Intervista 

di S. Em. il Cardinale Darìo Castrillòn Hoyos
Presidente emerito della Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”


  25 settembre 2009

Intervista rilasciata dal Card. Castrillon Hoyos al giornale tedesco  Süddeutsche Zeitung, il 25 settembre 2009.

L’intervista è stata rivista dal Cardinale perché si sappia cosa egli ha detto esattamente, e pubblicata in spagnolo dall’agenzia Zenit (http://www.zenit.org/article-32673?l=spanish )


In questa intervista è quasi riassunta tutta la polemica sorta in seguito alla remissione della scomunica ai quattro Vescovi della Fraternità San Pio X.
Qui, Sua Em. il Cardinale Castrillon Hoyos mette bene i puntini sulle i, nonostante l’insistenza dell’intervistatore che cerca di tendergli delle trappole.
Dalle domande dell’intervistatore si comprende il pregiudizio che informa la stampa laica mondiale sulla natura e il compito della Chiesa cattolica.
Per questo abbiamo ritenuto fosse il caso di fare la seguente considerazione.

Tutta la polemica, è vero, è stata montata dai mezzi di comunicazione, che hanno innescato ad arte un presunto scandalo. Ma è indubbio che tanti uomini di Chiesa non si sono dimostrati all'altezza della loro funzione, prestandosi al ridicolo giuoco anche con le smentite. Nessuno ha avuto il coraggio di zittire con forza i critici interessati, invitandoli con decisione a non immischiarsi nelle cose della Chiesa. Abbiamo assistito invece alla vergogna di certuni in abito talare, di vario colore, che hanno approfittato della situazione per sputare sulla Chiesa, quando non hanno addirittura partecipato attivamente all’orditura di tutta la campagna.
Ecco una buona occasione per dir male della Chiesa, hanno detto i moderni laici, ecco una buona occasione per far male alla Chiesa e al Papa, hanno detto i moderni chierici. E giù fesserie e invenzioni gratuite, quasi si trattasse di una battaglia politica di bassa periferia.

La cosa che più ha colpito è che di fronte alla solita strumentalizzazione orchestrata sulla supposta “questione ebraica”, molti uomini di Chiesa hanno sentito il dovere di chermirsi come bambini colti in fallo a rubare la marmellata: come bambini immaturi, tutti proni a distinguere, a precisare, a giustificarsi, anche a spese della verità… anzi, soprattutto a spese della verità. Poiché a costoro non importa niente della Verità, convinti come sono che l’unica cosa seria sia la “loro” verità, di uomini liberi e dignitosi a comodo rimorchio delle diaboliche invenzioni intellettive del mondo moderno.

No, non siamo arrabbiati, siamo solo intimoriti nel constatare in che stato si siano ridotti tanti uomini di Chiesa dopo quarant’anni di Concilio e di post-concilio.

«Chi nega il fatto della Shoah non sa nulla né del mistero di Dio, né della Croce di Cristo». Ha detto uno di questi, a riprova che è la confusione a far da padrone nelle loro teste.
L’uccisione di un certo numero di Ebrei, ad opera di superuomini figli dell’Illuminismo, accostata impunemente alla Croce di Cristo, ucciso dagli Ebrei, e addirittura al mistero di Dio.
Povero prete… nessuno gli ha ancora insegnato che cosa sia il mistero, che cosa si intenda con Dio.
Sembra evidente che, a rimorchio della incredibile Nostra Aetatae, di conciliare e anticattolica memoria, qualcuno abbia finito col convincersi che l’abominevole uccisione di un certo numero di Ebrei sia diventata un nuovo articolo di fede. Chi non crede ciecamente nella cosiddetta Shoah non può essere cattolico. E… sia chiaro…, si può anche non credere alla divinità di Cristo, alla storicità dei Vangeli, alla Verginità di Maria Santissima, all’Inferno, com’è il caso di tanti vescovi e di fin troppi “teologi”, ma è inaudito che non si creda ciecamente alla Shoah, soprattutto secondo come insegna a credere la vulgata della stampa moderna laica e anticattolica. Di Cristo se ne può parlare, dei Vangeli si può dibattere, della Vergine si può opinare, l’Inferno lo si può anche negare, ma sulla Shoah guai a porsi anche il minimo interrogativo: si commette il più grave dei peccati mortali… moderni e conciliari… ovviamente.

