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Attualità dei rapporti fra Roma e la Fraternità San Pio X Conferenza di Mons. Bernard Fellay in occasione degli incontri della VI Università d'estate della Fraternità San Pio X (Scuola Sainte Marie, a Saint Malo, Francia) 15 agosto 2011 La conferenza è stata pubblicata da DICI si veda il testo anche sul sito della Fraternità in Italia Traduzione, impaginazione e sottolineature sono nostre Don Alain Lorans
Don de Cacqueray ci ha parlato dell’evoluzione che noi constatiamo. Lei stesso, che è a capo della Fraternità e che ha dei contati diretti con Roma, ha avuto l’impressione che la tabella di marcia (i preliminari richiesti prima di ogni riconoscimento canonico della Fraternità – NdR) sia stata rispettata? Considerando i documenti pubblicati da Roma, ha avuto anche la sensazione che la linea di partenza sia cambiata? Mons. Fellay Effettivamente sono accadute delle cose interessanti; esse non sono come le si vorrebbe, ma questo è normale, poiché abbiamo a che fare con gli uomini. La nostra tabella di marcia, con i famosi preliminari, fu trasmessa a Roma all’inizio del 2001. A febbraio la risposta di Roma fu tale che io dovetti rispondere che non potevamo andare avanti in quel modo: «Se è così, si sospende». È così che la cosa è incominciata, nel 2001. A proposito della Messa, il Cardinale Castrillon Hoyos diceva: «Il Papa è d’accordo. Il Papa è d’accordo che la Messa non è mai stata abrogata e che quindi ogni sacerdote può celebrarla». E contava con le dita i cardinali di Roma che erano d’accordo. Io gli dissi: «In questo caso, dov’è il problema?» «Lei capisce, i Segretari delle congregazioni, i Sottosegretari, non sono d’accordo, dunque non possiamo accordarvela». Così per la Messa. Quanto alla questione della scomunica, la risposta era: «State tranquilli, si regolerà quando si firmeranno gli accordi». Io replicai che per continuare noi avevamo bisogno di segni di fiducia da parte di Roma e che in mancanza di essi non avevamo altra scelta che sospendere le discussioni. Il Cardinale replicò: «Io non amo questo discorso». E poi è arrivato Benedetto XVI, che ha ripreso la questione della Messa, relativamente presto. Certo, il Motu Proprio [Summorum Pontificum] vale quello che vale, ma esso contiene degli elementi essenziali, capitali, per me è come una pietra miliare. Penso che nella storia della Chiesa ci si ricorderà di questo testo che riconosce che la Messa di San Pio V non è mai stata abrogata. Voi sapete che quando una materia viene ripresa in tutta la sua ampiezza, quando il legislatore riprende una legge per modificarla da cima a fondo, si considera che la legge precedente sia abrogata. Lo stesso vale per le leggi liturgiche. Che vi sia dunque una tale affermazione, in due parole: «numquam abrogatam, mai abrogata», è una cosa notevole! Era difficile da immaginare, ma in definitiva il legislatore sa bene cosa dice: «Essa non è mai stata abrogata». E dire che una legge non è mai stata abrogata, significa che essa è rimata nello stato in cui era prima. La legge precedente, la Messa di sempre, è dunque la legge universale, è la Messa della Chiesa. Quando il Papa attuale afferma che la Messa non è mai stata abrogata, significa che essa è sempre in vigore, che essa continua ad essere la Messa della Chiesa. Non si tratta più di permesso, di privilegio, ecc. ma della legge della Chiesa, e cioè del diritto universale di ogni cattolico, sacerdote o fedele. È questo che viene espressamente riconosciuto nel famoso Motu Proprio del 2007. Questo è fondamentale, anche se altre parti del testo sono discutibili e noi non siamo affatto d’accordo con esse. Ma se si considera il vigore che questo Motu Proprio fornisce alla Messa contro i suoi detrattori, la cosa è veramente molto, molto forte. C’è da chiedersi come in futuro si potrà mai demolire questa Messa. Da questo punto di vista, l’avvento di Benedetto XVI è stato come un balzo in avanti. Checché si pensi o di dica sulla persona, l’atmosfera è cambiata. Nello stesso Vaticano quest’arrivo ha dato coraggio a coloro che, chiamiamoli conservatori, fino a prima volavano bassi… Peraltro, forse ancora oggi lo fanno! Perché la pressione o l’oppressione dei progressisti continua; il che rende lo stesso governo quasi impossibile. In ogni caso, l’atmosfera è cambiata. Lo si vede con la nuova generazione, che non è più legata al Concilio. Per le nuove generazioni e tutti quelli che oggi hanno vent’anni il Concilio appartiene al millennio passato, è qualcosa di molto vecchio. Questa generazione non ha conosciuto il Concilio e chi vede la Chiesa in uno stato così pietoso si pone necessariamente delle domande. Si pone delle domande in una maniera del tutto diversa da coloro che hanno vissuto il Concilio, da coloro che l’hanno fatto e che vi sono visceralmente legati, che volevano demolire il passato e volevano voltare pagina. Questa nuova generazione percepisce un vuoto, è aperta, cerca, rivolge a noi uno sguardo di simpatia, ma al tempo stesso prova nei nostri confronti della diffidenza, perché noi siamo marchiati, esclusi… Tuttavia, una sorta di