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Intervista di Mons. Bernard Fellay del 2 febbraio 2011
L'intervista è stata pubblicata sul sito del Distretto italiano della Fraternità San Pio X in due parti: I parte - II parte (l'impaginazione è nostra) 1. Monsignore, Lei ha scelto di intraprendere dei colloqui dottrinali con Roma. Ce ne può ricordare lo scopo? Occorre distinguere lo scopo
romano dal nostro. Roma ha indicato che esistevano dei problemi
dottrinali con la Fraternità e che bisognava chiarirli prima di
un riconoscimento canonico, - problemi che chiaramente sarebbero da
parte nostra, trattandosi dell’accettazione del Concilio. Ma per noi si
tratta di altra cosa, noi desideriamo dire a Roma ciò che la
Chiesa ha sempre insegnato e, per ciò stesso, intendiamo
evidenziare le contraddizioni che esistono fra questo insegnamento
plurisecolare e ciò che si pratica nella Chiesa da dopo il
Concilio. Per quanto ci riguarda, è questo il solo scopo che
perseguiamo.
2. Qual è la natura di questi colloqui: negoziati, discussioni o esposizione della dottrina? Non si può parlare di
negoziati. Non si tratta affatto di questo. Vi è, per un verso,
un’esposizione della dottrina, e per l’altro una discussione,
poiché abbiamo effettivamente un interlocutore romano col quale
discutiamo su dei testi e sul modo di comprenderli. Ma non si
può parlare di negoziati, né di ricerca di un
compromesso, poiché si tratta di una questione di Fede.
3. Ci può ricordare il metodo di lavoro utilizzato? Quali sono i temi che sono già stati affrontati? Il metodo di lavoro è
quello dello scritto: vengono redatti dei testi sui quali si
baserà il colloquio teologico ulteriore. Sono già stati
affrontati diversi temi. Ma per adesso lascio questa domanda in
sospeso. Posso dire semplicemente che siamo alla conclusione,
poiché abbiamo fatto il giro delle grandi questioni poste dal
Concilio.
4. Può presentarci gli interlocutori romani? Sono degli esperti,
cioè dei professori di teologia che sono anche consultori della
Congregazione per la Dottrina della Fede. Si può dire dei
«professionisti» di teologia. Vi è uno svizzero, il
Rettore dell’Angelicum, il
Padre Morerod; un gesuita, un po’ più anziano, il Padre Becker;
un membro dell’Opus Dei, nella
persona del suo Vicario generale, Mons. Ocariz Braña; poi Mons.
Ladaria Ferrer, Segretario della Congregazione per la Dottrina della
Fede, e infine il moderatore, Mons. Guido Pozzo, Segretario della
Commissione Ecclesia Dei.
5. Vi è un’evoluzione nel pensiero dei nostri interlocutori, dopo che hanno letto le esposizioni dei teologi della Fraternità? Non penso che si possa dirlo.
6. Mons. De Galarreta, nel corso dell’omelia per le ordinazioni a La Reja, a dicembre 2010, ha detto che Roma aveva accettato che il Magistero anteriore al Vaticano II fosse assunto come «unico criterio comune e possibile» in questi colloqui. Vi è qualche speranza che i nostri interlocutori rivedano il Vaticano II o si tratta di una cosa impossibile per loro? Il Vaticano II è veramente una pietra d’inciampo? Penso che bisogna porre la
domanda in altro modo. Dalle distinzioni fatte da Papa Benedetto XVI
nel suo discorso del dicembre 2005, si capisce molto bene che una certa
interpretazione del Concilio non è più permessa e dunque,
senza parlare direttamente di una revisione del Concilio, vi è
malgrado tutto una certa volontà di rivedere il modo di
presentare il Concilio. La distinzione può sembrare sottile, ma
è proprio su questa distinzione che si basano coloro che non
vogliono toccare il Concilio e che nondimeno riconoscono che, a causa
di un certo numero di ambiguità, vi è stata un’apertura
in direzione di strade proibite, di cui bisogna ricordare che sono
proibite. – Il Vaticano II è una pietra d’inciampo? Per noi
sì, senza alcun dubbio!
