LA“PASCENDI” NON É INVECCHIATA

1907 - 2007
Attualità dell'Enciclica di San Pio X
contro il Modernismo

Pubblichiamo un articolo di Don Jean-Michel Gleize
pubblicato sul n° 107 di settembre-ottobre di Nouvelles de Chrétienté 
e riproposto nel n° 1 della nuova rivista “on line” del 
Distretto italiano della Fraternità Sacerdotale San Pio X
NOVA ET VETERA

(le sottolineature e i rimandi sono nostri)

É possibile scaricare l'articolo in formato PDF

Sull'argomento si vedano anche:
- San Pio X: Decreto: Lamentabili sane exitu (Decreto del Sant'Uffizio che condanna 65 proposizioni moderniste)
- San Pio X: Enciclica : Pascendi Dominici gregis (Con la quale si condanna il modernismo)
- San Pio X: Motu proprio: Praestantia Scripturae Sacrae (Nel quale si ribadisce la condanna del modernismo, si menzionano le pene e si commina la scomunica per i trasgressori)




Il modernismo di ieri condannato da San Pio X
Il modernismo odierno, adottato dal Vaticano II
Breve esame critico della Lumen Gentium, n° 8
Il n° 8 della Lumen Gentium
Il n° 8 alla prova dei fatti
Costanti e variazioni del modernismo




 
Il modernismo di ieri condannato da San Pio X

Promulgata cento anni fa, l’8 settembre 1907, l’enciclica Pascendi dominici gregis riassume tutta l’offensiva condotta dal Papa San Pio X contro l’errore del modernismo.
Come ogni eresia, il modernismo è un sistema in cui tutto è strettamente collegato, un sistema costituito " non da vaghe dottrine non unite da alcun nesso, ma di un unico corpo e ben compatto, ove chi una cosa ammetta  uopo è che accetti tutto il rimanente(1). Ma, a differenza di altre eresie, si tratta di un sistema che non si presenta come tale. Ad una prima lettura essa presenta una apparenza di oscurità e di equivoco che, su ogni singolo punto particolare ed isolato, potrebbe indurre una benevola interpretazione dal punto di vista dell’ortodossia.
Al n° 3, San Pio X ricorda che i modernisti " niuno li supera di accortezza e di astuzia ", essi usano una "sì fina simulazione da trarre agevolmente in inganno ogni incauto ". E al n° 2 afferma che si tratta di nemici " tanto più perniciosi quanto meno sono in vista".

Non è dunque senza motivo che San Pio X paragona questa eresia del tutto nuova e senza precedenti ad una fogna: il modernismo è il ricettacolo di tutte le eresie. Una fogna è invisibile perché è sotterranea e il modernismo è esattamente una eresia sotterranea, un’eresia che si diffonde nascostamente. 

San Pio X

Esso si potrebbe paragonare anche ad un camaleonte, che possiede la capacità di cambiare il colore della pelle in funzione dell’ambiente in cui si trova. Questa caratteristica gli permette di dare l’impressione che sia cambiato, mentre in realtà è rimasto lo stesso. Questo secondo paragone ci permette di comprendere perché l’analisi di San Pio X conserva ad oggi tutta la sua attualità. Gli insegnamenti del Concilio Vaticano II, infatti, hanno mutato il colore del modernismo senza cambiarne la natura profonda.

Il principio primo di questo modernismo analizzato da San Pio X è duplice. 
Vi è un primo fondamento costituito dall’agnosticismo, che significa che sarebbe impossibile entrare in relazione con Dio tramite la conoscenza intellettuale. E tuttavia il modernismo non è un ateismo. Esso sfugge all’ateismo grazie all’immanenza vitale, che costituisce il secondo fondamento del sistema: si entra in relazione con Dio non tramite la conoscenza, ma per il bisogno. Questo bisogno divenuto cosciente è la fede ed è anche la rivelazione. Fede e rivelazione derivano dall’interno (la coscienza del soggetto) e non più dall’esterno (la proposizione oggettiva del dogma offerta dal magistero della Chiesa): siamo all’immanenza, dove fede e rivelazione corrispondono non ad una conoscenza, ma ad un bisogno o ad un vissuto. È il vitalismo. Sostenendo che il bisogno o l’esperienza del divino sono alla base della rivelazione e della fede, si sostituisce come principio della religione la vita alla verità.

Il problema è, allora, di mantenere e dunque di trasmettere la fede e la rivelazione. Occorre assicurare la permanenza del vissuto grazie alla Tradizione e alla Chiesa. Per comunicare l’esperienza occorre viverla insieme. La Chiesa, che è questo vissuto collettivo, è definita come " il frutto della coscienza collettiva ". Questa esperienza vissuta in comune dà vita alla tradizione vivente, cioè alla serie, continua nel tempo, delle esperienze religiose fatte in comune. Ne deriva che la costituzione della Chiesa non è più quella di una società monarchica, ma quella di una comunione o di un governo democratico, in cui l’autorità diviene il portavoce della comunità. Da ciò deriva anche un relativismo unico nel suo genere: tutte le religioni sono più o meno vere. Dal momento che la religione sarebbe la comunicazione di una esperienza, la migliore religione, e dunque la più vera, sarà quella in cui la comunicazione corrisponde meglio ai bisogni della coscienza umana e meglio perdura. Questa religione esiste: è il cattolicesimo, la religione che in fondo è solo più vera delle altre, mentre le altre, corrispondendo più o meno a questi bisogni, rimangono buone e legittime.

Il modernismo, dunque, può riassumersi in tre grandi postulati: la fede e la rivelazione consistono nel vivere un’esperienza; la Chiesa è la comunione di coloro che vivono questa esperienza; il cattolicesimo è solo il coronamento o la pienezza de questa esperienza.
 
 

Il modernismo odierno, adottato dal Vaticano II: 
l’esempio del " subsistit " in Lumen gentium (n° 8)

Modernisti e tradizionalisti: i principi base del dialogo.

Come in tutte le cose è importante determinare il metodo da seguire. In effetti, dice San Tommaso, colui che avanza zoppicando lungo la via, anche se progredisce poco si avvicina comunque alla meta. Colui che invece cammina fuori dalla via si allontana dalla meta tanto più presto per quanto avanza spedito (2).

Ora, il metodo non è proprio lo stesso quando si studiano dei testi ortodossi o eterodossi. 
Infatti (I regola), quando si tratta di un testo ortodosso, la regola è che bisogna chiarire i passi oscuri, dubbi o sospetti in funzione dei passi chiari e veridici. 
Quando invece (II regola) si tratta di un testo eterodosso si procede all’inverso: occorre comprendere i passi chiari e veridici in funzione di quelli oscuri, dubbi o sospetti (3).

Per capirci ricordiamo che il fondamento della prima regola è la fragilità umana. 
" L’autore è un uomo fallibile e la benevolenza naturale esige che le formule infelici che possono incontrarsi qua e là nel suo testo debbano essere addebitate alle sue imperfezioni, senza cercarvi sistematicamente la contraddizione con le affermazioni più esplicite. Se in qualche àmbito l’espressione lo ha tradito, è opportuno cercare il senso autentico del suo pensiero laddove meno si è prodotto tale inconveniente. Poiché questa regola tiene presente la fragilità umana, tiene conto del fortuito, dell’imprevedibile, dell’imponderabile: secondo le norme umane usuali, la disattenzione o l’imperizia non infirmano l’andamento generale di un pensiero. Questa regola, dunque, non può essere utilizzata quando lo studio del testo rivela un sistema che collega i passi dubbi e conferisce loro un significato coerente e persistente. In questo caso non si tratta più di errori isolati e di mancanze passeggere. L’autore, in questi passi, tende verso uno scopo che conosce, usando i mezzi che giudica appropriati, e questo lo rende soggetto all’analisi e alla critica. Il senso dominante deve sempre prevalere. Come nel caso delle debolezze d’espressione giocano a favore i passi chiari, ritenuti espressivi del vero pensiero dell’autore, contro i passi confusi visti come delle imperizie; così, nel caso di un sistema collegato gioca a favore il sistema stesso, contro i passi apparentemente chiari. In questo secondo caso, dunque, è necessario invertire la regola e interpretare i passi apparentemente ortodossi alla luce dei passi equivoci, in vista proprio del sistema e non viceversa " (4)

Quando i passi eterodossi sono frequenti o anche abituali non si tratta più di lapsus o inavvertenza dovute alla fragilità umana, quindi la prima regola non può più applicarsi. " I testi ortodossi, non solo perdono il loro significato favorevole, ma diventano anche causa di un ulteriore e grave motivo di sospetto " (5) . La cosa non deve stupire: il falso è privazione del vero, esattamente come il male è privazione del bene, tale che l’eresia suppone per definizione una certa parte di ortodossia, di cui ha bisogno per poter sopravvivere in quanto privazione. " I passi apparentemente ortodossi rappresentano allora sia una incoerenza e una debolezza dell’autore, che conserva per abitudine degli elementi estranei al suo sistema, sia una volontà positiva di dissimulare l’equivoco, di camuffare l’errore, di annegare la perfidia in una pietosa caligine " (6) .