effervescenza nella gioventù inquieta i progressisti al punto tale che oggi essi si pongono la domanda: «L’avvenire della Chiesa sarà progressista o conservatore?» In certi seminari moderni, i professori constatano con sgomento che le scelte dei seminaristi si rivolgono a delle opere più serie di quelle proposte da loro; questo fenomeno è assai generalizzato. Dei vescovi e dei professori di seminario me l’hanno confessato. Un professore di seminario mi ha detto letteralmente: «Non posso più svolgere il mio corso come prima, i seminaristi mi obbligano ad essere molto più conservatore». Si tratta ancora di una tendenza, ma è già molto interessante. Diversi testi pubblicati da Roma chiedono delle riforme negli studi, nei seminari, nelle università. Si tratta chiaramente di colpi di freno. Sfortunatamente, si ha l’impressione che tali testi rimangano lettera morta – e ritengo che non si abbia torto a pensarlo. Nondimeno questi sforzi si vedono, ed è già qualcosa, non si tratta più del modernismo puro. Un elemento molto importante, davvero molto importante, è costituito dai primi attacchi al Concilio, che non vengono da noi, ma da persone note, che hanno dei titoli, come Mons. Gherardini, che non si è accontentato di scrivere un solo libro, ma continua a scrivere, e in maniera sempre più audace. Quando l’ho incontrato, mi ha fatto questo discorso: «Sono 40 anni che ho queste cose sulla coscienza e non posso presentarmi al cospetto di Dio senza averle dette». In effetti egli è con noi, per così dire, ma usa un modo di esprimersi molto romano, molto prudente, circostanziato, pur dicendo ciò che ha da dire. Il questo stesso contesto, il 22 dicembre 2005, il Papa ha pronunciato il suo celebre discorso alla Curia nel quale condanna una linea interpretativa del Concilio, la famosa linea di rottura. Vi confesso che ad una prima lettura ho pensato che avesse in vista noi! Ma poi mi sono reso conto che parlava dei progressisti. Perché giustamente il Papa denunciava e condannava coloro che vedono nel Concilio una rottura col passato. Certo, se vi è qualcuno che nel Concilio vede una rottura col passato, siamo proprio noi. E per sostenere il nostro assunto non temiamo di citare i Congar, i Suenens, quelli che hanno detto che si è trattato della rivoluzione dell’89 nella Chiesa o della rivoluzione dell’ottobre 1917, quella russa. Sono parole molto forti. E poi, non siamo solo noi, ma tutti hanno potuto constatare che questo Concilio è stato un grande cambiamento, un vero sconvolgimento. Perfino Paolo VI ha riconosciuto che mentre si attendeva una leggera brezza, di fatto si era scatenata una gran tempesta… Ebbene, questa linea di rottura denunciata, costituisce la condanna di coloro che vedono nel Concilio una rottura col passato. Il Papa condanna quell’attitudine che vorrebbe appellarsi allo «spirito del Concilio» per rivendicare un Vaticano III, una rivoluzione permanente… A questo punto vorrei fare un appunto, perché forse noi ci illudiamo. Quando si vede condannare l’ermeneutica della rottura, subito si pensa che l’altra sia l’ermeneutica della continuità. Ora, il Papa non parla dell’«ermeneutica della continuità», ma dell’«ermeneutica della riforma». E non è la stessa cosa! Scorrendo il testo, si vede bene che egli è per il Concilio, che egli è per tutto quello che noi contrastiamo! Tutto quello che noi attacchiamo in questo Concilio, lui lo difende. E tuttavia, si vede modo bene che egli condanna una linea. È un inizio, ma evidentemente non è sufficiente; questo dimostra solo che le autorità hanno preso coscienza che nella Chiesa qualcosa non va. Proseguiamo. Il 2 luglio del 2010, Mons. Pozzo, Segretario della Commissione Ecclesia Dei, ha tenuto a Wigratzbad, ai sacerdoti della Fraternità San Pietro, una conferenza sulla Lumen Gentium relativa proprio a questa questione dell’interpretazione del Concilio. Queste questioni di interpretazione sono qualcosa di molto moderno, bisogna che sia chiaro. Ma io vorrei mostrarvi che qualcosa si muove, anche se da parte nostra speriamo che si tratti solo di un inizio e che le cose vadano oltre. Noi non esitiamo ad attaccare il Concilio come tale, mettendo l’accento su ciò che non va. A Roma, la posizione di Mons. Pozzo, e si può dire la posizione del Papa, è ancora di una totale riverenza nei confronti del Concilio, ma si vede che vi sono delle cose che non vanno. Non si dice ancora «è colpa del Concilio», ma «è colpa del modo di comprendere il Concilio». Si tratta appunto dell’interpretazione, o dell’ermeneutica. Se oggi Roma confessa che vi è una maniera falsa di interpretare il Concilio, questo evidentemente lascia supporre che ve ne sia una vera. Ma su molti punti che noi condanniamo a livello della cosa in sé (senza considerare la causa), si constata che finalmente loro sono d’accordo, senza che osino dirlo troppo. Nella conclusione della sua conferenza a Wigratzbad, Mons. Pozzo ha parlato di una ideologia «conciliare», poi di una ideologia «para-conciliare». Il termine ideologia indica qualcosa di cattivo, un errore, perfino un sistema di errori. Provate a capire cosa significhi questa frase: «una ideologia para-conciliare si è impadronita del Concilio fin dal principio, sovrapponendosi ad esso». Questo significa che, secondo lui, il Concilio fin dall’inizio non è stato compreso come doveva. Il che significa che il solo modo che oggi rimarrebbe per comprendere il Concilio sarebbe falso. Questa di riconoscere che tutto quello che in 40 anni è stato detto del Concilio è falso, è una maniera curiosa di volerlo salvare! Anche se si tratta solo dell’inizio di un’ammissione, bisogna prenderne nota. Evidentemente, questo non ci basta, ma è quantomeno interessante vedere come cerchino di venirne fuori. Si fa dell’equilibrismo… Si sentono delle frasi come questa: «Il Concilio non è applicato, il Concilio è mal compreso, è per questo che qualcosa non va nella Chiesa». Ma bisogna ancora piegarlo! Perché qualcosa non va nella Chiesa? Perché non si è riusciti ad applicare il Concilio. Ma allora cos’è che si è fatto in questi 40 anni? Ecco un grosso problema. Chi era responsabile dell’interpretazione del Concilio in questi 40 anni? Se erano le autorità a Roma, allora queste hanno dormito per 40 anni? Hanno lasciato fare ad altri? Cos’hanno fatto? Come si vede vi sono parecchie domande che si possono fare anche solo riferendosi al loro punto di partenza con cui si delinea un inizio di ammissione. Il Papa parla dello spirito del Concilio condannandolo, mentre tutte le riforme sono state fatte nello spirito del Concilio. Cos’è che rimane? E adesso ci si dice che vi è un’ideologia conciliare che s’è impadronita del Concilio fin dall’inizio! Si può immaginare il Concilio come se fosse in una bolla; si vede l’involucro esterno ma non si arriva fino all’interno. Di modo che se si può vedere solo quest’involucro esterno, ma non il Concilio, non si riesce a cogliere il Concilio. Questa è molto moderna come idea, come prospettiva. Sarebbe bello sapere chi è all’origine dell’ideologia para-conciliare, quella che si è impossessata del Concilio per far in modo che non si possa più comprenderlo come l’hanno voluto i Padri conciliari… sarebbe interessante saperlo. Tante domande vengono in mente perché qualcosa incomincia a muoversi. Ci si rende conto che ciò che era tabù comincia a traballare, allora si prova a salvare il tabù circondandolo con una bolla. Oggi si ha il diritto di colpire la bolla, ma non quello che sta dentro. Si può denunciare l’ideologia para-conciliare, ma guai a toccare il Concilio. In questo contesto, Mons. Gherardini, di cui ho appena parlato, si spinge un po’ più lontano nel toccare il Concilio. Io penso che si tratta del primo personaggio ufficiale, rinomato, che osa farlo. Le sue qualità di decano della Facoltà di teologia del Laterano, canonico di San Pietro, direttore della rivista Divinitas, gli conferiscono autorità. A 85 anni, egli ha parlato a Roma e delle persone che non erano dei nostri hanno affrontato le questioni del Concilio. Mons. Schneider, un vescovo, ha perfino proposto di fare un Syllabus sul Concilio, allo scopo di epurare e di condannare tutto quello che non è chiaro nel Vaticano II, tutte le proposizioni che sono ambigue. Tutti questi avvenimenti mi fanno pensare ad una pentola di acqua sul fuoco che incomincia a fare le prime bolle. Non siamo ancora all’ebollizione, ma l’acqua comincia a scaldarsi. Nel frattempo noi restiamo in attesa. Don Lorans
In una recente predica al seminario di Winona, Lei ha detto che noi non siamo in rapporto con Roma, ma con “le Rome”. Qual è attualmente l’atmosfera in Vaticano? Può aiutarci a vederci un po’ più chiaro? Mons. Fellay Nel Vallese vi è una montagna che arriva a 4000 metri, il Zinalrothorn; uno dei suoi crinali si chiama il Rasoio e misura una diecina di metri di lunghezza. Il solo modo per attraversarlo è a cavalcioni oppure lateralmente, con le mani sulla cresta e i piedi su un lato, a quel punto ci si trova con 500 o 1000 metri di caduta. Io ho l’impressione che non solo questo possa applicarsi ai nostri rapporti con Roma, ma più ancora che francamente si è come su un filo da equilibrista. Ecco perché utilizzo apertamente il termine «contraddizioni». Nel giugno del 2009, io chiesi un incontro al Card. Bertone, Segretario di Stato della Santa Sede, per tentare di mettere in chiaro queste contraddizioni. Dopo aver insistito molto, è arrivata la seguente risposta: «La riceverà il Card. Levada». È la diplomazia romana! Mi piace darvi alcuni esempi di queste contraddizioni, per mostrarvi il clima che regna a Roma, vale a dire con cosa o con chi si lavora, una cosa molto difficile. Certi elementi sono già stati affrontati nella prima parte di questa conferenza, ma è il caso di riassumerli raggruppandoli. I nostri rapporti con Roma sono divenuti molto tesi poco dopo la pubblicazione del decreto di remissione delle scomuniche, il 21 gennaio 2009. Nel mese di marzo, a Sitientes [sabato della quarta settimana di Quaresima – NdT], giorno delle ordinazioni al suddiaconato, i vescovi tedeschi montarono una strategia per cercare di «metterci fuori». Mons. Zollitsch, Presidente della Conferenza Episcopale Tedesca, dichiarò ad un gruppo di deputati: «Da qui alla fine