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PASCENDI DOMINICI GREGIS
Lettera enciclica Ai venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi, Vescovi e agli altri Ordinarii aventi con l'Apostolica Sede pace e comunione “Sugli errori del modernismo” 8 settembre 1907 La seguente suddivisione è nostra: essa aiuta a ritrovare le varie parti dell'Enciclica Introduzione
Venerabili Fratelli, salute e apostolica benedizione 1. L'officio divinamente commessoCi di pascere il gregge del Signore ha, fra i primi doveri imposti da Cristo, quello di custodire con ogni vigilanza il deposito della fede trasmessa ai santi, ripudiando le profane novità di parole e le opposizioni di una scienza di falso nome. La quale provvidenza del Supremo Pastore non vi fu tempo che non fosse necessaria alla Chiesa cattolica: stanteché per opera del nemico dell'uman genere, mai non mancarono "uomini di perverso parlare (Act. X, 30), cianciatori di vanità e seduttori (Tit. I, 10), erranti e consiglieri agli altri di errore (II Tim. III, 13)". Pur nondimeno gli è da confessare che in questi ultimi tempi, è cresciuto oltre misura il numero dei nemici della croce di Cristo; che, con arti affatto nuove e piene di astuzia, si affaticano di render vana la virtù avvivatrice della Chiesa e scrollare dai fondamenti, se venga lor fatto, lo stesso regno di Gesù Cristo. Per la qual cosa non Ci è oggimai più lecito di tacere, seppur non vogliamo aver vista di mancare al dovere Nostro gravissimo, e che Ci sia apposta a trascuratezza di esso la benignità finora usata nella speranza di più sani consigli. 2. Ed a rompere senza più gl'indugi Ci spinge anzitutto il fatto, che i fautori dell'errore già non sono ormai da ricercarsi fra i nemici dichiarati; ma, ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista. Alludiamo, o Venerabili Fratelli, a molti del laicato cattolico e, ciò ch'è più deplorevole, a non pochi dello stesso ceto sacerdotale, i quali, sotto finta di amore per la Chiesa, scevri d'ogni solido presidio di filosofico e teologico sapere, tutti anzi penetrati delle velenose dottrine dei nemici della Chiesa, si dànno, senza ritegno di sorta, per riformatori della Chiesa medesima; e, fatta audacemente schiera, si gittano su quanto vi ha di più santo nell'opera di Cristo, non risparmiando la persona stessa del Redentore divino, che, con ardimento sacrilego, rimpiccioliscono fino alla condizione di un puro e semplice uomo. Pericolo
delle dottrine moderniste
4. E poiché è artificio
astutissimo
dei modernisti (ché con siffatto nome son chiamati costoro a
ragione
comunemente) presentare le loro dottrine non già coordinate e
raccolte
quasi in un tutto, ma sparse invece e disgiunte l'una dall'altra, allo
scopo di passare essi per dubbiosi e come incerti, mentre di fatto sono
fermi e determinati; gioverà innanzi tutto raccogliere qui le
dottrine
stesse in un sol quadro, per passar poi a ricercar le fonti di tanto
traviamento
ed a prescrivere le misure per impedirne i danni.
5. E alfin di procedere con ordine in una materia di troppo astrusa, è da notare anzi tutto che ogni modernista sostiene e quasi compendia in sé molteplici personaggi: quelli cioè di filosofo, di credente, di teologo, di storico, di critico, di apologista, di riformatore: e queste parti sono tutte bene da distinguersi una ad una, da chi voglia conoscere a dovere il lor sistema e penetrare i principî e le conseguenze delle loro dottrine. 6. Prendendo adunque
le mosse
dal filosofo, tutto il fondamento della filosofia religiosa è
riposto
dai modernisti nella dottrina, che chiamano dell'agnosticismo. Secondo
questa, la ragione umana è ristretta interamente entro il campo
dei fenomeni, che è quanto dire di quel che apparisce e nel modo
in che apparisce: non diritto, non facoltà naturale le concedono
di passare più oltre. Per lo che non è dato a lei
d'innalzarsi
a Dio, né di conoscerne l'esistenza, sia pure per intromessa
delle
cose visibili. E da ciò si deduce che Dio, riguardo alla
scienza,
non può affatto esserne oggetto diretto; riguardo alla storia
non
deve mai riputarsi come soggetto istorico.
7. Vero è che
l'agnosticismo
non costituisce nella dottrina dei modernisti se non la parte negativa;
la positiva sta tutta nell'immanenza vitale. Dall'una all'altra ecco
con
qual discorso procedono. La Religione, sia essa naturale o sopra
natura,
alla guisa di ogni altro fatto qualsiasi, uopo è che ammetta una
spiegazione. Or, tolta di mezzo la naturale teologia, chiuso il cammino
alla rivelazione per il rifiuto dei motivi di credibilità,
negata
anzi qualsivoglia esterna rivelazione, chiaro è che siffatta
spiegazione
indarno si cerca fuori dell'uomo.
8. Ma non è qui tutto il
filosofare, o,
a meglio dire, il delirare di costoro.
9. Se non che in tutto questo
procedimento dal
quale, a detta dei modernisti, saltan fuori la fede e la rivelazione,
egli
è mestieri tener d'occhio un punto, che è di capitale
importanza
per le conseguenze storico critiche, che essi ne derivano.
10. Strano per fermo parrà a noi questo modo di ragionare; ma qui sta la critica dei modernisti. 11. Adunque il sentimento religioso,
che per vitale
immanenza si sprigiona dai nascondigli della subcoscienza, è il
germe di tutta la religione, ed è insieme la ragione di quanto
fu
o sarà per essere in qualsivoglia religione. Rude dapprima e
quasi
informe, a poco a poco, sotto l'influsso del misterioso principio che
gli
diede origine, esso e venuto perfezionandosi, a seconda dei progressi
della
vita umana. di cui, come si disse, e una forma. Ecco pertanto la
nascita
di qualsiasi religione, sia pure soprannaturale: esse altro non sono
che
semplici esplicazioni dell'anzidetto sentimento. Né credasi
già
che diversa sia la sorte della religione cattolica; anzi in tutto pari
alle altre: imperocché non altrimenti essa è nata, che
per
processo di vitale immanenza nella coscienza di Cristo, uomo di
elettissima
natura, quale mai altro simile si vide né mai si troverà.
Nell'udir tali cose Noi trasecoliamo di fronte ad affermazioni cotanto
audaci e sacrileghe!
12. Fin qui però, o Venerabili
Fratelli,
non abbiam visto farsi punto luogo all'azione dell'intelletto. Eppure,
secondo le dottrine dei modernisti, ha essa ancora la sua parte
nell'atto
di fede. E giova osservare in che modo. In quel sentimento, dicono, di
cui sovente si è parlato, appunto perché egli è
sentimento
e non cognizione, Dio si presenta bensì all'uomo, ma in maniera
così confusa che nulla o a malapena si distingue dal soggetto
credente.
Fa dunque d'uopo che sopra quel sentimento si getti un qualche raggio
di
luce, sì che Dio ne venga fuori per intero e pongasi in
contrapposto
col soggetto. Ora, è questo il compito dell'intelletto; di cui
è
proprio il pensare ed analizzare, e per mezzo del quale l'uomo prima
traduce
in rappresentazioni mentali i fenomeni di vita che sorgono in lui, e
poi
li significa con verbali espressioni.
13. Con ciò,
nella dottrina
dei modernisti, ci troviamo giunti ad uno dei capi di maggior rilievo,
all'origine cioè e alla natura stessa del dogma.
Imperocché
l'origine del dogma la ripongon essi in quelle primitive formole
semplici;
le quali, sotto un certo aspetto, devono ritenersi come essenziali alla
fede, giacché la rivelazione, perché sia veramente tale,
richiede la chiara apparizione di Dio nella coscienza. Il dogma stesso
poi, secondo che paiono dire, è costituito propriamente dalle
formole
secondarie. A conoscere però bene la natura del dogma, è
uopo ricercare anzi qual relazione passi fra le formole religiose ed il
sentimento religioso.
14. E questa, non pur possibile, ma
necessaria
evoluzione e mutazione dei dogmi non solo i modernisti l'affermano
arditamente
ma è conseguenza legittima delle loro sentenze. Infatti fra i
capisaldi
della loro dottrina vi è ancor questo, tratto dal principio
dell'immanenza
vitale: che le formole cioè religiose, perché tali siano
in verità e non mere speculazioni dell'intelletto, è
mestieri
che sieno vitali e che vivano della stessa vita del sentimento
religioso.