Quando finirà questa ridicola farsa di tanti uomini di Chiesa che, invece che alla sequela di Cristo, stanno sempre più ponendosi al seguito di tutto ciò che è al  servizio dell’Anticristo?

***

A corredo di questa intervista, pubblichiamo una laconica precisazione di Mons. Richard Williamson, relativa alla supposta fissazione della Fraternità (e dell’intero mondo tradizionale, aggiungiamo noi) secondo cui l’invenzione della moderna liturgia cattolica è una delle cause prime della deriva anticattolica del mondo moderno, dilagante ormai in tanti ambiti ecclesiali.

La necessità di fare chiarezza e rimettere le cose a posto, dando a ognuno il suo e chiamando ogni cosa col suo vero nome, è diventata non più procrastinabile, pena la distruzione della Chiesa, se possibile.


Intervista di Camilo Jiménez

- In Germania Lei è stato fortemente criticato…
In Germania? Chi mi ha criticato in Germania? Non ne so niente.

- Non è stato indicato come il principale responsabile dello scandalo dell’inizio di quest’anno relativo al vescovo Richard Williamson?
Quel che è stato detto non mi interessa assolutamente. Per me, è semplicemente un segno della cattiva informazione in un paese con una stampa e un’opinione pubblica che io considero rispettabili. Ma, a onor del vero, le reazioni di cui mi parla mi fanno capire che non sanno di che cosa parlano.

- A cosa si riferisce con “cattiva informazione”?
“Cattiva informazione” significa non conoscere ciò di cui si parla, qual è la problematica della questione, della faccenda di cui si tratta; significa sconoscere le cose e il Diritto ecclesiastico relativo. Cattiva informazione significa lasciarsi prendere da un turbine mediatico o da una sensibilità locale, che comprendiamo e rispettiamo.

- Qual è, secondo la sua opinione, la buona informazione?
È molto semplice. Mons. Marcel Lefebvre commise un atto di ribellione ordinando, nel 1988, quattro vescovi senza mandato pontificio. Questo è un atto scismatico. In adempimento alla legge ecclesiastica, furono scomunicati il Vescovo consacrante, Lefebvre, e i quattro vescovi della Fraternità da lui ordinati. Questa è la causa ed è questo il problema che si vuole risolvere. Poi si dovranno sistemare altre cose. Questo è tutto. È questo che vollero risolvere i due ultimi Papi per ricomporre l’unità della Chiesa. Quello che si dice deriva da un disconoscimento fondamentale e molto grave delle intenzioni e delle azioni dei due Papi. Ma, all’interno della stessa Chiesa vi sono di quelli che criticano il fatto che sia stata tolta questa scomunica.
Ripeto che l’unica causa della scomunica fu l’ordinazione senza mandato pontificio. Il vescovo consacrante è già morto e gli ordinati hanno chiesto, anche pubblicamente, come a Lourdes, che fosse ritirato il decreto di scomunica. Nel farlo, dopo una vasta consultazione, il Papa ha inteso porre fine ad uno scisma. E tutti i vescovi cattolici dobbiamo stare col Papa, soprattutto in una questione così importante come l’unità della Chiesa.

- Qual è stato esattamente il Suo ruolo nel processo di riconciliazione con i lefebvriani?
Dopo le ordinazioni illegittime, tra il 1988 e il 2000, non vi fu dialogo tra Roma e la Fraternità. L’ultimo dialogo, condotto dal cardinale Ratzinger e da monsignor Lefebvre, e che sfociò in un protocollo firmato da Lefebvre, si interruppe subito in seguito alla rottura che seguì le ordinazioni illegittime. Dal 1988 fino al 2000 ogni dialogo venne interrotto. I rapporti si riannodarono solo nel 2000 e iniziò un nuovo processo, seguito molto da vicino dal cardinale Ratzinger, allora membro della Commissione “Ecclesia Dei”. Nel 2001, in un concistoro presieduto dal Santo Padre, tutti i cardinali presenti accettarono il processo di reintegrazione dei lefebvriani nella comunione. Nel presentare la questione al concistoro, con una nota della Congregazione per la Dottrina della Fede, si precisò che i fratelli scomunicati non avevano un carattere eretico o scismatico. Certo, erano il prodotto di un atto scismatico. In quanto alla loro relazione col Concilio Vaticano II, furono espresse le difficoltà relative al testo di alcuni documenti e soprattutto ad alcune interpretazioni del Concilio. Le maggiori difficoltà si riferivano al decreto sulla libertà religiosa e all’ecumenismo.

