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Intervista rilasciata da a Pierre de Bellerive, Nella presentazione, Nouvelles de France scrive:
Mons. Pozzo, Segretario della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ha ricevuto Nouvelles de France in Vaticano. Egli spiega le intenzioni de Benedetto XVI nei confronti della Messa tradizionale e la Fraternità San Pio X 8 giugno 2011
NdF: Monsignore, qual è la finalità del Motu Proprio Summorum Pontificum? Mons. Pozzo: Il Motu proprio
Summorum Pontificum
intende offrire a tutti i fedeli cattolici la liturgia romana nell’usus antiquior, considerandolo come
un tesoro prezioso da conservare. A tal fine, essa intende garantire ed
assicurare, a tutti coloro che lo chiedono, l'uso della forma
straordinaria e favorire così l’unità e la
riconciliazione nella Chiesa.
Perché questo successo della Messa di San Pio V tra i giovani cattolici? Penso che il raccoglimento
interiore e il significato della Messa come sacrificio siano
particolarmente valorizzati dalla forma straordinaria. È questo
che spiega in parte l’aumento del numero di fedeli che la chiedono.
La lettera del Papa che accompagna il Motu Proprio indica che c'era un aumento del numero dei fedeli che richiedevano l’uso della forma straordinaria. Qual è la ragione secondo Lei? La lettera di
accompagnamento del Motu Proprio presenta i motivi e le spiegazioni che
chiariscono le finalità e il senso del Motu Proprio. È
fondamentale sottolineare che le due forme dell’unico rito romano si
arricchiscono a vicenda e dunque devono essere considerate come
complementari. Il ripristino dell’usus
antiquior del Messale romano con il suo quadro normativo
proprio, è dovuto all’aumento nelle domande dei fedeli che
desideravano partecipare alla celebrazione della Santa Messa nella sua
forma straordinaria. Si tratta in sostanza di rispettare e di
valorizzare un interesse particolare nutrito da certi fedeli per la
Tradizione e per la ricchezza del patrimonio liturgico messo in
evidenza dal rito romano antico. È interessante che questa
sensibilità sia presente anche nelle giovani generazioni,
cioè tra persone che a suo tempo non sono state formate a questo
genere di liturgia.
Si dice che i movimenti tradizionali suscitino più vocazioni che altrove. È vero? Se sì, perché? Negli Istituti che dipendono
dalla Pontificia Commissione Ecclesia
Dei e che seguono le forme liturgiche e disciplinari della
Tradizione, vi è un aumento di vocazioni sacerdotali e di
vocazioni alla vita religiosa. Io credo, tuttavia, che una ripresa
delle vocazioni sacerdotali la si constata anche nei seminari.
Soprattutto là dove si offre una formazione e una educazione al
ministero sacerdotale e ad una vita spirituale seria e rigorosa, senza
la loro riduzione di fronte alla secolarizzazione, la quale
sfortunatamente è penetrata nella mentalità e nelle forme
di vita di certi chierici e perfino di certi seminari. Secondo me,
questo costituisce la causa principale della crisi delle vocazioni al
sacerdozio, crisi di qualità beninteso, piuttosto che di
quantità. Presentare la figura del sacerdote nella sua profonda
identità, come ministro del sacro, cioè come alter Christus, come guida
spirituale del popolo di Dio, come colui che celebra il sacrificio
della Santa Messa e rimette i peccati nel sacramento della confessione,
agendo in persona Christi capitis,
questa è la condizione essenziale per la messa in atto di una
pastorale delle vocazioni che sia fruttuosa e permetta la ripresa delle
vocazioni al sacerdozio ministeriale.
Sa se il Papa è soddisfatto dell’applicazione del Motu Proprio? La Pontificia Commissione Ecclesia Dei tiene costantemente
informato il Santo Padre sull'evoluzione dell’applicazione del Motu
Proprio e sulla crescita della sua ricezione, malgrado le
difficoltà di applicazione che constatiamo qua o là.
Quali sono concretamente le difficoltà di applicazione che incontrate? Vi sono ancora delle
resistenze da parte di certi vescovi e membri del clero, che non
rendono molto accessibile la Messa tridentina.
