Il Motu Proprio
“ Summorum Pontificum cura”
nella Diocesi di Novara
SCIOPERO DELLA MESSA CONTRO LA CURIA
Il vescovo “sconfessa” i preti tridentini
26 novembre 2007
Pubblichiamo un articolo apparso sul n° di lunedì
26 novembre 2007,
del bisettimanale Tribuna
Novarese
sempre riguardante i tre parroci della Val d'Ossola
che, a partire del 7 luglio 2007,
hanno deciso di usare solo la liturgia tradizionale
(le sottolineature e i rimandi sono nostri)
-- l'articolo della Tribuna Novarese
-- il comunicato del vescovo di Novara
Sull'argomento si vedano anche:
Gli occhi del
Vaticano osservano Novara
Il Lefebvre
di Garbagna

NOVARA - Tanto tuonò che piovve,
dice il detto popolare, ma sono nuvole nerissime quelle che si presentano
all’orizzonte della Curia novarese.
“Siamo in piena battaglia - ci dice don
Marco Pizzocchi - abbiamo deciso di non dire la messa festiva”.
In pratica i tre parroci “tridentini” hanno deciso di
autosospendersi dalla celebrazione della messa festiva
che secondo quanto contenuto nella lettera del Vescovo
di Novara deve essere celebrata secondo il messale di Paolo VI.
In parole povere don Alberto, don Marco e don Stefano
sono entrati in sciopero.
“Abbiamo comunicato al Vescovo che non avremmo
celebrato la messa di Paolo VI e la stessa cosa abbiamo fatto con il vicario
di zona che è venuto a celebrare la messa a Garbagna e a Nibbiola”.
Quindi voi proseguite sulla vostra linea?
“Il comunicato stampa che è stato pubblicato
da tutti i giornali ha suscitato clamore e la cosa più triste è
che ci sono dei sacerdoti che ci hanno attaccato e messo alla berlina.
Uno ci ha definito "testimoni di Geova" e un’altro ha detto che siamo degli
"impallinati che vogliono impallinare anche i fedeli". Ora chiediamo al
Vescovo che prenda le nostre difese con un comunicato ufficiale”.
Come è andata domenica la messa celebrata secondo
il rito di Paolo VI?
“Alcuni fedeli sono uscitidalla chiesa in segno
di protesta”.
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Molto peggio è andata a Vogogna dove domenica si
sarebbe dovuto celebrare la festa patronale che di fatto non c’è
stata per la protesta dei cittadini.
A Vogogna il parroco è don Alberto Secci
che come don Marco si è autosospeso dalla celebrazione della
messa secondo il rituale di Paolo VI, ma domenica per
celebrare è andato il vicario di zona che ha trovato in chiesa solo
tre donne delle quali una particolarmente vivace che in modo deciso ha
denunciato che “si trova il tempo per andare a trovare Giuliana Sgrena,
ma non si trova il tempo per venire a impartire la cresima”. Detto
questo anche le tre donne si sono allontanate e a Vogogna dopo 500 anni
non si è celebrata la festa patronale.
Un chiaro segnale di tempesta e di distanza tra il popolo
dei fedeli e la curia novarese.
“L’aver reso pubblico il documento del Vescovo e
che noi conoscevamo con tanto di cappello introduttivo ci
dice don Alberto Secci - è un chiaro segnale, ma visto
che noi non giochiamo in quanto siamo dei parroci responsabili che non
intendono scandalizare i fedeli, ci siamo autosospesi in maniera prudenziale
dalla celebrazione della messa festiva. Ovviamente ognuno celebra la messa
quotidiana, ma non vogliamo utilizzare il messale di Paolo VI”.
“La messa di San Pio V - dice don Marco
Pizzocchi - ha gli stessi diritti della messa di Paolo VI. Anzi
so che il Vescovo ha sulla sua scrivania 130 firme di persone che chiedono
la messa secondo il rito tridentino. A questo punto si potrebbe, addirittura,
pensare ad aprire una chiesa per il culto tridentino, ma credo che non
sarà possibile”.