Il Papa San Pio X, nella Pascendi, al n° 4, denuncia questa attitudine dei modernisti dicendo che usano la tattica di " presentare le loro dottrine non già coordinate e raccolte quasi in un tutto, ma sparse invece e disgiunte l'una dall'altra ". Questo, aggiunge il Papa, " allo scopo di passare essi per dubbiosi e come incerti, mentre di fatto sono fermi e determinati ". Al n° 20, San Pio X precisa ancora: " Negli scritti e nei discorsi sembrano essi non rare volte sostenere ora una dottrina ora un'altra, talché si è facilmente indotti a giudicarli vaghi ed incerti. Ma tutto ciò è fatto avvisatamente; per l'opinione cioè che sostengono della mutua separazione della fede e della scienza. Quindi avviene che nei loro libri si incontrano cose che ben direbbe un cattolico; ma, al voltar della pagina, si trovano altre che si stimerebbero dettate da un razionalista ".
 
 

Breve esame critico della Lumen Gentium, n° 8

Un testo avulso dal suo contesto diventa un pretesto… Per sfuggire a tale pretesto è indispensabile collocare ed esaminare il n° 8 della Lumen Gentium in funzione dei numeri precedenti. L’insieme di questi numeri, infatti, dal primo all’ottavo, mostra chiaramente che, lungi dall’essere fortuite, le affermazioni equivoche, incomplete o sospette, sono continue. Il metodo d’esame auspicato prima si impone dunque da sé stesso.

La Chiesa è la vera società soprannaturale visibile che riunisce tutti coloro che, battezzati, professano la stessa fede e sono sottomessi all’autorità del Sovrano Pontefice, vescovo di Roma. L’unità della Chiesa visibile in questa terra è ordinata ad un’altra unità: quella della Comunione dei Santi. Questa Comunione mistica ed invisibile comincia qui in basso, ove riunisce, col legame della carità, tutti i giusti in stato di grazia; essa trova il suo compimento nella Chiesa trionfante del cielo, ove i beati vedono Dio faccia a faccia. Quaggiù la Comunione dei Santi è distinta dalla Chiesa militante, poiché in questa vi sono degli uomini peccatori e fuori di questa si possono trovare, in modo straordinario, certe ànime in stato di grazia (7). E vi è un ordine ben marcato tra la Comunione mistica dei Santi e la Chiesa visibile, poiché quella procede da questa: la società visibile è prima in rapporto alla Comunione mistica e ne permette l’accesso. Vediamo adesso cosa ne è di questo insegnamento nel Vaticano II, con la costituzione Lumen Gentium.
 

Breve sguardo dal n° 1 al 7

Il Concilio Vaticano II ha voluto dare una nuova definizione della Chiesa. Il testo della Lumen Gentium si apre con un prologo (n° 1) che dichiara l’intenzione del Concilio nel quadro preciso di questa costituzione dogmatica sulla Chiesa: " E siccome la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano, continuando il tema dei precedenti Concili, intende con maggiore chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la propria natura e la propria missione universale ".

La difficoltà non sta nell’oggetto di questa intenzione; il testo dice semplicemente che la costituzione De Ecclesia tratterà della natura e della missione della Chiesa, cosa che è lapalissiana. La difficoltà nasce dall’inciso causale: " Cum autem…", cioè " E siccome la Chiesa è…". Ecco un modo di esprimersi sconcertante: non si enuncia palesemente una definizione chiara e netta, si dice per inciso che, essendo tale, la Chiesa parlerà di sé stessa. Per un verso non si capisce bene in che consista questo legame di causa ed effetto, per l’altro è alquanto sconcertante che questa espressione presupponga come già conosciuta e ammessa dai lettori la definizione della Chiesa sacramento. Nessuna spiegazione, nessuna giustificazione tratta dalle fonti della Rivelazione viene richiamata a sostegno di questa affermazione, la quale viene presentata ex abrupto come cosa automatica mentre invece è una novità assolutamente inaudita in un testo del magistero. E dopo aver fatto ingoiare questa pillola senza tante formalità, il testo vi farà subito riferimento come fosse un dato assolutamente incontestabile.
 

A partire dal n° 2, il capitolo I della Lumen Gentium descrive le origini della Chiesa.

Il n° 2 parla del mistero della Redenzione come presente dall’eternità nell’intenzione di Dio. "Tutti infatti quelli che ha scelto, il Padre fino dall'eternità “li ha distinti e li ha predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli ”. I credenti in Cristo, li ha voluti chiamare a formare la santa Chiesa, la quale, già annunciata in figure sino dal principio del mondo, mirabilmente preparata nella storia del popolo d'Israele e nell'antica Alleanza, stabilita infine “ negli ultimi tempi “, è stata manifestata dall'effusione dello Spirito e avrà glorioso compimento alla fine dei secoli ". 
Si devono segnalare due gravi lacune: da un lato, la Redenzione non è chiaramente definita mentre invece si insiste sull’idea di predestinazione; dall’altro, si parla della Chiesa in termini insufficienti, poiché si lascia intendere che la Chiesa è l’insieme dei " credenti in Cristo ", senza mensionare il legame visibile dell’unità gerarchica, né il carattere del Battesimo. Questo passo presenta la Chiesa come comunità mistica e invisibile dei predestinati.

Il n° 3 tratta dell’opera redentrice di Cristo e della fondazione della Chiesa, e vi si ritrovano le stesse lacune, ancora più accentuate. Da un lato, la Redenzione non è sempre definita chiaramente: è detto infatti che " Cristo, per adempiere la volontà del Padre, ha inaugurato in terra il regno dei cieli e ci ha rivelato il mistero di lui, e con la sua obbedienza ha operato la redenzione ". Dall’altro lato, si fa allusione ad un aspetto visibile della Chiesa, quando si dice che " La Chiesa, ossia il regno di Cristo già presente in mistero " ? dunque la realtà mistica e invisibile presentata al n° 2 - , " per la potenza di Dio cresce visibilmente nel mondo ". Ma non si precisa in che consista questa visibilità: è una visibilità formale ed intrinseca, quella di una cosa evidente in sé stessa, o è una visibilità estrinseca, quella di una cosa che è oggetto di fede, ma la cui esistenza è attestata da dei segni, dei motivi di credibilità ? Sembra proprio che quella corretta sia la seconda ipotesi, poiché il seguito di questo n° 3 vi si riallaccia affermando che l’origine e la crescita della Chiesa " sono simboleggiati" e " sono annunciati ": la Chiesa è una realtà formalmente invisibile e mistica e si può dire (per denominazione estrinseca) che il suo mistero opera una crescita visibile perché è significata e annunciata. Questa impressione è rafforzata alla fine di questo n° 3, poiché vi si dice che l’unità dei fedeli è " rappresentata ed effettuata " col " sacramento del pane eucaristico ".

Il n° 4 espone l’azione dello Spirito Santo nella Chiesa. Ed è qui, nella transizione che si effettua senza alcuna precisazione tra il n° 3 e il n° 4 che si trova la lacuna più grave e, indubbiamente, l’indizio che svela meglio il senso nascosto di questo capitolo I. Si passa subito dall’opera redentrice (mal definita) di Cristo all’azione mistica dello Spirito Santo nella Chiesa, senza aver minimamente richiamato la fondazione di una società visibile e gerarchica da parte di Cristo in quanto uomo.
 
In tutto il primitivo schema del 1962, il cardinale Ottaviani si era preoccupato di richiamare al n° 2 sia l’opera redentrice di Cristo (chiaramente definita come un sacrificio propiziatorio che meritava il riscatto dei peccati degli uomini), sia l’istituzione di una società visibile e gerarchica (8)
Questo equivaleva a riaffermare l’insegnamento tradizionale così come lo si ritrova, per esempio, nel Giuramento antimodernista di San Pio X, in cui si dice: " Con la stessa fede incrollabile credo che la Chiesa, custode e maestra del Verbo rivelato, è stata istituita immediatamente e direttamente da Cristo stesso vero e storico mentre viveva fra noi, e che è stata edificata su Pietro, capo della gerarchia apostolica, e sui suoi successori per sempre(9).
Modernismo e filosofia

Il filosofo di Koenigsberg, Emmanuel Kant (1724-1804) è, con Renato Cartesio (1596-1650) il principale iniziatore del pensiero moderno,  in quanto rompe con la tradizione realista ereditata da Aristotele e da San Tommaso d'Aquino.