L'istruzione Universae Ecclesiae sembra favorire ancor meglio la celebrazione della forma straordinaria. È così? L'istruzione ha lo scopo di
aiutare ad applicare in modo sempre più efficace e corretto le
direttive del Motu Proprio. Essa offre delle precisazioni normative e
dei chiarimenti su aspetti importanti per l'applicazione pratica.
Si ha l'impressione che è soprattutto in Francia che le reazioni sono più epidermiche su questo argomento. Qual è la ragione secondo Lei? Forse è troppo presto
per dare una valutazione sufficientemente completa delle reazioni
all'Istruzione, e questo non vale solo per la Francia. Ma mi sembra
che, pensando alla situazione della Chiesa in Francia, bisogna tenere
conto del fatto che esiste una tendenza a polarizzare e a radicalizzare
i giudizi e le convinzioni in materia. Questo non favorisce una buona
comprensione e una autentica ricezione del documento. In più
occorre superare una visione principalmente emotiva e sentimentale. Si
tratta - ed è un dovere – di recuperare il principio
dell'unità della liturgia, che giustifica proprio l'esistenza di
due forme, entrambe legittime, che non devono mai essere viste in
opposizione o in alternativa. La forma straordinaria non è un
ritorno al passato e non deve essere intesa come una messa in causa
della riforma liturgica voluta dal Vaticano II. Ugualmente, la forma
ordinaria non è una rottura col passato, ma il suo sviluppo
almeno su certi aspetti.
Sollecitudine dei Sommi Pontefici e Chiesa universale sono i titoli rispettivi del Motu proprio e della sua Istruzione. Questo significa che lo scopo è una riconciliazione con i «tradizionalisti»? L'Istruzione, come ho detto
all'inizio, intende favorire l'unità e la riconciliazione nella
Chiesa. Il termine «tradizionalista»
è spesso una formula generica usata per definire cose molto
differenti. Se per «tradizionalisti»,
si intendono i cattolici che ripropongono con forza l'integrità
del patrimonio dottrinale, liturgico e culturale della fede e della
tradizione cattolica, è chiaro che essi troveranno conforto e
sostegno nell'Istruzione. Il termine «tradizionalista» può
essere inteso anche differentemente ed indicare colui che fa un uso
ideologico della Tradizione, per opporre la Chiesa di prima del
Concilio Vaticano II alla Chiesa del Vaticano II, che si sarebbe
allontanata dalla Tradizione. Questa opinione è una maniera
distorta di comprendere la fedeltà alla Tradizione,
perché il Concilio Vaticano II fa anch’esso parte della
Tradizione. Le deviazioni dottrinali e le deformazioni liturgiche che
si sono prodotte dopo la fine del Concilio Vaticano II non hanno alcun
fondamento oggettivo nei documenti conciliari compresi nell’insieme
della dottrina cattolica. Le frasi o le espressioni dei testi
conciliari non possono e non devono essere isolate o sradicate, per
così dire, dal contesto globale della dottrina cattolica.
Sfortunatamente, queste deviazioni dottrinali e questi abusi
nell’applicazione pratica della riforma liturgica costituiscono il
pretesto di questo «tradizionalismo
ideologico» che fa rifiutare il Concilio. Un tale pretesto
si basa su un pregiudizio senza fondamento. È chiaro che oggi
non è più sufficiente ripetere il dato conciliare, ma
bisogna al tempo stesso confutare e rifiutare le deviazioni e
interpretazioni erronee che pretendono fondarsi sull’insegnamento
conciliare. Questo vale anche per la liturgia. È questa la
difficoltà con cui oggi ci troviamo alle prese.
«I fedeli che chiedono la celebrazione della forma extraordinaria non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestano contrari alla validità o legittimità della Santa Messa o dei Sacramenti celebrati nella forma ordinaria e/o al Romano Pontefice come Pastore Supremo della Chiesa universale». (Istruzione Universae Ecclesiae, § 19). Questa precisazione riguarda la Fraternità San Pio X? L’articolo dell'Istruzione a
cui Lei si riferisce riguarda certi gruppi di fedeli che considerano o
postulano un’antitesi tra il Messale del 1962 e quello di Paolo VI, e
che pensano che il rito promulgato da Paolo VI per la celebrazione del
Sacrificio della S. Messa sia dannoso per i fedeli. Voglio precisare
che bisogna distinguere chiaramente il rito e il Messale come tale,
celebrato secondo le norme, e una certa comprensione e applicazione
della riforma liturgica, caratterizzata da ambiguità,
deformazioni dottrinali, abusi e banalizzazioni, fenomeni purtroppo
assai diffusi che hanno portato il cardinale J. Ratzinger a parlare
senza esitazione, in una delle sue pubblicazioni, di «crollo della liturgia».
