vinta la battaglia della S. Messa, dobbiamo accingerci ad intraprendere la grande guerra della dottrina, della catechesi e della pastorale.

Fino ad oggi, anche giocoforza, abbiamo finito col mirare al mantenimento della S. Messa e della liturgia, e abbiamo fatto bene, e il Signore ha visto e ha provveduto. Da oggi dobbiamo mirare alla costituzione di una grande comunione cattolica tradizionale, che sarà il nerbo di tutta la Chiesa, la quale in un futuro non molto lontano subirà gli attacchi concentrici di tutte le forze del maligno presenti trionfalmente nel mondo moderno.

Con l’aiuto della SantaVergine e l’assistenza di tutti i Santi possiamo fare molto di più di quanto pensiamo.

Deus vult. 

IMUV



14 settembre 2007


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