“Sappiamo che il Vescovo riceve moltissime pressioni
- ci dice don Alberto Secci - così come sappiamo che
esisterebbe un documento dell’episcopato piemontese nel quale si dice che
siano messi in minoranza quei sacerdoti che celebrano la messa di San Pio
V”.
“Il Vescovo - prosegue don Secci - ci
ha detto che sulle questioni di fondo abbiamo ragione. Su suo consiglio
abbiamo contattato monsignor Camille Perl, segretario della Pontificia
Commissione Ecclesia Dei, che ci ha detto che il Vescovo poteva condecerci
l’esperimento triennale, suffragando le sue parole con il concetto che
noi non siamo nella lettera del Motu Proprio ma nella mens. E che quindi
e vi cito le parole di monsignor Perl ci poteva essere concesso l’esperimento
triennale perché "il diritto segue la vita e non viceversa "”.
La questione a quel che possiamo vedere è molto
complessa in quanto i tre parroci sono determinati nel perseguire il loro
obiettivo che è quello di poter celebrare la messa secondo il rito
di San Pio V suffragati
anche dal parere autorevole del segretario della commissione
pontificia Camille Perl, mentre dall’altra ci sarebbe la curia novarese
che fa di tutto per osteggiare questa volontà.
“Sono loro a porre un problema di fede e non noi
dice don Alberto - con una interpretazione riduttiva
del Motu Proprio a cui fa contraltare una interpretazione ideologica del
Vaticano II. Si fa sociologismo di bassa lega e a noi si dice di non celebrare
la messa in latino, ma negli oratori, ormai, si parla solo l’arabo”.
Sono parole decise quelle di don Alberto, ma che rivelano
anche una grande sofferenza per questo momento che forse non avrebbe mai
voluto vivere.
Fino alla scorsa estate e alla promulgazione del Motu
Proprio come faceva?
“Ho sempre reso un po’ tridentino il rito di Paolo
VI con piccoli accorgimenti - dice don Alberto - con
la recita del Padre nostro in latino e utilizzando anche altre formule
dalla messa in latino e per questo sono stato anche richiamato. Una attenzione
anche alla tradizione culturale dei fedeli: la montagna sta con la messa
tridentina. Ma mi è stato detto che il mio stile celebrativo rompeva
con lo stile degli altri parroci. Eppure non ho avuto mai nessun problema
con i parroci dei paesi vicini, mentre qualche problema sembra che l’abbia
qualcun altro con me”.
A questo punto il rischio per voi è alto e già
in settimana potreste essere rimossi?
“E’ vero - dice don Marco Pizzocchi
- ma come ho detto il cammino è iniziato e quindi in caso
di rimozione ricorreremo a Roma e a quel punto sarà il Vaticano
a doversi pronunciare”.
“Nella nostra diocesi non è mai successo
che qualcuno fosse rimosso o sospeso eppure di cose ne sono successe e
molte”.
Probabilmente, già domenica prossima don Alberto,
don Marco e don Stefano potrebbero essere stati tolti
dalle loro parrocchie e inviati a fare i “coadiutori”
in qualche chiesa, possibilmente defilata, ma questa soluzione ormai non
chiuderebbe il “problema” che è posto sulla piazza e non si tratta
dell’essere pro o contro un modo di celebrare la messa, in quanto su questo
il Motu Proprio è più che chiaro, ma della possibilità
di concedere ai tre parroci di celebrare la messa secondo il rito che più
rispecchia il loro senso della fede fosse anche solo “ad experimentum”.
Eugenio Di Maio
Comunicato della Diocesi di Novara
Il comunicato è stato trasmesso con una breve
introduzione dell'ufficio diocesano per le comunicazioni sociali
E’ entrato in vigore il 14 settembre il “Motu proprio”
di Benedetto XVI sulla possibilità di celebrare la Messa in latino,
utilizzando il messale romano promulgato da San Pio V e nuovamente edito
nel 1962 dal beato Giovanni XXIII.
