UN ALTRO MODERNO PRETE “STRANO”
Questa volta in quel di Acireale.
Uno “strano” prete che ama dividere
i fedeli in “popolo santo di Dio”,
da una parte,
e “pochi, spauriti fedeli accompagnati
da ecclesiastici nostalgici”,
dall’altra.
In nome dell’unità della
Chiesa… ovviamente.
Riportiamo
in calce il testo dell'articolo in questione
Ci riferiamo ad un articolo, relativo alla S. Messa tradizionale,
pubblicato (il 4.11.2007) nel periodico cattolico di informazione di Acireale,
sede vescovile in provincia di Catania : La Voce dell’Jonio, intitolato
Ilrischiodi
creare due Chiese, e a firma di tale don Roberto Strano, Direttore
ufficio liturgico diocesano.
Non ci saremmo interessati di questo rubicondo signore
se non fosse intervenuta la inqualificabile vicenda
della rimozione del sacerdote che ad Acireale celebrava la S. Messa
tradizionale in seguito al Motu Proprio del Papa.
In realtà, in questo articolo si ritrovano i soliti
luoghi comuni contro la S. Messa di sempre e i fedeli che vi assistono,
non varrebbe quindi la pena di perderci del tempo, se non fosse che il
suo contenuto e il suo tenore fanno intendere qual è il livello
di preparazione dottrinale, liturgica e pastorale di certi responsabili
della Diocesi di Acireale; e illuminano sulle vie per le quali il Vescovo
di Acireale abbia potuto maturare la sua oscura e immotivata decisione.
Questo prete, “licenziato in liturgia”, non solo è
direttore dell’ufficio liturgico diocesano, come si legge in calce all’articolo,
ma è anche docente di liturgia all’Istituto di Scienze Religiose
di Acireale e cerimoniere vescovile. Non v’è dubbio quindi che il
Vescovo di Acireale lo abbia consultato. |
|
Cosa sostiene questo esperto in liturgia?
Per prima cosa una bugia!
Egli introduce l’articolo con una puntualizzazione, fatta,
dice lui, “onde evitare di essere tacciato come progressista”.
Viene da ridere, poiché scappa subito da dire:
excusatio
non petita, accusatio manifesta; e cioè che siamo al cospetto
di uno che cerca di fare il furbo in modo maldestro.
L’introduzione infatti contiene una colossale bugia,
anch’essa talmente manifesta da far pensare che questo “pastore” non abbia
il minimo rispetto per i suoi lettori: sarà così anche per
le pecorelle affidate alla sua cura?
Egli afferma che “ il Papa concede di usare” il
Messale del 1962, e “con tale concessione Egli intende venire incontro…”.
Falso!
Il Motu Proprio (art. 1) afferma: Perciò
è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione
tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai
abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa.
Caro insegnante liturgista, dove sta la “concessione”?
Al contrario: Il Santo Padre, nel Motu Proprio,
fin dalla premessa, afferma che il Messale di San Pio V è una
legge sempre in vigore nella Chiesa, e “deve essere tenuto
nel debito onore per il suo uso venerabile e antico”.
Tale Messale non è stato mai abrogato, afferma
il Papa, quindi egli stesso non poteva neanche decidersi per una concessione
al suo uso (e non lo ha fatto, infatti), poiché non può concedersi
una cosa che è di fatto un diritto. Tant’è che il Papa precisa:
“Perciò è lecito celebrare”. E cioè
afferma: tutto ciò premesso, riconosco che è lecito celebrare…
Non è difficile da capire una cosa così facile.
Tranne che per mala fede o per durezza di comprendonio.
Come inizio non c’è male.
Ma vediamo come va avanti il nostro incredibile liturgista.
Veniamo ai luoghi comuni:
“Sono tanti, infatti, a ricordare come “una volta”
mentre il prete “diceva” Messa, il popolo recitava il Rosario che gli risultava
molto più comprensibile dell’Introibo ad altare Dei!”