Kant parte dal principio che l’uomo non 
coglie più le idee generali a partire dall’esperienza sensibile, ma se le forgia nell’intimo della propria coscienza, a prescindere da ogni relazione con la realtà che si offre ai suoi sensi. È facile capire come un tale principio abbia potuto generare nei modernisti una religione basata sulla coscienza, 
in cui tutto deriva dal soggetto credente, dai suoi bisogni e dai suoi sentimenti.
Invece, questo terzo testo finale adottato nel 1964 lascia intendere che l’azione di Cristo continua direttamente nell’azione dello Spirito Santo, senza richiedere l’intermediazione di una vita comune in società, senza far intervenire la predicazione e il governo dei pastori e l’amministrazione dei sacramenti. 

Vi si dice, infatti, che " Compiuta l'opera che il Padre aveva affidato al Figlio sulla terra, il giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare continuamente la Chiesa e affinché i credenti avessero così attraverso Cristo accesso al Padre in un solo Spirito ". E si afferma esplicitamente che la vita ecclesiale è il frutto diretto e immediato di questa azione dello Spirito Santo: " Questi è lo Spirito che dà la vita, una sorgente di acqua zampillante fino alla vita eterna;  per mezzo suo il Padre ridà la vita agli uomini, morti per il peccato, finché un giorno risusciterà in Cristo i loro corpi mortali. Lo Spirito dimora nella Chiesa e nei cuori dei fedeli come in un tempio e in essi prega e rende testimonianza della loro condizione di figli di Dio per adozione ". 
La fine di questo n° 4 evoca in maniera molto discreta l’esistenza di una gerarchia, ma la presenta come un frutto ed una conseguenza derivata dall’azione dello Spirito: sembra che la Chiesa esista già come comunione mistica e che in seguito lo Spirito Santo le doni la gerarchia, come aggiungendo la perfezione seconda dell’accidenti alla perfezione prima della sostanza. Il testo dice infatti: " Egli introduce la Chiesa nella pienezza della verità, la unifica nella comunione e nel ministero, la provvede e dirige con diversi doni gerarchici e carismatici, la abbellisce dei suoi frutti ". L’unità mistica della Chiesa precede il dono della gerarchia visibile.

Secondo questi tre passi dei nn° 2-4 della Lumen Gentium, la Chiesa è l’opera comune delle tre Persone divine. Il Padre ha predestinato tutti gli uomini nella e per la Chiesa. Con l’esempio della sua obbedienza e la rivelazione del suo mistero, Cristo (Agisce in quanto Dio o in quanto uomo ? Il testo non lo precisa.) ha suscitato un regno, cioè una comunione mistica. Lo Spirito Santo continua a suscitarla e vi aggiunge il dono della gerarchia visibile, che sta a significare il mistero di questa comunione.

I nn° 5 e 7 confermano questo significato. Il n° 5 evoca la fondazione della Chiesa da parte di Cristo senza fare alcuna allusione all’istituzione formale di una gerarchia visibile: non si parla nemmeno una volta del primato di San Pietro. Il n° 6 elenca le diverse espressioni metaforiche con le quali il testo sacro indica la Chiesa. Infine il n° 7 parla della Chiesa corpo mistico di Cristo come di una comunità spirituale ove tutti e ciascuno sono collegati al loro capo grazie allo Spirito. Vi è solo una allusione ai ministeri, grazie ai quali noi ci rendiamo un mutuo servizio per la salvezza. Anche qui non si parla affatto di un legame di dipendenza gerarchica.
 
 

Il n° 8 della Lumen Gentium

La prima parte

La prima parte di questo numero indica nuovamente lo stesso rapporto che abbiamo già notato al n° 3. Lì si diceva che " La Chiesa, ossia il regno di Cristo già presente in mistero, per la potenza di Dio cresce visibilmente nel mondo ". Il n° 8 precisa: " Cristo, unico mediatore, ha costituito sulla terra e incessantemente sostenta la sua Chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, quale organismo visibile, attraverso il quale diffonde per tutti la verità e la grazia ". Si ricorda la distinzione che esiste tra la comunità mistica da un lato e la struttura visibile dall’altro. Si dice che questa distinzione è opera di Cristo, senza precisare se si tratti di Cristo in quando uomo o di Cristo in quanto Dio; e trattandosi di Cristo in quanto uomo non si precisa se è Cristo in terra prima dell’Ascensione o Cristo glorioso che invia il suo Spirito dall’alto dei cieli. Ma sono i nn° 3 e 4 a esprimersi logicamente per questa seconda soluzione.
 
Il testo continua: " Ma la società costituita di organi gerarchici e il corpo mistico di Cristo, l'assemblea visibile e la comunità spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa arricchita di beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse; esse formano piuttosto una sola complessa realtà risultante di un duplice elemento, umano e divino ". Il che significa che la comunità non si trova mai nella realtà senza la struttura visibile e gerarchica. Ma per essere inseparabili esse sono distinte, a causa di tutto quello che è stato detto prima. E in questa distinzione vi è un ordine: la comunità spirituale precede e suscita la struttura gerarchica e visibile.

Questa spiegazione si impone, non solo se si tiene conto dei passi precedenti, ma anche dopo la lettura della frase che segue, in cui viene presentato un esempio atto a far meglio comprendere il senso di questa articolazione tra la comunità e la struttura: "Per una analogia che non è senza valore, quindi, è paragonata al mistero del Verbo incarnato. Infatti, come la natura assunta serve al Verbo 

Modernismo e filosofia

Georg-Friedrich Hegel (1770-1831) attinge da Kant il suo principio fondamentale per trarne delle conclusioni molto più radicali.
La sua idea guida è che tutti gli avvenimenti della storia sono solo delle manifestazioni diverse di un’unica realtà, che è lo spirito infinito. In tal modo Dio si svela sempre più nel corso della storia degli uomini. 

Le idee che la coscienza umana si forgia divengono sempre più perfette, fino a coincidere con lo spirito divino. Hegel ha completato il sistema idealista di Kant aggiungendovi il carattere di progresso indefinito, da cui il termine evoluzionismo che talvolta si usa per indicare il sistema hegeliano. Ne derivano in maniera diretta l’idea di una religione evolutiva e di una tradizione vivente.

divino da vivo organo di salvezza,  a lui indissolubilmente unito, così in modo non dissimile l'organismo sociale della Chiesa serve allo Spirito di Cristo che la vivifica, per la crescita del corpo ". Si fa la distinzione tra la " socialis compago o struttura sociale " della Chiesa e l’azione dello Spirito di Cristo che suscita la comunità. 

E si paragona questa distinzione a quella che esiste tra l’umanità e la divinità del Verbo incarnato. In entrambi i casi si distingue tra lo strumento e chi lo usa. La struttura gerarchica è lo strumento della comunità, e siccome chi utilizza lo strumento per ciò stesso lo precede, la divinità di Cristo precede la sua umanità e la comunità mistica precede la struttura gerarchica.

La seconda parte

" Questa è l'unica Chiesa di Cristo, che nel Simbolo professiamo una, santa, cattolica e apostolica e che il Salvatore nostro, dopo la sua resurrezione, diede da pascere a Pietro affidandone a lui e agli altri apostoli la diffusione e la guida e costituì per sempre “colonna e sostegno della verità”. Questa Chiesa [di Cristo], in questo mondo costituita e organizzata come società, sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui, ancorché al di fuori del suo organismo si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l'unità cattolica ".

La seconda parte di questo numero comprende il famoso passo del " subsistit in", con la distinzione tra la Chiesa di Cristo e la Chiesa Cattolica. Il significato di questo passo si chiarisce da sé alla luce del suo contesto. L’espressione " subsistit in " indica la distinzione tra la comunità spirituale da un lato e la struttura visibile e gerarchica dall’altro. Nella realtà le due non sono mai separate, ma l’una non è formalmente l’altra e tra le due vi è un ordine, poiché la comunità precede la struttura.