- Che posizione tenne la Curia in questo processo?
Occorre avere un’idea molto chiara di che cos’è la Curia. Non si tratta di istituzioni che condizionano il Papa, al contrario, essa è un insieme di istituzioni e di persone che servono il Vicario di Cristo e successore di Pietro nella sua sollecitudine per il bene di tutte la chiese del mondo. La decisione e l’indirizzo sono solo suoi. Lo si informa, ed egli decide. È così che il Papa è stato sempre informato, sia Giovanni Paolo II, sia Benedetto XVI. I diversi dicasteri, con riunioni interdicasteriali, hanno contribuito positivamente allo sviluppo del progetto.
Ad un certo punto, per portare avanti il progetto, i lefebvriani posero due condizioni: la prima, che fosse riconosciuto a tutti i sacerdoti del mondo il diritto a celebrare la Messa secondo il Rito di San Pio V; la seconda, che fosse revocato il decreto di scomunica. Erano condizioni per giungere a dei dialoghi successivi, soprattutto di carattere dottrinale. Se non si conosce questo punto, non si comprende, non si può capire il processo.

- Lei condivide le posizioni della Fraternità San Pio X?
In relazione alla remissione della scomunica, loro hanno un punto di vista che io non condivido, che però, come punto di vista soggettivo potrebbe essere accettabile. Credono di difendere la verità, la santa tradizione, e argomentano che non possono essere scomunicati perché difendono la verità. Per questo non hanno accettato la scomunica. Una volta, parlando con Mons. Fellay, gli dissi: Se noi accettiamo l’aspetto soggettivo delle vostre convinzioni, anche voi dovete accettare che noi oggettivamente crediamo che la scomunica sia valida perché le ordinazioni furono realizzate contro un chiaro disposto della legge e della tradizione della Chiesa, e il farle senza mandato comporta la pena della scomunica. Innegabilmente è stata infranta in una materia grave una legge fondamentale della Chiesa.

- Nel corso di queste dispute, non si è posto il problema che le sue decisioni potevano avere delle conseguenze politiche? Quali sono i limiti tra interessi pubblici e dispute ecclesiastiche?
Togliere la scomunica a quattro vescovi, scomunicati perché furono ordinati senza mandato pontificio, non è un atto politico del Santo Padre, ma un esercizio della sua suprema autorità religiosa, un atto di misericordia all’interno la Chiesa. È un problema teologico-pastorale. Cosa ben diversa è l’intervento della Chiesa nella sfera politica. Si tratta di un problema teologico che è stato studiato ampiamente dalla Chiesa cattolica. Una cosa è l’illuminazione che si ottiene tramite la rivelazione per l’esame dell’assunto, altra cosa è l’esame medesimo dell’assunto pubblico e l’interferenza dei diversi gruppi in tale assunto. Un vescovo che ha chiaro questo non dovrebbe porre dei problemi

- Questo significa allora che la Chiesa dispone degli strumenti per giudicare le azioni di personaggi come Wlliamson?
Sì, vi è una dottrina chiara. Tuttavia, io non entro in questa questione, il mio lavoro non consiste nel giudicare un fratello vescovo; questo è compito della Congregazione per i Vescovi e della Congregazione per la Dottrina della Fede. Questa deve decidere se qualcuno sta affermando cose che non corrispondono alla fede cattolica com’è interpretata dalla Chiesa.