La solita tiritera sciocca del professorino saccente.
I fedeli recitavano il Rosario perché non capivano
il latino!
Come dire che da 15 secoli, da quando non si parla
più il latino in Europa, senza contare che nel mondo non lo si è
mai parlato, da 15 secoli, dicevamo, centinaia di milioni di fedeli cristiani
non hanno mai capito la S. Messa. E ciò nonostante la Chiesa
ha evangelizzato il mondo!
Vuoi vedere che il modo migliore per evangelizzare
il mondo è usare ancora l’incomprensibile latino?!
Ma, no! Direbbe il nostro professore! “ Non credo
che, culturalmente, oggi si sia in una posizione avanzata della conoscenza
della lingua latina”.
È vero! … Oh! Com’è vero!
Oggi che in chiesa si parla e si canta benissimo l’inglese,
come vuoi che ci possa essere gente in grado di capire il latino?
Come pensi che quei bifolchi dei nostri parrocchiani
possano mai essere in grado di capire il latino?
Oggi, poi!?
C’è da chiedersi se, culturalmente, la Chiesa
oggi non si trovi arretrata di secoli nell’usare il latino nei documenti
ufficiali… quando potrebbe benissimo usare l’inglese, che ormai conoscono
tutti in tutto il mondo, Acireale compresa.
Questa sì che è una lingua universale,
cattolica!
Amara ironia, invero!
Poiché piange il cuore nel leggere che personaggi
così
non solo “curano” le anime (ahi loro!), ma “insegnano”
pure (ahi noi!).
Così ben disposto, quindi, e dopo aver capito quasi
niente del Motu Proprio (o averlo capito a modo suo) ecco che confessa:
“ Ho assistito qualche domenica fa ad una celebrazione secondo la forma
straordinaria”.
E qui è bene essere precisi: poiché il nostro,
che
è anche arciprete-parroco della Basilica Cattedrale di Acireale,
non è andato ad assistere alla S. Messa, ma è andato a
“controllare” che cosa combinasse quello strampalato di Domenicano che,
così giovane, aveva deciso di celebrare secondo il Rito tradizionale.
Lui, il nostro, a 43 anni, non poteva concepire che un
suo coetaneo avesse potuto maturare la decisione di riprendere la celebrazione
col vetus ordo Missae dopo quarant’anni di post Concilio.
Inaudito!
Non è stato nemmeno sfiorato, il nostro, dal sospetto
che forse il suo confratello domenicano abbia finito col maturare quella
decisione proprio a causa del Concilio e di 40 anni di postconcilio!
Nemmeno sfiorato! Perché nella vita della Chiesa
non v’è mai stato niente di più bello, di più costruttivo,
di più esaltante del Concilio Vaticano II !
Che caspita! Questo lo sanno anche le pietre!
Proprio così: le pietre… e le teste come le
pietre!
Siamo maliziosi?
Nient’affatto! È proprio il nostro che confessa
la sua mala fede.
Ci racconta, infatti, che una signora che stava assistendo
alla S. Messa gli ha chiesto qualcosa su di essa e lui non trova di meglio
da fare che spingerla a uscire dalla chiesa.
Alla faccia dell’arciprete-parroco!
Se è vero quello di cui pare menare vanto, “ alla
mia risposta chiarificatrice si è alzata e andata via”, chiunque
capisce che come minimo avrà detto peste e corna della S. Messa
che si stava celebrando, del celebrante all’altare e dei fedeli presenti.
Quei fedeli che, compresi nella celebrazione, non si
saranno neanche accorti delle losche manovre dell’arciprete, perché
altrimenti lo avrebbero buttato fuori!
Come è giusto che si faccia tutte le volte che
un provocatore disturba una celebrazione liturgica della Santa Chiesa.
Massimamente quando si tratta di un prete.
Lui stesso dice: “alla mia risposta chiarificatrice”.