7. Perché è così difficile per loro ammettere una contraddizione tra il Vaticano II e il Magistero anteriore? La risposta è molto
semplice. Dal momento in cui si riconosce il principio secondo il quale
la Chiesa non può cambiare, se si vuole fare accettare il
Vaticano II si è obbligati a dire che esso non ha cambiato
niente. È per questo che non accettano di riconoscere delle
contraddizioni tra il Vaticano II e il Magistero anteriore. E tuttavia
sono a disagio nello spiegare la natura del cambiamento che è
effettivamente accertato.
8. Al di là della testimonianza della Fede, è importante e vantaggioso per la Fraternità recarsi a Roma? È pericoloso? Pensa che questo possa durare a lungo? È molto importante
che la Fraternità porti questa testimonianza, è anche la
ragione di questi colloqui dottrinali. Si tratta veramente di far
risuonare a Roma la fede cattolica e – perché no? – ancor meglio
farla risuonare in tutta la Chiesa.
Un pericolo esiste, ed è quello di nutrire delle illusioni. Si capisce che certi fedeli hanno potuto nutrire delle illusioni. Ma gli ultimi avvenimenti hanno provveduto a dissiparle. Penso all’annuncio della beatificazione di Giovanni Paolo II o a quello di una nuova Assisi nella linea delle riunioni interreligiose del 1986 e del 2002. 9. Il Papa segue da vicino questi colloqui? Li ha già commentati? Penso di sì, ma non
so nulla di preciso. Li ha commentati? In occasione della riunione dei
suoi collaboratori, a Castel Gandolfo, ha detto che era soddisfatto.
È tutto.
10. Si può dire che il Santo Padre, che da più di venticinque anni ha trattato con la Fraternità, oggi si dimostri nei suoi confronti più favorevole che nel passato? Non ne sono sicuro.
Sì e no. Penso che in quanto papa egli abbia il fardello di
tutta la Chiesa, la preoccupazione per la sua unità, il timore
di vedere dichiarato uno scisma. Lui stesso ha detto che erano questi i
motivi che lo spingevano ad agire. Oggi egli è il capo visibile
della Chiesa ed è questo che può spiegare perché
agisce così. Questo significa che manifesta una maggiore
comprensione per la Fraternità? Io credo che egli abbia una
certa simpatia per noi, ma con dei limiti.
11. Riassumendo, che direbbe oggi di questi colloqui? Se occorresse rifarli, li
rifarei. È molto importante. È capitale. Se si spera di
correggere tutto un movimento di pensiero, non si può fare a
meno di questi colloqui.
12. Da qualche tempo si fanno sentire le voci di ecclesiastici, come Mons. Gherardini o Mons. Schneider, che nella stessa Roma pronunciano delle vere critiche sui testi del Vaticano II, non solo sulla loro interpretazione. Si può sperare che questo movimento si amplifichi e penetri all’interno del Vaticano? Io non dico che lo si
può sperare, ma che bisogna sperarlo. Bisogna veramente sperare
che questi inizi di critiche - diciamo: obiettive, serene – si
sviluppino. Fino ad oggi si è sempre considerato il Vaticano II
come un tabù, e questo rende quasi impossibile la guarigione da
questa malattia che è la crisi nella Chiesa. Occorre poter
parlare dei problemi e andare al fondo delle cose, altrimenti non si
arriverà mai ad applicare i rimedi giusti.
13. La Fraternità può svolgere un ruolo importante in questa presa di coscienza? Come? Qual è il ruolo dei fedeli in questo contesto? Da parte della
Fraternità sì, essa può svolgere un ruolo, e
precisamente quello di presentare ciò che la Chiesa ha sempre
insegnato e di porre delle obiezioni sulle novità conciliari. Il
ruolo dei fedeli consiste nel dare una prova con l’azione,
poiché essi sono la prova che oggi la Tradizione è
vivibile. Ciò che la Chiesa ha sempre chiesto, la disciplina
tradizionale, è non solo attuale, ma realmente vivibile anche
oggi.
