A che punto sono i rapporti della Fraternità San Pio X con Roma?

Conferenza
di Mons. Bernard Fellay
in occasione delle Giornate della Tradizione
a Villepreux, Francia


  2 ottobre 2011

La conferenza è stata pubblicata sulla rivista bimestrale
della Fraternità San Pio X
Nouvelles de Chrétienté, n° 132 - novembre-dicembre 2011



Traduzione, impaginazione e sottolineature sono nostre
I titoli intertestuali sono dell'originale


Don Lorans: Monsignore, com’è andata il 14 settembre a Roma? Chi ha incontrato?

Mons. Fellay: Prima di rispondere, vorrei fare alcuni richiami storici sulla genesi di quest’incontro. Vi ricorderete che alla fine del 2000, e nei primi del 2001, in occasione del primo approccio romano che proponeva una soluzione alla Fraternità San Pio X, noi iniziammo col dire: «La vostra proposta ci interessa, ma visto il modo in cui voi agite con i sacerdoti e i fedeli che hanno in fondo la stessa nostra aspirazione nei confronti della Tradizione, e che sono stati riconosciuti da voi, non possiamo accordarvi fiducia. Prima di tutto occorre ristabilire questa fiducia; ed è per questo che vi chiediamo dei gesti che esprimano non solo a parole, ma con i fatti, che Roma vuol bene alla Tradizione, la vuole e la sostiene».

Breve storia dei rapporti della Fraternità San Pio X con Roma, a partire dal 2001

Questi due segni erano, in primo luogo la Messa per tutti: che tutti i sacerdoti, nel mondo intero, potessero celebrare la Messa antica; secondariamente, visto che i vescovi hanno l’abitudine di agitare come uno spauracchio l’argomento della scomunica – poco importa che lo si creda o no, noi riteniamo che per quanto ci riguarda essa non è mai esistita – chiediamo che questo spauracchio venga rimosso.
Si trattava come di un preliminare – è questo il termine che è stato utilizzato – prima che si potesse procedere oltre. All’inizio, questo preliminare fu ricevuto a Roma con l’intenzione di non recepirlo. A proposito della Messa ci si rispondeva: «Il Papa è d’accordo sul fatto che la Messa non è mai stata abrogata, e che quindi ogni sacerdote può celebrarla». E su questa posizione vi erano dei cardinali tra i più importanti, di cui ci fu fornita tutta una lista: il cardinale Sodano, Segretario di Stato, il cardinale Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Castrillón, Prefetto della Congregazione per il Clero, il cardinale Medina, Prefetto della Congregazione per la Liturgia e la Disciplina dei Sacramenti; ci fu segnalato anche il Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi, diretto dal cardinale Herranz, i tribunali con Mons. De Magistris… Insomma tutta una lista di personalità molto importanti in Vaticano, tutti d’accordo nel dire che la Messa non era mai stata abrogata e che quindi la si poteva celebrare.
Con una tale introduzione fummo portati a porci la domanda: esiste ancora un problema a proposito della Messa? E allora ci si spiegava che sì, certo, ai piani superiori tutti erano d’accordo, ma «in basso, voi capite, vi sono i segretari e poi i sottosegretari, e questi non sono d’accordo».
Conclusione: non ve lo si può accordare.

Per iscritto, in una lettera del mese di maggio 2001, il cardinale Castrillón spiegava che per un certo numero di fedeli e di vescovi, l’accordare la Messa giuocava a sfavore della riforma liturgica e costituiva una sconfessione di Paolo VI, e quindi non la si poteva accordare. Dunque dei fedeli e dei vescovi giudicano – sono loro i giudici della Chiesa – che questa Messa non si può accordare. Si può dire che nel 2001 si era partiti veramente bene!
Nel 2005 arriva l’elezione al supremo pontificato di Benedetto XVI. Il Papa affronta molto rapidamente la questione della liberalizzazione della Messa. Era più di un permesso, ma furono necessari due anni perché l’apertura si concretizzasse, nel 2007, col Motu Proprio. Anche se questo non passa tanto facilmente, ma alla fine è passato. E poi la seconda tappa, la remissione delle scomuniche nel 2009.