dell’anno la Fraternità San Pio X sarà nuovamente fuori dalla Chiesa». Io so la cosa per bocca di uno di questi deputati, è una informazione diretta. Essi avevano dunque il loro piano per contrastare l’argomento della remissione della scomunica, che ormai non potevano più utilizzare. Si capisce molto bene che i progressisti hanno cercato di utilizzare due vie. La prima è quella del Concilio. Perché la Fraternità possa pretendere un riconoscimento canonico, deve riconoscere il Concilio e accettarne tutte le riforme, insieme al magistero di tutti i papi dopo il Concilio. Cosa molto pesante, poiché sanno perfettamente che noi non accetteremo mai di seguire una tale via. Di fatto significa rendere impossibile un tale riconoscimento canonico. Di conseguenza diventa facile accusarci di essere contro il Concilio, a riprova che siamo scismatici, ecc. La seconda è una via più disciplinare, quella dell’obbedienza. È quantomeno curioso che subito dopo la remissione delle scomuniche da parte di Roma, il vescovo di Ratisbona, nella cui diocesi è posto il nostro seminario di Zaitkofen, interdica ai nostri vescovi le ordinazioni dei nostri stessi seminaristi! Ma è proprio quello che ha fatto. È da 30 anni che il nostro seminario si trova nel suo territorio, senza che gli sia mai intervenuto! E sceglie proprio il momento della remissione delle scomuniche per prendere tale decisione… La Conferenza dei vescovi tedeschi si è affrettata a rincarare la dose per bocca di Mons. Zollitsch, che ha dichiarato: «Se questi vescovi procedono in queste ordinazioni, il Papa deve scomunicarli». È piombato a Roma per fare pressioni sul Papa e sul Card. Bertone. E dieci giorni prima di queste ordinazioni, ricevo una telefonata del Card. Castrillon che mi dice: «Odio farLe una richiesta che Le sembrerà un po’ curiosa, ma il Papa non ha solo amici, i vescovi tedeschi fanno pressione, fareste un favore al Papa non procedendo a queste ordinazioni in Germania». Dopo aver parlato con i miei Assistenti e con gli altri Vescovi, è stato deciso di compiere un gesto, senza che la cosa fosse una capitolazione. A Sitientes non vi sarà l’ordinazione a Zaitkofen, ma i seminaristi diverranno suddiaconi lo stesso giorno… a Ecône. E poi, beninteso, si tratterà di un gesto che si farà una volta sola, quindi le ordinazioni di giugno verranno mantenute. Noi volevamo che la cosa fosse compresa da Roma non come una capitolazione, ma come un gesto. Questo non è piaciuto e mi è giunta un’altra lettera… Due giorni prima di Sitientes, nuova telefonata del Card. Castrillon, la terza in una settimana, si è trattato a dir poco di una forte pressione! Questa volta l’ordine è netto: «Voi disubbidite formalmente, ricadete nelle vostre censure. Queste ordinazioni non si devono fare. Bisogna chiedere il permesso al Papa, ma vi assicuro che – parlava in italiano – quasi immediatamente riceverete il permesso». Ed ha aggiunto: «Da qui a Pasqua la Fraternità sarà riconosciuta». Ed io gli ho risposto: «Non capisco, è appena uscito un testo ufficiale (una nota della Segreteria di Stato) che afferma che la Fraternità non sarà riconosciuta fintanto che non riconoscerà il Concilio, Lei sa perfettamente cosa pensiamo del Concilio, come potete dire una cosa del genere?!» Risponde il Cardinale: «Quel testo non è firmato, si tratta di testi amministrativi, di testi politici; e poi non è questo che pensa il Papa». Allora, dunque, a chi bisogna credere? Al Cardinale al telefono (che parla solamente senza alcuna documentazione) o al testo ufficiale? Al punto in cui stavano le cose, ho scritto al Papa per informarlo semplicemente di ciò che accadeva. Gli ho chiesto di non guardare alle ordinazioni come ad un atto di ribellione, ma come ad un atto di sopravvivenza posto in circostanze complesse e difficili. E la cosa è passata. Peraltro, non vedo come avrebbero potuto condannarci per aver ordinato dei suddiaconi, visto che per loro i suddiaconi non esistono! Essere puniti per qualcosa che non esiste sarebbe stato quantomeno difficile. E dopo vi sono state le ordinazioni al diaconato e al sacerdozio, e la cosa è passata. Ma i vescovi tedeschi hanno provato a impedirle. Quantomeno si tratta di una piccola vittoria! Rendetevi conto che noi siamo una piccola Congregazione, una piccola Congregazione che si batte contro una Conferenza Episcopale, non importa quale… è l’ha vinta. L’ha vinta. È inverosimile… Ma non è di noi che si tratta… I conflitti sono di ogni genere, ma innanzi tutto sono dottrinali. Il Papa Benedetto XVI ha osato riconoscere [nell’udienza del 29 agosto del 2005 a Castelgandolfo - NdR]: «Forse vi è, forse si potrebbe dire che vi è uno stato di necessità in Francia, in Germania». Si noti che in uno stato di necessità gli organismi necessari al buon funzionamento di un corpo sociale non funzionano più, si verifica una sorta di si salvi chi può; ognuno salva innanzi tutto se stesso, poi collabora ad aiutare gli altri come può. Una situazione inverosimile. Voi notate la contraddizione: da un lato si dice che la Fraternità non può essere riconosciuta e dall’altro si dice che è riconosciuta perché il Papa