(torna su)
14. Monsignore, pensa che il Motu Proprio, malgrado le sue deficienze, sia un passo in favore della restaurazione della Tradizione? È un passo capitale.
È un passo che si può chiamare essenziale, anche se fino
ad oggi praticamente non ha avuto effetto, o molto poco, perché
vi è un’opposizione massiccia dei vescovi. In termini di
diritto, il fatto di aver riconosciuto che l’antica legge, quella della
Messa tradizionale, non è mai stata abrogata è un passo
capitale per ridare il suo posto alla Tradizione.
15. Concretamente, a partire dal Motu Proprio, Lei ha visto nel mondo degli importanti cambiamenti da parte dei vescovi sulla Messa tradizionale? No. Qui o là alcuni
obbediscono al Papa, ma sono rari.
16. E per quanto riguarda i sacerdoti? Sì, vedo un grande
interesse da parte loro, ma molti di essi sono perseguitati. Occorre un
coraggio straordinario per osare semplicemente applicare il Motu
Proprio così com’è stato emanato. Certo, vi sono sempre
più sacerdoti che si interessano alla Messa tradizionale,
soprattutto tra le giovani generazioni. E questo è consolante!
17. Vi sono delle comunità che hanno deciso di adottare l’antica liturgia? Forse ve ne sono diverse, ma
ve n’è una che si conosca, in Italia, quella dei Francescani
dell’Immacolata, che ha deciso di ritornare all’antica liturgia. Per il
ramo femminile questo è già stato fatto. Per i sacerdoti
che sono implicati nella vita delle diocesi la cosa non è sempre
facile.
18. Cosa consiglia ai fedeli che, a partire dal Motu Proprio e grazie ad esso, hanno una Messa tradizionale più vicina per loro di quanto lo sia una cappella della Fraternità San Pio X? Per prima cosa io consiglio
di chiedere il parere dei sacerdoti della Fraternità, di non
andare alla cieca a qualunque Messa tradizionale celebrata vicino a
loro. La Messa è un tesoro, ma vi è anche il modo di
dirla e tutto quello che l’accompagna: l’omelia, il catechismo, il modo
di amministrare i Sacramenti… Ogni Messa tradizionale non è
automaticamente accompagnata dalle condizioni richieste perché
porti tutti i suoi frutti e protegga l’anima dai pericoli della crisi
attuale. Dunque, si chieda prima consiglio ai sacerdoti della
Fraternità.
19. La liturgia non è l’elemento di fondo della crisi nella Chiesa. Lei pensa che il ritorno della liturgia sia sempre l’inizio di un ritorno all’integrità della Fede? La Messa tradizionale ha una
potenza di grazia assolutamente straordinaria. Lo si vede nell’azione
apostolica, lo si vede soprattutto nei sacerdoti che ritornano ad essa,
è veramente l’antidoto alla crisi. Essa è realmente molto
potente, a tutti i livelli, quello della grazia, quello della fede…
Penso che se si lasciasse una vera libertà alla Messa antica la
Chiesa potrebbe uscire assai presto da questa crisi, ma nondimeno
questo comporterebbe parecchi anni!
20. Da lungo tempo, il Papa parla della «riforma della riforma». Lei pensa che egli voglia tentare di conciliare la liturgia antica con la dottrina del Vaticano II, in una riforma che sarebbe una via di mezzo? Ascolti, per adesso non se
ne sa niente! Si sa che egli vuole questa riforma, ma fin dove
andrebbe? E alla fine tutto sarebbe fuso insieme, «forma
ordinaria» e «forma straordinaria»? Non è
quello che troviamo nel Motu Proprio, che chiede che si distinguano
bene le due «forme» e che non le si mischi: il che è
molto saggio. Occorre aspettare e vedere, per adesso atteniamoci a
ciò che dicono le autorità romane.
(torna su)
21. Il Santo padre ha annunciato la prossima riunione di Assisi. Lei ha reagito nella sua omelia a Saint-Nicolas, del 9 gennaio 2011, e ha fatto sua l’opposizione che fu di Mons. Lefebvre in occasione della prima riunione di Assisi, 25 anni fa. Pensa di intervenire direttamente presso il Santo Padre? Se me ne sarà data
l’occasione e se essa potrà portare dei frutti, perché no?