Per insistere sulla distinzione si aggiunge anche che la comunità può essere " presente e agente " (10) al di fuori della struttura gerarchica e visibile. Si tratta del passo che serve da punto di partenza all’ecumenismo. Elementi della Chiesa di Cristo esistono indipendentemente dalla struttura visibile della Chiesa cattolica. Su questo punto, le recenti Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa del 29 giugno 2007 completano il n° 8 della Lumen Gentium, precisando che questi elementi della Chiesa di Cristo (" Elementa Ecclesiae ") sono parte essenziale delle sette, scismatiche o eretiche. Non bisogna dimenticare, però, che questa precisazione non è nuova. Il testo della Sacra Congregazione, infatti, nella nota 8, fa riferimento a tre precedenti interventi dell’organo della Santa Sede: del 1973 (11), 1985 (12) e 2000 (13). Questi tre documenti, in sostanza, dicevano già la stessa cosa che è detta in questo quarto documento appena uscito.

Anche a volerlo considerare di per sé, avulso dal suo contesto, il testo della Lumen gentium si presenta sempre ambiguo. 
Vediamo come nei quattro documenti citati questa ambiguità muove nel senso di un grave errore. Si precisa che di per sé la non appartenenza alla Chiesa cattolica visibile non costituisce un ostacolo né per la ricezione della grazia sacramentale né per la predicazione della verità, al contrario essa costituisce un vero mezzo di salvezza.
 

L’interpretazione autentica del testo del n° 8 della Lumen gentium, dal 1973 al 2007

1973

Il testo del 1973 è indubitabile: " Questa dichiarazione del Concilio Vaticano II trova la sua spiegazione nel Concilio stesso. In esso infatti si dice che “ solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che è il mezzo generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza ” (Decreto Unitatis redintegratio, n° 3), e questa Chiesa cattolica è “ stata arricchita di tutta la verità rivelata da Dio e di tutti i mezzi della grazia” (Ibidem, n° 4) con cui Cristo ha voluto colmare la sua comunità messianica. Ma questo non impedisce che […] “ al di fuori del suo organismo”, in particolare nelle Chiese e comunità ecclesiali ad essa unite con una comunione imperfetta, “si trovino parecchi elementi di santificazione e di verità, che, appartenendo propriamente per dono di Dio alla Chiesa di Cristo, spingono verso l'unità cattolica” (Lumen gentium, n° 8). Stando così le cose, “ è necessario che i cattolici con gioia riconoscano e stimino i valori veramente cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli da noi separati.” (Decreto Unitatis redintegratio, n° 4); ed abbiano a cuore la restaurazione dell’unità dei cristiani con un comune sforzo di purificazione e di rinnovamento (Decreto Unitatis redintegratio, n° 6-8), affinché si compia la volontà di Cristo e i cristiani cessino di ostacolare, con le loro divisioni, la proclamazione del Vangelo nel mondo (Decreto Unitatis redintegratio, n° 1). Tuttavia, questi stessi cattolici devono confessare che, per effetto della misericordia divina, essi appartengono alla Chiesa che Cristo ha fondato e che è diretta dai successori di Pietro e degli altri Apostoli, nelle cui mani restano intere e viventi le istituzioni e la dottrina della comunità cattolica primitiva, patrimonio di verità e di santità che durerà per sempre nella loro Chiesa. Di modo che non è affatto permesso ai fedeli di immaginare che la Chiesa di Cristo sia semplicemente un insieme - diviso, certo, ma conservante ancora qualche unità - di Chiese e di comunità ecclesiali; né essi hanno il diritto di ritenere che questa Chiesa di Cristo oggi non sussista più in alcun luogo, così che bisognerebbe considerarla solo un fine da perseguire da parte di tutte le Chiese e comunità. "

Vi è detto tutto, e Benedetto XVI arriverà troppo tardi, dopo Paolo VI. In breve, vi sono, più o meno, degli elementi di Chiesa al di fuori della Chiesa. Un po’ come vi sarebbero degli elementi di emmental nei buchi dell’emmental (N. B.: Contrariamente a quanto contenuto nell’idea quasi unanimemente accettata in Francia, al contrario dell’emmental, la gruviera non ha i buchi).

1985

Il testo del 1985 continua sullo stesso tono. Esso ricorda che il Concilio Vaticano II ha scelto il termine " subsistit " " proprio per mettere in luce che esiste una sola sussistenza della vera Chiesa, mentre al di fuori del suo insieme visibile esistono solo degli “elementa Ecclesiae”, i quali - essendo degli elementi della stessa Chiesa - tendono e conducono verso la Chiesa cattolica ". Traduciamo:  in concreto, la Chiesa esiste in una sola maniera, nella struttura visibile del cattolicesimo, mentre al di fuori di questa struttura vi sono solo degli elementi della Chiesa.

Questo testo è particolarmente interessante perché venne citato e commentato, quindici anni dopo, dal Cardinale Ratzinger in persona, in una conferenza del febbraio 2000 sull’ecclesiologia della Lumen gentium(14). Citando il documento del 1985, il Cardinale Ratzinger ricorda che la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva " preso posizione " sul discusso passo della Lumen gentium n° 8 a causa della tesi sostenuta dal padre Leonardo Boff. Secondo quest’ultimo (che sembra riprendere pari pari le idee di Alfred Loisy) Cristo non ha costituito alcuna istituzione visibile. " Nessuna Chiesa istituzionale potrebbe quindi affermare di essere quell'una Chiesa di Gesù Cristo voluta da Dio stesso; tutte le configurazioni istituzionali sono quindi nate da necessità sociologiche e pertanto come tali sono tutte costruzioni umane, che si possono o addirittura si devono anche nuovamente radicalmente mutare in nuove circostanze. Nella loro qualità teologica si differenziano in modo molto secondario, e pertanto si potrebbe dire che in tutte o in ogni caso almeno in molte sussiste l' “unica Chiesa di Cristo” - a proposito della quale ipotesi sorge naturalmente la domanda con che diritto in una tale visione si possa semplicemente parlare di un'unica Chiesa di Cristo (15) . Per il Cardinale Ratzinger una simile interpretazione del Concilio è da riprovare.

La critica della ecclesiologia relativista è dunque evidente, ma essa si autodistrugge strada facendo, poiché riconosce degli elementa Ecclesiae al di fuori dei limiti visibili della Chiesa cattolica romana, elementa che per sé stessi tendono verso la Chiesa di Cristo. Il che è già troppo, poiché equivale a professare il relativismo che si condanna… e significa contraddire l’insegnamento della Rivelazione su un articolo decisivo, poiché riguarda il fondamento stesso della fede cattolica.
In breve, dal 1985 al 2000, il Cardinale Ratzinger non fa che difendere una interpretazione apparentemente più conservatrice, meno progressista della Lumen gentium, che è l’interpretazione autentica della lettera del testo; ma questa interpretazione resta inaccettabile. Si condannano gli eccessi dell’ultra relativismo (ecclesiologia del padre Boff) e tuttavia si mantiene il falso principio che è già portatore del relativismo autentico (Lumen gentium n° 8).
 

2000

Il testo del 2000 (ai nn° 16 e 17) (16)  non comporta alcun cambiamento nell’esegesi del testo base della Lumengentium.

Il n° 16 -  " Perciò, in connessione con l'unicità e l'universalità della mediazione salvifica di Gesù Cristo, deve essere fermamente creduta come verità di fede cattolica l'unicità della Chiesa da lui fondata. Così come c'è un solo Cristo, esiste un solo suo Corpo, una sola sua Sposa: “una sola Chiesa cattolica e apostolica”. Inoltre, le promesse del Signore di non abbandonare mai la sua Chiesa (cf. Mt 16,18; 28,20) e di guidarla con il suo Spirito (cf. Gv 16,13) comportano che, secondo la fede cattolica, l'unicità e l'unità, come tutto quanto appartiene all'integrità della Chiesa, non verranno mai a mancare. I fedeli sono tenuti a professare che esiste una continuità storica, radicata nella successione apostolica, tra la Chiesa fondata da Cristo e la Chiesa Cattolica: “È questa l'unica Chiesa di Cristo [...] che il Salvatore nostro, dopo la risurrezione diede da pascere a Pietro, affidandone a lui e agli altri apostoli la diffusione e la guida; egli l'ha eretta per sempre come ‘colonna e fondamento della verità’ (cf. 1 Tm 3,15). Questa Chiesa, costituita e organizzata in questo mondo come società, sussiste [subsistit in] nella Chiesa Cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui” (Lumen gentium, n° 8). Con l'espressione "subsistit in", il Concilio Vaticano II volle armonizzare due affermazioni dottrinali: da un lato che la Chiesa di Cristo, malgrado le divisioni dei cristiani, continua ad esistere pienamente soltanto nella Chiesa Cattolica, e dall'altro lato “l'esistenza di numerosi elementi di santificazione e di verità al di fuori della sua compagine”, (Lumen gentium, n° 8) ovvero nelle Chiese e Comunità ecclesiali che non sono ancora in piena comunione con la Chiesa Cattolica (17) . Ma riguardo a queste ultime, bisogna affermare che il loro valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla Chiesa Cattolica”. (Unitatis redintegratio, n. 3) ".