Nella nostra ottica, in tutto questo si tratta di una opposizione ben più profonda della semplice ostilità umana, si tratta dell’insegnamento della dottrina. Se noi abbiamo le nostre posizioni, non è perché il tale o il tal’altro ci piace o no. Per noi si tratta unicamente di conservare la Fede, di vivere la Fede cattolica. È l’unica ragione di questo conflitto.

Per noi tutto questo è chiaro e lo esprimemmo all’epoca, chiedendo, per pacificare il clima, di rimuovere questi elementi bellicosi come quello della scomunica. Questo non significa che si risolvono i problemi, ma significa che si mette da parte un po’ dell’aspetto passionale, per poter giustamente trattare dei problemi di fondo, che sono dottrinali.

Fintanto che non abbiamo risolto, almeno nei loro principi, i grandi problemi che ci oppongono a Roma, passare ad una soluzione pratica ci porterebbe a ritrovare domani gli stessi problemi di ieri, che allora rischierebbero di colpirci in maniera ancora più dolorosa di prima, da qui la nostra insistenza per affrontare le questioni dottrinali.

Evidentemente, su questa questione dottrinale la prospettiva romana non è necessariamente la stessa della nostra. Al momento della firma del famoso decreto sulla remissione della scomunica, Roma non ha nascosto che rimanevano dei problemi dottrinali di cui bisognava discutere, come per dire che i problemi dottrinali venivano dalla Fraternità. Noi diciamo invece che è dall’altro lato che vi sono dei problemi dottrinali che bisogna trattare. In realtà, poco importa la maniera con cui si affrontano le difficoltà, basta che se ne discuta. Bisogna almeno cominciare a discuterne, se no non si arriverà mai a passare oltre.

Per quasi due anni sono state discusse le questioni principali. È chiaro che non è stato possibile affrontare tutto. I problemi causati dal Concilio e dal post-Concilio, sollevano molte questioni, ma si capisce che comunque il Vaticano II ne è come la fonte. Con questo non vogliamo dire che il Concilio è la causa di tutti i mali della Chiesa, poiché certi erano anteriori ad esso. Il Concilio non avrebbe avuto lo sbocco che conosciamo se non fosse stato preparato, questo è evidente.

Nondimeno, al Concilio si sono cristallizzati, stabiliti, legalizzati, si può dire perfino canonizzati, un certo numero di quei principi che arrecano danno alla Chiesa, principi che essa un tempo aveva semplicemente condannato, o condannato in parte, e poi altre cose che sono veramente nuove. Questi principi hanno largamente introdotto lo spirito del mondo, il liberalismo che è per essenza estraneo alla Chiesa. Il liberalismo, che è proprio lo spirito del mondo di oggi.

Queste questioni teologiche sono state trattate in maniera semplice. Invece di scambi episodici semplicemente orali, Roma ha auspicato degli scambi scritti: la Fraternità cominciava col porre il problema, gli esperti romani rispondevano per iscritto. Se si disponeva del tempo sufficiente, si aveva una risposta alla risposta, ed eventualmente perfino una risposta alla risposta della risposta. Era dunque un va e vieni che preparava un incontro di scambi orali, che avesse luogo su un fondamento ben definito. Questi colloqui sono durati quasi due anni. Dopo di che bisognava pure tracciare un bilancio che ne costituisse in qualche modo la conclusione. Questa è la ragione che ci è stata data per l’incontro del 14 settembre.


L’incontro con il cardinale Levada, del 14 settembre, a Roma

Così, siamo stati invitati a Roma. È alquanto sorprendente che il Superiore Generale sia stato convocato, pardon invitato – è il termine utilizzato – con i suoi due Assistenti. Si tratta del Consiglio generale; la Fraternità è governata da un Superiore Generale che è assistito da due consiglieri, da due Assistenti generali. È la legge della Chiesa che vuole così: per le grandi decisioni, la voce del Superiore Generale non basta, come per la validità di tali decisioni importati; occorre anche il voto dei due Assistenti, cioè del Consiglio generale. È così in tutte le società religiose, non è niente di eccezionale.