- Come reagisce la Chiesa di fronte a dichiarazioni antisemite o alla negazione dell’Olocausto?
Il rifiuto da parte della Chiesa della iniqua violenza a cui fu sottoposto il popolo ebraico è assolutamente chiaro. E indubbiamente questo rifiuto si fonda su un punto di vista morale. L’atroce genocidio razzista è un attentato morale contro l’umanità

- Allora perché non ha impedito la remissione della scomunica di Richard Williamson?
No, non è così, mi scusi. La scomunica che grava su di lui si deve esclusivamente alla sua ordinazione episcopale illegittima e non ai suoi giudizi, teorie o affermazioni sull’Olocausto. Con il parere positivo dei cardinali riuniti in concistoro, il Papa ha deciso di togliere la scomunica in cui erano incorsi questi vescovi per una ragione fondamentale: un atto di carità per consolidare l’unione della Chiesa. Qualsiasi altra cosa si dica è un errore, contrario alla verità!

- Però, vi sono opinioni contrarie dentro la stessa Chiesa.
Effettivamente, nella Chiesa vi sono state, non tanto posizioni contrarie, quanto reazioni critiche. Lo stesso Santo Padre ne ha accennato nella sua lettera sull’argomento all’episcopato mondiale. Il Papa non è solo. Praticamente lo accompagna la totalità dell’episcopato mondiale. Non ha agito per ignoranza dei fatti, ma con grande cognizione di causa. Che a questo si siano aggiunti altri fattori è un altro discorso.

- È proprio questo che intendo dire. Si sono sommati altri fattori, in special modo le dichiarazioni polemiche di Williamson. Non ritiene che il Papa, una volta conosciute le dichiarazioni di Williamson, avrebbe dovuto quanto meno postergare la divulgazione del decreto?
Io non sono uno avvezzo a formulare ipotesi o ad esprimere opinioni su ciò che il Papa dovrebbe o non dovrebbe fare. Io mi attengo a quello che ha fatto e al tipo e alla qualità delle informazioni che aveva quando l’ha fatto. E in quel momento nessuno di quelli che eravamo coinvolti nella questione conosceva le dichiarazioni del vescovo Williamson. Nessuno! E nessuno di noi era tenuto a conoscerle!
 
- Ma Williamson era conosciuto da più di vent’anni. Già nel 1989 aveva fatto delle dichiarazioni condannabili in relazione all’Olocausto.
No, no, no. Bisogna essere precisi. Non si deve dimenticare che in quell’occasione Williamson era un giovane vescovo ordinato senza permesso, che agiva fuori dalla Chiesa e senza condizioni giuridiche di legittimità. E nel 1989, questo giovane vescovo espresse in Canadà delle opinioni in relazione ad un libro che pretendeva di fare un’analisi storica dell’Olocausto, che oggi molti non condividiamo. Tra l’altro, all’epoca, questo libro non era conosciuto da tutti. Nessuno è obbligato a conoscere tutti i libri pubblicati, anche su temi importanti.

- Ma quello che disse Williamson era chiaro: “Nessun ebreo è stato ucciso nella camere a gas (…), sono menzogne, menzogne, menzogne (…) gli ebrei hanno inventato l’Olocausto”. Lei è stato Presidente del CELAM (Consiglio Episcopale Latino Americano), in America Latina il nome di Williamson era noto per le controversie che lo accompagnavano. Insiste nell’affermare che non sapeva niente di lui?
Nel CELAM, né come direttore del dipartimento, né come segretario generale, né come presidente ho mai sentito menzionare il nome di Richard Williamson. Conobbi il suo nome e seppi chi fosse nel 2000, quando invitai i vescovi lefebvriani a casa mia a Roma, per conoscerli. Quello che posso dire è che durante il lungo svolgimento dei dialoghi nessun organismo della Curia, né la Congregazione per i Vescovi, né la Segreteria di Stato, né le Nunziature dei paesi interessati, né l’episcopato canadese, né il tedesco, lo svizzero, l’austriaco o l’olandese, né una sola lettera di un fedele laico fornirono la benché minima informazione alla Commissione Ecclesia Dei, competente per la conduzione dei dialoghi, né al Santo Padre, né alla mia umile persona, che portava avanti il dialogo direttamente con Mons. Fellay. Nessuno ci ha mai detto niente circa la negazione o la minimizzazione dell’Olocausto da parte di Mons. Williamson.