La prima affermazione dottrinale deve intendersi precisamente: " La Chiesa di Cristo continua ad esistere pienamente nella sola Chiesa cattolica ". Non si dice che la Chiesa di Cristo esiste solo nella Chiesa cattolica, espressione che a rigore sarebbe accettabile nonostante l’inutile sottigliezza, si dice invece che nella Chiesa cattolica esiste solo la Chiesa di Cristo nella sua pienezza; e questa affermazione fa il pari con la seconda affermazione dottrinale, in cui è detto che al di fuori della Chiesa cattolica esistono numerosi elementi di santificazione e di verità, esiste cioè anche una Chiesa di Cristo non nella sua pienezza. La nota aggiunta al testo precisa anche che questi elementi sono degli " elementa Ecclesiae ", elementi della Chiesa di Cristo: sarebbero forse delle chiese di Cristo " in via di sviluppo " ?… In ogni caso si tratterebbe della Chiesa di Cristo, ma non nella pienezza. Il paragrafo seguente, il n° 17, precisa meglio questa analisi.

Ma prima di passare a questo paragrafo, segnaliamo un altro punto del n° 16, anch’esso meglio spiegato nel n° 17. Si tratta della citazione della Unitatis redintegratio, n° 3: la forza di santificazione delle chiese e delle comunità ecclesiali che non si trovano ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica, " deriva dalla pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla Chiesa cattolica ". Questo significa che vi è una differenza di grado tra la Chiesa cattolica (grado pieno) e le sette (grado parziale).

Sarebbe giusto dire che Cristo dona la grazia della salvezza al di fuori del cattolicesimo, anche in quei gruppi religiosi sorti da una rottura con la chiesa cattolica e che si chiamano sette; ma la dona non per esse stesse, ma malgrado esse: le sette (eretiche come i protestanti o scismatiche come gli ortodossi) in quanto tali sono un ostacolo all’azione santificante di Cristo, e tali restano anche quando l’azione di Cristo è così potente da superare l’ostacolo (18) . I documenti della Santa Sede posteriori al Vaticano II esplicitano il n° 8 della Lumen gentium dicendo che Cristo santifica non solo nelle ma anche per le sette, in quanto che le sette sarebbero come delle emanazioni imperfette del cattolicesimo.

Il n° 17 è ancora più chiaro. " Esiste quindi un'unica Chiesa di Cristo, che sussiste nella Chiesa Cattolica, governata dal Successore di Pietro e dai Vescovi in comunione con lui. Le Chiese che, pur non essendo in perfetta comunione con la Chiesa Cattolica, restano unite ad essa per mezzo di strettissimi vincoli, quali la successione apostolica e la valida Eucaristia, sono vere Chiese particolari. (Unitatis redintegratio, nn° 14 e 15). Perciò anche in queste Chiese è presente e operante la Chiesa di Cristo, sebbene manchi la piena comunione con la Chiesa cattolica, in quanto non accettano la dottrina cattolica del Primato che, secondo il volere di Dio, il Vescovo di Roma oggettivamente ha ed esercita su tutta la Chiesa ".

In altre parole, le sette scismatiche che rifiutano il dogma del Primato del Sovrano Pontefice sono  " vere Chiese particolari ", delle vere parti in cui " è presente e operante la Chiesa di Cristo ".

" Invece le comunità ecclesiali che non hanno conservato l'Episcopato valido e la genuina e integra sostanza del mistero eucaristico, non sono Chiese in senso proprio; tuttavia i battezzati in queste comunità sono dal Battesimo incorporati a Cristo e, perciò, sono in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa. (Unitatis redintegratio, n° 3). Il Battesimo infatti di per sé tende al completo sviluppo della vita in Cristo mediante l'integra professione di fede, l'Eucaristia e la piena comunione nella Chiesa. (Unitatis redintegratio, n° 22).

In altre parole, la nozione di " elementa Ecclesiae " ammette delle differenze di grado o, se si preferisce, una analoga estensione del significato. Si passa qui alle sette anglicane e protestanti e si afferma la realtà di una comunione ancora meno piena ma reale con il cattolicesimo.
 
La conclusione che segue fuga ogni equivoco:
" “Non possono, quindi, i fedeli immaginarsi la Chiesa di Cristo come la somma — differenziata ed in qualche modo unitaria insieme — delle Chiese e Comunità ecclesiali; né hanno facoltà di pensare che la Chiesa di Cristo oggi non esista più in alcun luogo e che, perciò, debba esser soltanto oggetto di ricerca da parte di tutte le Chiese e comunità” (dichiarazione MysteriumEcclesiae, 1985, n° 1). Infatti “gli elementi di questa Chiesa già data esistono, congiunti nella loro pienezza, nella Chiesa Cattolica e, senza tale pienezza, nelle altre Comunità”. (Enciclica Ut unum sint, 1995, n° 14).  “Perciò le stesse Chiese e comunità separate, quantunque crediamo che abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di peso. Poiché lo Spirito di Cristo non ricusa di servirsi di esse come strumenti di salvezza, il cui valore deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità che è stata affidata alla Chiesa Cattolica”. (Unitatis redintegratio, n° 3). La mancanza di unità tra i cristiani è certamente una ferita per la Chiesa; non nel senso di essere privata della sua unità, ma “in quanto la divisione è ostacolo alla realizzazione piena della sua universalità nella storia”. (Unitatis redintegratio, n° 4) ".
Modernismo e filosofia

L’abbé Alfred Loisy (1857-1940) è il principale rappresentante del modernismo. Il suo libro Il Vangelo e la Chiesa, pubblicato nel 1902, fu messo all’indice, e le principali tesi in esso contenute furono analizzate e condannate dal Papa San Pio X nel decreto Lamentabili del 3 luglio 1907 e nell’enciclica Pascendi dell’8 settembre successivo. Per Loisy la fede è il sentimento religioso divenuto cosciente, essa evolve con lui. 

Identificare la fede con la coscienza equivale ad applicare l’idealismo di Kant, e il farla evolvere equivale ad adottare la filosofia di Hegel. Il risultato è descritto bene nella citazione seguente: " La Chiesa corregge le sue formule dogmatiche per mezzo di distinzioni talvolta sottili. Ma, così facendo, essa prosegue in ciò che ha fatto fin dall’inizio, essa adatta il Vangelo alla condizione perennemente mutevole dell’intelligenza e della vita umana " (Loisy, Il Vangelo e la Chiesa, Picard (2a edizione), 1903, pp. 209-219).

Qui troviamo un errore ancora più grave: non solo si ripete che la Chiesa di Cristo non è strettamente la Chiesa cattolica, ma si precisa che la chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo nella sua pienezza e fuori di essa, nelle sette scismatiche o eretiche, vi sono, più o meno, degli elementi parziali della Chiesa di Cristo.
Altro errore dello stesso genere: si precisa che la presenza di questi elementi parziali della Chiesa di Cristo ha come conseguenza che le sette scismatiche o eretiche sono, in quanto tali, dei mezzi a cui può ricorrere lo SpiritoSanto per compiere la salvezza. Il n° 14 dell’enciclica Ut unum sint di Giovanni Paolo II, citato al n° 17 della Dominus Jesus, si spinge più lontano, ma non fa che esplicitare la dottrina della Lumen gentium (n° 8) e della Unitatisredintegratio (n° 3).
 