Dunque in quell’occasione viene invitato il Consiglio. Il che lasciava supporre che si trattasse di qualcosa d’importante. Ci si precisa che l’oggetto della riunione è «valutare questi colloqui» - cioè dare un giudizio su ciò che si è detto, su ciò che è stato scambiato. La seconda ragione di quest’invito è «affrontare le prospettive future»; termine molto vasto in cui si può far rientrare ciò che si vuole e su cui si può immaginare di tutto.

Noi arrivammo alla Congregazione per la Fede poco prima delle 10. Fummo ricevuti dal cardinale Levada, dal segretario della Congregazione per la Fede, Mons. Ladaria, e da Mons. Pozzo, segretario della Commissione Ecclesia Dei. Vi era anche un segretario per prendere nota. La discussione è durata fin quasi alle 2,20 - 2,30.

Si trattava di valutare i colloqui, ma non ne è venuto fuori un granché, se non che vi erano stati questi colloqui e che lo scopo perseguito era stato raggiunto, poiché era quello di permettere alla Fraternità di esporre la sua posizione. Si può dedurne ciò che si vuole, ma per Roma questi colloqui erano riusciti, poiché la Fraternità era riuscita ad esporre la sua posizione. Questa è la versione ufficiale, non vi rivelo alcun segreto. Interessante e al tempo stesso restiamo un po’ delusi!

Allora, come stanno le cose? La nostra posizione la conoscete, l’abbiamo esposta molte volte: noi vediamo nel Vaticano II la causa della crisi della Chiesa. Ancora una volta pur ammettendo tutte le sfumature e pur accettando che certi principi nocivi non vengono direttamente dal Concilio. Ma in rapporto alla Chiesa, nella Chiesa, per noi è assolutamente innegabile che la rivoluzione del Concilio ha condotto al disastro che si constata ogni giorno. E se si parla di disastro, questo disastro ha una causa.

Due segni tangibili della crisi nella Chiesa: l’invecchiamento del clero e la rarefazione delle vocazioni.

Occorre notare per inciso che certo si sono fatti molti passi avanti i in questi anni. Mi ricordo delle mie prime visite a Roma, quando si provava a dire che nella Chiesa questa cosa non andava, mi si rispondeva: «Ma no, va tutto bene!» Ed io ero obbligato a portarmi dietro degli esempi, dei documenti da mostrare in appoggio alle mie parole. Adesso, Roma ammette che effettivamente certe cose non vanno bene, forse perché la crisi è più visibile. Questo malessere si fa sentire crudelmente, in particolare sul piano delle vocazioni. Pensate che il numero di ordinazioni sacerdotali per la diocesi di Roma – cioè i preti che appartengono alla diocesi di Roma per l’anno prossimo rispetto a quest’anno – ammonta a una ordinazione, una sola! E se si guardano le diocesi della Francia, della Germania, dell’Europa intera, è una catastrofe indicibile. È matematico, sono le cifre che parlano, e per poco che si rifletta si tratta di cifre che traducono una realtà. Quando si dice che l’età media dei preti in Francia è di 70 anni, si capisce che cosa questo significhi. Quando si constata che in tutta la Francia vengono ordinati ogni anno meno di cento preti, la proporzione di questi nuovi preti, peraltro non tutti tanto giovani, non è in grado di stabilizzare e ancor meno di abbassare questa età media. Il che significa che questa età media aumenta quasi ogni anno di un anno, perché praticamente non vi sono nuovi ingressi e i preti continuano a invecchiare: a 70 anni non si ha più la forza di un prete di 30 o 40 anni. Per di più, è evidente che ad un certo momento il Buon Dio li chiamerà. E questa età media di 70 anni, in 10 anni passerà a quasi 80 anni! Quanti ne resteranno in attività con una media così? Sarà la fine o quasi.