- Nemmeno nel gennaio di quest’anno?
Quello che so è che la televisione svedese lo aveva intervistato il 1 gennaio di quest’anno [in realtà nel novembre del 2008 - Nota redazionale] a motivo di una ordinazione diaconale. Di questa intervista e delle dichiarazioni di Williamson fui informato solo il 5 febbraio, giorno in cui la Nunziatura informò la Segreteria di Stato su tale intervista e l’eccellentissimo Sostituto della Segreteria mi trasmise l’informazione, che conservo, timbrata 5 febbraio 2009.

- Ma, secondo alcune fonti interne al Vaticano, si dice che nei giorni precedenti il 21 gennaio arrivò in Vaticano un fax che avvertiva delle dichiarazioni di Williamson.
No, un momento, siamo chiari: la notizia ufficiale giunse il 5 febbraio. E io mi sono chiesto più volte per quale ragione, se l’intervista si svolse il 1 gennaio [in realtà nel novembre del 2008- nota redazionale], sia stata pubblicata solo il 21. Questo significa che si aspettò fino a che il decreto, il cui studio era segreto, fosse firmato, il 14 gennaio. Perché l’intervista venne diffusa solo allora?

- Lei che ne pensa?
A me non piace fare illazioni. Io lavoro oggettivamente, non penso né bene, né male delle persone se prima non sono assolutamente sicuro. Io giudico solo in base ai fatti. E il fatto è che l’opinione pubblica è stata informata e bersagliata solo in quel preciso momento.

- Ma il colpo più grande lo diede lo stesso Williamson, dicendo quello che ha detto e ben sapendo che si profilava il decreto di remissione della scomunica.
No, Williamson, non necessariamente ne era a conoscenza. Egli non partecipava direttamente ai dialoghi con Roma.  Mons. Fellay ha mantenuto personalmente la rappresentanza della Fraternità e nella maggior parte dei dialoghi era solo. Io generalmente ero accompagnato da qualche ufficiale della mia Commissione. Naturalmente, alcuni momenti del processo venivano attuati in privato con le autorità della Santa Sede. Dopo veniva informato Mons. Fellay. Solo loro sapevano che la questione era allo studio. Dopo un vasto e accurato studio del tema della scomunica, quando già il decreto di remissione era stato approvato dal Santo Padre e firmato dal Card. Re, il 14 gennaio del 2009, ho ricevuto dallo stesso cardinale il testo firmato e, a casa mia, l’ho consegnato a Mons. Fellay, pregandolo di informare gli altri tre vescovi della Fraternità. Solo allora essi seppero che a partire dal 21 gennaio sarebbero stati liberi dalla scomunica, e si chiese loro di conservare il segreto fino al giorno 24, quando sarebbe stato pubblicato ufficialmente il decreto. Se qualcuno in Germania o in qualunque altra parte del mondo afferma un’altra cosa, mente, o per malafede o per ignoranza.

- Ma apparentemente Fellay conosceva le dichiarazioni rilasciate da Williamson alla televisione, dato che il 21 di gennaio inviò una lettera all’emittente svedese per impedire la pubblicazione dell’intervista.
Di questo non so niente.

- E a Lei non dispiace che Fellay, invece di inviare questa lettera in Svezia, non l’abbia inviata a Lei per informarLa delle dichiarazioni di Williamson ed evitare che scoppiasse tale controversia?
A me dispiace di non conoscere moltissime, moltissime cose. E fra queste quella.

- Williamson dice di averLa conosciuta ad un pranzo.
Si. Poco dopo che il Papa mi nominò presidente della Commissione Ecclesia Dei, dal mio ufficio alla Prefettura del Clero, vidi un giorno un gruppo di persone in abito talare, in piena estate. Chiesi al mio segretario di scoprire chi fossero. Mi disse che erano lefebvriani. Li invitai a casa mia ed essi accettarono.