Il che non è da intendersi quasiché tali formole, specie
se puramente immaginative, sieno costruite a bella posta pel sentimento
religioso; giacché poco monta della loro origine, come
altresì
del loro numero e della loro qualità; ma cosi, che le stesse,
fatte
se occorre all'uopo delle modificazioni, vengano vitalmente assimilate
dal sentimento religioso.
15. E fin qua, o
Venerabili Fratelli,
del modernista considerato come filosofo. Or, se facendoci oltre a
considerarlo
nella sua qualità di credente, vogliam conoscere in che modo,
nel
modernismo, il credente si differenzi dal filosofo, convien osservare
che
quantunque il filosofo riconosca per oggetto della fede la
realtà
divina, pure questa realtà non altrove l'incontra che nell'animo
del credente, come oggetto di sentimento e di affermazione: che esista
poi essa o no in sé medesima fuori di quel sentimento e di
quell'affermazione,
a lui punto non cale. Per contrario il credente ha come certo ed
indubitato
che la realtà divina esiste di fatto in se stessa, né
punto
dipende da chi crede. Che se poi cerchiamo, qual fondamento abbia
cotale
asserzione del credente, i modernisti rispondono: l'esperienza
individuale.
Ma nel dir ciò, se costoro si dilungano dai razionalisti, cadono
nell'opinione dei protestante dei pseudomistici. Così infatti
essi
discorrono. Nel sentimento religioso, si deve riconoscere quasi una
certa
intuizione del cuore; la quale mette l'uomo in contatto immediato colla
realtà stessa di Dio, e tale gl'infonde una persuasione
dell'esistenza
di Lui e della Sua azione sì dentro, sì fuori dell'uomo,
da sorpassar di gran lunga ogni convincimento scientifico.
16. Quanto siamo qui
lontani dagli
insegnamenti cattolici! Simili vaneggiamenti li abbiamo già
uditi
condannare dal Concilio Vaticano. Vedremo più oltre come, con
siffatte
teorie, congiunte agli altri errori già mentovati, si spalanchi
la via all'ateismo. Qui giova subito notare che, posta questa dottrina
dell'esperienza unitamente all'altra del simbolismo, ogni religione,
sia
pure quella degl'idolatri, deve ritenersi siccome vera. Perché
infatti
non sarà possibile che tali esperienze s'incontrino in ogni
religione?
E che si siano di fatto incontrate non pochi lo pretendono. E con qual
diritto modernisti negheranno la verità ad una esperienza
affermata
da un islamita? con qual diritto rivendicheranno esperienze vere pei
soli
cattolici? Ed infatti i modernisti non negano, concedono anzi, altri
velatamente
altri apertissimamente, che tutte le religioni son vere.
17. Ma, oltre al detto, questa dottrina dell'esperienza è per un altro verso contrarissima alla cattolica verità. Imperocché viene essa estesa ed applicata alla tradizione quale finora fu intesa dalla Chiesa, e la distrugge. Ed infatti dai modernisti è la tradizione così concepita che sia una comunicazione dell'esperienza originale fatta agli altri, mercè la predicazione, per mezzo della formola intellettuale. A questa formola perciò, oltre al valore rappresentativo, attribuiscono una tal quale efficacia di suggestione, che si esplica tanto in colui che crede, per risvegliare il sentimento religioso a caso intorpidito e rinnovar l'esperienza già avuta una volta, quanto in coloro che ancor non credono, per suscitare in essi la prima volta il sentimento religioso e produrvi l'esperienza. Di questa guisa l'esperienza religiosa si viene a propagare fra i popoli; né solo nei presenti per via della predicazione, ma anche fra i venturi sì per mezzo dei libri e sì per la trasmissione orale dagli uni agli altri. Avviene poi che una simile comunicazione dell'esperienza si abbarbichi talora e viva, talora isterilisca subito e muoia. Il vivere è pei modernisti prova di verità; giacché verità e vita sono per essi una medesima cosa. Dal che è dato inferir di nuovo, che tutte le religioni, quante mai ne esistono, sono egualmente vere, poiché se nol fossero non vivrebbero. E tutto questo si spaccia per dare un concetto più elevato e più ampio della religione! 18. Condotte fin qui le cose, o
Venerabili Fratelli,
abbiamo abbastanza in mano per conoscere qual ordine stabiliscano i
modernisti
fra la fede e la scienza; con qual nome di scienza intendono essi ancor
la storia.
19. S'ingannerebbe però a
partito chi, date
queste teorie, si credesse autorizzato a credere, essere la fede e la
scienza
indipendenti l'una dall'altra. Si, della scienza ciò è
fuori
di dubbio; ma è ben altro della fede; la quale, non per uno ma
per
tre capi, deve andar soggetta alla scienza. Imperocché da
riflettersi
in primo luogo che in ogni fatto religioso, toltane la realtà
divina
e l'esperienza che di essa ha chi crede, tutto il rimanente ed in
specialità
le formole religiose, non escono dal campo dei fenomeni: e cadono
quindi
sotto il dominio della scienza. Esca pure il credente dal mondo, se gli
vien fatto; finché però resterà nel mondo, non
potrà
mai sottrarsi, lo voglia o no, alle leggi, all'osservazione, ai giudizi
della scienza e della storia. Di più, benché sia detto
che
Dio è oggetto della sola fede, ciò nondimeno deve solo
intendersi
della realtà divina, non già della idea di Dio. L'idea di
Dio è pur essa sottoposta alla scienza; la quale, mentre spazia
nell'ordine logico, si solleva fino all'assoluto ed all'ideale.
20. Il che parrà più manifesto dalla condotta stessa dei modernisti, interamente conforme a quel che insegnano. Negli scritti e nei discorsi sembrano essi non rare volte sostenere ora una dottrina ora un'altra, talché si è facilmente indotti a giudicarli vaghi ed incerti. Ma tutto ciò è fatto avvisatamente; per l'opinione cioè che sostengono della mutua separazione della fede e della scienza. Quindi avviene che nei loro libri si incontrano cose che ben direbbe un cattolico; ma, al voltar della pagina, si trovano altre che si stimerebbero dettate da un razionalista. Di qui, scrivendo storia, non fanno pur menzione della divinità di Cristo; predicando invece nelle chiese, l'affermano con risolutezza. Di qui parimente, nella storia non fanno nessun conto né di Padri né di Concilî; ma se catechizzano il popolo, li citano con rispetto. Di qui, distinguono l'esegesi teologica e pastorale dall'esegesi scientifica e storica. Similmente dal principio che la scienza non ha dipendenza alcuna dalla fede, quando trattano di filosofia, di storia, di critica, non avendo orrore di premere le orme di Lutero (Prop. 29, condannata da Leone X, Bolla. "Exsurge Domine", 15 maggio 1520: "Ci si è aperta la strada per isnervare l'autorità dei Concilî e contraddire liberamente alle loro deliberazioni, e giudicare i lor decreti e confessare arditamente tutto ciò che ci sembra vero, sia approvato o condannato da qualunque Concilio"), fanno pompa di un certo disprezzo delle dottrine cattoliche, dei santi Padri, dei sinodi ecumenici, del magistero ecclesiastico: e se vengono di ciò ripresi, gridano alla manomissione della libertà. Da ultimo, posto l'aforisma che la fede deve soggettarsi alla scienza, criticano di continuo e all'aperto la Chiesa, perché con somma ostinatezza rifiuta di sottoporre ed accomodare i suoi dogmi alle opinioni della filosofia: ed essi, da parte loro, messa fra i ciarpami la vecchia teologia, si adoperano di porne in voga una nuova, tutta ligia ai deliramenti dei filosofi. Parte II 21. Con che,
Venerabili Fratelli,
Ci si dà finalmente il passo per osservare i modernisti
sull'arena
teologica. Difficile compito: ma con poco potremo trarCi d'impaccio. Il
fine da ottenere è la conciliazione della fede colla scienza,
restando
però sempre incolume il primato della scienza sulla fede. In
questo
affare il teologo modernista si giova degli stessissimi principî
che vedemmo usati dalla filosofia, adattandoli al credente; ciò
sono i principî dell'immanenza e del simbolismo. Ed ecco con
quanta
speditezza compie egli il suo lavoro. Ha detto il filosofo: "Il
principio
della fede è immanente"; il credente ha soggiunto: "Questo
principio
è Dio";il teologo dunque conclude: "Dio è immanente
nell'uomo".
Di qui l'essere dell'immanenza teologica.