Va ricordato che lo stesso Pontefice ha allegato al Motu
proprio una lettera ai vescovi precisando che "ogni vescovo è il
moderatore della liturgia nella propria diocesi", e che perciò "nulla
si toglie all’autorità del vescovo il cui ruolo, comunque,
rimarrà quello di vigilare affinché tutto si svolga
in pace e serenità".
Cosa che il nostro vescovo, nella lettera alla diocesi
pubblicata il 21 luglio, ha subito dichiarato di voler fare, "osservando
caso per caso se le regole del “Motu proprio” vengono osservate senza forzature
indebite e verificando che la forma normale della celebrazione
eucaristica sia riconosciuta nel suo valore e nella sua santità".
Mons. Corti non solo ha scritto di voler vigilare sulla
corretta applicazione del “Motu proprio” in diocesi ma lo ha fatto, dedicando
molto tempo (insieme con i più stretti collaboratori) per verificare
le situazioni che si sono create in qualche rara parrocchia della diocesi.
Certo in un modo discreto e sofferto, senza segnalare
pubblicamente tutti i passi compiuti, al fine di trovare la soluzione migliore
per i sacerdoti interessati e per le parrocchie loro affidate.
Ora, anche per rispondere alle richieste giunte da più
parti, di conoscere il pensiero del vescovo in merito alla situazione in
diocesi a riguardo del “Motu proprio”, mons. Corti rende pubblico questo
nuovo intervento.
Don Piero Cerutti
direttore ufficio diocesano per le comunicazioni sociali
*********
LA CONCORDE UNITÀ
DELLA CELEBRAZIONE LITURGICA
Circa il “Motu proprio” del 7 luglio 2007
A proposito del recente “Motu proprio” mi sembra opportuno
ricordare anzitutto quanto viene detto da Benedetto XVI nell’Es. Ap. “Sacramentum
caritatis” (22 febbraio 2007): “In relazione alla corretta ars celebrandi
un compito imprescindibile spetta a coloro che hanno ricevuto il sacramento
dell’Ordine: Vescovi, sacerdoti e diaconi, ciascuno secondo il proprio
grado, devono considerare la celebrazione come loro principale dovere”.
A proposito del Vescovo diocesano si afferma che egli “è la guida,
il promotore e il custode di tutta la vita liturgica”. Si aggiunge che
“la comunione con il Vescovo è la condizione perché ogni
celebrazione sul territorio sia legittima”. Perciò si conclude che
“a lui spetta salvaguardare la concorde unità delle celebrazioni
nella sua Diocesi”. Pertanto dovrà “fare in modo che i presbiteri,
i diaconi e i fedeli comprendano sempre più il senso autentico dei
riti e dei testi liturgici e così siano condotti ad un'attiva e
fruttuosa celebrazione dell'Eucaristia"” (n. 39).
Ho già commentato questo testo del Papa nell’omilia
della Messa Crismale del Giovedì Santo. Sono in dovere di applicarlo
nel modo più pieno possibile e di chiedere ai sacerdoti di offrire
il proprio contributo alla “concorde unità della celebrazione” eucaristica
in Diocesi.
***
Con riferimento specifico al Motu Proprio del 7 luglio
scorso sono stati resi noti interventi ufficiali, da parte della nostra
Diocesi, con una mia lettera e una nota del Provicario Generale. Tali interventi,
pubblicati sul settimanale diocesano in data 14 luglio e sulla Rivista
Diocesana Novarese (settembre 2007), erano rivolti ai sacerdoti e a tutti
i fedeli come orientamento autorevole circa l’attuazione del documento.