- Che impressione Le fecero?
Era gente buona, ma forse troppo ferma, quasi ossessivamente, su una cosa sola: la fonte di tutti i mali della Chiesa e del mondo era la riforma del rito della Messa dopo il Concilio. Io non avevo organizzato quel pranzo per discutere con loro, ma volevo solo conoscerli. E allora, per alleggerire la discussione, dissi che a me piacevano le lingue e se si fosse dovuta scegliere una lingua per celebrare l’Eucarestia avrei scelto l’aramaico, che era la lingua di Cristo. Dissi loro che non sapevo chi aveva avuto la cattiva idea di cambiare la lingua di Cristo con la lingua dei suoi persecutori. Era uno scherzo, evidentemente.

- E loro cosa dissero?
Niente. Cambiai immediatamente argomento. A questo incontro seguirono dei regolari dialoghi, che condussero ad un primo incontro con Giovanni Paolo II, e più tardi con Benedetto XVI nell’agosto del 2005.

- Come ricorda Williamson in quella volta che lo conobbe?
Mi è sembrato una persona onesta, ma con una tempra molto particolare. Capivo che non era uno stupido, ma mi è sembrato un po’ ossessivo e molto testardo.

- A cosa si riferisce esattamente quando dice “onesto”?
A un uomo che dice ciò che pensa. Williamson non mi sembrò una persona che cerca di trarre in inganno. Mi sembrò un uomo semplice, talvolta molto estremo sulle sue posizioni, ma in definitiva un uomo di fede semplice e sincera.

- In Vaticano, nessuno conosceva le dichiarazioni di Williamson prima del 5 febbraio? Lei sa cos’è il Vaticano. Apparentemente un insieme di istituzioni che comunicano malamente fra loro.
Sa quanti siamo? Siamo tantissimi. Sono sicuro che molti, come me stesso, non avevano la minima idea di quello che aveva diffuso un canale svedese o di quello che aveva detto Williamson vent’anni prima in Canadà. Tenga conto di questo: nel 1989 io ero vescovo di Pereira. Un povero vescovo di Pereira sommerso dal lavoro per la sua città, per i suoi contadini, i suoi indigeni, con buona parte della diocesi nella foresta vergine, che va a controllare quello che afferma in un altro posto un vescovo che nemmeno conosce. Quantunque conoscessi Mons. Lefebvre perché una sua sorella viveva col marito a Pereira e Mons. Lefebvre qualche volta veniva a trovarla.

- Un vecchio amico?
Un simpatica conoscenza. Nella sua ultima visita, informato dalla sorella, le chiesi se, data la gravità dei problemi già esistenti con Roma, riteneva utile che lo incontrassi. Lei mi disse di no. Così, quando venne a Pereira non lo vidi.

- Ma, anche il portavoce del Vaticano ne ha parlato pubblicamente.
Vero è che Padre Lombardi dichiarò pubblicamente ad un giornalista una cosa inesatta, ma è anche vero che sempre pubblicamente l’ha ritrattata. E si è scusato con me. È importante ricordare che in quell’occasione egli non parlava come portavoce del Papa.

- E le accuse fatte da Ebbehard van Gremmingen?
Non so chi sia.

- Il direttore della Radio Vaticana in Germania; le cui affermazioni degli ultimi mesi non hanno presentato molto bene la sua persona di fronte all’opinione pubblica tedesca.
Non mi meraviglio se dopo che il portavoce del Papa, Padre Lombardi, abbia detto una cosa inesatta, il suo subalterno Gremmingen l’abbia ripetuta.

- Il Cardinale Re ha dichiarato di essersi sentito ingannato da Lei.
Che io sappia, il Cardinale Re non ha detto di essersi sentito ingannato da me. Io conoscono molto bene le parole che ha usato, secondo la stampa, per riferirsi a me in forma poco delicata. Per questo gli scrissi una lettera dicendogli molto chiaramente che se vi era qualcuno che doveva essere opportunamente a conoscenza delle controverse dichiarazioni di Williamson era lui.

- Perché lui?
Per due semplici ragioni: prima perché ha lavorato per molti anni alla Segreteria di Stato, e stava lì all’epoca dei fatti. Quando si tratta di questioni importanti le Nunziature informano la Segreteria di Stato. Secondo, perché Williamson è un vescovo, e la Congregazione dei Vescovi, di cui il Cardinale Re è il Prefetto, è l’organismo che nella Chiesa tiene il curriculum della vita dei vescovi.