la riconosce. Allora quid? Vi citerò altri esempi di contraddizione, che dimostrano come a Roma vi sono diverse correnti, di cui alcune molto potenti. Riuscite a capire in quale di esse si trova il Papa? Non è una cosa evidente. A settembre dell’anno scorso, una cosa recente dunque, un sacerdote americano di una Congregazione (credo fosse degli Agostiniani) si è unito a noi. Nel mese di settembre del 2010, egli riceve una lettera dal suo Provinciale, a cui è allegata una lettera della Congregazione per i religiosi che conferma la decisone del Provinciale e che dice: «Lei non è più membro degli Agostiniani perché si è unito alla Fraternità». La lettera della Congregazione dei religiosi dice testualmente: «Il Padre tal dei tali (non faccio il nome) non appartiene più alla vostra Congregazione, egli è scomunicato perché ha perduto la fede ricongiungendosi formalmente allo scisma di Mons. Lefebvre». La lettera è datata settembre 2010! Di conseguenza, per Roma, unirsi alla Fraternità significa aderire ad uno scisma e perdere la fede, così da trovarsi scomunicati. Ovviamente, sono andato a Roma con questa lettera! Non appena ho incominciato a leggere questo passo a Mons. Pozzo – Segretario dell’Ecclesia Dei, il cui presidente è il Cardinale Levada che è anche il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede – egli mi ha bloccato a metà della frase dicendo: «So già tutto, ce ne siamo occupati due settimane fa. Abbiamo detto alla Congregazione dei religiosi che non sono competenti per affermare questo e che devono rivedere il loro giudizio». Ed ha continuato dicendo: «Ecco come bisogna considerare questa lettera… così», aggiungendo il gesto espressivo di strapparla. Ecco quindi come un’autorità romana mi dice di trattare il documento ufficiale di un’altra autorità romana, nella maniera più drastica che si possa immaginare, gettarla nel cestino, strapparla… Come minimo è una cosa un po’ forte! In sostanza, questo significa che a Roma certi uffici di Congregazioni, dei dicasteri, ci dichiarano scismatici, eretici, che abbiamo perso la fede, mentre altri ci considerano cattolici, quasi normali, senza più alcuna punizione, alcuna censura. Che confusione! Vedete bene come si possa parlare di contraddizioni, persone che governano a Roma hanno su di noi delle vedute diametralmente opposte! È così che nel corso dei famosi colloqui teologici, i nostri sacerdoti alloggiano a Santa Marta – l’edificio in cui alloggiano i cardinali in occasione dei concistori e dei conclavi e che abitualmente serve per ospitare i vescovi – e dicono Messa in San Pietro. E mentre da un lato si discute di dottrina, dall’altro i nostri sacerdoti sarebbero eretici o scismatici? La cosa non sta in piedi. Un altro esempio ancora più recente. Questa volta sull’interpretazione: si tratta dell’ultimo testo sulla Messa: Universae Ecclesiae. Tre anni dopo il Motu Proprio Summorum Pontificum viene pubblicato un altro testo sull’applicazione del precedente. Questo testo è molto interessante. Un’analisi delle disposizioni assunte dimostra due direttrici che si possono considerare come diametralmente opposte, tali che ci portano a considerare il risultato in maniera interrogativa. La prima direttrice, che è manifesta, rappresenta un’apertura, si sente la volontà di dare, di mettere a disposizione dei cattolici del mondo intero, non solo la Messa, ma tutta la liturgia della Chiesa di sempre, sotto tutti gli aspetti. All’inizio, il documento romano afferma che il Motu Proprio è una legge universale. Non si tratta di un privilegio – una legge privata riservata ad un piccolo gruppo – ma di una legge universale, cioè valida per tutti. Esso precisa che la sua volontà consiste nel permettere l’accesso alla Messa tradizionale ai fedeli del mondo intero. Non si può essere più espliciti! In seguito, ecco altre disposizioni che si spingono ancora più in là, poiché vengono citati tutti i libri liturgici per essere messi disposizione. Tutti. È incredibile. Non si può affermare una cosa del genere se non vi è una volontà, se non vi è la precisa intenzione di aprire, di ridare vita a tutto questo tesoro, diversamente la cosa non avrebbe senso. Per esempio, si parla del Rituale. Cosa molto interessante, il Rituale, cosa contiene? Prima di tutto si trovano tutti i Sacramenti, quelli conferiti dal sacerdote, e poi anche gli esorcismi. Dire che il Rituale è a disposizione significa che vengono veramente rimesse a disposizione tutte le benedizioni, tutto il mondo liturgico di un tempo. Questo non si può fare se non si ha l’intenzione di far rivivere tutto questo tesoro. Non avrebbe alcun senso metterlo a disposizione se contemporaneamente si avesse intenzione di escluderlo! Lo stesso dicasi per il Cerimoniale dei vescovi o Pontificale… Si insiste nel dire che i vescovi possono utilizzare il Pontificale. Per il Breviario, i sacerdoti sono liberi di usare l’antico, precisando che se usano il Breviario antico devono rispettarne tutte le rubriche. Perché? Perché col nuovo Breviario si può scegliere ad libidum tra le piccole ore, mentre col Breviario antico si deve recitare tutto. La cosa è un