Come
dire che, mentre si stava celebrando la S. Messa, questo signore,
aduso
com’è a conversare durante la celebrazione, invece di far segno
alla signora di dar zitta (psssss…!) ha aperto un dibattito.
E poi ci si accusa di esagerare quando parliamo dei “frutti
del Concilio”!
Il parroco della cattedrale che va a Messa per parlare
e sparlare della Messa: è o non è un frutto del Concilio?
Lo è, lo è!
Lo confessa lui stesso.
“non per pre-concetto, quanto per formazione, mi sono
sentito estraneo a quanto stava avvenendo in quella Chiesa”
Per “formazione”, dice il nostro. Cioè, si è
sentito estraneo sulla base dalla formazione ricevuta e maturata: 1983-1989
(seminario, studentato e ordinazione), gli anni clou del malsano rigoglio
postconciliare.
E… udite!… udite! A cosa si è sentito estraneo?
“a quanto stava avvenendo in quella chiesa”.
E cosa mai stava avvenendo in quella chiesa quella benedetta
Domenica?
Cosa di tanto sconvolgente da far sentire estraneo il
parroco della cattedrale, direttore dell’ufficio liturgico diocesano e
cerimoniere del vescovo?
Ci si aspetterebbe chissà quale rivelazione!.…
e invece, molto semplicemente, si celebrava la S. Messa!
Inaudito! Si celebrava una Messa!… Ma dove siamo!… siamo
mica in chiesa!
Scherzi a parte. Si celebrava una S. Messa, sì,
ma non quella che piace al nostro caro parroco.
E se la Messa non è quella che piace a lui,
lui, poverino, si sente estraneo.
Che possiamo farci!? Non possiamo certo biasimarlo!
A lui hanno insegnato che la S. Messa non
è una cosa che viene dal Signore, piaccia o non piaccia, ma
è una cosa che ognuno deve sentire come sua: il prete, il popolo,
il consiglio parrocchiale, la stampa, l’opinione pubblica. Tutti devono
sentirla “come sua”.
La S. Messa è un articolo di consumo di massa,
un prodotto dove il piacere personale è uno dei fattori di coinvolgimento
più importante. È il risultato dell’attenta osservazione
delle esigenze emotive dell’assemblea, assecondate, interpretate e orientate
dal presidente che dirige la celebrazione comunitaria.
Insomma, una sorta di teatro dove tutti interagiscono
(come si dice oggi) dalla platea e dal palcoscenico!
E se in tutto questo, in maniera più o meno eclatante,
Dio ha poco a che vedere… peggio per Lui!
E dopo aver indotto la fedele ad andare via dalla chiesa
dove si stava celebrando la S. Messa, ecco che il nostro ha una folgorazione.
Beato lui!
“ Allora ho capito perfettamente che quello che “assisteva”
alla celebrazione non era… “un gruppo stabile di fedeli aderenti alla precedente
tradizione liturgica”, ma un gruppo “catechizzato” (forse è meglio
dire indottrinato) sul rispolvero di un passato, mai conosciuto, né
vissuto, eppure tanto osannato!
E qui ti volevo… caro il nostro professore-parroco-direttore-cerimoniere.
Tu lo sapevi già da prima che si trattava di un
gruppo “indottrinato” da quel birbaccione del frate domenicano, non è
vero che lo hai capito quella famosa Domenica, tu lo sapevi da un bel po’
di tempo, anche perché quel birbaccione del frate domenicano tu
lo conosci benissimo, visto che è anche vicario episcopale per la
vita consacrata (anzi lo era perché il vescovo si è rimangiata
la parola).
Tu sapevi benissimo come la pensa quest’imbonitore di
frate impenitente, questo indottrinatore di gruppi, questo untore di messe
antiche, questo adoratore di passati mai vissuti.