Sarebbe ingiusto e falso attribuire al Messale riformato la causa di
tale un crollo. Al tempo stesso bisogna accogliere l'insegnamento e la
disciplina che Papa Benedetto XVI ci ha dato nella sua Lettera
apostolica Summorum pontificum
per ripristinare la forma straordinaria del rito romano antico, e
seguire il modo esemplare con cui il Santo Padre celebra la Santa Messa
nella forma ordinaria in S. Pietro, nelle sue visite pastorali e nei
suoi viaggi apostolici.
Ancora oggi, Lei pensa che l'insegnamento del Concilio non sia applicato correttamente? Nell’insieme,
sfortunatamente sì. Vi sono delle situazioni complesse nelle
quali si constata che l'insegnamento del Concilio non è ancora
compreso. Si pratica ancora una ermeneutica della discontinuità
con la Tradizione.
Benedetto XVI sembra molto attento alla liturgia nel corso del suo pontificato. È esatto? Del tutto esatto, ma la
precisazione che ho dato riguarda soprattutto i gruppi che pensano che
esista una opposizione tra i due Messali.
La Fraternità San Pio X riconosce questo Messale come valido e lecito? È alla
Fraternità San Pio X che bisogna chiederlo.
Il Santo Padre desidera che la Fraternità San Pio X si riconcili con Roma? Certamente. La lettera di
revoca delle scomuniche dei quattro vescovi consacrati illegittimamente
da Monsignor Lefebvre è l’espressione del desiderio del Santo
Padre di favorire la riconciliazione della Fraternità San Pio X
con la Santa sede.
Il contenuto delle discussioni che si svolgono fra Roma e la Fraternità San Pio X è segreto, ma su quali punti vertono e in che modo si svolgono? Il nodo essenziale è
di carattere dottrinale. Per giungere ad una vera riconciliazione,
occorre superare certi problemi dottrinali che sono alla base della
frattura attuale. Nei colloqui in corso, vi è un confronto di
argomenti tra gli esperti scelti dalla Fraternità San Pio X e
gli esperti scelti dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Alla
fine, si stilano delle sintesi conclusive, che riassumono le posizioni
espresse dalle due parti. I temi discussi sono noti: il primato e la
collegialità episcopale; il rapporto tra la Chiesa cattolica e
le confessioni cristiane non cattoliche; la libertà religiosa;
il Messale di Paolo VI. Al termine dei colloqui, i risultati delle
discussioni verranno sottoposti alle rispettive istanze autorizzate,
per una valutazione complessiva.
Non mi sembra concepibile che possa esserci una rimessa in questione del Concilio Vaticano II. Ma allora di cosa possono trattare queste discussioni? Di una sua migliore comprensione? Si tratta del chiarimento di
punti che precisano l’esatto significato dell'insegnamento del
Concilio. È quello che il Santo Padre ha iniziato a fare il 22
dicembre 2005, col comprendere il Concilio secondo una ermeneutica del
rinnovamento nella continuità. Tuttavia, ci sono alcune
obiezioni della Fraternità S. Pio X che hanno senso,
perché c’è stata un’interpretazione da rottura.
L'obiettivo è mostrare che occorre interpretare il Concilio
nella continuità della Tradizione della Chiesa.
Il Cardinale Ratzinger fu incaricato di queste discussioni circa 20 anni fa. Segue sempre l’evoluzione di quelle attuali, adesso che è Papa? Intanto vi è il ruolo
del segretario, che è quello di organizzare e di vegliare sul
buon andamento delle discussioni. La valutazione di esse compete al
Santo Padre, che segue le discussioni, con il cardinale Levada, che ne
è informato e dà il suo parere. D’altronde, è la
stessa prassi che si segue su tutti i punti che può trattare la
Congregazione.
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giugno 2011 |