22. È così grave chiamare le altre religioni ad operare per la pace? Sotto un certo aspetto, e
solo sotto tale aspetto, no. Chiamare le altre religioni ad operare per
la pace – una pace civile – non è un problema; ma in questo caso
non si tratterebbe del livello religioso, ma di quello civile. Non
sarebbe un atto di religione, ma molto semplicemente l’atto di una
società religiosa che opera civilmente in favore della pace. E
non sarebbe la pace religiosa ad essere ricercata, ma la pace civile
tra gli uomini.
Invece, chiedere che in occasione di questa riunione si pongano degli atti religiosi è un’assurdità, perché tra le religioni vi è un’incomprensione radicale. In queste condizioni non si capisce cosa significhi tendere alla pace, quando non si è neanche d’accordo sulla natura di Dio, sul significato che si dà alla divinità. Ci si chiede veramente come si possa giungere a qualcosa di serio. 23. Si può pensare che il Santo Padre non intenda l’ecumenismo alla stessa maniera di Giovanni Paolo II. Non si tratterebbe di una differenza di grado nello stesso errore? No, io credo che egli
l’intenda alla stessa maniera. Egli dice proprio: «È
impossibile pregare insieme». Ma bisogna vedere cosa intenda con
questo esattamente. Ne ha data una spiegazione nel 2003, in un libro
intitolato «La fede, la
verità, la tolleranza, la cristianità e le religioni del
mondo». Trovo che egli tagli il capello in quattro. Cerca
di giustificare Assisi. Ci si chiede proprio come questo sarà
possibile il prossimo ottobre.
24. Degli intellettuali italiani hanno manifestato pubblicamente la loro inquietudine sulle conseguenze di una tale riunione. Conosce altre reazioni all’interno della Chiesa? Hanno ragione. Vediamo altre
reazioni all’interno della Chiesa? Negli ambienti ufficiali, no. Da
noi, evidentemente sì.
25. Vi sono state delle reazioni dalle comunità Ecclesia Dei? Che io sappia, no.
26. Come spiega che il Santo Padre che denuncia il relativismo in campo religioso e che si era anche rifiutato di assistere alla riunione di Assisi del 1986, possa voler commemorare tale riunione reiterandola? Per me è un mistero.
Non lo so. Penso che forse egli subisca delle pressioni o delle
influenze. Probabilmente è spaventato per le azioni
anticristiane, le violenze anticattoliche: le bombe in Egitto, in Iraq.
Forse è questa la ragione che lo ha spinto ad attuare quest’atto
di una nuova Assisi, atto che non voglio chiamare disperato, ma che
è stato posto in maniera disperata… Prova a fare qualcosa. Non
mi stupirei se fosse così, ma non so niente di più.
27. Vi è la possibilità che il Santo Padre rinunci a questa manifestazione religiosa? Non si sa molto bene come
verrà organizzata. Bisognerà vedere. Suppongo che
cercheranno di provare a minimizzarla, poiché, ancora una volta,
per l’attuale Papa è impossibile che dei gruppi differenti
possano pregare insieme quando non riconoscono lo stesso Dio. Ci si
chiede quindi ancora e sempre cos’è che possano fare insieme!
28. Che devono fare i cattolici di fronte a quest’annuncio di un’Assisi III? Pregare che il Buon Dio in
un modo o in un altro intervenga perché la cosa non avvenga, e
in ogni caso incominciare già a riparare.
(torna su)
29. L’annuncio della prossima beatificazione di Giovanni Paolo II pone un problema?
Un problema grave, quello di un
pontificato che ha fatto fare dei balzi in avanti in senso negativo,
nel senso del progressismo e di tutto ciò che si chiama
«spirito del Vaticano II». Si tratta dunque della
consacrazione, non solo di Giovanni Paolo II, ma anche del Concilio e
di tutto lo spirito che l’ha accompagnato.