Onde favorire una conoscenza diretta del pensiero del
Santo Padre, ricordo di nuovo alcuni passaggi del Motu Proprio. Si legge
che “il Messale Romano promulgato da Paolo VI è l’espressione ordinaria
della "lex orandi" della Chiesa Cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale
Romano promulgato da San Pio V e nuovamente edito dal Beato Giovanni XXIII
deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa "lex
orandi" e deve essere tenuto in debito onore per il suo uso venerabile
e antico. Queste due espressioni della "lex orandi" della Chiesa non porteranno
in alcun modo a una divisione nella "lex credendi" della Chiesa; sono infatti
due usi dell’unico rito romano. Perciò è lecito celebrare
il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano
promulgato dal Beato Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma
straordinaria della Liturgia della Chiesa” (art. 1). Il Papa aggiunge:
“Nelle Parrocchie, in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti
alla precedente tradizione liturgica, il Parroco accolga volentieri le
loro richieste per la celebrazione della santa Messa secondo il rito del
Messale Romano edito nel 1962. Provveda a che il bene di questi fedeli
si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della Parrocchia, sotto la
guida del Vescovo a norma del canone 392, evitando la discordia e favorendo
l’unità di tutta la Chiesa”. E ancora: “La celebrazione secondo
il Messale del Beato Giovanni XXIII può aver luogo nei giorni feriali;
nelle domeniche e nelle festività si può avere anche una
celebrazione del genere ("una etiam celebratio huiusmodi fieri potest")”
(Art. 5, § 1-2).
Nella lettera che accompagna il “Motu proprio” Benedetto
XVI afferma che “ovviamente per vivere la piena comunione, anche i sacerdoti
delle Comunità aderenti all’uso antico non possono in linea di principio,
escludere la celebrazione secondo i libri nuovi. Non sarebbe infatti coerente
con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito
l’esclusione totale dello stesso”.
Come si vede, il Motu Proprio può essere messo
in atto “nelle parrocchie nelle quali esiste stabilmente un gruppo di fedeli
aderenti alla precedente tradizione liturgica”. Qualora esistano tali condizioni,
nelle domeniche e nelle feste è obbligatorio celebrare le sante
Messe in piena conformità al Messale di Paolo VI indicato come “forma
ordinaria”. Rimane possibile celebrare una santa Messa (una sola) nella
“forma straordinaria”, e cioè quella del Messale di Giovanni XXIII.
Tale celebrazione, destinata al “coetus fidelium” che l’ha chiesta, non
deve sostituire le Messe nella “forma ordinaria”, destinate all’intera
comunità parrocchiale. Da parte dei Parroci va dunque garantita
la “forma ordinaria” della celebrazione eucaristica, soprattutto nei giorni
di festa e nelle domeniche.
***
Voglio concludere dando evidenza a due intenzioni che
hanno condotto il Papa a scrivere il Motu Proprio. La prima è che
la riforma liturgica venga compresa e praticata in tutta la sua ricchezza.
In tal modo “nella celebrazione della Messa secondo il Messale di Paolo
VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non
lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico
uso. La garanzia più sicura che il Messale di Paolo VI possa unire
le comunità parrocchiali e venga da loro amato consiste nel celebrare
con grande riverenza in conformità alle prescrizioni; ciò
rende visibile la ricchezza spirituale e la profondità teologica
di questo Messale”.
La seconda intenzione è che il Motu Proprio favorisca
“una riconciliazione interna nel seno della Chiesa”. È evidente
che questa speranza espressa dal Papa chiede, in particolare ai sacerdoti,
di compiere dei passi che abbiano come logica profonda l’unità interna
alla Parrocchia stessa, nell’accoglienza di tutto il popolo di Dio loro
affidato; e poi l’unità con il presbiterio e con la Diocesi intera,
e in particolare con il Vescovo. Tenendo conto di questo suggerimento del
Papa si eviteranno incertezze e sofferenze nelle nostre comunità.
Si favorirà inoltre che, nel prossimo futuro, grande sia la premura
nei confronti della celebrazione liturgica in tutte le nostre comunità,
così da valorizzare le ricchezze che i santi riti contengono. Prego
Dio perché questo spirito di unità venga chiaramente testimoniato.
+ Renato Corti
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