1. La legge ecclesiastica che prescrive di sottoporre
a previa censura i libri concernenti la Sacra Scrittura non si estende
ai cultori della critica o dell'esegesi scientifica dei Libri dell'Antico
e del Nuovo Testamento.
2. L'interpretazione che la Chiesa dà dei Libri
sacri non è da disprezzare, ma soggiace ad un più accurato
giudizio e alla correzione degli esegeti.
3. Dai giudizi e dalle censure ecclesiastiche, emanati
contro l'esegesi libera e superiore, si può dedurre che la fede
proposta dalla Chiesa contraddice la storia, e che i dogmi cattolici in
realtà non si possono accordare con le vere origini della religione
cristiana.
4. Il magistero della Chiesa non può determinare
il genuino senso delle sacre Scritture nemmeno con definizioni dogmatiche.
5. Siccome nel deposito della fede non sono contenute
solamente verità rivelate, in nessun modo spetta alla Chiesa giudicare
sulle asserzioni delle discipline umane.
6. Nella definizione delle verità, la Chiesa discente
e la Chiesa docente collaborano in tale maniera, che alla Chiesa docente
non resta altro che ratificare le comuni opinioni di quella discente.
7. La Chiesa, quando condanna gli errori, non può
esigere dai fedeli nessun assenso interno che accetti i giudizi da lei
dati.
8. Sono da ritenersi esenti da ogni colpa coloro che non
tengono in alcun conto delle riprovazioni espresse dalla Sacra Congregazione
dell'Indice e da altre Sacre Congregazioni Romane.
9. Coloro che credono che Dio è l'Autore della
Sacra Scrittura sono influenzati da eccessiva ingenuità o da ignoranza.
10. L'ispirazione dei Libri dell'Antico Testamento consiste
nel fatto che gli Scrittori israeliti tramandarono le dottrine religiose
sotto un certo aspetto particolare in parte conosciuto e in parte sconosciuto
ai gentili.
11. L'ispirazione divina non si estende a tutta la Sacra
Scrittura al punto che tutte e singole le sue parti siano immuni da ogni
errore.
12. L'esegeta, qualora voglia affrontare con utilità
gli studi biblici, deve, anzitutto, lasciar cadere quel certo qual preconcetto
inerente l'origine sovrannaturale della Sacra Scrittura.
13. Gli stessi Evangelisti e i Cristiani della seconda
e terza generazione composero le parabole evangeliche in modo artificioso
così da spiegare gli esigui frutti della predicazione di Cristo
presso i giudei.
14. Gli Evangelisti riferirono in molte narrazioni non
tanto ciò che effettivamente accadde, quanto ciò che essi
ritennero maggiormente utile ai lettori, ancorché falso.
15. Gli Evangeli furono soggetti a continue aggiunte e
correzioni, fino alla definizione e alla costituzione del canone; in essi,
pertanto, della dottrina di Cristo, non rimase che un tenue e incerto vestigio.
16. I racconti d Giovanni non sono propriamente storia,
ma mistica contemplazione del Vangelo; i discorsi contenuti nel suo Vangelo
sono meditazioni teologiche sul Mistero della Salvezza, destituite di verità
storica.
17. Il quarto Evangelo esagerò i miracoli, non
solo perché apparissero maggiormente straordinari, ma anche affinché
fossero più adatti a significare l'opera e la gloria del Verbo Incarnato.
18. Giovanni rivendica a sé il ruolo di testimone
di Cristo; in verità egli non è che un eccellente testimone
di vita cristiana, ovvero della vita di Cristo alla fine del primo secolo.
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19. Gli esegeti eterodossi espressero più fedelmente
il vero senso della Scrittura di quanto non abbiano fatto gli esegeti cattolici.
20. La Rivelazione non poté essere altro che la
coscienza acquisita dall'uomo circa la sua relazione con Dio.
21. La Rivelazione, che costituisce l'oggetto della Fede
cattolica, non si è conclusa con gli Apostoli.
22. I dogmi, che la Chiesa presenta come rivelati, non
sono verità cadute dal cielo, ma l'interpretazione di fatti religiosi,
che la mente umana si è data con travaglio.
23. Può esistere, ed esiste in realtà, un'opposizione
tra i fatti raccontati dalla Sacra Scrittura ed i dogmi della Chiesa fondati
sopra di essi; sicché il critico può rigettare come falsi
i fatti che la Chiesa crede certissimi.
24. Non dev'essere condannato l'esegeta che pone le premesse,
cui segue che i dogmi sono falsi o dubbi, purché non neghi direttamente
i dogmi stessi.
25. L'assenso della Fede si appoggia da ultimo su una
congerie di probabilità.
26. I dogmi della Fede debbono essere accettati soltanto
secondo il loro senso pratico, cioè come norma precettiva riguardante
il comportamento, ma non come norma di Fede.
27. La Sacra Scrittura non prova la Divinità di
Gesù Cristo; ma è un dogma che la coscienza cristiana deduce
dal concetto di Messia.
28. Gesù, durante il suo Ministero, non parlava
per insegnare di essere il Messia, né i suoi miracoli miravano a
dimostrarlo.
29. Si può ammettere che il Cristo storico sia
molto inferiore al Cristo della Fede.
30. In tutti i testi evangelici, il nome "Figlio di Dio"
equivale soltanto al nome "Messia" e non significa assolutamente che Cristo
è vero e naturale Figlio di Dio.
31. La dottrina su Cristo, tramandata da Paolo, Giovanni
e dai Concili Niceno, Efesino e Calcedonense, non è quella insegnato
da Gesù, ma che su Gesù concepì la coscienza cristiana.
32. Non è possibile conciliare il senso naturale
dei testi evangelici con quello che i nostri teologi insegnano circa la
coscienza e la scienza infallibile di Gesù Cristo.
33. È evidente a chiunque non sia influenzato da
opinioni preconcette che Gesù ha professato un errore circa il prossimo
avvento messianico, o che la maggior parte della sua dottrina, contenuta
negli Evangeli sinottici, è priva di autenticità.
34. Il critico non può affermare che la scienza
di Cristo non sia circoscritta da alcun limite, se non ponendo ipotesi
- non concepibile storicamente e che ripugna al senso morale - secondo
la quale Cristo abbia avuto la conoscenza di Dio in quanto uomo e non abbia
voluto in alcun modo darne notizia ai discepoli e alla posterità.
35. Cristo non ebbe sempre la coscienza della sua dignità
messianica.
36. La Risurrezione del Salvatore non è propriamente
un fatto di ordine storico, ma un fatto di ordine meramente sovrannaturale,
non dimostrato né dimostrabile, che la coscienza cristiana lentamente
trasse dagli altri.
37. La Fede nella Risurrezione di Cristo inizialmente
non fu tanto nel fatto stesso della Risurrezione, quanto nella vita immortale
di Cristo presso Dio.
38. La dottrina concernente la Morte espiatrice di Cristo
non è evangelica, ma solo paolina.
39. Le opinioni sull'origine dei Sacramenti, di cui erano
imbevuti i Padri tridentini, e che senza dubbio ebbero un influsso nei
loro Canoni dogmatici, sono molto distanti da quelle cui ora gli storici
del Cristianesimo dànno credito.
40. I Sacramenti ebbero origine perché gli Apostoli
e i loro successori interpretarono una certa idea e intenzione di Cristo,
sotto la persuasione e la spinta di circostanze ed eventi.
41. I Sacramenti hanno come unico fine di ricordare alla
mente dell'uomo la presenza sempre benefica del Creatore.
42. La comunità cristiana inventò la necessità
del Battesimo, adottandolo come rito necessario e annettendo ad esso gli
obblighi della professione cristiana.
43. L'uso di conferire il Battesimo ai bambini fu un'evoluzione
disciplinare, ragion per cui il Sacramento è diventato due, cioè
il Battesimo e la Penitenza.
44. Nulla prova che il rito del Sacramento della Confermazione
sia stato istituito dagli Apostoli; la formale distinzione di due Sacramenti,
cioè del Battesimo e della Confermazione, non risale alla storia
del cristianesimo primitivo.
45. Non tutto ciò che narra Paolo a proposito dell'istituzione
dell'Eucaristia [I Cor., 11, 23-25] è da considerarsi fatto
storico.
46. Il concetto della riconciliazione del cristiano peccatore,
per autorità della Chiesa, non fu presente nella comunità
primitiva: fu la Chiesa ad abituarsi lentamente a questo concetto. Per
di più, dopo che la Penitenza fu riconosciuta quale istituzione
della Chiesa, non veniva chiamata col nome di Sacramento, poiché
era considerata come Sacramento vergognoso.
47. Le parole del Signore "Ricevete lo Spirito Santo;
a coloro ai quali rimetterete i peccati saranno rimessi e a coloro ai quali
non li rimetterete non saranno rimessi" [Gv., 20, 22-23] non si
riferiscono al Sacramento della Penitenza, anche se i Padri tridentini
vollero affermarlo.
48. Giacomo, nella sua epistola [Gm., 5, 14 sqq.],
non volle promulgare un Sacramento di Cristo, ma raccomandare una pia pratica
e se in ciò riconobbe un certo qual mezzo di Grazia, non lo intese
con quel rigore con cui lo intesero i teologi che stabilirono la nozione
e il numero dei Sacramenti.
49. Coloro che erano soliti presiedere alla cena cristiana
acquisirono il carattere sacerdotale per il fatto che essa progressivamente
andava assumendo l'indole di un'azione liturgica.
50. Gli anziani che, nelle adunanze dei Cristiani, esercitavano
l'ufficio di vigilanza, furono dagli Apostoli creati preti o vescovi per
provvedere all'ordinamento necessario delle crescenti comunità,
e non propriamente per perpetuare la missione e la potestà Apostolica.
51. Il Matrimonio fu riconosciuto dalla Chiesa come Sacramento
della nuova Legge solo molto tardi; infatti, perché il Matrimonio
fosse considerato Sacramento, era necessario che lo precedesse la piena
dottrina della Grazia e la spiegazione teologica del Sacramento.
52. Cristo non volle costituire la Chiesa come società
duratura sulla terra, per lunga successione di secoli; anzi, nella mente
di Cristo, il regno del Cielo, unitamente alla fine del mondo, doveva essere
prossimo.
53. La costituzione organica della Chiesa non è
immutabile; ma la società cristiana, non meno della società
umana, va soggetta a continua evoluzione.
54. I dogmi, i sacramenti, la gerarchia, sia nel loro
concetto come nella loro realtà, non sono che interpretazioni ed
evoluzioni dell'intelligenza cristiana, le quali svilupparono e perfezionarono
il piccolo germe latente nel Vangelo con esterne aggiunte.
55. Simon Pietro non ha mai sospettato di aver ricevuto
da Cristo il primato nella Chiesa.
56. La Chiesa Romana diventò capo di tutte le Chiese
non per disposizione della Divina Provvidenza, ma per circostanze puramente
politiche.
57. La Chiesa si mostra ostile ai progressi delle scienze
naturali e teologiche.
58. La verità non è immutabile più
di quanto non lo sia l'uomo stesso, poiché si evolve con lui, in
lui e per mezzo di lui.
59. Cristo non insegnò un determinato insieme di
dottrine applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma piuttosto
iniziò un certo qual moto religioso adattato e da adattare a diversi
tempi e circostanze.
60. La dottrina cristiana fu, nel suo esordio, giudaica;
poi divenne, per successive evoluzioni, prima paolina, poi giovannea, infine
ellenica e universale.
61. Si può dire senza paradosso che nessun passo
della Scrittura, dal primo capitolo della Genesi fino all'ultimo dell'Apocalisse,
contiene una dottrina perfettamente identica a quella che la Chiesa insegna
sullo stesso argomento, e perciò nessun capitolo della Scrittura
ha lo stesso senso per il critico e per il teologo.
62. Gli articoli principali del Simbolo apostolico non
avevano per i cristiani dei primi tempi lo stesso significato che hanno
per i cristiani del nostro tempo.
63. La Chiesa si dimostra incapace a tutelare efficacemente
l'etica evangelica, perché ostinatamente si attacca a dottrine immutabili,
inconciliabili con i progressi odierni.
64. Il progresso delle scienze richiede una riforma del
concetto che la dottrina cristiana ha di Dio, della Creazione, della Rivelazione,
della Persona del Verbo Incarnato e della Redenzione.
65. Il Cattolicesimo odierno non può essere conciliato
con la vera scienza, a meno che non si trasformi in un cristianesimo non
dogmatico, cioè in protestantesimo lato e liberale.