- Anche al suo collega alla Commissione Ecclesia Dei, Mons. Perl, sono stati mossi dei rimproveri.
No, non vedo quale responsabilità egli abbia. In ogni caso, non sono qui per stabilire delle responsabilità a priori. Se ho parlato del Cardinale Re è per una sola ragione: perché il suo dipartimento è organicamente incaricato di conoscere ciò che dicono i vescovi e i media su di loro.

- E che direbbe a coloro che affibbiano una parte di responsabilità ai monsignori Filone e Mamberti?
Mons. Dominique Mamberti non ha alcuna responsabilità perché è capo della sezione incaricata delle relazioni con gli Stati e la cosa non rientra nelle sue competenze. Mons. Filoni, durante il periodo più intenso dei dialoghi non era ancora alla Segreteria di Stato. Avrebbe potuto avere delle conoscenze d’archivio su Williamson, ma non lo credo. Ma, in fondo, chi era Williamson? Una figura insignificante. Un seminarista che credeva in Lefebvre e che questi ordinò sacerdote quand’era molto giovane. Chi avrebbe dovuto saperne qualcosa? Non interessava a nessuno!

- Però interessava ai media, già da tempo.
Questo l’ho sentito più di una volta, però in Colombia, prima dello scandalo, non ho mai sentito parlare di questo da nessun giornale.

- Ma non stiamo parlando dei media colombiani
Neanche in Italia si parlò della cosa, non ho mai sentito parlare nessun giornale dell’argomento. È molto facile pronunciare certe frasi che sono pericolose. Naturalmente, in Canadà possono verificarsi altre situazioni per altri tipi di interesse.

- Ma non riferisco ai media italiani o agli Ebrei. Mi riferisco ai media tedeschi che sono informati molto bene e hanno seguito Williamson per un po’ di tempo. La rivista Der Spiegel, per esempio, prima dei fatti di gennaio pubblicò una dettagliata relazione nella quale faceva riferimento a dichiarazioni pubbliche di Williamson relative all’Olocausto. Com’è possibile che in Vaticano nessuno legga Der Spiegel?
Non capisco la domanda, perché credo che nessuno abbia affermato che in Vaticano nessuno legga Der Spiegel. È forse possibile che la sezione tedesca della Segreteria di Stato lo abbia saputo, però su questo non sono informato, so della riduzione del personale in relazione all’ingente lavoro della sezione.

- Può fare qualche nome?
No.

- Ha visto mutata la sua relazione col Papa dopo questo scandalo?
Sì, certo! In meglio! Abbiamo sempre lavorato fianco a fianco. Non solo lo considero con venerazione perché è il Vicario di Cristo, ma ho anche deferenza per la sua persona, per quel che conta come teologo di prima categoria nella Chiesa, perché per me è come il difensore della fede e un amico del quale ho sempre avuto fiducia. E questo non è cambiato, se non, al contrario, per il rafforzamento del nostro affetto.

- Che ne pensa della ristrutturazione indotta nella Chiesa a partire dal Motu Proprio del Papa a luglio?
Vedo alcune cose molto chiare e altre non tanto. È chiaro, per esempio, che si conoscono più ampiamente le critiche alla Chiesa, al Concilio Vaticano II, relative al campo teologico, anche se tali critiche provengono da persone singole e non possono essere considerate come ufficiali dell’istituzione San Pio X, è naturale chiedere un dialogo diretto con la Congregazione per la Dottrina della Fede. Vi sono, comunque, altri aspetti pastorali che devono essere trattati, relativi a sacerdoti e fedeli, perché si possa giungere ad una piena comunione con il pensiero della Chiesa e, in special modo, col suo capo visibile che è il Vicario di Cristo. Vi sono aspetti liturgici che non possono essere trascurati.

- In una intervista pubblicata in marzo ne El Tiempo, Lei dice che l’esistenza delle camere a gas non è un problema morale, ma un problema storico. Lo spieghi.
No, no, no … non ho detto questo!

