Il Motu Proprio
Summorum Pontificum cura
nella Diocesi di Novara

Gli occhi del Vaticano osservano Novara
Un caso unico tra tutte le diocesi: tre parroci per il rito tridentino

29 ottobre 2007

Pubblichiamo un articolo apparso sul n° 79 di lunedì 29 ottobre,
del bisettimanale Tribuna Novarese
e riguardante i tre parroci della Val d'Ossola che, a partire del 7 luglio 2007, 
hanno deciso di usare solo la liturgia tradizionale

(le sottolineature e i rimandi sono nostri)



Sull'argomento si vedano anche:
Il Lefebvre di Garbagna
Sciopero della Messa contro la Curia


 
 
NOVARA - Gli occhi di Roma sono puntati su Novara, questo è un dato certo anche se poco percepibile e non confermato da alcuno, ma quello che succederà nei prossimi mesi o anche giorni potrebbe diventare un modus operandi per tutto il paese. Sembra strano, lo sappiamo, ma proprio nella diocesi  novarese si è avuto un fenomeno  unico: tre parroci, partendo dal Motu Proprio di Benedetto XVI, hanno deciso di tornare alla celebrazione tradizionale preconciliare e non in una messa, appositamente richiesta, come prevede il Motu Proprio, ma in tutte le celebrazioni.
A Preglia, Santa Maria Maggiore, Garbagna e Nibbiola la messa è solo secondo l’antico rito che la messa “montiniana” aveva abolito. Quello stesso messale che aveva portato all’orientamento tradizionalista, di cui la figura più famosa e  controversa è stato l'arcivescovo francese Marcel Lefebvre, fondatore della "Fraternità Sacerdotale San Pio X". Quel Levebvre che il 2 luglio 1988, Giovanni Paolo II ha dichiarato scomunicato per l'atto scismatico di conferire l'ordinazione episcopale a quattro membri della sua Fraternità Sacerdotale.

Per chi pensasse che si tratta di una cosa normale, visto il Motu Proprio di Benedetto XVI, possiamo dire
che così non è; la diocesi novarese ha un primato per quel che riguarda le diocesi italiane è l’unica in cui tre parroci (e tutti al di sotto dei 45 anni) hanno deciso di celebrare unicamente la messa secondo il rito tridentino.

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Ed ora quel che deciderà di fare la diocesi novarese è sotto i riflettori del mondo intero e in particolare
sotto quelli di “oltreTevere” dove si fronteggiano due diverese tendenze quella “conciliare” e quella “tradizionalista”.
Abbiamo tentato in questi giorni di raggiungere sia i tre parroci che i responsabili della diocesi novarese,
ma non siamo riusciti a parlare con nessuno se non con don Gianluigi Cerutti, segretario del Vescovo, che
ci ha specificato quanto già sapevamo cioè che il problema non è il rito in latino, che in effetti non è mai stato abolito. “I documenti della Chiesa sono scritti in latino - specifica don Cerutti - e anche le grandi celebrazioni che coinvolgono persone che giungono da più paesi sono celebrate in latino”.

Il problema è quindi il rito tridentino preconciliare.

Cosa dice il Motu Proprio di Benedetto XVI?

Il Papa, il 7 luglio di quest’anno, ha promulgato la lettera apostolica in forma di motu proprio “Summorum Pontificum” circa l'utilizzo della liturgia tridentina come forma straordinaria del rito romano. Con questo documento ha dichiarato che il Messale Romano di Papa Giovanni XXIII, pubblicato nel 1962, “non fu mai giuridicamente abrogato e, di conseguenza, in linea di principio, restò sempre permesso”. Per l'uso di questo Messale nella prassi, il Papa ha emanato alcune norme. Il Messale del 1962, che fino al 1970 era la forma ordinaria della messa del rito romano è riconosciuto come legittima forma straordinaria dell'unico rito romano.
Non sono state riconosciute come forme lecite quelle precedenti l’anno 1962, come il Messale Romano
del papa Benedetto XV del 1920. Tutti i sacerdoti di rito latino hanno il diritto di scegliere il Messale
di Giovanni XXIII per la celebrazione senza popolo della Messa (art. 2 del Motu Proprio). Nel Motu
Proprio viene raccomandato al parroco di permettere le celebrazioni pubbliche secondo il Messale del 1962 a favore di gruppi stabili di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica (art. 5 §1) e anche in circostanze particolari come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi (art.
5 §3). Non è obbligato a celebrare egli stesso nella forma anteriore, ma può dare il necessario permesso a un sacerdote idoneo e non giuridicamente impedito, che sia disposto a usare tale forma (art. 5 §4). Può anche, se lo consiglia il bene delle anime, concedere la licenza di usare il rituale più antico nell’amministrazione dei sacramenti del Battesimo, del Matrimonio, della Penitenza e dell’Unzione degli infermi. 
Quindi il Motu Proprio non liberalizza la messa tridentina e tanto meno la rende obbligatoria, piuttosto
ci pare che affermi che laddove esista un gruppo di persone che ne faccia richiesta si possa celebrare la
messa secondo l’antico rito.

E allora perché questa scelta da parte dei tre parroci?
Un anziano sacerdote novarese ci ha spiegato di essere molto perplesso su questa scelta in particolare
per il fatto che è stata fatta da sacerdoti giovani che mai hanno celebrato messa secondo quel rito e che
forse nemmeno la ricordano. “Fosse stato qualcuno della mia età avrei compreso, ma nessuno di noi ha
mai avuto in animo di tornare a quella celebrazione” ci dice con la promessa del non nominarlo.

Un altro segnale che la situazione nella diocesi novarese non è poi così semplice e che a Novara sentono di avere una responsabilità grandissima, ma soprattutto che qualsiasi decisione la diocesi e il Vescovo prenderanno potrebbe, utilizzando un termine più legato alla cronaca, fare giurisprudenza.

Quello che è certo è che i  tre parroci non si arrendono e proseguiranno il loro cammino per difendere la tradizione, ma è altrettanto certo il Vescovo non potrà rimanere in silenzio facendo sì che sia il tempo a decantare la situazione.

Gli occhi di Roma, ma anche quelli del mondo (grazie ai siti su internet in cui la discussione è molto accesa), sono puntati su Novara e volenti o nolenti i responsabili della diocesi novarese dovranno pronunciarsi con voce ben chiara e non nelle segrete stanze.
 

(su)



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Il Lefebvre di Garbagna
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