29 giugno 2007 (19)

La prima risposta di questo documento della Congregazione per la Dottrina della Fede respinge categoricamente ogni rottura, ogni soluzione di continuità tra il magistero anteriore al 1962 e il Concilio ecumenico Vaticano II. Vi si fa un chiaro riferimento al discorso programmatico del 22 dicembre 2005, nel quale il Papa Benedetto XVI condanna ciò che egli chiama (pomposamente) " l’ermeneutica della rottura ", in altre parole l’interpretazione ultra progressista del Concilio, come l’abbiamo riscontrata, per esempio, nel padre Boff. Noi vorremmo credere a questa sconfessione, ma sentiamo il dovere di verificarla. Che dice esattamente il Discorso del 22 dicembre 2005 ? Niente di diverso di quello che hanno già detto Giovanni XXIII e Paolo VI (esplicitamente citati, peraltro) nel corso dello stesso Vaticano II. Il testo fondamentale al quale fa riferimento Benedetto XVI in questa occasione è giustamente il discorso di apertura del Concilio, pronunciato l’11 ottobre 1962, diceva Giovanni XXIII: " occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi ". 43 anni più tardi, Benedetto XVI non fa altro che ripeterlo, con parole diverse: " È chiaro che questo impegno di esprimere in modo nuovo una determinata verità esige una nuova riflessione su di essa e un nuovo rapporto vitale con essa " (20) . È il cambiamento nella continuità, cioè una rottura che nasconde sé stessa: " il programma proposto da Papa Giovanni XXIII era estremamente esigente, come appunto è esigente la sintesi di fedeltà e dinamica " (21). Siamo al cospetto di una sintesi, tanto amata dai modernisti, e cioè della fedeltà nel dinamismo e del dinamismo nella fedeltà. Già San Pio X aveva sottolineato come i modernisti ricorrano a questo genere di sintesi per ingannare gli spiriti incauti, e noi lo abbiamo citato prima, richiamando il famoso n° 20 della Pascendi: " avviene che nei loro libri si incontrano cose che ben direbbe un cattolico; ma, al voltar della pagina, si trovano altre che si stimerebbero dettate da un razionalista ". È l’arte di conciliare la verità e l’errore, a profitto dell’errore e a scapito della verità, con l’uso di espressioni equivoche e contorte. Ai tempi di San Pio X, il complice di Alfred Loisy, Mons. Mignot, vescovo di Albi, vi faceva volentieri ricorso quando auspicava la libertà " di proporre non dei nuovi dogmi, ma delle nuove spiegazioni dei dogmi eterni " (22) . Eravamo già alla purezza di Giovanni XXIII e al " processo di novità nella continuità " (23) di cui parla Benedetto XVI.

La seconda risposta del documento indica in che senso occorra intendere il termine " sussistere ". Questo termine significa esistere nella pienezza; esso si riferisce " alla permanenza di tutti gli elementi istituiti da Cristo nella Chiesa cattolica ". Per dissipare ogni equivoco, il testo precisa a cosa si oppone logicamente questa esistenza nella pienezza: " mentre si può rettamente affermare che la Chiesa di Cristo è presente e operante nelle Chiese e nelle Comunità ecclesiali non ancora in piena comunione con la Chiesa cattolica, grazie agli elementi di santificazione e di verità che sono presenti in esse, la parola "sussiste", invece, può essere attribuita esclusivamente alla sola Chiesa cattolica ". In altre parole, la Chiesa cattolica è la sola ove sussista la Chiesa di Cristo, perché essa è la sola in cui la Chiesa di Cristo esiste nella pienezza. Altrove, la Chiesa di Cristo non sussiste, essa è solo "presente ed agente ", il che è già una ben eccessiva concessione, poiché equivale con l’adottare quello stesso relativismo che si vorrebbe scartare.

La terza risposta conferma la seconda. Giustamente ci si chiede: perché si è voluto rimpiazzare il classico e tradizionale " è " con questo nuovo " sussiste " ? La risposta data è in linea con tutto quello che precede: " L’uso di questa espressione, che indica la piena identità della Chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica, non cambia la dottrina sulla Chiesa; trova, tuttavia, la sua vera motivazione nel fatto che esprime più chiaramente come al di fuori della sua compagine si trovino numerosi elementi di santificazione e di verità, che in quanto doni propri della Chiesa di Cristo spingono all’unità cattolica ". Con l’espressione tradizionale si indicava l’identificazione pura e semplice della chiesa di Cristo con la Chiesa cattolica: la Chiesa di Cristo è la Chiesa cattolica. La nuova espressione " subsistit in " indica una identificazione che non è più pura e semplice, ma parziale: una identificazione principalmente con la Chiesa cattolica, ma secondariamente anche con le altre società religiose. In questo modo la Chiesa di Cristo ha gradi diversi: essa è in pienezza con la Chiesa cattolica e in alcuni elementi più o meno sviluppati fuori di essa.

L’argomento chiave è ripreso dal n° 3 di Unitatisredintegratio. Le sette  scismatiche ed eretiche separate dalla Chiesa cattolica " nel mistero della salvezza non sono affatto spoglie di significato e di peso". La nuova espressione " subsistit in " è così poco omogenea col discorso tradizionale anteriore al Vaticano II, che i suoi interpreti autentici fanno dei grandi sforzi per cercare di adattarla al contesto del deposito rivelato.

La quarta risposta dice in che senso si può utilizzare il termine " chiesa " per parlare degli scismatici. La Chiesa di Cristo implica tre elementi costitutivi: la vera successione apostolica, la realtà del Sacramento dell’Eucarestia, la comunione col Papa. Il primo e il secondo elemento sono costitutivi in maniera essenziale, e il primo (che implica il secondo) è sufficiente perché si possa parlare di chiesa; il terzo elemento, invece, è costitutivo in termini interni, ma non è essenziale. Essendo la Chiesa cattolica la sola a possedere i tre elementi costitutivi, essa si identifica con la Chiesa di Cristo. Gli ortodossi, possedendo il primo e il secondo elemento hanno il diritto reale di essere designate come delle chiese particolari. Si tratterebbe delle piccole " chiese sorelle " dell’unica Chiesa di Cristo, espressione impiegata ancora recentemente da Papa Benedetto XVI in visita al patriarca scismatico Bartolomeo I (24).

Non ci sbagliamo: tutto l’insegnamento dei papi prima del Vaticano II ha sempre dato gli ortodossi per quello che sono: degli scismatici che costituiscono tante sette autocefale per quanti patriarchi o metropoliti esistono. E pure eretiche, poiché rifiutano il dogma del Primato del Vescovo di Roma, quello dell’Immacolata Concezione della Santissima Vergine Maria, e quello dell’infallibilità pontificia; cosa che è davvero troppo per dei successori degli Apostoli. La successione apostolica non consiste nel solo fatto di far risalire la propria origine a questo o a quell’Apostolo, ma anche e soprattutto nel fatto che l’autorità dei pastori di una Chiesa particolare deriva dagli Apostoli per successione legittima e ininterrotta. E questa legittima successione garantisce anche l’autentica trasmissione della dottrina ricevuta dagli Apostoli. È per questo che laddove la legittimità della successione è venuta meno, per il fatto che i titolari di una sede si sono separati dal successore di Pietro, non vi è più vera successione apostolica, ma una semplice continuità materiale, storica, senza legittimità né continuità dottrinale con l’insegnamento degli Apostoli. La successione apostolica o è formale o non è, ed essa implica essenzialmente la comunione con il Papa. E  successione e comunione sono elementi essenzialmente costitutivi della chiesa fondata da Gesù Cristo (25) .

Per Benedetto XVI la successione apostolica si riduce alla sola validità dell’episcopato, cioè alla sola consacrazione episcopale validamente ricevuta. Questo significa dimenticare che una cosa è la validità del sacramento dell’Ordine, altra è la sua efficacia e la sua liceità. L’eretico o lo scismatico formale possono ricevere il sacramento ed eventualmente anche il carattere, ma non la grazia del sacramento. Leone XIII l’insegna chiaramente: i sacramenti amministrati al di fuori dell’unità cattolica, anche se validi, sono amministrati in maniera sacrilega (26) . D’altra parte, anche se validamente consacrato, un vescovo scismatico non ha alcuna giurisdizione perché è separato dal successore di Pietro, fonte visibile di ogni giurisdizione.

Tra l’essenziale costitutivo e il costitutivo interno non essenziale (quando ci si fa capire, si parla sempre meglio…) vi è indubbiamente la differenza tra l’uomo malato e l’uomo sano o tra l’uomo addormentato e l’uomo sveglio; ma la Chiesa di Gesù Cristo non è mai malata o addormentata essa è interamente una, santa cattolica, apostolica, e il suo essere una società visibile richiede essenzialmente (e non solo intrinsecamente) la comunione gerarchica con il successore di Pietro. È questo il senso dell’adagio " ubi Petrus, ibi Ecclesia ", " dove è Pietro, là è la Chiesa ", che risale ai bei tempi andati dei buoni vecchi papi. Se la comunione con il Papa non è un elemento essenziale della Chiesa, lo scisma non è più uno scisma. Si tratterebbe solo di una comunione meno piena in cui la Chiesa di Cristo è comunque presente e agente grazie agli elementi di santificazione (sacramenti amministrati in maniera sacrilega…?) e di verità (affermazioni contrarie ai dogmi della fede…?) che vi si trovano.