30. Vi è un nuovo concetto di santità dopo il Vaticano II?
C’è da temerlo! È un
concetto di santità per tutti, di santità universale. Non
è falso dire che vi è una chiamata, una vocazione alla
santità per tutti gli uomini, ma è falso abbassare la
santità ad un livello che lascia credere che tutti vadano in
cielo.
31. Come potrebbero essere permessi da Dio dei veri miracoli per autenticare una falsa dottrina, in occasione delle molteplici beatificazioni e canonizzazioni fatte in questi ultimi anni? È questo il problema:
sono dei veri miracoli? Sono dei prodigi? Secondo me vi sono dei dubbi.
Sono molto stupito della leggerezza con la quale si trattano queste
cose, per quanto io possa saperne.
32. Se la canonizzazione impegna l’infallibilità pontificia, possiamo rifiutare i nuovi santi canonizzati dal Papa? È vero che vi
è un problema sulla questione delle canonizzazioni attuali.
Tuttavia ci si può chiedere se nei termini utilizzati dal Sommo
Pontefice vi sia una reale volontà di impegnare
l’infallibilità. Per la canonizzazione, questi termini sono
cambiati, e sono divenuti meno forti di un tempo. Penso che questo vada
di pari passo con la nuova mentalità che non vuole definire
dogmaticamente impegnando l’infallibilità. Tuttavia,
riconosciamo che su questo ci troviamo su un terreno problematico… Non
v’è risposta soddisfacente, se non quella dell’intenzione
dell’autorità suprema di impegnare o meno la sua
infallibilità.
33. Si può scegliere tra i nuovi santi proposti alla venerazione dei fedeli? Che ne è di Padre Pio? Penso che non bisogna
scegliere. Tuttavia, si possono sempre conservare i criteri che sono
stati riconosciuti universalmente in passato, così, quando vi
è una massiccia devozione popolare, come per Padre Massimiliano
Kolbe o per Padre Pio, la cosa non dovrebbe presentare delle
difficoltà. Ma, ancora una volta, in assenza di un giudizio del
Magistero dogmaticamente enunciato, qui si tratta solo di opinioni.
34. Per Mons. Lefebvre, conosce degli esempi di grazie ottenute per sua intercessione? Si, se ne conoscono, e
perfino abbastanza. Ma non so se appartengono veramente all’ordine dei
miracoli, forse per l’uno o l’altro caso. Quando si tratta di
guarigioni non si hanno, a mia conoscenza, tutti i documenti medici
necessari. Per intercessione di Mons. Lefebvre sono ottenute molte
grazie, ma non mi spingo oltre.
35. La Fraternità ha appena festeggiato un importante anniversario. Come può riassumere questi 40 anni? Una storia entusiasmante…
lacrime, molte, in mezzo a grandi gioie. Una delle gioie più
grandi è quella di constatare fino a che punto il Buon Dio ci
permette di essere associati a molte delle beatitudini che ha predicato
nel Discorso della Montagna, come quella di poter soffrire a causa del
Suo Nome. E attraverso tutte le vicissitudini della crisi attuale,
vediamo che quest’opera continua a crescere – cosa che, umanamente
è prossima all’impossibile. È proprio il segno di Dio
sull’opera di Mons. Lefebvre.
36. Vi è un aumento delle vocazioni? E se sì, quali sono le cause? Credo che vi sia una grande
stabilità. Amerei vedere più vocazioni. Penso che
bisognerà rilanciare delle crociate per le vocazioni. Il mondo
in quanto tale è molto ostile allo sbocciare delle vocazioni,
è per questo che occorre provare a ricreare dappertutto un clima
nel quale le vocazioni possano nuovamente sbocciare. In effetti vi sono
molte vocazioni, ma spesso esse non riescono a maturare a causa di
questo mondo materialista.
37. Ultimamente, in occasione del Congresso del Courrier de Rome, a Parigi, Lei ha parlato di una riunione di una trentina di sacerdoti diocesani in Italia, alla quale ha assistito. Cos’è che oggi i sacerdoti si aspettano dalla Fraternità? Questi sacerdoti ci chiedono
innanzitutto la dottrina, il che è un segno eccellente. Se essi
vengono da noi è sicuramente perché vogliono la Messa
antica, ma dopo la scoperta di questa Messa, essi vogliono dell’altro.