Tu lo sapevi benissimo di cosa si trattava, eppure vuoi dare
ad intendere che ti sei meravigliato e poi indignato perché costoro,
frate in testa, stavano contraddicendo il Papa. …
Non è un gruppo stabile di fedeli aderenti
alla precedente tradizione liturgica. Ci vieni a dichiarare.
Ma perché, car’amico, ti aspettavi di trovare
un gruppo di vecchi bacucchi arteriosclerotici stabilmente fossilizzati
nel loro passato conosciuto e vissuto e osannato… stoltamente e patologicamente
osannato?
È questo che ti aspettavi, caro il nostro rubicondo
prete moderno?
Ed è per questo che sei rimasto deluso,
sconcertato e arrabbiato, perché invece hai trovato tanti giovani
assistiti da un giovane sacerdote che con devozione e profondo convincimento
celebrano le lodi del Signore?
È per questo che ti sei dato da fare, da allora
(novembre 2007), per dare fastidio a questa realtà che a te non
piace?
È questa la carità cristiana che ti
hanno insegnato in seminario?
La chiusa dell’articolo, poi, rivela come il nostro,
da buon prete moderno, si industrii per far dire ai Papi ciò che
vuole lui. O per meglio dire, usi i Papi per far sapere ai suoi lettori
ciò che più gli garba.
Il famoso discorso di Paolo VI al Concistoro segreto
è davvero una incredibile zappata sui piedi.
In quella occasione, Paolo VI ce l’aveva con Mons. Lefebvre,
quindi non si capisce cosa c’entri col Motu Proprio, tranne che il nostro
non abbia voluto alludere a Mons. Lefebvre per accostarlo a Padre Vincenzo
Nuara e ai fedeli tradizionali di Acireale.
Ma questo lo sa solo lui, però, perché
dalla citazione la cosa non trapela.
Vuoi vedere che la lingua batte dove il dente duole?
E già! Perché se non ci fosse stato
il Motu Proprio il nostro avrebbe apostrofato i fedeli tradizionali con
“lefebvriani”, pensando di rivolgere loro un’offesa… povero stolto! Col
Motu Proprio, invece, è rimasto fregato. E ciò nonostante
non ha potuto resistere ad una stoccata segreta, tanto sciocca quanto autocompiacente.
Contento lui!
Solo che avrebbe dovuto stare più attento. Perché
non bisogna stuzzicare il cane che dorme.
Oh! cari amici modernisti di tutte le risme! Lasciate
perdere i discorsi di Paolo VI sulla S. Messa, perché vi si rivoltano
tutti contro.
In questo famoso discorso, Paolo VI afferma: “ Il
nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico,
dopo matura deliberazione, in seguito alle istanze del Concilio Vaticano
II. Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio V aveva reso obbligatorio
il Messale riformato sotto la sua autorità, in seguito al Concilio
Tridentino.”
Prima ancora di fare notare la zappata sui piedi del nostro
arciprete-parroco, pensiamo sia opportuno rilevare due punti di questa
frase che rivelano il vezzo di Paolo VI di affermare apoditticamente cose
inesatte. I biografi stanno ancora scervellandosi per capire se si
trattava di disattenzione, di eccesso di zelo, di incontrollato entusiasmo
o di chissà che cosa.
Il nuovo Ordo è stato promulgato… in seguito
alle istanze del Concilio Vaticano II.
Sarà vero?
Certo che no!
Perché né nella lettera, né nello
spirito, il Concilio ha “avuto l’istanza” di cambiare di sana pianta il
Messale Romano. Esso fu il frutto di un gruppo di liturgisti modernisti
e irresponsabili sostenuti da Paolo VI e a cui egli non seppe o non volle
opporsi neanche di fronte alla sospetta eterodossia.
Sarà vero che quando firmò il decreto di
promulgazione del Novus Ordo piangeva dal dolore?
C’è chi dice di sì. Sarà uno dei
moderni misteri petrini?