po’ curiosa. Tutto questo va ben oltre a quello che avevamo chiesto in partenza nei nostri famosi preliminari, cioè la Messa per tutti. Ora qui non v’è solo la Messa, ma tutta la liturgia e sotto tutti gli aspetti. Questa è la direttrice manifesta. A fianco, ecco una direttrice del tutto contraria, con due restrizioni maggiori. La prima a proposito delle ordinazioni: «Soltanto negli istituti… che dipendono dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei è permesso l’uso del Pontificale Romano del 1962». Perché non agli altri? Perché i vescovi nelle loro diocesi non vogliono e perché Roma vuole evitare comunque dei problemi con loro e lascia ai seminaristi la possibilità di scelta. Perché da un lato si mette tutto a disposizione e poi per un aspetto così importante, così capitale, come le ordinazioni, si blocca tutto? La seconda più grande restrizione riguarda la qualità dei fedeli che possono godere delle disposizioni del Motu Proprio… Qualche numero dopo si insiste nel dire che il Pontificale è messo a disposizione liberamente. Nel Pontificale in effetti non vi sono solo le ordinazioni, ma vi sono anche le cresime. Ora, si precisa che le cresime possono essere conferite col rito antico. Davvero un curioso miscuglio. Non è possibile che si possano trovare due intenzioni così contrarie nello stesso testo. Com’è possibile? La spiegazione che vi vedo è che effettivamente vi sono a Roma almeno due forze contrarie, ognuna delle quali cerca di imporre il suo marchio. Alla fine si arriva a delle sorte di compromessi ingestibili e indigesti. Ritorno a Mons. Pozzo e al suo consiglio di strappare il famoso testo della Congregazione per i religiosi. A quel punto – che vi ho raccontato per illuminarvi un po’ – egli ha aggiunto: «Lei deve dire ai suoi sacerdoti e ai suoi fedeli che non tutto ciò che viene da Roma viene dal Papa». Ed io gli ho risposto: «Ma questo non è possibile, come vuole che dei sacerdoti, dei fedeli che ricevono un testo da Roma possano pensare una cosa così? La reazione sarebbe molto semplice: un testo mi piace, esso viene dal Papa, un altro non mi piace, non viene dal Papa. Questo atteggiamento, peraltro, è condannato da San Pio X». Il Vaticano è la mano del Papa. Ma queste parole di Mons. Pozzo contengono un messaggio, un messaggio gravissimo: il Papa non ha il controllo della sua casa. Questo significa che quando ci arrivano delle cose da Roma, in effetti si pensa subito all’autorità suprema, al Sommo Pontefice, al Papa. Ebbene, no! Non viene dal Papa. Questa è la situazione della Chiesa. Questa è quella che io chiamo una situazione contraddittoria, più o meno marcata a seconda dei casi, e in questo caso lo è meno. Una situazione veramente dura, molto difficile. Come navigare con questi venti contrari? Don Lorans
Monsignore, si sa che Lei andrà a Roma il 14 settembre prossimo ad incontrare il Cardinale Levada, con quali disposizioni ci va? Qual è il suo stato d’animo? Mons. Fellay Mi rifaccio un po’ a quel che è accaduto prima per la remissione delle scomuniche… Non so se vi ricordate, ma quell’estate, nel 2008, fu un po’ calda; io ricevetti quello che si è chiamato l’ultimatum. Mi viene in mente un piccolo accaduto… Mi si invia un testo che in sostanza dice così: «Se Mons. Fellay non accetta le condizioni molto chiare che gli imporremo, sarà molto grave». Il Cardinale Castrillon Hoyos dichiarò anche: «Fino ad oggi ho detto che lei non è scismatico, se continua non potrò più farlo». Una situazione davvero molto tesa. Io risposi: «Lei dice che devo rispettare le condizioni, ma quali?» Nessuna risposta. Silenzio. Chiedo di nuovo: «Lei dice che vi sono delle condizioni, ma che si aspetta da me?» A quel punto, il Cardinale, con voce molto grave – era davvero molto solenne – quasi a mezza voce ha detto lentamente: «Se veramente lei pensa in coscienza di poter dire quelle cose ai fedeli, ebbene, le dica!» Voi potete immaginare quanto fosse alta la tensione! Io dissi a Don Nély che mi accompagnava, che mi sentivo frustrato; ed egli mi confermò che si trattava veramente di un ultimatum. Su mia richiesta, egli ritornò l’indomani alla Commissione Ecclesia Dei per ottenere delle precisazioni sulle famose condizioni. È bastata loro una mezz’ora per redigere in cinque punti delle condizioni che dicevano tutto e niente. Dovevo anche promettere di praticare la carità ecclesiale. Cos’è che significa? Alla fine, io ho scritto qualche parola al Papa, e l’ultimatum non fu più all’ordine del giorno. Ma non si può dire che tutto andasse bene… Nel successivo mese di dicembre le relazioni si erano un po’ distese, scrissi al Cardinale per riprendere i contatti. Nel frattempo vi era stato Lourdes. Un’altra cosa parimenti epica, ecco brevemente un piccolo aneddoto: abbiamo potuto usare la Basilica per il nostro pellegrinaggio, ma dal vescovo del luogo, ai vescovi fu interdetto di dire Messa . Tre giorni prima del pellegrinaggio, avevo parlato al telefono col Cardinale Castrillon, al quale promisi di scrivere una lettera; nel corso della conversazione egli abbordò la questione del pellegrinaggio: «Ho saputo che fate un pellegrinaggio, sarà