E vogliono di più perché scoprono tutto un mondo che
riconoscono essere autentico. Essi non hanno dubbi che si tratta della
vera religione. E allora hanno bisogno di rinnovare le loro conoscenze
teologiche. E non si sbagliano, e vanno direttamente a San Tommaso
d’Aquino.
38. Questo movimento di sacerdoti che si rivolgono alla Fraternità è, per gradi diversi, lo stesso in tutti i paesi? Vi sono certamente dei gradi
diversi e anche delle cifre diverse a seconda dei paesi. Ma si ritrova
un po’ dappertutto lo stesso fenomeno. Il sacerdote, in genere giovane,
che si accosta alla Messa tradizionale, che scopre con grande
entusiasmo questo tesoro, percorre pian piano un cammino verso la
Tradizione, che alla fine lo rende del tutto tradizionale.
39. Ha la speranza che un tale interesse possa raggiungere certi vescovi, al punto da intravedere una futura collaborazione? Noi abbiamo già dei
contatti con dei vescovi, ma per adesso tutto è congelato a
causa delle conferenze episcopali e delle pressioni circostanti, ma non
c’è dubbio che in avvenire vi potrà essere una
collaborazione con certi vescovi.
40. È pronto a tentare l’esperienza della Tradizione con un vescovo, a livello diocesano?
La cosa non è ancora matura,
non siamo ancora a questo punto, ma penso che potremmo arrivarci.
Sarà difficile, bisognerà valutare da vicino in che modo
lo si possa realizzare. Sarà indispensabile che questo si faccia
con dei vescovi che abbiano compreso realmente la crisi e che veramente
vogliano saperne di noi.
41. I fedeli sono sempre più numerosi. Le cappelle si moltiplicano. Lo stato di necessità è sempre presente. Ha preso in considerazione la consacrazione di altri vescovi ausiliari per la Fraternità? Pensa che oggi Roma possa essere favorevole a delle consacrazioni episcopali nella Tradizione? Per me, la risposta è
molto semplice: vi saranno o non vi saranno dei vescovi a seconda che
si verifichino o meno le circostanze che hanno prevalso per la prima
consacrazione.
42. Monsignore, abbiamo la gioia di vederLa spesso negli Stati Uniti. Le piace venirvi. Un commento?
Il mio commento è questo: io
amo tutte le anime che il Buon Dio ci affida, e negli Stati Uniti non
sono poche. Ecco tutto!
43. Ha già potuto incontrare il cardinale Burke? Ho cercato di vederlo
diverse volte, ma non l’ho ancora visto.
44. Sono stati numerosi i vescovi che hanno manifestato il loro sostegno alla Marcia per la Vita, uno di essi è anche intervenuto energicamente contro un ospedale che favorisce l’aborto. Vi è la speranza che essi comprendano che la crisi attuale tocca anche la Fede? Io penso che,
sfortunatamente, tra i vescovi attuali bisogna distinguere tra i
costumi e la fede. Così che si potranno trovare più
vescovi ancora sensibili ai problemi morali di quanti ve ne siano
legati alle questioni della fede. Tuttavia, si può dire che se
qualcuno difende con molto coraggio la morale cattolica,
necessariamente deve avere la fede, e la sua fede ne sarà anche
rafforzata… Questo è ciò che spero, pur riconoscendo che
vi sono alcune eccezioni…
45. I vescovi americani vogliono rivedere insieme le direttive date da Giovanni Paolo II per le Università. Quali dovrebbero essere, secondo Lei, le misure urgenti da prendere per fare delle Università attuali delle vere Università cattoliche?
La misura urgente, la prima,
è il ritorno alla scolastica. Occorre sbaragliare queste
filosofie moderne, ritornare alla sana filosofia, alla filosofia
oggettiva, realista. Come all’inizio del XX secolo, San Tommaso deve
tornare ad essere la norma. Un tempo le 24 tesi tomiste erano
obbligatorie. Occorre ritornarvi, è assolutamente necessario. E
dopo questa restaurazione filosofica si potrà continuare con lo
stesso slancio in teologia.