Non diversamente il nostro santo Predecessore Pio
V aveva reso obbligatorio il Messale riformato sotto la sua autorità,
in seguito al Concilio Tridentino.
Non diversamente in che cosa?
Nel fatto che il “nuovo Ordo è stato promulgato
perché si sostituisse all’antico”!
È evidente! E in che sennò!
Sarà vero?
Certo che no! Perché:
1°, nel caso del Messale di San Pio V non
si trattava di un “nuovo Ordo”, ma dell’Ordo in vigore nella Chiesa e soprattutto
a Roma (ma dal 1300 san Francesco aveva voluto che i Francescani lo
diffondessero in tutta la Cristianità ? Povero San Francesco
se li vedesse adesso!). Quindi non v’era nulla da “sostituire”.
2°, il Messale in uso a Roma da quasi quindici secoli
(San Pio V ne sancì l’uso obbligatorio in tutta la Chiesa nel 1570)
doveva sostituire tutti gli altri messali diffusi in vari luoghi, tranne
quelli relativi ad un “rito ininterrottamente osservato per oltre duecento
anni”.
Sembra ridicolo, ma, intendendo sostituire di sana pianta
il Messale da lui stesso usato fino ad allora, Paolo VI non trova di meglio
che appellarsi al precedente del suo predecessore che tutto aveva fatto
tranne quello che intendeva fare lui.
Forse è bene lasciare da parte Paolo VI, perché
spesso si finisce col maneggiare un boomerang.
Ma veniamo alla zappata sui piedi del nostro arciprete-parroco.
Citando nientemeno che Paolo VI, egli intendeva dare
forza al suo discorso. Vuoi mettere… il Papa che ha promulgato il novus
ordo!
Ma fa il furbo, il nostro, e lo cita solo dove gli fa
comodo.
Si dimentica di citare la frase abolizionista: il
nuovo Ordo è stato promulgato perché si sostituisse all’antico
Ah! Birbantello! Ti è rimasta nella penna… eh!?
Eppure poteva servirti per dar forza al tuo ragionamento!
Come mai ti è rimasta nella penna?
Ci scusi, car’amico, non vogliamo mancarle di rispetto,
ma pensiamo proprio che anche nel suo caso il diavolo fa le pentole ma
non i coperchi: perché citare Paolo VI significa entrare in conflitto
con Benedetto XVI.
Secondo quanto afferma il Motu Proprio Summorum Pontificum
cura il Messale di San Pio V, con le piccole variazioni
introdotte da Giovanni XXIII, non è mai stato abrogato. Quindi
Paolo VI aveva torto ed ha torto. PaoloVI non fa testo, poiché o
non sapeva quello che diceva o, se lo sapeva, sapeva anche che un giorno
o l’altro si sarebbe scoperto il trucco: il Messale di San Pio V non
è mai stato abrogato perché non poteva essere abrogato,
neanche il Concilio avrebbe potuto abrogarlo, e infatti non lo ha fatto,
e questo per il semplice motivo che si tratta di un uso immemorabile
della Santa Chiesa, risalente agli Apostoli.
Solo Lutero ha ritenuto di poterlo fare, ma lui,
coerentemente, si è chiamato fuori dalla Chiesa!
Un professore-parroco-direttore-cerimoniere che non sa
neanche questo fa proprio una ben magra figura.
Coraggio, don Roberto, a imparare c’è sempre tempo…
non è mai troppo tardi!
E mentre c’è, impari bene quali sono gli elementi
normativi che scaturiscono dal Motu Proprio Summorum Pontificum
cura.
L’uso del Messale romano di San Pio V,
per gli ordinati che ne hanno facoltà, è lecito e libero
da ogni preventivo permesso, perfino della Sede Apostolica.
Elemento, questo, che fa il paio con quanto contenuto
nella Bolla di promulgazione del Messale di San Pio V (Quo
primum tempore), che annotiamo qui a fianco perché lei si renda
conto che non siamo di fronte ai “ gusti personali di pochi, spauriti
fedeli o peggio ancora di ecclesiastici nostalgici!”.
Né tampoco siamo di fronte al “rischio di
creare ‘due Chiese’; o di fronte ad un padre sconsiderato che impartisce
“una disciplina diversa per ogni figlio!”.
Caro lei… approfondisca… approfondisca… e vedrà
che siamo di fronte a persone responsabili in totale sintonia col Papa
di ieri e col Papa di oggi, in totale sintonia con la Chiesa, insomma. |
“Anzi, in virtú dell'Autorità
Apostolica, Noi concediamo, a tutti i sacerdoti, a tenore della presente,
l'Indulto perpetuo di poter seguire, in modo generale, in qualunque Chiesa,
senza scrupolo veruno di coscienza o pericolo di incorrere in alcuna pena,
giudizio o censura, questo stesso Messale, di cui dunque avranno la piena
facoltà di servirsi liberamente e lecitamente: cosí che Prelati,
Amministratori, Canonici, Cappellani e tutti gli altri Sacerdoti secolari,
qualunque sia il loro grado, o i Regolari, a qualunque Ordine appartengano,
non siano tenuti a celebrare la Messa in maniera differente da quella che
Noi abbiamo
prescritta, né, d'altra parte, possano venir costretti
e spinti da alcuno a cambiare questo Messale. ”
(Quo primum tempore, VII) |
|
Caro don Roberto, se la cosa non le sta proprio
bene, non si schermisca, non tergiversi, non si nasconda dietro articoluzzi
da dozzina, scriva al Santo Padre e glielo dica che egli sta creando
confusione, che fomenta la creazione di due chiese.
Glielo dica, è lui il responsabile, non il sacerdote
e i fedeli che ne seguono le disposizioni. Glielo dica che è lui
che rimette a nuovo l’indulto di San Pio V.
Glielo dica, come hanno fatto tanti altri suoi confratelli.
La verità è che “due Chiese” le ha create
già il postconcilio: la Chiesa di ieri, la Chiesa tradizionale,
quella che celebrava Messe “strane”, come dice il nostro professore-parroco-direttore-cerimoniere,
e la Chiesa di oggi, la Chiesa conciliare, quella che celebra Messe in
cui il popolo può “partecipare in maniera attiva, pia, fruttuosa…”,
come dice sempre il nostro, e come fosse a teatro… diciamo noi.
La verità è che “due Chiese” si ostinano
a volerle costruire i preti come il nostro, che “per evitare di essere
tacciato come progressista”, cerca disperatamente, senza riuscirci, di
nascondere la sua faziosità, i suoi preconcetti, il suo livore,
la sua cattiveria e la sua cattiva educazione.
E in questa ostinazione collaborano quei vescovi che
ascoltano i falsi buoni preti come questo.
IMUV - maggio 2008
La Voce dell'Jonio
4 Novembre 2007
La messa in latino Riflessioni liturgiche a partire dall’unica
esperienza acese
Il rischio di creare due chiese
In data 7 luglio 2007, il Santo Padre Benedetto XVI ha
pubblicato la Lettera Apostolica “Motu Proprio data” Summorum Pontificum,
sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970. Con questo
autorevole documento il Papa concede di usare legittimamente, anche se
come forma straordinaria, il Messale edito dal Beato Giovanni XXIII nel
1962. Con tale concessione Egli intende venire incontro ? nella sua sollecitudine
di Pastore Universale ? a tutti coloro che, legati all’antica forma rituale-celebrativa
della S. Messa, vogliono usare il libro liturgico del 1962.
Al lettore sprovveduto o superficiale il Motu Proprio,
come scrive il Papa, potrebbe apparire come un mettere in dubbio una delle
decisioni fondamentali del Concilio Vaticano II, quale è stata la
Riforma Liturgica, la quale resta inalterata e forma ordinaria della celebrazione
della S. Messa.
Questa introduzione mi è sembrata doverosa, onde
evitare di essere tacciato come “progressista” dinanzi all’autorità
suprema della Chiesa, verso il cui Magistero protesto l’ossequio dovuto.
Non entro in merito alle questioni teologiche e dottrinali che restano
immutate, bensì a quelle di ordine pratico che, inevitabilmente,
generano confusione nel popolo santo di Dio.
In questi anni seguiti alla riforma conciliare si è
ampliamente lavorato affinché ? come auspicato dalla Costituzione
sulla Liturgia ? il popolo potesse partecipare in maniera “attiva, pia,
fruttuosa…” alla celebrazione dei divini misteri. La stessa categoria di
“partecipazione” ha voluto superare quella di “assistenza” alla Messa.
Sono tanti, infatti, a ricordare come “una volta” mentre il prete “diceva”
Messa, il popolo recitava il Rosario che gli risultava molto più
comprensibile dell’Introibo ad altare Dei! Non credo che, culturalmente,
oggi si sia in una posizione avanzata della conoscenza della lingua latina,
come espressione di un popolo che si raduna per celebrare “il culto in
spirito e verità”.
Ho “assistito” qualche domenica fa ad una celebrazione
secondo la forma “straordinaria” e non per pre-concetto, quanto per formazione,
mi sono sentito estraneo a quanto stava avvenendo in quella Chiesa. Ho
notato un’Assemblea poco coinvolta, oltre a gente che rendendosi conto
durante lo svolgimento del Rito che quella Messa era “strana” e chiedendomi
cosa fosse, alla mia risposta chiarificatrice si è alzata e andata
via. Allora ho capito perfettamente che quello che “assisteva” alla celebrazione
non era ? secondo il desiderio del Santo Padre espresso all’art. 5 del
Motu Proprio ? “un gruppo stabile di fedeli aderenti alla precedente tradizione
liturgica”, ma un gruppo “catechizzato” (forse è meglio dire indottrinato)
sul rispolvero di un passato, mai conosciuto, né vissuto, eppure
tanto osannato! Nella prassi pastorale il rischio di creare “due Chiese”
c’è. Il colmo è proprio che ci si trova divisi proprio laddove
dovrebbe manifestarsi l’unità ecclesiale attorno all’Eucarestia,
Sacramento dell’unità. È come se in una famiglia si impartisse
una disciplina diversa per ogni figlio!
Comunque è da auspicare che la sensibilità
pastorale dei sacerdoti, ministri dell’altare, aiuti serenamente tutti
a trovare decisioni sagge e consone per un qualificato servizio al popolo
santo di Dio che resta il nostro primo obiettivo al di là dei gusti
personali di pochi, spauriti fedeli o peggio ancora di ecclesiastici nostalgici!
Risuonano profetiche e sagge le parole del servo di Dio,
il Papa Paolo VI, al Concistoro segreto del 24 maggio 1976:
“È nel nome della tradizione che noi domandiamo
a tutti i nostri figli, a tutte le comunità cattoliche, di celebrare,
in dignità e fervore la liturgia rinnovata. L’adozione del nuovo
ordo missae non è lasciato certo all’arbitrio dei sacerdoti o dei
fedeli… Con altrettanta fermezza dobbiamo dire che non ammettiamo l’atteggiamento
di quanti si credono autorizzati a creare la propria liturgia, limitando
talora, il sacrificio della messa o i sacramenti alla celebrazione della
propria vita o della propria lotta, oppure al simbolo della loro fraternità”.
La vita, anche quella cristiana, è sempre una
grande questione di equilibrio. Gli estremismi rallentano l’azione dello
Spirito e obliano ogni realtà storica che con le sue luci e le sue
ombre è sempre, e tale rimane, storia di santità.
Don Roberto Strano
Direttore ufficio liturgico diocesano
|
maggio 2008
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