Se si esamina adesso la media del numero di parrocchie per prete, è spaventosa. Vi faccio giusto un esempio: qualche anno fa la diocesi di Bourges contava quasi 500 o 550 parrocchie, oggi le ha ridotte a 60 per far sì che ogni parrocchia abbia un prete. Una riduzione di quasi il 90%. Il curato che si occupa di Saint-Michel en Brenne, ove si trova la Casa Madre delle Suore della Fraternità San Pio X, ha in carico 40 parrocchie, in un raggio di più di 50 km. Una situazione impossibile da gestire! Un solo prete potrà assicurare la Messa in una o due chiese, al massimo in tre, su un territorio che sembra essere un vero territorio di missione. Infatti, è nelle missioni che vi sono questi spazi, invece siamo in Francia, si può dire nella Francia profonda. E questo non è il solo paese, più si andrà avanti e più questa situazione andrà a peggiorare. La sparizione delle società religiose, delle congregazioni religiose, è dovuta allo stesso problema: non vi sono più ingressi.

Negli Stati Uniti, in 15 anni, la diminuzione degli ingressi negli ordini religiosi è parimenti terrificante. In questo paese, quelli che ancora ne escono meglio sono i gesuiti, che hanno avuto un calo degli ingressi di solo il 70%. Ciò vuol dire che mentre 15 anni fa ne entravano 10, oggi ne entrano solo più tre. Tutte le altre congregazioni religiose, maschili e femminili, hanno subito una diminuzione di almeno il 90% degli ingressi. Mentre 15 anni fa ne entravano 10, oggi ne entra solo uno. E non vi dico quanti ne escono di quelli che sono entrati! C’è anche questo. Quando si pensa che da noi – ed è sempre stato così nella Chiesa, anche nei periodi migliori – per le ordinazioni sacerdotali è quasi il 40% dei candidati che non arriva al sacerdozio. Su dieci che ne entrano, ve ne sono 5 o 6 che diventano sacerdoti. Quando la Fraternità ha iniziato, arrivavano al sacerdozio quasi il 40% di coloro che erano entrati in seminario. Adesso ve ne sono, in media, quasi la metà. Se sentite che quest’anno sono entrati in seminario 50 seminaristi, potete contare che in 6 anni si avranno 25 sacerdoti, quasi la metà. Ma ancora una volta vi sono delle variazioni, è normale, si tratta di uomini.

Questo tuttavia permette certi calcoli. Se vi si dice che nei seminari diocesani sono entrati così pochi seminaristi, quanti ne resteranno? Bisogna dividere per più della metà! Veramente siamo vicini ad una gestione fallimentare, se addirittura non vi siamo già. Non solo sul piano materiale, ma anche sul piano degli effettivi del clero in tutti i nostri paesi cristiani. L’Europa forniva sacerdoti per l’Europa; ma era anche il focolaio, la fonte di ogni slancio missionario. Certo, ci si dice che vi sono delle vocazioni nate nei paesi missionari, ma bisogna vedere come sono formati questi seminaristi, e ancora una volta quanto tempo resistono.

Tutte queste questioni restano ampiamente aperte. E a questo aggiungete anche i problemi di quei preti che non vogliono essere preti del tutto, ma solo a metà, che vogliono prendere moglie, come avete sentito recentemente. Questo movimento adesso è installato in Germania e recentemente in Austria, dove circa 300, 350 preti e una ventina di diaconi sono venuti alla ribalta per chiedere il matrimonio dei preti, l’accesso delle donne al sacerdozio, la predicazione dei laici, la comunione per i divorziati risposati, insomma tutte quelle questioni morali sulle quali, grazie a Dio, la Chiesa resiste ancora. Questi preti, non solo chiedono, ma minacciano di passare all’azione.
Bisogna aver presente l’insieme di questo aspetto delle cose… quando si dice che questo non va bene nella Chiesa, si ha quanto meno ragione di dirlo! E a tutti i livelli: quello della Fede, quello dell’insegnamento, quello del catechismo, dappertutto…