magnifico, vi sarà molta gente». Gli risposi: «È una cosa bella in effetti, ma vi è una nota stonata». «Come mai?» - «Già, i vescovi non possono celebrare». - «Dei vescovi censurati, fuori dalla Chiesa, è normale, non si può dare loro il permesso di dire Messa» - «E gli anglicani, non sono scomunicati?» - «Che intende dire?» - «Che gli anglicani hanno potuto celebrare nella Basilica di Lourdes» - «Davvero? Ha le prove? Ce ne occuperemo». Stavamo partendo per Lourdes, recuperai subito poche cose su internet per inviargliele. Tutto il programma era ben dettagliato nei documenti ufficiali di Lourdes: per un’intera settimana sette vescovi avrebbero concelebrato sette Messe in presenza del Cardinale Kasper, tutti i ministri erano anglicani, l’omelia tenuta da un anglicano, non dico da un vescovo perché gli anglicani sono tutti dei laici, non sono dei veri preti, ancor meno dei veri vescovi. Questo per illustrare il clima: da un lato si cerca di annientarci e dall’altro ci si occupa di noi al punto di disturbare il Papa un pomeriggio a causa di questa storia di Lourdes. Ho approfittato della lettera che infine ho scritto al Cardinale Castrillon nel mese di dicembre, per riferirgli le dichiarazioni del vescovo di Tarbes secondo cui se noi cessassimo di dirci cattolici potremmo celebrare la Messa. Gli ho spiegato «Così allora, perché noi si possano avere delle chiese, volete che usciamo dalla Chiesa, la cosa non sta in piedi!». Ero un po’ seccato. Il 17 dicembre avevo saputo che a Roma si sarebbe tenuta una riunione per riflettere se bisognava dichiarare lo scisma della Fraternità o eventualmente scomunicare Mons. Fellay perché favoriva un’attitudine scismatica nella Fraternità. Inviai una lettera… un mese più tardi non v’erano più scomuniche! Certo, vi era stata la Crociata del Rosario, ma dopo la lettera che avevo inviato, pensavo che la cosa non sarebbe giunta così presto. In effetti, il Cardinale Castrillon mi informò che c’erano state due riunioni di cardinali: una prima in cui avevano discusso della scomunica, conclusasi negativamente; poi una seconda la cui conclusione è stata che si poteva benissimo riconoscere la Fraternità. Questo mi è stato riferito diversi mesi dopo… Don
Lorans
Monsignore, Lei ci fa capire che le linee di partenza deviano un po’. Questa Università d’estate è dedicata all’apologetica, secondo Lei, deve anche cambiare l’attitudine dei fedeli e dei sacerdoti legati alla Tradizione? È questo un periodo nel quale bisogna tenere conto propriamente della realtà e delle circostanze offerteci dalla Provvidenza? Mons. Fellay Io penso che occorre conservare un’estrema prudenza. Questa situazione contraddittoria genera inevitabilmente ogni sorta di dicerie, di voci di ogni genere, ecco perché bisogna davvero, se posso dire così, frenare sette volte la lingua in bocca prima di parlare, e aggiungerei anche prima di credere in qualcosa. Bisogna guardare ai fatti, non correre dietro alle voci, se non si vuole rincretinire! Il Cardinale Levada mi ha invitato il 14 settembre insieme ai due Assistenti generali. Si tratta di qualcosa di nuovo. Si dice che sono stati affrontati tutti i temi dottrinali, che adesso è necessaria una riunione per valutare questi colloqui teologici e parlare del futuro. Si dice che vi sarà una proposta di accordo pratico, io non so niente. Tutti ne parlano: Don Aulagnier dice che faranno così e che la Fraternità rifiuterà. Non ne so niente. Anche Mons. Williamson ne ha parlato, non so da dove abbia ricevuto le sue informazioni, sembrerebbe da un portavoce dell’Ecclesia Dei… Chi sarebbe? Non ne so niente. Certe voci persistono, vi sarà qualche novità? Vi è un sacco di gente che parla; Roma non smentisce, ma io continuo a ricevere niente. Si rimane nell’attesa. Se il loro obiettivo resta sempre l’accettazione del Concilio da parte della Fraternità, i colloqui sono stati abbastanza chiari da dimostrare che noi non abbiamo l’intenzione di impegnarci su questa strada. Già nel 2005, dopo cinque ore di discussioni nel corso delle quali io avevo passato in rassegna tutte le nostre obiezioni contro gli errori, lo stato odierno della Chiesa, il Diritto Canonico, vi posso assicurare che i rapporti erano tesi. Il Cardinale Castrillon aveva concluso: «Non posso dire che sono d’accordo con tutto quello che ha detto, ma le sue considerazioni dimostrano che non siete fuori della Chiesa. Scriva al Papa per chiedergli di togliere le scomuniche». Capii allora che Roma era pronta a fare un gesto, altrimenti tale richiesta non avrebbe avuto alcun senso. La mia risposta non fu immediata, poiché in effetti secondo noi non c’è mai stata scomunica. Ecco perché nella lettera che scrissi al Papa non chiedevo la remissione della scomunica, ma l’annullamento o il ritiro del decreto, visto che quello sì che esisteva. A coloro che dicono che io avrei chiesto la remissione della scomunica, rispondo che è falso. Il Cardinale Castrillon mi ha anche scritto: «Voi chiedete che si ritiri il decreto, vi verrà tolta la scomunica». Chiarissimo, loro sanno bene cosa scrivono. Allora per conoscere la situazione esatta… Da parte