Dal 1973 al 2007: un insegnamento costante

Da Paolo VI a Benedetto XVI, passando per il Cardinale Ratzinger, la dottrina della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede non è cambiata di un solo iota. Questa dottrina si può riassumere così: la Chiesa cattolica è la Chiesa di Cristo nella sua pienezza, mentre al di fuori della Chiesa cattolica, nelle sette scismatiche o eretiche, vi sono (più o meno) degli elementi parziali della Chiesa di Cristo. Si precisa che la presenza di questi elementi parziali della Chiesa di Cristo ha per conseguenza che le sette scismatiche o eretiche sono, in quanto tali, dei mezzi ai quali può ricorrere lo Spirito Santo per compiere la salvezza. La differenza tra queste ultime due è che solo le sette scismatiche hanno diritto al titolo di “Chiesa particolare”. Benedetto XVI, dunque, rimane invariabilmente legato alla lettera del Concilio, e tale legame rende illusorio il fatto che questo papa possa produrre una qualche interpretazione autentica dei testi del Concilio nel senso di un ritorno alla Tradizione.
 
 

Il n° 8 alla prova dei fatti

Il papa attuale non manca di trarre le conseguenze di questa nuova ecclesiologia. In occasione della sua visita al patriarca scismatico Bartolomeo I, il 30 novembre 2006, Benedetto XVI ha assistito (in tenuta liturgica ufficiale) alla celebrazione (scismatica) della liturgia nella chiesa di San Giorgio al Fanar, a Costantinopoli.

Nell’allocuzione pronunciata alla fine di questa cerimonia, il Papa ha detto: "  Oggi, in questa Chiesa Patriarcale di san Giorgio, siamo in grado di sperimentare ancora una volta la comunione e la chiamata dei due fratelli, Simon Pietro e Andrea, nell'incontro fra il Successore di Pietro e il suo Fratello nel ministero episcopale, il capo di questa Chiesa, fondata secondo la tradizione dall'apostolo Andrea (27). Il nostro incontro fraterno sottolinea la relazione speciale che unisce le Chiese di Roma e di Costantinopoli quali Chiese Sorelle (28). Il Papa ricorda che lo scopo della sua presenza è quello di " rinnovare il comune impegno per proseguire sulla strada verso il ristabilimento, con la grazia di Dio,  della piena comunione fra la Chiesa di Roma e la Chiesa di Costantinopoli" (29) (Benedetto XVI, ibidem, p. 22). Cosa questa che è conseguente con l’idea maestra del Vaticano II che distingue tra la Chiesa propriamente detta e gli " elementa Ecclesiae ".
 
Più avanti, il Papa aggiunge: "Il tema del servizio universale di Pietro e dei suoi Successori ha sfortunatamente dato origine alle nostre differenze di opinione, che speriamo di superare, grazie anche al dialogo teologico, ripreso di recente " (30). Questa affermazione lascia intendere che il dogma del Primato del vescovo di Roma è questione di opinione e se ne può discutere, come si discute tra teologi di questioni accessorie che non impegnano la sostanza del dato rivelato. Sembra addirittura che qui Benedetto XVI sorpassi anche se di poco la lettera del Vaticano II, ma è molto probabile che egli non ne rinneghi lo spirito.
Benedetto XVI riafferma con determinazione soprattutto la sua intenzione ecumenica (31) di cui i primi risultati concreti sono le due Dichiarazioni comuni che egli sottoscrisse, il 30 novembre 2006, con lo scismatico ortodosso Bartolomeo I (32) e il 23 novembre 2006 con lo scismatico anglicano Rowan Williams (33) .
Modernismo e filosofia

A differenza delle filosofie idealiste ereditate da Kant e dal XVIII secolo, le filosofie esistenzialiste provarono a riallacciarsi alla realtà concreta accessibile ai sensi. Ma rinunciando a ricavarne delle idee generali. La conoscenza si ridusse allora a dei rapporti da persona a persona, vissuti in una reciproca simpatia che venne qualificata come esperienza. 
 

È questa connaturalità  derivata dall'esperienza che costituisce la vera conoscenza, ed essa è la base della nuova teologia, così come la si ritrova, per esempio, in Karol Wojtyla e in Joseph Ratzinger.

 

Costanti e variazioni del modernismo

Come abbiamo detto all’inizio, il modernismo si basa su tre grandi postulati: la fede e la rivelazione consistono nel vivere un’esperienza; la Chiesa è la comunione di coloro che vivono questa esperienza; il cattolicesimo è solo il coronamento o la pienezza di questa esperienza. Questi tre postulati fondamentali sono le costanti del modernismo, ieri e oggi. Li si ritrova in questo n° 8 della Lumen gentium, che ne è la sintesi perfetta. La Chiesa di Cristo che sussiste (o esiste nella pienezza) nel cattolicesimo è l’esperienza mistica comune inaugurata sulla terra da Cristo. Essa è presente ed agente ovunque si ritrovino elementi parziali del movimento religioso messo in moto da Cristo.

Abbiamo anche fatto notare come questo neo modernismo odierno non si presenti con gli stessi connotati di quello di ieri, e questo perché dietro il modernismo vi è una filosofia, ed essa può cambiare. Si comprende come l’errore teologico di Alfred Loisy poggiasse sull’idealismo di Emmanuel Kant e sull’evoluzionismo di Friedrich Hegel. Oggi la nuova teologia preferisce fare riferimento ai filosofi personalisti ed esistenzialisti, scartando i filosofi idealisti ormai obsoleti. Il modernismo ne approfitta per ingannare gli spiriti incauti: si pensa ingenuamente che la teologia del Vaticano II non sia modernista perché respinge l’idealismo di Loisy, ma non basta rompere con l’idealismo per sfuggire al modernismo. Esso si adatta a tutte le filosofie, considerato che queste tengono per principio il divenire invece dell’essere; e le filosofie moderne sono tutte filosofie del divenire, solo la filosofia di Aristotele e di San Tommaso è la filosofia dell’essere, la filosofia eterna del senso comune.

Per uscire dal modernismo, dunque, non basta passare da un sistema evoluzionista ad un altro, come il camaleonte che cambia il colore della sua pelle. È necessario ritornare alla filosofia dell’essere. Diversamente si continua ad utilizzare il linguaggio della teologia cattolica, dandogli un senso ad essa estranea. È questo il principale peccato del Concilio Vaticano II: ha voluto presentare la dottrina cattolica " secondo i metodi di ricerca e di formulazione letteraria del pensiero moderno "(34). Sfortunatamente, il Papa attuale non sembra pronto a ripensarci, a leggere queste righe tratte dal suo discorso programmatico, in cui ribadisce il proposito avanzato da Giovanni XXIII: " È chiaro che questo impegno di esprimere in modo nuovo una determinata verità esige una nuova riflessione su di essa e un nuovo rapporto vitale con essa (35) (Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005. Cfr. Documentation Catholique n° 2350 (15 gennaio 2006), p. 60).
 