22. Quanto poi all'immanenza, non è agevole determinare ciò che per essa intendano i modernisti; giacché diverse sono fra essi le opinioni. Altri la pongono in ciò, che Dio operante sia intimamente presente nell'uomo, più che non sia l'uomo a sé stesso; il che, sanamente inteso, non può riprendersi. Altri pretendono che l'azione divina sia una coll'azione della natura, come di causa prima con quella di causa seconda; e ciò distruggerebbe l'ordine soprannaturale. Altri per ultimo la spiegano in modo da dar sospetto di un senso panteistico; il che, a dir vero, è più coerente col rimanente delle loro dottrine. 23. A questo postulato dell'immanenza un altro poi se ne aggiunge, che si può intitolare dalla permanenza divina: e l'una dall'altra si fa differire quasi a quel modo stesso, che l'esperienza privata differisce dall'esperienza trasmessa per tradizione. Un esempio illustrerà il concetto: e sia l'esempio della Chiesa e dei Sacramenti. La Chiesa, dicono, e i Sacramenti non si devon credere come istituiti da Cristo stesso. Vieta ciò l'agnosticismo, che in Cristo non riconosce nulla più che un uomo, la cui coscienza religiosa, come quella di ogni altro uomo, si è formata a poco a poco; lo vieta la legge dell'immanenza, che non ammette, per dirlo con una loro parola, esterne applicazioni; lo vieta pure la legge dell'evoluzione, che per lo svolgersi dei germi richiede tempo ed una certa serie di circostanze; lo vieta finalmente la storia, che mostra tale di fatto essere stato il corso delle cose. Però è da tenersi che Chiesa e Sacramenti furono istituiti mediatamente da Cristo. Ma in qual modo? eccolo. Le coscienze tutte cristiane, essi dicono, furono virtualmente inchiuse nella coscienza di Gesù Cristo, come la pianta nel seme. Or poiché i germi vivono la vita del seme, così deve affermarsi che tutti i cristiani vivono la vita di Cristo. Ma la vita di Cristo, secondo la fede, è divina; dunque anche quella dei cristiani. Se pertanto questa vita, nel corso dei secoli, diede origine alla Chiesa e ai Sacramenti, con ogni diritto si potrà dire che tale origine è da Cristo ed è divina. Nello stesso modo provano esser divine le Scritture e divini i dogmi. E con ciò la teologia moderna può dirsi compiuta. Esigua cosa a dir vero, ma più che abbondante per chi professa doversi sempre ed in tutto rispettare le conclusioni della scienza. 24. L'applicazione poi di queste teorie agli altri punti che verremo esponendo potrà ognuno farla di per sé stesso. 25. Abbiam parlato finora della origine
e della
natura della fede. Ma molti essendo i germi di questa, e principali fra
essi la Chiesa, il dogma, il culto, i Libri sacri, di questi eziandio
è
da conoscere ciò che insegnano i modernisti. E per farci dal
dogma,
l'origine e la natura di esso quale sia, si è già
indicato
più sopra. Nasce il dogma dal bisogno che prova il credente di
lavorare
sul suo pensiero religioso, sì da rendere la sua e l'altrui
coscienza
sempre più chiara. Tale lavorio consiste tutto nell'indagare ed
esporre la formola primitiva, non già in se stessa e
razionalmente,
ma rispetto alle circostanze o, come più astrusamente dicono,
vitalmente.
Di qui si ha che intorno alla medesima si vadano formando delle formole
secondarie, che poi sintetizzate e riunite in un'unica costruzione
dottrinale,
quando questa sia suggellata dal pubblico magistero come rispondente
alla
coscienza comune, si chiamerà dogma. Dal dogma son da
distinguersi
accuratamente le speculazioni teologiche; le quali però,
benché
non vivano della vita del dogma, pur tuttavia non sono inutili
sì
per armonizzare la religione colla scienza e togliere fra loro ogni
contrasto,
sì per lumeggiare esternamente e difendere la religione stessa;
e chi sa che forse non giovino altresì per preparar la materia
di
un dogma futuro.
26. Della natura ancora e dell'origine
dei Libri
sacri già si è toccato. Secondo il pensare dei
modernisti,
si può ben definirli una raccolta di esperienze: non di quelle,
che comunemente si hanno da ognuno, ma delle straordinarie e più
insigni che siensi avute in una qualche religione. E così essi
appunto
insegnano a riguardo dei nostri libri del Vecchio e del Nuovo
Testamento.
27. Più larga
materia ci
offre ciò che la scuola dei modernisti fantastica a riguardo
della
Chiesa.
28. Se non che non
solamente
fra le sue stesse pareti trova la Chiesa con chi doversi comporre
amichevolmente,
ma eziandio fuori. Non è sola essa ad occupare il mondo:
l'occupano
insieme altre società, colle quali non può aver uso e
commercio.
Convien dunque determinare quali sieno i diritti e i doveri della
Chiesa
verso le società civili; e ben s'intende che tale determinazione
deve esser desunta dalla natura della Chiesa stessa, quale i modernisti
l'hanno descritta.
29. Le teorie, o Venerabili Fratelli, onde promanano tutti questi errori, son quelle appunto che il Nostro Predecessore Pio VI già condannò solennemente nella Costituzione Apostolica "Auctorem Fidei" (Prop. 2). "La proposizione che stabilisce che la potestà è stata da Dio data alla Chiesa, perché fosse comunicata ai Pastori, che sono ministri di lei per la salute delle anime; così intesa, che la potestà del ministero e regime ecclesiastico si derivi nei Pastori dalla Comunità dei fedeli: eretica". Prop. 3. "Inoltre quella che stabilisce il Romano Pontefice esser capo ministeriale; così spiegata che il Romano Pontefice, non da Cristo nella persona del Beato Pietro, ma dalla Chiesa abbia avuta la potestà del ministero, di cui come successore di Pietro, vero Vicario di Cristo e capo di tutta la Chiesa, gode nella Chiesa universa: eretica"). 30. Ma non basta alla scuola dei modernisti che lo Stato sia separato dalla Chiesa. Come la fede, quanto agli elementi fenomenici, deve sottostare alla scienza, così nelle cose temporali la Chiesa ha da soggettarsi allo Stato. Questo forse non l'asseriscono essi peranco apertamente; ma per forza di raziocinio sono costretti ad ammetterlo. Imperocché, concesso che lo Stato abbia assoluta padronanza in tutto ciò che è temporale, se avvenga che il credente, non pago della religione dello spirito, esca in atti esteriori, quali per mo' di esempio, l'amministrarsi o il ricevere dei Sacramenti, bisognerà che questi cadano sotto il dominio dello Stato. E che sarà dopo ciò dell'autorità ecclesiastica? Siccome questa non si spiegasse non per atti esterni, sarà in tutto e per tutto assoggettata al potere civile. È questa ineluttabile conseguenza che trascina molti fra i protestanti liberali a sbarazzarsi di ogni culto esterno, anzi d'ogni esterna società religiosa, i quali invece si adoprano di porre in voga una religione che chiamano individuale. Che se i modernisti, a luce di sole, non si spingono ancora tant'oltre, insistono intanto perché la Chiesa si pieghi spontaneamente ove essi la voglion trarre e si acconci alle forme civili. 31. Tutto ciò
per l'autorità
disciplinare.
32. Per compiere tutta
questa
materia della fede e dei diversi suoi germi, rimane da ultimo,
Venerabili
Fratelli, che ascoltiamo le teorie dei modernisti circa lo sviluppo dei
medesimi. È lor principio generale che in una religione vivente
tutto debba essere mutevole e mutarsi di fatto.
33. E cominciamo dalla
fede. La
forma primitiva, essi dicono, della fede fu rudimentaria e comune
indistintamente
a tutti gli uomini; giacché nasceva dalla natura e dalla vita
umana.
Il progresso si ebbe per sviluppo vitale; che è quanto dire non
per aggiunta di nuove forme apportate dal di fuori, ma per una
crescente
penetrazione nella coscienza del sentimento religioso. Doppio indi fu
il
modo di progredire nella fede: prima negativamente, col depurarsi da
ogni
elemento estraneo, come ad esempio dal sentimento di famiglia o di
nazionalità;
quindi positivamente, mercè il perfezionarsi intellettuale e
morale
dell'uomo, per cui l'idea divina si ampliò ed illustrò e
il sentimento religioso divenne più squisito.
34. Così i modernisti di ciascun capo in particolare. 35. E qui, innanzi di farCi oltre, bramiamo che ben si avverta di nuovo a questa loro dottrina dei bisogni; giacché essa, oltreché di quanto finora abbiam visto, è quasi base e fondamento di quel vantato metodo che chiamano storico. 36. Or, restando
tuttavia nella
teoria della evoluzione, vuole di più osservarsi che quantunque
i bisogni servano di stimolo per la evoluzione, essa nondimeno,
regolata
unicamente da siffatti stimoli, valicherebbe facilmente i termini della
tradizione, e strappata così dal primitivo principio vitale,
meglio
che a progresso menerebbe a rovina.
37. Ciò ammesso, ben si
comprendono le meraviglie
che fanno i modernisti, se avvenga che siano biasimati o puniti.