Le proposte romane

È così siamo arrivati a Roma il 14 settembre e ci è stato detto: «Vi facciamo una proposta; voi firmate una dichiarazione dottrinale – ciò che è stato chiamato “preambolo dottrinale” – e poi noi vi diamo una struttura canonica». Quella che è stata indicata, con possibilità di discuterne, è una prelatura personale; ad oggi la sola esistente è quella dell’Opus Dei. Questa dà una certa autonomia, ma nondimeno molti punti restano in sospeso. Noi siamo rimasti un po’ delusi, poiché volevamo una discussione teologica, e in qualche modo ci hanno fatto capire che i colloqui dottrinali c’erano già stati e che adesso si voltava pagina per andare oltre e regolare tutta la questione. Un cardinale ha detto ad un sacerdote che ce lo ha riferito: «Si, è vero che rimangono delle divergenze dottrinali, ma è il Papa che lo vuole». E io penso che si può prendere questa affermazione per vera. Già nel 2005, nel corso dell’udienza che ebbi con lui, il Papa aveva espresso il desiderio che la questione della Fraternità fosse regolata rapidamente. Io lo capisco. Ci vuole del tempo, delle tappe, e la sua età avanza. Io penso che forse è un po’ questa impazienza – o questa volontà personale di regolare questa questione – che lo spinge a dire che si regolarizzi adesso.

Regolarizzare la questione vuol dire dare uno statuto, un’esistenza canonica alla Fraternità, ma questo pone anche il problema della dottrina, perché loro a Roma sanno bene che noi non staremo zitti. Il che apre una quantità di questioni importanti.

Ci sono stati consegnati due documenti o piuttosto un insieme in due parti: una parte dottrinale che è ancora da discutere, parzialmente, poiché si tratta di un progetto che ci si dice modificabile facendo salva la sostanza. Bisogna vedere cosa essi intendano per sostanza: una parte che non si può toccare e una parte che eventualmente si potrebbe correggere.
Roma ha pubblicato un comunicato in cui si dice che è imposto alla Fraternità un certo numero di principi che sono necessari per la conservazione della Fede, insieme ad un certo numero di criteri di interpretazione del Magistero, che costituiscono ciò che è necessario per essere cattolici – è questo il modo in cui si esprimono. Ammesso questo, resta libera una critica legittima, uno studio dei testi, di certe espressioni particolari del Concilio Vaticano II e del Magistero posteriore.

Questa piccola frase, carica di conseguenze, è certamente qualcosa di più ampio. Questa apertura che permette di criticare il Concilio, anche se è una facoltà ancora limitata, è molto importante, perfino capitale; io penso che è la prima volta che succede una cosa così. Con questo, cade il tabù del Concilio. Anche se ancora ci si attiene al Concilio, quando si comincia a dire che lo si può discutere è evidente che si abbandona la zavorra. Per noi resta la questione di sapere fino a che punto si potrà utilizzare questa facoltà, cioè il margine che esiste tra criteri di interpretazione obbligatori e libertà di discussione, perché se bisognasse accettare tutto, non si vedrebbe allora cosa si potrebbe discutere.

Non si può dire che il documento sia del tutto chiaro; esso è anche, e bisognava aspettarselo, passabilmente difficile da capire. Molti punti devono essere chiariti, non foss’altro che per poter esprimere un giudizio corretto, onesto, sul testo che ci è stato proposto, e valutare così dei punti che non sono chiari o tali che non si potrebbero accettare. Possiamo chiarire questi punti? È ciò che faremo nel corso di una nuova riunione, questa volta tra noi.

Don Lorans: Allora, precisamente voi vi riunirete il 7 ottobre, ad Albano. Perché Albano, che è a due passi da Castel Gandolfo? Onestamente, lo fate apposta?

Mons. Fellay: Mi piacerebbe, ma non è affatto così! Si tratta di un’occasione che molto semplicemente ci è stata fornita da lungo tempo. Noi avevamo previsto una riunione per studiare una questione particolare e interessante: come trattare con i media, come la Fraternità deve comunicare con i media, come reagire quando la si attacca, come fare per far passare il nostro messaggio? Erano invitati un certo numero di professionisti dei media e anche i Superiori dei distretti, ma in maniera facoltativa, soprattutto quelli che si occupano in modo particolare della comunicazione nella Fraternità. Io ho potuto constatare che molti erano interessati. Ho voluto approfittare di questa riunione per trattare di un argomento diverso, esattamente di questo nuovo gesto che ci viene da Roma: come valutarlo, come bisogna rispondere? La riunione prevista inizialmente si doveva svolgere ad Albano, non è stato cambiato né il luogo, né la data, si è semplicemente chiesto a tutti i Superiori di essere presenti.