46. Mons. Robert Vasa de Baker (Oregon) ha recentemente ricordato che le dichiarazioni della Conferenza Episcopale non possono obbligare un vescovo nella sua diocesi. È questa una rimessa in questione della collegialità promossa dal Concilio?
Su questa questione della
collegialità non è solo un vescovo che ha parlato. Il
Papa stesso, rivolgendosi alla Conferenza Episcopale Brasiliana, ha
usato delle parole molto forti, rimettendo al suo posto il ruolo della
Conferenza Episcopale e insistendo sull’autorità personale dei
vescovi e sulle loro relazioni dirette con il Santo Padre.
47. Il seminario di Winona è il più importante come numero di seminaristi. Come lo spiega?
Penso che questo sia dovuto, molto
semplicemente, alla generosità di questo paese che si lascia
facilmente entusiasmare per una buona causa.
48. Che fare per moltiplicare le vocazioni sacerdotali e religiose? Pregare, pregare, pregare! E
anche sacrificarsi.
49. Quali sono i punti importanti della Tradizione negli Stati Uniti? Penso che vi sia questa
generosità di cui ho detto prima, ed anche le scuole. Vero
è che vi è un numero considerevole di sacerdoti e che ne
servirebbero ancora di più, ma direi che ad essere
indispensabili sono soprattutto le scuole. Occorre anche incoraggiare
l’aiuto alle famiglie tradizionali. Occorre mettere in piedi un
movimento per le famiglie, per sostenerle, per formarle. La famiglia
è la prima cellula della società. Essa è
fondamentale nell’ordine naturale e nell’ordine soprannaturale.
50. Qual è secondo Lei, Monsignore, l’importanza delle scuole? È un’importanza
capitale. È il futuro. La giovinezza sarà cattolica se ha
ricevuto una buona formazione. E per questo ci servono delle scuole
cattoliche.
51. Le famiglie numerose, perché generose, talvolta sono ridotte a fare la scuola a casa. Cosa raccomanda a quelle che hanno accesso a delle buone scuole? Quelle che hanno accesso a
delle buone scuole non esitino un istante: mandino i figli in queste
scuole! La scuola in casa non sostituirà mai una buona scuola.
Naturalmente la cosa diversa è se non vi sono buone scuole.
52. Pensa, Monsignore, di indire una nuova crociata del Rosario? Cosa raccomanda oggi ai fedeli? Sì! La situazione del
mondo, la situazione della Chiesa – lo si vede proprio – continua ad
essere molto cupa, anche se vi sono dei bagliori di speranza, e questi
elementi angoscianti ci obbligano più che mai a raddoppiare
l’intensità nella preghiera, nel ricorso alla Santa Vergine.
Oggi per i fedeli è indispensabile la preghiera, la preghiera in
famiglia, rinnovata, frequente, accompagnata da ciò che forma
l’anima cristiana: lo spirito di sacrificio.
(torna su)
53. Monsignore, il prossimo anno Lei festeggerà 30 anni di sacerdozio, di cui 20 a capo della Fraternità San Pio X. Quali sono stati gli avvenimenti più importanti in tutti questi anni? È tutto un romanzo!…
Sicuramente, bisogna citare per primo le consacrazioni! Come
avvenimenti importanti figurano anche la gioia di essere stato vicino a
Mons. Lefebvre, la gioia di essere stato vicino a Don Schmidberger, e
di aver imparato molto al loro fianco; anche la gioia di aver potuto
lavorare con gli altri vescovi della Fraternità, come anche con
tutti i nostri sacerdoti in un grande slancio di zelo per la Fede, per
il mantenimento della Chiesa cattolica.
54. Un auspicio per gli anni a venire? Che la Chiesa ritrovi i suoi
binari! È un’immagine, ma è veramente il nostro augurio.
E per questo è necessario che giunga il trionfo del Cuore
Immacolato della Santissima Vergine! Ne abbiamo tanto bisogno!
Grazie, Monsignore, per aver accettato di rispondere a questa intervista. (torna
su)
febbraio 2011 |