Ciò
che loro si ascrive a colpa, essi l'hanno per sacrosanto dovere. Niuno
meglio di essi conosce i bisogni delle coscienze perché si
trovano
con queste a più stretto contatto che non si trovi la
potestà
ecclesiastica. Incarnano quasi in sé quei bisogni tutti: e
quindi
il dovere per loro di parlare apertamente e di scrivere. Li biasimi
pure
l'autorità, la coscienza del dovere li sostiene, e sanno per
intima
esperienza di non meritare riprensioni ma encomii.
38. Per detto adunque e per fatto dei modernisti nulla, o Venerabili Fratelli, vi deve essere di stabile, nulla di immutabile nella Chiesa. Nella qual sentenza non mancarono ad essi dei precursori, quelli cioè dei quali il Nostro Predecessore Pio IX già scriveva: "Questi nemici della divina rivelazione, che estollono con altissime lodi l'umano progresso, vorrebbero, con temerario e sacrilego ardimento, introdurlo nella cattolica religione, quasi che la stessa religione fosse opera non di Dio ma degli uomini o un qualche ritrovato filosofico che con mezzi umani possa essere perfezionato" (Enc. "Qui pluribus", 9 nov. 1846). Circa la rivelazione specialmente e circa il dogma, la dottrina dei modernisti non ha filo di novità; ma è quella stessa che nel Sillabo di Pio IX ritroviamo condannata, così espressa: "La divina rivelazione è imperfetta e perciò soggetta a continuo ed indefinito progresso, che risponda a quello dell'umana ragione" (Sillabo, Prop. V); più solennemente poi la troviamo riprovata dal Concilio Vaticano in questi termini: "Né la dottrina della fede, che Dio rivelò, è proposta agli umani ingegni da perfezionare come un ritrovato filosofico, ma come un deposito consegnato alla Sposa di Cristo, da custodirsi fedelmente e da dichiararsi infallibilmente. Quindi dei sacri dogmi altresì deve sempre ritenersi quel senso che una volta dichiarò la Santa Madre Chiesa, né mai deve allontanarsi da quel senso sotto pretesto e nome di più alta intelligenza" (Const. Dei Filius, cap. IV). Col che senza dubbio l'esplicazione nelle nostre cognizioni, anche circa la fede, tanto è lungi che venga impedita, che anzi ne è aiutata e promossa. Laonde lo stesso Concilio prosegue dicendo: "Cresca dunque e molto e con slancio progredisca l'intelligenza, la scienza, la sapienza così dei singoli come di tutti, così di un sol uomo come di tutta la Chiesa coll'avanzare delle età e dei secoli; ma solo nel suo genere, cioè nello stesso dogma, nello stesso senso e nella stessa sentenza" (Loc. cit.). 39. Ma ormai, dopo aver osservato nei seguaci del modernismo il filosofo, il credente, il teologo, resta che osserviamo parimente lo storico, il critico, l'apologista. 40. Taluni dei
modernisti, che
si dànno a scrivere storia, paiono oltremodo solleciti di non
passar
per filosofi; che anzi professano di essere affatto ignari di
filosofia.
È ciò un tratto di finissima astuzia: affinché
nessuno
creda che essi sieno infetti di pregiudizi filosofici e non sieno
perciò,
come dicono, affatto obbiettivi. Ma il vero è, che la loro
storia
o critica non parla che con la lingua della filosofia; e le conseguenze
che traggono, vengono di giusto raziocinio dai loro principî
filosofici.
Il che, a chi bene riflette, si fa subito manifesto.
41. Come poi la storia riceve dalla filosofia le sue conclusioni, così la critica le ha a sua volta dalla storia. Essendoché il critico seguendo gli indizi dati dallo storico, di tutti i documenti ne fa due parti. Tutto ciò che rimane, dopo il triplice taglio or ora descritto, lo assegna alla storia reale; il restante lo confina alla storia della fede, ossia alla storia interna. Giacché queste due storie distinguono diligentemente i modernisti; e, ciò che e ben da notarsi, alla storia della fede contrappongono la storia reale in quanto è reale. Perciò, come già si è detto, un doppio Cristo; l'uno reale, l'altro che veramente non mai esisté ma appartiene alla fede; l'uno che visse in determinato luogo e tempo, l'altro che solo s'incontra nelle pie meditazioni della fede; tale, per mo' d'esempio, è il Cristo descrittoci nell'Evangelio giovanneo, il qual Vangelo, affermano, non è che una meditazione. 42. Ma qui non si arresta il dominio
della filosofia
nella storia.
43. Ciò fatto, entra di nuovo in iscena il filosofo, ed impone allo storico di compiere i suoi studi a seconda dei precetti e delle leggi dell'evoluzione. E lo storico torna a scrutare i documenti, ricerca sottilmente le circostanze e condizioni nelle quali, col succedersi dei tempi, la Chiesa si è trovata, i bisogni così interni che esterni che l'hanno spinta a progresso, gli ostacoli che incontrò: a dir breve, tutto ciò che giovi a determinare il modo onde furono mantenute le leggi della evoluzione. Compiuto un tal lavoro, egli finalmente tesse nelle sue linee principali la storia dello sviluppo dei fatti. Segue il critico, che a questo tema storico adatta il restante dei documenti. Si dà mano a stendere la narrazione: la storia è compiuta. Or qui chiediamo, a chi dovrà attribuirsi una simile storia? allo storico forse od al critico? Per fermo né all'uno all'altro, sì bene al filosofo. Tutto il lavoro di essa è un lavoro di apriorismo, e di apriorismo riboccante di eresie. Fanno certamente pietà questi uomini, dei quali l'Apostolo ripeterebbe: "Svanirono nei pensamenti... imperocché vantandosi di essere sapienti, son divenuti stolti" (Rom., I, 21, 22); ma muovono in pari tempo a sdegno, quando poi accusano la Chiesa di manipolare i documenti in guisa da farli servire ai propri vantaggi. Addebitano cioè alla Chiesa ciò che dalla propria coscienza sentono apertamente rimproverarsi. 44. Dall'avere così disgregati i
documenti
e seminatili lungo le età, segue naturalmente che i Libri sacri
non possano di fatto attribuirsi agli autori, dei quali portano il
nome.
45. A conferma di che,
chiamano
in aiuto la critica che dicono testuale; e si adoprano di persuadere
che
questo o quel fatto, questo o quel discorso non si trovi al suo posto e
recano altre ragioni del medesimo stampo. Direbbesi per verità
che
si sieno prestabiliti certi quasi-tipi di narrazioni o parlate, che
servano
di criterio certissimo per giudicare ciò che stia al suo posto e
ciò che sia fuor di luogo. Con siffatto metodo stimi chi
può
come costoro debbano essere capaci di giudicare. Eppure, chi li ascolti
ad oracolare dei loro studi sulle Scritture, pei quali han potuto
scoprirvi
si gran numero di incongruenze, è spinto a credere che niun uomo
prima di loro abbia sfogliato quei libri, né che li abbia
ricercati
per ogni verso una quasi infinita schiera di Dottori, per ingegno, per
scienza, per santità di vita più di loro. I quali Dottori
sapientissimi, tanto fu lungi che trovasser nulla da riprendere nei
Libri
santi, che anzi quanto più ringraziavano Iddio, che si fosse
così
degnato di parlare cogli uomini. Ma purtroppo i Dottori nostri non
attesero
allo studio delle Scritture con quei mezzi, onde son forniti i
modernisti!
Cioè non ebbero a maestra e condottiera una filosofia che trae
principio
dalla negazione di Dio, né fecero a se stessi norma di
giudicare.
46. Per la quale cosa non può
finirsi di
stupire come una critica di tal genere possa oggidì aver tanta
voga
presso cattolici. Di ciò può assegnarsi una doppia causa:
la prima è l'alleanza onde gli storici ed i critici di questa
specie
sono legati fra loro senza riguardi a diversità di nazioni o di
credenze; la seconda è l'audacia indicibile, con cui ogni
stranezza
che uno di loro proferisca, dagli altri è levata al cielo e
decantata
qual progresso della scienza; con cui, se taluno voglia da se stesso
verificare
il nuovo ritrovato, serratisi insieme lo assalgono, se talun lo neghi
lo
trattano da ignorante, se lo accolga e lo difenda lo ricoprono di
encomî.
Così non pochi restano ingannati che forse, se meglio vedessero
le cose, ne sarebbero inorriditi.
47. Costui, nei
modernisti, dipende
ancor esso doppiamente dal filosofo. Prima indirettamente, pigliando
per
sua materia la storia scritta, come vedemmo, dietro le norme del
filosofo:
poi direttamente accettando dal filosofo i principî e i
giudizî.