Opinioni conciliari e verità di fede

Don Lorans: Non Le si può chiedere di dirci esattamente ciò che accadrà ad Albano, si tratta di una riunione a porte chiuse, ma la settimana scorsa si è svolto un viaggio del Papa in Germania, ove egli ha espresso delle considerazioni molto ecumeniche nei confronti dei protestanti, nel discorso che ha tenuto al Bundestag ha parlato anche del modo in cui egli vede la Stato di diritto liberale. Dopo la vostra riunione ad Albano, egli avrà sempre in Italia, ma questa volta ad Assisi, un’altra riunione certo più interreligiosa di quella che avrete ad Albano il 7 e l’8 ottobre. Leggerete il documento che vi è stato consegnato alla luce di queste dichiarazioni e di questi atti che sono stati compiuti, poco fa in Germania e adesso ad Assisi?

Mons. Fellay: In sé bisogna distinguere, ma in concreto noi troviamo proprio in questi due avvenimenti l’applicazione di ciò che rimproveriamo oggi a Roma. Un’applicazione attuale, davanti ai nostri occhi; e un’altra che non è difficile da ricordare. È evidente che questi fatti saranno presi in considerazione, perché la questione è sempre la stessa, non ci si capisce, non si è d’accordo. Che fare in una tale situazione? E in definitiva, è possibile porsi sotto un’autorità che si è decisi ad ammonire circa le sue deviazioni, quando si verificano e se si verificano? Immaginate un po’, umanamente è insopportabile; io non conosco un superiore che sarebbe d’accordo nel dire ad un inferiore: «Hai il diritto di criticarmi quanto vuoi». Impossibile! Un superiore dirà molto semplicemente a questo inferiore: «Taci o prendi la porta!». Si fa veramente fatica a solo concepire come potrebbe essere possibile una convivenza in ragione di questa situazione teologica non regolata, tranne che non si considerino tutte queste divergenze come delle opinioni. Lo si può capire se le si pongono al livello degli uomini, ma in questo caso è proprio al livello della Chiesa che esse si pongono.

Vi sono dei gradi, delle verità obbligate, ciò che si chiama la Fede, che devono essere accettate, e il Magistero, quand’è un vero Magistero, impone la tale dottrina e condanna coloro che affermano il contrario. D’altra parte, certi domini o certe questioni sono lasciate aperte. Trattandosi di questioni aperte, la Chiesa si propone sia di definirle un giorno, accettando per il momento la libera discussione, sia di lasciare la questione aperta senza permettere la discussione. Nella storia della Chiesa si trovano alcuni esempi concreti di questa pratica, in particolare la grande differenza tra i gesuiti e i domenicani sulla questione della grazia: la natura e la grazia, come la grazia si coniughi col libero arbitrio. I domenicani e i gesuiti si sono scomunicati a vicenda su questo argomento, e il Papa, non desiderando definirlo, ha detto che la questione rimaneva aperta, minacciando insieme di scomunica coloro che avrebbero provato a scomunicare gli altri. È un esempio di questioni che la Chiesa non ha voluto definire, molto semplicemente. Ve ne sono altre, che non sono necessariamente questioni secondarie, si può trattare di questioni importanti. Come sapere se nelle gocce di sangue cadute a terra sulla via del Calvario – Nostro Signore ha perso del sangue sulla Via Crucis – la divinità sia rimasta unita a queste gocce o no. Ebbene! Questa questione è ancora aperta, la Chiesa non l’ha voluto definire. Al momento dell’assunzione in Cielo, la Santa Vergine era morta o solo addormentata? Anche questa questione non è stata definita. Una questione che non viene definita rimane in un ambito che è quello delle opinioni. Il che significa che se voi pensate che la Santa Vergine è morta o non è morta, avete il diritto di farlo. Certo non è proprio la stessa cosa, ma la Chiesa per il momento, sull’argomento lascia la libertà di pensare ciò che si vuole. Avanzate dei buoni argomenti e la cosa vi sembrerà più così o più cosà, ma è discutibile.

La situazione nella quale ci troviamo adesso è quella in cui Roma dirà che tutti i punti in discussione sono discutibili? È questo ciò che Roma dice veramente? Personalmente io non lo credo. Bisognerà cercare di approfondire un po’. