“Il dovere di far riconoscere 
il posto della Tradizione nella Chiesa”

Intervista di S. Ecc.za Mons. Bernard Fellay

Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X

rilasciata a DICI il 17 settembre 2005

sull'incontro avuto col Papa il 29 agosto 2005

 
 

DICI: Monsignore, Lei aveva chiesto al papa Benedetto XVI una udienza, essa si è svolta il 29 agosto scorso. Qual era il senso della sua iniziativa?

Mons. Fellay: Abbiamo desiderato incontrare il Santo Padre perché siamo cattolici e, come tutti i cattolici, siamo legati a Roma.
Chiedendo questa udienza volevamo dimostrare, molto semplicemente,  che siamo cattolici.
Il nostro riconoscimento del papa non si limita semplicemente alla menzione del suo nome che tutti i sacerdoti della Fraternità San Pio X fanno nel Canone della Messa. 
È normale che si sottolinei la nostra deferenza in quanto cattolici romani. Cattolico significa universale e il Corpo mistico della Chiesa non si limita alle nostre cappelle.
Da parte nostra vi è anche l’intenzione di ricordare al nuovo Sovrano Pontefice l’esistenza della Tradizione; e la preoccupazione di ricordargli che la Tradizione è la Chiesa e noi incarniamo in maniera del tutto vivente la Tradizione della Chiesa. 
Vogliamo dimostrare che oggi la Chiesa sarebbe più forte nel mondo se mantenesse la Tradizione. Vogliamo così apportare la nostra testimonianza: se la Chiesa intende uscire dalla tragica crisi che vive attualmente, la Tradizione è una risposta: la sola risposta.
 

DICI: Come si è svolta l’udienza?

Mons. Fellay: L’udienza si è tenuta nella residenza estiva dei papi, a Castel Gandolfo. Prevista per le 11,30, è iniziata effettivamente alle 12,10, nell’ufficio del Sovrano Pontefice. Egli abitualmente concede ai vescovi una udienza di 15 minuti, per noi la durata è stata di 35 minuti. Gli specialisti del Vaticano dicono che questo significa che Benedetto XVI ha voluto dimostrare l’interesse che prova su queste questioni.
Eravamo in quattro: il Santo Padre, il cardinale Castrillon Hoyos, il padre Schmidberger e io. La conversazione si è svolta in francese ­ contrariamente a quanto annunciato da certe fonti che parlavano del tedesco -; essa è stata condotta dal Papa in una atmosfera benevola. Lui stesso ha enunciate tre difficoltà in risposta alla nota che gli avevamo fatto pervenire un po’ prima dell’udienza. Benedetto XVI ne aveva preso visione e non è stato necessario ritornare sui punti richiamati in quella nota.
In essa noi facevamo una descrizione della Chiesa, citando “l’apostasia silenziosa” di Giovanni Paolo II, “la barca che fa acqua da tutte le parti” e la “dittatura del relativismo” del cardinale Joseph Ratzinger, con annesse delle foto di Messe completamente scandalose.
Facevamo anche una presentazione della Fraternità, elencando delle cifre e diverse realizzazioni. 
Abbiamo citato due esempi dell’azione condotta dalla Fraternità nel mondo attuale e il corrispondente atteggiamento inverosimile dei vescovi locali: 

il processo in Argentina che ha ottenuta l’interdizione della vendita dei contraccettivi e che ci è valso l’etichetta di terroristi da parte del vescovo di Cordoba; 
la denuncia del gay-pride di Lucerna conclusosi in una chiesa cattolica con una ufficiatura protestante, nella totale indifferenza del vescovo locale.
Infine abbiamo formulato due richieste: 
cambiare il clima di ostilità nei confronti della Tradizione, clima che rende la vita cattolica tradizionale ­ ve ne è forse un altra? ­ quasi impossibile nella Chiesa conciliare, dando piena libertà alla Messa tridentina;
far tacere il rimprovero di scisma, annullando le pretese scomuniche e individuando una struttura ecclesiale per la famiglia della Tradizione.

DICI: È possibile conoscere le difficoltà sollevate da Benedetto XVI?

Mons. Fellay: Posso solo accennarne. In un primo tempo il Santo Padre ha insistito sul riconoscimento effettivo del papa e lo ha collegato alla situazione di necessità invocata per le ordinazioni episcopali di Mons. Lefebvre e per la nostra successiva attività.
Poi Benedetto XVI ha precisato che vi è un solo modo per stare nella Chiesa cattolica: accettare lo spirito del Vaticano II interpretato alla luce della Tradizione, e cioè secondo l’intenzione dei padri del concilio e secondo la lettera dei testi. Prospettiva questa che in qualche modo ci spaventa…
Infine, il Sovrano Pontefice pensa che ci servirebbe una struttura conveniente per la tenuta del rito tradizionale e di certe pratiche esteriori - senza tuttavia che ci protegga dallo spirito del concilio, che dovremmo adottare.
 

DICI: Il comunicato del Vaticano rilasciato alla fine dell’udienza parla della “volontà di procedere per gradi e in tempi ragionevoli”. Che bisogna intendere con questa espressione?

Mons. Fellay: Il Papa non ha voluto affrontare i problemi, ma semplicemente accennarli. 
Ora, in un primo tempo è davvero necessario rispondere all’esigenza del diritto di cittadinanza della Messa antica, in seguito si potranno affrontare gli errori del concilio, poiché noi vediamo in esso la causa dei mali attuali, causa diretta e per certi aspetti indiretta.
Sicuramente ci muoveremo un passo alla volta. 
Sul concilio occorre apportare un chiarimento diverso da quello fatto da Roma. 
Pur denunciandone gli errori, è indispensabile mostrare la loro logica conseguenza, la loro incidenza sulla odierna disastrosa situazione della Chiesa, senza tuttavia provocare una esasperazione che comporterebbe una rottura della discussione. 
Questo ci obbliga dunque a procedere per gradi.
A proposito dei tempi ragionevoli, a Roma si dice che sono in preparazione dei documenti per le comunità collegate alla Commissione Ecclesia Dei, qualcosa di nuovo, qualcosa mai visto fino ad ora. Aspettiamo e vediamo! 
Certo è che il Papa ha la volontà di regolare rapidamente questa situazione.

Per essere del tutto esatto, vorrei aggiungere una precisazione. 
In effetti, occorre considerare la reale situazione in cui si trova il Papa. Egli è stretto tra i progressisti e noi: se liberalizza la Messa dietro nostra richiesta, i modernisti si alzeranno dicendo che il Papa ha ceduto ai tradizionalisti. 
Nel 2000, sappiamo che Mons. Ricard, il cardinale Lustiger e l’arcivescovo di Lione si recarono di volata a Roma per bloccare ogni offerta fatta alla Fraternità, minacciando una ribellione. 
Sappiamo che allo stesso modo hanno agito i vescovi tedeschi in occasione della Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia: “O loro o noi!”. Che significa: “Se saranno riconosciuti, noi usciamo dalla Chiesa e facciamo uno scisma”.
In queste condizioni il Papa, nel corso dell’udienza, non poteva assicurarci verbalmente che in autunno, per esempio, sarebbe stata liberalizzata la Messa. Ogni promessa in questo senso, fatta da lui alla Fraternità, lo esporrebbe infallibilmente alla pressione esercitata dai progressisti. Avremmo allora il punto di vista di un papa contro una maggioranza di vescovi inclini alla secessione. Tutto questo non è da prendere in considerazione nello scompiglio attuale, anche tenendo presente la volontà di una certa restaurazione. 
Da parte mia, penso che si giungerà eventualmente ad una liberalizzazione limitata.
 

DICI: La stampa si è fatta eco di divisioni in seno alla Fraternità San Pio X. Cosa accade esattamente?

Mons. Fellay: L’annuncio di questa udienza accordata dal Papa ha provocato nei media un vero tumulto. Hanno avanzato le ipotesi più diverse, tentando di mostrare delle divisioni tra i quattro vescovi della Fraternità. I giornalisti hanno anche diffuse le minacce indirizzate al Papa dai progressisti: “Liberalizzare la Messa significa svalutare Paolo VI e la riforma liturgica”.
Ma io vi posso assicurare che all’interno della Fraternità San Pio X, i quattro vescovi sono all’unisono sui rapporti con Roma, e Mons. Williamson, di cui si è fatto il nome, non è “sedevacantista”. Non si preoccupino i media, sfortunatamente per loro la questione è fuori causa!
 

DICI: Monsignore, cosa spera adesso?

Mons. Fellay: Alcuni cardinali a Roma coltivano la speranza di veder riconosciuta la Tradizione. Lo speriamo anche noi. 
In particolare noi speriamo in una completa liberalizzazione della Messa, ma per questo vi è il forte rischio che non si tratti di una cosa di domani. 
Noi abbiamo allora il dovere di far riconoscere il posto che spetta nella Chiesa alla Tradizione , evitando di suscitare le cattive interpretazioni che se ne danno.
Occorrerà fare ammettere alle autorità romane che noi non possiamo seguire l’interpretazione che si dà del concilio, senza delle serie restrizioni; né possiamo seguire l’ecumenismo così come viene praticato oggi. 
In fondo, ciò che speriamo è di far comprendere un giorno la ragion d’essere della Tradizione.




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