Quindi quel comune precetto della scuola del modernismo che la nuova
apologia
debba dirimere le controversie religiose per via di ricerche storiche e
psicologiche. Ond'è che gli apologisti dan capo al loro lavoro
coll'ammonire
i razionalisti che essi difendono la religione non coi Libri sacri
né
colle storie volgarmente usate nella Chiesa e scritte alla vecchia
moda;
ma colla storia reale composta a seconda dei moderni precetti e con
metodo
moderno. E ciò dicono, non quasi argomentando ad hominem, ma
perché
difatti credono che solo in tale storia si trovi la verità.
48. Ma vediamo in pratica come uno di
costoro compia
la sua apologia. Il fine che si propone è di condurre l'uomo che
ancora non crede a provare in sé quella esperienza della
cattolica
religione che, secondo i modernisti, è base della fede.
49. Mentre però i nuovi
apologisti, cogli
argomenti arrecati, si studiano di affermare e persuadere la religione
cattolica, non han riguardo a concedere che in essa molte cose sono che
spiacciono. Che anzi, con una mal velata voluttà, van ripetendo
pubblicamente che anche in materia dogmatica ritrovano errori e
contraddizioni;
benché soggiungano, che tali errori e contraddizioni non solo
meritano
scusa, ma, ciò che è più strano, sono da
legittimarsi
e giustificarsi. Così pure, secondo essi, nelle sacre Scritture
corrono moltissimi sbagli in materia scientifica e storica.
50, Che più? Concedono, anzi
sostengono,
che Gesù Cristo stesso errò manifestamente nell'assegnare
il tempo della venuta del regno di Dio: ma ciò, secondo essi,
non
può fare meraviglia, perché Egli ancora era sottoposto
alle
leggi della vita!
51. Oltre agli argomenti oggettivi, il
non credente
può essere disposto alla fede anche con soggettivi. In questo
caso
gli apologeti modernisti si rifanno sulla dottrina della immanenza. Si
adoprano cioè a convincer l'uomo, che in lui stesso e negli
intimi
recessi della sua natura e della sua vita si cela il desiderio e il
bisogno
di una religione, né di una religione qualsiasi, ma tale quale
è
appunto la cattolica; giacché questa, dicono, è postulata
onninamente dal perfetto sviluppo della vita.
52. Restano per ultimo
a dir poche
cose del modernista in quanto la pretende a riformatore.
53. In tutta questa
esposizione
della dottrina dei modernisti vi saremo sembrati, o Venerabili
Fratelli,
prolissi forse oltre il dovere. Ma è stato ciò
necessario,
sì per non sentirCi accusare, come suole, di ignorare le loro
cose,
e sì perché si veda che, quando parlasi di modernismo,
non
parlasi di vaghe dottrine non unite da alcun nesso, ma di un unico
corpo
e ben compatto, ove chi una cosa ammetta uopo è che accetti
tutto
il rimanente. Perciò abbiam voluto altresì far uso di una
forma quasi didattica, né abbiamo ricusato il barbaro linguaggio
onde i modernisti fanno uso. Ora, se quasi di un solo sguardo
abbracciamo
l'intero sistema, niuno si stupirà ove Noi lo definiamo,
affermando
esser esso la sintesi di tutte le eresie. Certo, se taluno si fosse
proposto
di concentrare quasi il succo ed il sangue di quanti errori circa la
fede
furono sinora asseriti, non avrebbe mai potuto riuscire a far meglio di
quel che han fatto i modernisti. Questi anzi tanto più oltre si
spinsero che, come già osservammo, non pure il cattolicesimo ma
ogni qualsiasi religione hanno distrutta.
E per fermo, rifacciamoci alquanto, o Venerabili Fratelli, a quella esizialissima dottrina dell'agnosticismo. Con essa, dalla parte dell'intelletto, è chiusa all'uomo ogni via per arrivare a Dio, mentre si pretende di aprirla più acconcia per parte di un certo sentimento e dell'azione. Ma chi non iscorge quanto vanamente ciò si affermi? Il sentimento risponde sempre all'azione di un oggetto, che sia proposto dall'intelletto o dal senso. Togliete di mezzo l'intelletto; l'uomo, già portato a seguire il senso, lo seguirà con più impeto. Di più, le fantasie, quali che esse siano, di un sentimento religioso non possono vincere il senso comune: ora questo insegna che ogni perturbazione od occupazione dell'animo non è di aiuto ma d'impedimento alla ricerca del vero; del vero, diciamo, quale è in se; giacché quell'altro vero soggettivo, frutto del sentimento interno e dell'azione, se è acconcio per giocare di parole, poco interessa l'uomo a cui soprattutto importa di conoscere se siavi o no fuori di lui un Dio, nelle cui mani una volta dovrà cadere. Ricorrono, a vero dire, i modernisti per aiuto all'esperienza. Ma che può aggiungere questa al sentimento? Nulla: solo potrà renderlo più intenso: dalla quale intensità sia proporzionatamente resa più ferma la persuasione della verità dell'oggetto. Ma queste due cose non faranno si che il sentimento lasci di essere sentimento, né ne cangiano la natura sempre soggetta ad inganno, se l'intelletto non lo scorga; anzi la confermano e la rinforzano, giacché il sentimento quanto è più intenso tanto a miglior diritto è sentimento. 54. Trattandosi poi qui di sentimento religioso e di esperienza in esso contenuta, sapete bene, o Venerabili Fratelli, di quanta prudenza sia mestieri in siffatta materia e di quanta scienza che regoli la stessa prudenza. Lo sapete dalla pratica delle anime, di talune, in ispecialità, in cui domina il sentimento: lo sapete dalla consuetudine dei trattati di ascetica; i quali, quantunque disprezzati da costoro, contengono più solidità di dottrina e più sagacia di osservazione che non ne vantino i modernisti. A Noi per fermo sembra cosa da stolto o almeno da persona al sommo imprudente, ritener per vere, senza esame di sorta, queste intime esperienze quali dai modernisti si spacciano. 55. Perché allora, lo diciamo qui di passata, perché, se queste esperienze hanno si grande forza e certezza, non l'avrà uguale quella esperienza che molte migliaia di cattolici affermano di avere, che i modernisti cioè battono un cammino sbagliato? Sola questa esperienza sarebbe falsa e ingannevole? La massima parte degli uomini ritiene fermamente e sempre riterrà che col solo sentimento e colla sola esperienza senza guida e lume dell'intelletto, mai non si potrà giungere alla conoscenza di Dio. Dunque resta di nuovo o l'ateismo o l'irreligione assoluta. Né i modernisti hanno nulla a sperar di meglio dalla loro dottrina del simbolismo. Imperciocché se tutti gli elementi che dicono intellettuali non sono che puri simboli di Dio, perché non sarà un simbolo il nome stesso di Dio o di personalità divina? E se è cosi, si potrà bene dubitare della stessa divina personalità, ed avremo aperta la via al panteismo. E qua similmente, cioè al puro panteismo, mena l'altra dottrina dell'immanenza divina. Giacché domandiamo: siffatta immanenza distingue o no Iddio dall'uomo? Se lo distingue, in che differisce adunque cotal dottrina dalla cattolica? o perché mai rigetta quella della esterna rivelazione? Se poi non lo distingue, eccoci di bel nuovo col panteismo. Ma difatto l'immanenza dei modernisti vuole ed ammette che ogni fenomeno di coscienza nasca dall'uomo in quanto uomo. Dunque di legittima conseguenza inferiamo che Dio e l'uomo sono la stessa cosa; e perciò il panteismo. Finalmente pari è la conseguenza che si trae dalla loro decantata distinzione fra la scienza e la fede. L'oggetto della scienza lo pongono essi nella realtà del conoscibile; quel lo della fede nella realtà dell'inconoscibile. Orbene l'inconoscibile è tale per la totale mancanza di proporzione fra l'oggetto e la mente. Ma questa mancanza di proporzione, secondo gli stessi modernisti, non potrà mai esser tolta. Dunque l'inconoscibile resterà sempre inconoscibile tanto pel credente quanto pel filosofo. Dunque se si avrà una religione, questa sarà della realtà dell'inconoscibile. La quale realtà perché poi non possa essere l'anima uni versale del mondo, come l'ammettono taluni razionalisti, noi nol vediamo. Ma basti sin qui per conoscere per quante vie la dottrina del modernismo conduca all'ateismo e alla distruzione di ogni religione. L'errore dei protestanti dié il primo passo in questo sentiero; il secondo è del modernismo: a breve distanza dovrà seguire l'ateismo. 56. A più intimamente conoscere il modernismo e a trovare più acconci rimedi a sì grave malore, gioverà ora, o Venerabili Fratelli, ricercare alquanto le cause, onde esso è nato ed è venuto crescendo. 57. Non ha dubbio che la prima causa ed
immediata
sta nell'aberrazione dell'intelletto. Quali cause remote due Noi ne
riconosciamo:
la curiosità e la superbia. La curiosità, se non
saggiamente
frenata, basta di per sé sola a spiegare ogni fatta di errori.