- Però è così che sembra dall’intervista.
Quante cose si leggono in interviste apparentemente personali che sono esattamente il contrario di ciò che uno ha detto! La cosa è molto semplice: l’atroce genocidio di cui è stato vittima il popolo ebraico è un atto che ovviamente rientra nel campo morale, la tortura è un atto morale, senza alcun dubbio. Ma dire che non sono stati uccisi dieci ma cinque, non è un giudizio morale, è un errore storico.

- Ma, Williamson nega la Shoà.
Non la nega, la riduce. Io non conosco una sua dichiarazione in cui neghi il genocidio. Egli non fa che ridurlo, minimizzarlo. E questa è una considerazione storica. Il problema morale è esclusivamente quello del genocidio, aggravato se si accompagna alla componente razzista. Il fatto è che se anche una sola persona fosse stata messa nella camera a gas si tratterebbe ugualmente di un reato inammissibile e riprovevole. Non si può. Per tutto questo è assolutamente inaccettabile il riduzionismo dell’Olocausto.

- Però, fare dichiarazioni come Wlliamson, nella consapevolezza che si causa un danno a una persona o a un gruppo, dev’essere condannabile dal punto di vista morale.
Questo lo ha riconosciuto lo stesso Williamson. Io ho parlato con lui, e lui ha chiesto perdono alle persone, ai famigliari delle vittime e alle istituzioni per i danni causati con le sue dichiarazioni. Le sue scuse furono insufficienti.

- E cosa avrebbe detto il Vaticano se Williamson avesse negato e non solo minimizzato l’Olocausto?
Il negazionismo non tocca l’essenza della Chiesa. Si tratta di un disordine, di un problema che, al pari di altri, può risolversi. È un problema che vi sia della gente che non si pronuncia e che respinge il terrorismo, è un problema che vi sia della gente che taccia a fronte dell’omicidio doloso, che vi sia della gente che acconsenta, pratichi o difenda l’aborto.

- E come agisce la Chiesa di fronte a questi “problemi”?
Richiama l’attenzione, presenta la dottrina e, se necessario, impone sanzioni. Nel caso di Williamson si deve aspettare, perché egli non è in piena comunione con la Chiesa. Oggi la sua autorità è la Fraternità, quando arriverà il momento la Chiesa potrebbe, per esempio, proibirgli di predicare, perché non ha dimostrato di possedere la saggezza necessaria del predicatore.

- Cos’avrebbe fatto se avesse conosciuto le dichiarazioni di Williamson prima dell’interessamento dei media?
Visto che non è in piena comunione, non spetta a noi riprenderlo o punirlo. Spetta a Mons. Fellay, che è il suo superiore, ed egli lo ha fatto.

- Rifarebbe ciò che fatto nel caso dei lefebvriani?
Esattamente! In quanto alla scomunica. Io stavo lavorando ad un problema specifico, che era quello di quattro vescovi ordinati senza permesso. Niente di più.

- Come si sente dopo lo scandalo?
Mi sento un po’ infastidito. Ma il fastidio mi passa molto rapidamente, perché sono un uomo che guarda sempre al futuro. Mi dico sempre, “il mio quarto d’ora” di responsabilità in quest’impegno è finito. I miei occhi, il mio spirito, il mio cuore vanno subito al nuovo quarto d’ora che mi dà il Signore. Dopo aver compiuto 80 anni guardo al grande “quarto d’ora” della mia lunga vita sacerdotale ed episcopale. Sono stato presidente dell’“Ecclesia Dei”, mi interessa la Chiesa e farò tutto il possibile per la piena unità della stessa, volgerò il mio interesse alla sua santificazione, come pure alla meravigliosa ricchezza dei suoi antichi riti tradizionali. In questo momento ho la testa volta al nuovo “quarto d’ora”.

- Pensa che l’opinione pubblica lo abbia maltrattato?
Io ho sempre avuto molto a che fare con i media. So che uno dei difetti del giornalismo è la ricerca dello “scoop” con polemiche e vittime. Io, per questo, ho la pelle del coccodrillo, capace di sopportare i colpi quando arriva il mio turno, ma queste cose non mi toccano. Non mi è mai venuto in mente di chiedere ritrattazioni, perché è inutile: la verità viene sempre a galla.  La verità a proposito del tema attuale è quella che abbiamo appena detta.




ottobre  2009

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