NOTE

1 - Pascendi, n° 53 (torna su)
2 - San Tommaso, Commento al Vangelo di San Giovanni, capitolo XIV, lezione 2, n° 1870. (torna su)
3 - Si veda soprattutto Arnaldo Xavier da Silveira, La nuova Messa di Paolo VI: che pensarne ?, DPF 1975, pp. 44-45; cap. II. Un’obiezione: l’ “institutio” afferma anche la dottrina tradizionale (http://www.unavox.it/doc85c.htm); cfr. abbé Grégoire Celier, " L’affirmation classique " La nouvelle liturgie est équivoque " est-elle suffisante pour condamner cette liturgie ? " in La religion de Vatican II ? Etudes théologiques, 1er  symposium deParis (4-5-6 ottobre 2002), p. 293-295. (torna su)
4 - Abbé Grégoire Celier, ibidem, p. 293-294. (torna su)
5 - Arnaldo da Silveira, ibidem, p. 45. (torna su)
6 - Abbé Grégoire Celier, ibidem, p. 294. (torna su)
7 - Pio IX, Quanto conficiamur maerore, (Denzinger (DS) 2866). (torna su)
8 - Questo testo cita i due passi del Vangelo in cui Cristo istituisce la gerarchia episcopale incaricata di predicare la fede e di governare i fedeli; ed indica in modo esplicito il triplice legame dell’unità visibile della Chiesa. (torna su)
9 - Denzinger (DS), 3540. (torna su)
10 - È l’espressione utilizzata nel n° 17 della Dominus Jesus e ripresa tale e quale nelle “ Risposte a quesiti riguardanti alcuni aspetti circa la dottrina sulla Chiesa” della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, del 29 giugno 2007; cfr. Documentation Catholique, n° 2385 (5-19 agosto 2007), pag. 719. (torna su)
11 -  Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, “Dichiarazione riguardante alcuni errori circa la dottrina cattolica sulla Chiesa, Mysterium Ecclesiae”, del 24 giugno 1973; cfr. Documentation Catholique n° 1636 (15 luglio 1973), pp. 664-665 e 670. (torna su)
12 - Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Notificazione sul volume "Chiesa: Carisma e potere. Saggio di Ecclesiologia militante" del P. Leonardo Boff, O.F.M., 11 marzo 1985; cfr. Documentation Catholique n° 1895 (5 maggio 1985), p. 484-486. (torna su)
13 - Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Dichiarazione Dominus Jesus circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, del 6 agosto 2000; cfr. Documentation Catholique, n° 2233 (1 ottobre 2000), pp. 812-822.  (torna su)
14 - Intervento del cardinale Joseph Ratzinger sull'ecclesiologia della costituzione “Lumen gentium al convegno internazionale sull'attuazione del Concilio Ecumenico Vaticano II promosso dal Comitato del Grande Giubileo dell'anno 2000. Cfr. Joseph Ratzinger, Conférence lors du congrès du 25 au 27 février 2000 sur l’ecclésiologie de la constitution conciliaire Lumen gentium " dans Documentation Catholique n° 2223 (2 avril 2000), pp. 309-311. Il testo è stato riprodotto in : Joseph Ratzinger, Faire route avec Dieu, Parole et silence, 2003, p. 113-140. Il Convegno in questione fu convocato dal Papa Giovanni Paolo II allo scopo di prolungare il lavoro già compiuto dal Sinodo del 1985 Cfr. Discorso del Papa Giovanni Paolo II del 27 febbraio, in DocumentationCatholique n° 2222 (19 marzo 2000), pp. 251-253) Il testo di Ratzinger è riconducibile al Prefetto della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede in quanto tale, e la sua autorità supera il semplice grado teologico.  (torna su)
15 - Si veda il testo già richiamato nella nota precedente. Ratzinger, DocumentationCatholique n° 2223 (2 avril 2000), p. 310. (torna su)
16 - Agli occhi dei cattolici ingenui, questo testo è apparso come un ritorno all’ecclesiologia tradizionale preconciliare, mentre in realtà esso è in perfetta continuità col Vaticano II. Esso ricorda semplicemente che la Chiesa cattolica possiede la pienezza dei mezzi di salvezza; ma, per insistere su questo aspetto, non nega il valore salvifico delle sette scismatiche o eretiche. Su questo testo si vedano gli articoli pubblicati su SI SI NO NO, n° 1 gennaio 2001, n° 4 febbraio 2001, n° 5 marzo 2001. (torna su)
17 - Il testo di questo n° 16 precisa in nota " È perciò contraria al significato autentico del testo conciliare l'interpretazione di coloro che dalla formula subsistitin ricavano la tesi secondo la quale l'unica Chiesa di Cristo potrebbe pure sussistere in Chiese e Comunità ecclesiali non cattoliche. “Il Concilio aveva invece scelto la parola “subsistit” proprio per chiarire che esiste una sola “sussistenza” della vera Chiesa, mentre fuori della sua compagine visibile esistono solo  “elementa Ecclesiae”, che — essendo elementi della stessa Chiesa — tendono e conducono verso la Chiesa Cattolica”. Per “sussistenza”, questo testo intende il modo in cui la Chiesa esiste concretamente, cioè nel quadro di un insieme visibile. (torna su)
18 - Nell’enciclica Mystici corporis, del 29 giugno 1943, parlando delle ànime in buona fede che possono ricevere delle grazie di conversione al di fuori della Chiesa, il Papa Pio XII dice propriamente che esse sono in uno stato " in cui non possono sentirsi sicuri della propria salvezza, perché, […] sono privi di quei tanti doni e aiuti celesti che solo nella Chiesa cattolica è dato di godere " (Denzinger (DS) 3821). Pio XII condanna l’errore del rigorismo, che consiste nel sostenere che al di fuori della Chiesa a nessuno è mai data alcuna grazia, errore già condannato da Clemente XI, ma condanna anche l’errore del latitudinarismo, già condannato dal Papa Pio IX nell’enciclica Quanto conficiamur moerore (Denzinger (DS) 2865-67) e nel Syllabus (Denzinger (DS) 2916-17): quest’errore consiste nel sostenere che la salvezza si può ottenere ugualmente nella Chiesa e al di fuori della Chiesa. Cfr. Mons. Lefebvre, C’est moi l’accusé qui devrait vous juger, Fideliter, 1994, p. 225 : " Quando diciamo questo [fuori dalla Chiesa non v’è salvezza], si crede a torto che secondo noi tutti i protestanti, tutti i musulmani, tutti i buddisti, tutti quelli che non fanno parte pubblicamente della Chiesa cattolica vanno all’inferno. Ora, lo ripeto, in queste religioni vi possono essere delle ànime che si salvano, ma esse si salvano per la Chiesa, quindi la formula extra Ecclesiam nulla salus è vera. È questo che occorre predicare ". (torna su)
19 - Documentation Catholique, n° 2385 (5-19 agosto 2007), pp. 717-720.  (torna su)
20 - Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005. Cfr. Documentation Catholique n° 2350 (15 gennaio 2006), p. 60.  (torna su)
21 - Benedetto XVI, ibidem. (torna su)
22 - Citato in Jean Madiran, L’intégrisme. Histoire d’une histoire, Nouvelles éditions latines, 1964, p. 50.  (torna su
23 - Benedetto XVI, ibidem. (torna su)
24 - Benedetto XVI, Omelia del 30 novembre 2006 nella chiesa di San Giorgio al Fanar; cfr. DocumentationCatholique n° 2371 (7 gennaio 2007), p. 21-22. (torna su)
25 - Segnaliamo il n° di febbraio 2001 del giornale SI SI NO NO, in cui l’articolo firmato Hirpinus La Dominus Jesus e gli scismatici: una dichiarazione che porta a liquidare ecumenicamente il papato, pp. 1-5, mantiene intatta la sua attualità e la sua forza.  (torna su)
26 - Leone XIII, " Lettera Eximia nos laetitia al vescovo di Poitiers sulla piccola Chiesa, 19 luglio 1893, in Lettres apostoliques de S.S. Léon XIII, t. 3, p. 225.  (torna su)
27 - Tradizione, la cui falsità è accertata senza alcun dubbio possibile, come dimostra il padre Jugie, nell’articolo Schisme byzantin, del DTC, col 1 324 del tomo XXVII.  (torna su)
28 - Benedetto XVI,  Omelia del 30 novembre 2006 nella chiesa patriarcale di San Giorgio al Fanar, in Documentation Catholique, n° 2371, 7 gennaio 2007, pp. 21-22.  (torna su)
29 - Benedetto XVI, ibidem, p. 22.  (torna su)
30 - Benedetto XVI, ibidem, p. 22.  (torna su)
31 - Benedetto XVI,  Discorso del 17 novembre all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, in Documentation Catholique n° 2372 (21 janvier 2007), p. 68.  (torna su)
32 - Documentation Catholique, n° 2371 (7 janvier 2007), p. 24-26.  (torna su)
33 - Documentation Catholique n° 2372 (21 janvier 2007), p. 72-73.  (torna su)
34 - Giovanni XXIII, Allocuzione al Sacro Collegio, 23 dicembre 1962, in Documentation Catholique, n° 1391, 6 gennaio 1963, col 101.  (torna su)
35 - Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana del 22 dicembre 2005. Cfr. Documentation Catholique n° 2350 (15 gennaio 2006), p. 60.  (torna su)
 

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Sull'argomento si vedano anche:
- San Pio X: Decreto: Lamentabili sane exitu (Decreto del Sant'Uffizio che condanna 65 proposizioni moderniste)
- San Pio X: Enciclica : Pascendi Dominici gregis (Con la quale si condanna il modernismo)
- San Pio X: Motu proprio: Praestantia Scripturae Sacrae (Nel quale si ribadisce la condanna del modernismo, si menzionano le pene e si commina la scomunica per i trasgressori)


dicembre 2007


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