Per
lo che il Nostro Predecessore Gregorio XVI a buon diritto scriveva
(Lett.
Enc. "Singulari Nos", 25 giugno 1834): "È grandemente da
piangere
nel vedere fin dove si profondino i deliramenti dell'umana ragione,
quando
taluno corra dietro alle novità, e, contro l'avviso
dell'Apostolo,
si adoperi di saper più che saper non convenga, e confidando
troppo
in se stesso, pensi dover cercare la verità fuori della Chiesa
cattolica,
in cui, senza imbratto di pur lievissimo errore, essa si trova". Ma ad
accecare l'animo e trascinarlo nell'errore assai più di forza ha
in sé la superbia: la quale, trovandosi nella dottrina del
modernismo
quasi in un suo domicilio, da essa trae alimento per ogni verso e
riveste
tutte le forme.
58. Che se dalle cause morali veniamo a
quelle
che spettano all'intelletto, la prima da notarsi è
l'ignoranza.
59. Alla propagazione
del quale
portassero almeno un minor zelo ed ardore di quel che fanno! Tanta
invece
è la loro alacrità, cosi indefesso il lavoro, che da
strazio
il vedere consumate tante forze a danno della Chiesa, le quali,
rettamente
usate, le sarebbero di vantaggio grandissimo. A trarre poi in inganno
gli
animi una doppia tattica essi usano: prima si sbarazzano degli
ostacoli,
poi cercano con somma cura i mezzi che loro giovino, ed instancabili e
pazientissimi li mettono in opera.
60. Si studiano infine e si sforzano di
attenuare
e svilire l'autorità dello stesso Magistero ecclesiastico, sia
pervertendone
sacrilegamente l'origine, la natura, i diritti, sia ricantando
liberamente
contro di essa le calunnie dei nemici. Del gregge dei modernisti sembra
detto ciò che con tanto dolore scriveva il Predecessore Nostro
(Motu
proprio "Ut mysticam", 14 marzo 1891): "Per rendere spregiata ed odiosa
la mistica Sposa di Cristo, che è la luce vera, i figli delle
tenebre
furon soliti di opprimerla pubblicamente di una pazza calunnia, e,
stravolto
il significato e la forza delle cose e delle parole, chiamarla amica di
oscurità, mentitrice d'ignoranza, nemica della luce e del
progresso
delle scienze". Dopo ciò, Venerabili Fratelli, qual meraviglia
se
i cattolici, strenui difensori della Chiesa, son fatti segno dai
modernisti
di somma malevolenza e di livore?
Parte III [...] Da tutto questo strepito di lodi e d'improperi colpiti e turbati gli animi giovanili, da una parte per non passare per ignoranti, dall'altra per parere sapienti spinti internamente dalla curiosità e dalla superbia, si dànno per vinti e passano al modernismo. 61. Ma qui già siamo agli artifici con che i modernisti spacciano la loro merce. Che non tentano essi mai per moltiplicare gli adepti? Nei Seminari e nelle Università cercano di ottenere cattedre da mutare insensibilmente in cattedre di pestilenza. Inculcano le loro dottrine, benché forse velatamente, predicando nelle chiese; le annunciano più aperte nei congressi: le introducono e le magnificano nei sociali istituti. Col nome proprio o di altri pubblicano libri, giornali, periodici. Uno stesso e solo scrittore fa uso talora di molti nomi, perché gli incauti sieno tratti in inganno dalla simulata moltitudine degli autori. Insomma coll'azione, colla parola, colla stampa tutto tentano, da sembrar quasi colti da frenesia. E tutto ciò con qual esito? Piangiamo pur troppo gran numero di giovani di speranze egregie e che ottimi servigi renderebbero alla Chiesa, usci ti fuori dal retto cammino. Piangiamo moltissimi, che, sebbene non giunti tant'oltre, pure, respirata un'aria corrotta, sogliono pensare, parlare, scrivere più liberamente che non si convenga a cattolici. Si contano costoro fra i laici, si contano fra i sacerdoti; e chi lo crederebbe? si contano altresì nelle stesse famiglie dei Religiosi. Trattano la Scrittura secondo le leggi dei modernisti. Scrivono storia e sotto specie di dir tutta la verità, tutto ciò che sembri gettare ombra sulla Chiesa lo pongono diligentissimamente in luce con voluttà mal repressa. Le pie tradizioni popolari, seguendo un certo apriorismo, cercano a tutta possa di cancellare. Ostentano disprezzo per sacre Reliquie raccomandate dalla loro vetustà. Insomma li punge la vana bramosia che il mondo parli di loro; il che si persuadono che non sarà, se dicono soltanto quello che sempre e da tutti fu detto. Intanto si dànno forse a credere di prestare ossequio a Dio ed alla Chiesa; ma in realtà gravissimamente li offendono, non tanto per quel che fanno, quanto per l'intenzione con cui operano e per l'aiuto che prestano utilissimo agli ardimenti dei modernisti. 62. A questo torrente di gravissimi
errori, che
di celato e alla scoperta va guadagnando, si adoperò con detti e
con fatti di opporsi fortemente Leone XIII Predecessore Nostro di
felice
ricordanza, specialmente a riguardo delle sante Scritture. Ma i
modernisti,
lo vedemmo, non si lasciano spaventare facilmente: affettando il
maggior
rispetto ed una somma umiltà, stravolsero a loro senso le parole
del Pontefice, e gli atti di Lui li fecero passare come diretti ad
altri.
Cosi il male è venuto pigliando forza ogni giorno
più.
I. 63. La prima cosa
adunque, per
ciò che spetta agli studi, vogliamo e decisamente ordiniamo che
a fondamento degli studi sacri si ponga la filosofia scolastica. Bene
inteso
che, "se dai Dottori scolastici furono agitate questioni troppo sottili
o fu alcun che trattato con poca considerazione; se fu detta cosa che
mal
si affaccia con dottrine accertate dei secoli seguenti, ovvero in
qualsivoglia
modo non ammissibile; non è nostra intenzione che tutto
ciò
debba servir d'esempio da imitare anche ai di nostri" (Leone XIII, Enc.
"Æterni Patris").
64. Posto così il fondamento della filosofia, si innalzi con somma diligenza l'edificio teologico. Venerabili Fratelli, promovete con ogni industria possibile lo studio della teologia, talché i chierici, uscendo dai Seminari, ne portino seco un'alta stima ed un grande amore e l'abbiano sempre carissimo. Imperocché "nella grande e molteplice copia di discipline che si porgono alla mente cupida di verità, a tutti è noto che alla sacra Teologia appartiene talmente il primo luogo, che fu antico detto dei sapienti essere dovere delle altre scienze ed arti di servirla e prestarle mano siccome ancelle" (Leone XIII, Lett. Ap. "In magna", 10 dicembre 1889). Aggiungiamo qui, sembrarCi altresì degni di lode coloro, che, salvo il rispetto alla Tradizione, ai Padri, al Magistero ecclesiastico, con saggio criterio e con norme cattoliche (ciò che non sempre da tutti si osserva) cercano di illustrare la teologia positiva, attingendo lume dalla storia di vero nome. Certamente che alla teologia positiva deve ora darsi più larga parte che pel passato: ciò nondimeno deve farsi in guisa, che nulla ne venga a perdere la teologia scolastica, e si disapprovino quali fautori del modernismo coloro che tanto innalzino la teologia positiva da sembrar quasi spregiare la Scolastica. 65. In quanto alle discipline profane basti richiamare quel che il Nostro Predecessore disse con molta sapienza (Allocuz. 7 marzo 1580): "Adoperatevi strenuamente nello studio delle cose naturali: nel qual genere gl'ingegnosi ritrovati e gli utili ardimenti dei nostri tempi, come di ragione sono ammirati dai presenti, cosi dai posteri avranno perpetua lode ed encomio". Questo però senza danno degli studi sacri: il che ammoniva lo stesso Nostro Predecessore con queste altre gravissime parole (Loc. cit.): "La causa di siffatti errori, chi la ricerchi diligentemente, sta principalmente in ciò che di questi nostri tempi, quanto più fervono gli studi delle scienze naturali, tanto più son venute meno le discipline più severe e più alte: alcune di queste infatti sono quasi poste in dimenticanza; alcune sono trattate stancamente e con leggerezza, e, ciò che è indegno, perduto lo splendore della primitiva dignità, sono deturpate da prave sentenze e da enormi errori". Con questa legge ordiniamo che si regolino nei Seminari gli studi delle scienze naturali. II. 66. A questi ordinamenti tanto Nostri che del Nostro Antecessore fa mestieri volgere l'attenzione ognora che si tratti di scegliere i moderatori e maestri così dei Seminari come delle Università cattoliche. Chiunque in alcun modo sia infetto di modernismo, senza riguardi di sorta si tenga lontano dall'ufficio cosi di reggere e cosi d'insegnare: se già si trovi con tale incarico, ne sia rimosso. Parimente si faccia con chiunque o in segreto o apertamente favorisce il modernismo, sia lodando modernisti, sia attenuando la loro colpa, sia criticando la Scolastica, i Padri, il Magistero ecclesiastico, sia ricusando obbedienza alla potestà ecclesiastica, da qualunque persona essa si eserciti; e similmente con chi in materia storica, archeologica e biblica si mostri amante di novità; e finalmente, con quelli altresì che non si curano degli studi sacri o paiono a questi anteporre i profani. In questa parte, o Venerabili Fratelli, e specialmente nella scelta dei maestri, non sarà mai eccessiva la vostra attenzione e fermezza; essendoché sull'esempio dei maestri si formano per lo più i discepoli. Poggiati adunque sul dovere di coscienza, procedete in questa materia con prudenza sì ma con fortezza. 67. Con non minore vigilanza e severità dovrete esaminare e scegliere chi debba essere ammesso al sacerdozio. Lungi, lungi dal clero l'amore di novità: Dio non vede di buon occhio gli animi superbi e contumaci! A niuno in avvenire si conceda la laurea dì teologia o di diritto canonico, che non abbia prima compito per intero il corso stabilito di filosofia scolastica. Se tale laurea ciò non ostante venisse concessa, sia nulla. Le ordinazioni che la Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari emanò nell'anno 1896 pei chierici d'Italia dell'uno e dell'altro clero circa il frequentare le Università, stabiliamo che d'ora innanzi rimangano estese a tutte le nazioni. I chierici e sacerdoti iscritti ad un Istituto o ad una Università cattolica non potranno seguire nelle Università civili quei corsi, di cui vi siano cattedre negli Istituti cattolici ai quali essi appartengono. Se in alcun luogo si è ciò permesso per il passato, ordiniamo che più non si conceda nell'avvenire. I Vescovi che formano il Consiglio direttivo di siffatti cattolici Istituti o cattoliche Università veglino con ogni cura perché questi Nostri comandi vi si osservino costantemente. III. 68. È parimente officio dei Vescovi impedire che gli scritti infetti di modernismo o ad esso favorevoli si leggano se sono già pubblicati, o, se non sono, proibire che si pubblichino. Qualsivoglia libro o giornale o periodico di tal genere non si dovrà mai permettere o agli alunni dei Seminari o agli uditori delle Università cattoliche: il danno che ne proverrebbe non sarebbe minore di quello delle letture immorali; sarebbe anzi peggiore, perché ne andrebbe viziata la radice stessa del vivere cristiano. Né altrimenti si dovrà giudicare degli scritti di taluni cattolici, uomini del resto di non malvagie intenzioni, ma che digiuni di studi teologici e imbevuti di filosofia moderna, cercano di accordare questa con la fede e di farla servire, come essi dicono, ai vantaggi della fede stessa. Il nome e la buona fama degli autori fa si che tali libri sieno letti senza verun timore e sono quindi più pericolosi per trarre a poco a poco al modernismo. 69. Per dar poi, o Venerabili Fratelli, disposizioni più generali in sì grave materia, se nelle vostre diocesi corrono libri perniciosi, adoperatevi con fortezza a sbandirli, facendo anche uso di solenni condanne. Benché questa Sede Apostolica ponga ogni opera nel togliere di mezzo siffatti scritti, tanto oggimai ne è cresciuto il numero, che a condannarli tutti non bastano le forze. Quindi accade che la medicina giunga talora troppo tardi, quando cioè pel troppo attendere il male ha già preso piede. Vogliamo adunque che i Vescovi, deposto ogni timore, messa da parte la prudenza della carne, disprezzando il gridio dei malvagi, soavemente, sì, ma con costanza, adempiano ciascuno le sue parti; memori di quanto prescriveva Leone XIII nella Costituzione Apostolica "Officiorum": "Gli Ordinari, anche come Delegati della Sede Apostolica, si adoperino di proscrivere e di togliere dalle mani dei fedeli i libri o altri scritti nocivi stampati o diffusi nelle proprie diocesi". Con queste parole si concede, è vero, un diritto: ma s'impone in pari tempo un dovere. Né stimi veruno di avere adempiuto cotal dovere, se deferisca a Noi l'uno o l'altro libro mentre altri moltissimi si lasciano divulgare e diffondere. Né in ciò vi deve rattenere il sapere che l'autore di qualche libro abbia altrove ottenuto l'Irnprimatur; sì perché tal concessione può essere simulata, sì perché può essere stata fatta per trascuratezza o per troppa benignità e per troppa fiducia nel l'autore, il quale ultimo caso può talora avverarsi negli Ordini religiosi. Aggiungasi che, come non ogni cibo si confà a tutti egual mente, cosi un libro che in un luogo sarà indifferente, in un altro, per le circostanze, può tornare nocivo. Se pertanto il Vescovo, udito il parere di persone prudenti, stimerà di dover condannare nella sua diocesi anche qualcuno di siffatti libri, gliene diamo ampia facoltà, anzi glielo rechiamo a dovere. Intendiamo bensì che si serbino in tal fatto i riguardi convenienti, bastando forse che la proibizione si restringa talora soltanto al clero; ma eziandio in tal caso sarà obbligo dei librai cattolici di non porre in vendita i libri condannati dal Vescovo. E poiché Ci cade il discorso, vigilino i Vescovi che i librai per bramosia di lucro non spaccino merce malsana: il certo è che nei cataloghi di taluni di costoro si annunziano di frequente e con lode non piccola i libri dei modernisti. Se essi ricusano di obbedire, non dubitino i Vescovi di privarli del titolo di librai cattolici; similmente e con più ragione, se avranno quello di vescovili; che se avessero titolo di pontifici, si deferiscano alla Sede Apostolica. A tutti finalmente ricordiamo l'articolo XXVI della mentovata Costituzione Apostolica "Officiorum": "Tutti coloro che abbiano ottenuta facoltà apostolica di leggere e ritenere libri proibiti, non sono perciò autorizzati a leggere libri o giornali proscritti dagli Ordinari locali, se pure nell'indulto apostolico non sia data espressa facoltà di leggere e ritenere libri condannati da chicchessia". IV. 70. Ma non basta impedire la lettura o la vendita dei libri cattivi; fa d'uopo impedirne altresì la stampa. Quindi i Vescovi non concedano la facoltà di stampa se non con la massima severità. E poiché è grande il numero delle pubblicazioni, che, a seconda della Costituzione "Officiorum", esigono l'autorizzazione dell'Ordinario, in talune diocesi si sogliono determinare in numero conveniente censori di officio per l'esame degli scritti. Somma lode noi diamo a siffatta istituzione di censura; e non solo esortiamo, ma ordiniamo che si estenda a tutte le diocesi. In tutte adunque le Curie episcopali si stabiliscano Censori per la revisione degli scritti da pubblicarsi; si scelgano questi dall'uno e dall'altro clero, uomini di età, di scienza e di prudenza e che nel giudicare sappiano tenere il giusto mezzo. Spetterà ad essi l'esame di tutto quello che, secondo gli articoli XLI e XLII della detta Costituzione, ha bisogno di permesso per essere pubblicato. Il Censore darà per iscritto la sua sentenza. Se sarà favorevole, il Vescovo concederà la facoltà di stampa colla parola Imprimatur, la quale però sarà preceduta dal Nihil obstat e dal nome del Censore. Anche nella Curia romana non altrimenti che nelle altre, si stabiliranno censori di ufficio. L'elezione dei medesimi, dopo interpellato il Cardinale Vicario e coll'annuenza ed approvazione dello stesso Sommo Pontefice, spetterà al Maestro del sacro Palazzo Apostolico. A questo pure toccherà determinare per ogni singolo scritto il Censore che lo esamini. La facoltà di stampa sarà concessa dallo stesso Maestro ed insieme dal Cardinale Vicario o dal suo Vicegerente, premesso però, come sopra si disse, il Nulla osta col nome del Censore. Solo in circo stanze straordinarie e rarissimamente si potrà, a prudente arbitrio del Vescovo, omettere la menzione del Censore. Agli autori non si farà mai conoscere il nome del Censore, prima che questi abbia dato giudizio favorevole: affinché il Censore stesso non abbia a patir molestia o mentre esamina lo scritto o in caso che ne disapprovi la stampa. Mai non si sceglieranno Censori dagli Ordini religiosi, senza prima averne secretamente il parere del Superiore provinciale, o, se si tratta di Roma, del Generale: questi poi dovranno secondo coscienza attestare dei costumi, della scienza e della integrità della dottrina dell'eligendo. Ammoniamo i Superiori religiosi del gravissimo dovere che essi hanno di mai non permettere che alcun che si pubblici dai loro sudditi senza la previa facoltà loro e dell'Ordinario diocesano. Per ultimo affermiamo e dichiariamo che il titolo di Censore, di cui taluno sia insignito, non ha verun valore né mai si potrà arrecare come argomento per dar credito alle private opinioni del medesimo. 71. Detto ciò generalmente, nominatamente ordiniamo una osservanza più diligente di quanto si prescrive nell'articolo XLII della citata Costituzione "Officiorum", cioè: "È vietato ai sacerdoti secolari, senza previo permesso dell'Ordinario, prendere la direzione di giornali o di periodici". Del quale permesso, dopo ammonitone, sarà privato chiunque ne facesse mal uso. Circa quei sacerdoti, che hanno titoli di corrispondenti o collaboratori, poiché avviene non raramente che pubblichino, nei giornali o periodici, scritti infetti di modernismo, vedano i Vescovi che ciò non avvenga; e se avvenisse, ammoniscano e diano proibizione di scrivere. Lo stesso con ogni autorità ammoniamo che facciano i Superiori degli Ordini religiosi: i quali se si mostrassero in ciò trascurati, provvedano i Vescovi, con autorità delegata dal Sommo Pontefice. I giornali e periodici pubblicati dai cattolici abbiano, per quanto sia possibile, un Censore determinato. Sara obbligo di questo leggere opportunamente i singoli fogli o fascicoli, dopo già pubblicati: se cosa alcuna troverà di pericoloso, ordinerà che sia corretto quanto prima. Lo stesso diritto avrà il Vescovo, anche in caso che il Censore non abbia reclamato. V. 72. Ricordammo già sopra i congressi e i pubblici convegni come quelli nei quali i modernisti si adoprano di propalare e propagare le loro opinioni. I Vescovi non permetteranno più in avvenire, se non in casi rarissimi, i congressi di sacerdoti. Se avverrà che li permettano, lo faranno solo a questa condizione: che non vi si trattino cose di pertinenza dei Vescovi o della Sede Apostolica, non vi si facciano proposte o postulati che implichino usurpazione della sacra potestà, non vi si faccia affatto menzione di quanto sa di modernismo, di presbiterianismo, di laicismo. A tali convegni, che dovranno solo permettersi volta per volta e per iscritto o in tempo opportuno, non potrà intervenire sacerdote alcuno di altra diocesi, se non porti commendatizie del proprio Vescovo. A tutti i sacerdoti poi non passi mai di mente ciò che Leone XIII raccomandava con parole gravissime (Lett. Enc. "Nobilissima Gallorum", 10 febbraio 1884): "Sia intangibile presso i sacerdoti l'autorità dei propri Vescovi; si persuadano che il ministero sacerdotale, se non si eserciti sotto la direzione del Vescovo, non sarà né santo, né molto utile, né rispettabile". VI. 73. Ma che gioveranno, o Venerabili
Fratelli, i
Nostri comandi e le Nostre prescrizioni, se non si osservino a dovere e
con fermezza? Perché questo si ottenga, Ci è parso
espediente
estendere a tutte le diocesi ciò che i Vescovi dell'Umbria (Atti
del Congr. dei Vescovi dell'Umbria, nov. 1849, tit. II, art. 6), molti
anni or sono, con savissimo consiglio stabilirono per le loro: "Ad
estirpare
- così essi - gli errori già diffusi e ad impedire che
più
oltre si diffondano o che esistano tuttavia maestri di empietà,
pei quali si perpetuino i perniciosi effetti originati da tale
diffusione,
il sacro Congresso, seguendo gli esempi di San Carlo Borromeo,
stabilisce
che in ogni diocesi si istituisca un Consiglio di uomini commendevoli
dei
due cleri, a cui spetti il vigilare se e con quali arti i nuovi errori
si dilatino o si propaghino, e farne avvertito il Vescovo perché
di concorde avviso prenda rimedi con cui il male si estingua fin dal
principio
e non si spanda di vantaggio a rovina delle anime, e, ciò che
è
peggio, si afforzi e cresca".
74. Non trascurino i libri nei quali si tratti o delle pie tradizioni di ciascun luogo o delle sacre Reliquie. Non per mettano che tali questioni si agitino nei giornali o in periodici destinati a fomentare la pietà, né con espressioni che sappiano di ludibrio o di disprezzo né con affermazioni risolute specialmente, come il più delle volte accade, quando ciò che si afferma o non passa i termini della probabilità o si basa su pregiudicate opinioni. 75. Circa le sacre Reliquie si abbiano
queste norme.
Se i Ve scovi i quali sono soli giudici in questa materia, conoscano
con
certezza che una reliquia sia falsa, la toglieranno senz'altro dal
culto
dei fedeli... Se le autentiche di una Reliquia qualsiasi, o pei civili
rivolgimenti o in altra guisa siensi smarrite, non si esponga alla
pubblica
venerazione, se prima il Vescovo non ne abbia fatta ricognizione.
L'argomento
di prescrizione o di fondata presunzione allora solo avrà valore
quando il culto sia commendevole per antichità: il che risponde
al decreto emanato nel 1896 dalla Congregazione delle Indulgenze e
sacre
Reliquie, in questi termini: "Le Reliquie antiche sono da conservarsi
nella
venerazione che finora ebbero, se pure in casi particolari non si
abbiano
argomenti certi che sono false o supposte". Nel portar poi giudizio
delle
pie tradizioni si tenga sempre presente, che la Chiesa in questa
materia
fa uso di tanta prudenza, da non permettere che tali tradizioni si
raccontino
nei libri, se non con grandi cautele e premessa la dichiarazione
prescritta
da Urbano VIII: il che pure adempiuto, non perciò ammette la
verità
del fatto, ma solo non proibisce che si creda, ove a farlo non manchino
argomenti umani. Così appunto la sacra Congregazione dei Riti
dichiarava
fin da trent'anni addietro (Decreto 2 maggio 1877): "Siffatte
apparizioni
o rivelazioni non furono né approvate né condannate dalla
Sede Apostolica, ma solo passate come da piamente credersi con sola
fede
umana, conforme alla tradizione di cui godono, confermata pure da
idonei
testimoni e documenti".
76. Le cose fin qui stabilite affinché non vadano in dimenticanza, vogliamo ed ordiniamo che i Vescovi di ciascuna diocesi, trascorso un anno dalla pubblicazione delle presenti Lettere, e poscia ogni triennio, con diligente e giurata esposizione riferiscano alla Sede Apostolica intorno a quanto si prescrive in esse, e sulle dottrine che corrono in mezzo al clero e soprattutto nei Seminari ed altri istituti cattolici, non eccettuati quelli che pur sono esenti dall'autorità dell'Ordinario. Lo stesso imponiamo ai Superiori generali degli Ordini religiosi a riguardo dei loro dipendenti. 77. Queste cose, o Venerabili Fratelli, abbiam creduto di scrivervi per salute di ogni credente. I nemici della Chiesa certamente ne abuseranno per ribadire la vecchia accusa, per cui siamo fatti passare come avversi alla scienza ed al progresso della civiltà. A tali accuse, che trovano smentita in ogni pagina della storia della Chiesa, alfine di opporre alcun che di nuovo, è Nostro consiglio di accordare ogni favore e protezione ad un nuovo Istituto, da cui, coll'aiuto di quanti fra i cattolici sono più insigni per fama di sapienza, ogni fatta di scienza e di erudizione, sotto la guida ed il magistero della cattolica verità, sia promossa. Assecondi Iddio i Nostri disegni e Ci prestino aiuto quanti di vero amore amano la Chiesa di Gesù Cristo. Ma di ciò in altra opportunità. A Voi intanto, o Venerabili Fratelli, nella
cui opera
e zelo sommamente confidiamo, imploriamo di tutto cuore la pienezza dei
lumi Celesti, affinché in tanto periglio delle anime per gli
errori
che da ogni banda s'infiltrano, scorgiate quel che far vi convenga; e
con
ogni ardore e fortezza lo eseguiate. Vi assista colla Sua virtù
Gesù Cristo autore e consumatore della nostra fede; vi assista
coll'intercessione
e coll'aiuto la Vergine Immacolata profligatrice di tutte le eresie.
Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 8 Settembre 1907, nell'anno V del Nostro Pontificato. PIO PP. X. dicembre 2007 |