mia non starò a dirvi cosa succederà domani, non lo so. Si potrà trattare della dichiarazione di scisma fino al riconoscimento della Fraternità. Non voglio fare supposizioni. Io cerco di prevenire le situazioni, di riflettere su ciò che bisogna fare in tale o tal’altro caso specifico. Da un lato, io consiglio un’estrema prudenza, non correre dietro alle dicerie, attenersi ai fatti, alla realtà. La mia impressione è che Roma non si curi di ciò che si dice; le parole si rincorrono in tutte le direzioni, ma non hanno un gran valore. Non perdiamo la testa. È un po’ come Nostro Signore, vi si dirà è qui, è là, non andate, aspettate. Dall’altro lato, io ritengo che i colloqui dottrinali di per sé non apporteranno un gran bene nell’immediato, perché si tratta dell’incontro di due mentalità contrastanti. Mi viene in mente l’immagine di un torneo in cui i due cavalieri imbracciano le lance, partono, ma queste passano a fianco dell’uno e dell’altro. In ogni caso, essi non possono dire che si è d’accordo. Se siamo d’accordo su un punto, questo è che siamo d’accordo su niente! Evidentemente, se si parla della Santissima Trinità si è d’accordo… Ma il problema non è questo: quando si parla del Concilio si parla di certi problemi nuovi, che noi chiamiamo errori. Vi è la voce secondo la quale ci verranno fatte delle proposte. Ma a quali condizioni? Vi saranno delle condizioni? Dal mio punto di vista sarebbe inverosimile che non ve ne fossero. Certuni dicono che questo non è possibile, che fino ad oggi essi hanno sempre provato a farci avallare il Concilio. Io non lo so. La sola cosa che dico è: “si va avanti”. Noi abbiamo i nostri principi, il primo dei quali è la Fede. A cosa servirebbe ricevere un qualunque vantaggio qui in terra, se si deve mettere i giuoco la Fede? È impossibile. Senza la Fede è impossibile piacere a Dio, dunque la nostra scelta è fatta. Prima di tutto la Fede, ad ogni costo, essa viene anche prima di un riconoscimento da parte della Chiesa. Bisogna avere questa forza. Vorrei dire un’ultima cosa: qualcosa si muove, e in questo qualcosa che si muove vi sono delle anime assetate, che vengono dallo stato disastroso della Chiesa odierna, non arrivano come delle anime perfette, ma bisogna occuparsene. Fino ad oggi noi abbiamo tenuto un atteggiamento di difesa. Tuttavia non bisogna aver paura di introdurvi un elemento di attacco, un elemento più positivo: andare verso gli altri per cercare di guadagnarli dando prova della più grande prudenza, poiché l’ostilità non è finita. Immaginate che Roma ci riconosca subito, cosa che non credo, cosa accadrà allora? Credete che i progressisti cambieranno atteggiamento nei nostri confronti? Nient’affatto! Per un verso continueranno a rigettarci come hanno sempre fatto o cercheranno di farci ingoiare il loro veleno; noi rifiuteremmo e il conflitto ripartirebbe daccapo, non fatevi illusioni. Se Roma ci riconoscesse, le cose sarebbero più dure di oggi. Oggi noi beneficiamo di una certa libertà. Ci sarà pure un giorno in cui la Chiesa ci riconoscerà come cattolici, ma non sarà facile. Da parte di Roma, ci manca la chiarezza; noi vorremmo che Roma divenisse nuovamente il faro della verità, ma per il momento la cosa è ben lungi dall’essere, oggi è tutto molto sfocato… Da parte nostra, noi non cambiamo fondamentalmente nulla, noi continuiamo a rimanere centrati sulla Fede, sempre pronti ad aiutare le anime che anelano ad essere aiutate, anche se inizialmente hanno dei comportamenti che lasciano a desiderare. Occorre molta pazienza, molta misericordia pur rimanendo fermi, cosa che non è facile! Facciamo attenzione a non rigettare per delle ragioni superficiali delle anime che meritano e che vengono verso di noi; non vogliamo chiunque, soprattutto non bisogna indebolirci, ma occorre essere buoni con tutti. È un obbligo anche per noi crescere nella virtù. Bisogna rimanere nel dominio soprannaturale. L’apologetica consiste nella difesa della Fede, ma soprattutto al livello della ragione, in modo da provare a convincere. Ma questo non basta. Per convincere è necessario che passi la grazia, e la grazia è soprannaturale. Per convincere occorre un atto del Buon Dio, quindi occorre assumere i mezzi soprannaturali. Per noi questo significa condurre una vita cristiana profonda, intensa. Questo è molto più importante della battaglia semplicemente apologetica, ma non significa che bisogna trascurare la prima, entrambe sono necessarie, è solo una questione di ordine. È per questo che mi permetto di insistere sulla nostra crociata. Le vittorie che riportiamo sulla Roma modernista non è a noi che dobbiamo attribuirle, ma indubbiamente alla Santa Vergine e alle nostre crociate. È alla fine di ciascuna delle nostre crociate che abbiamo ottenuto sia la Messa sia la remissione delle scomuniche, tutte le volte che ci siamo rivolti alla Santa Vergine e in situazioni ritenute impossibili. Non bisogna solo contare sulla Santa Vergine, ma stringersi anche sotto la sua bandiera, seguirla. Questo è il suo tempo. (È stato conservato lo stile orale) (torna
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settembre 2011 |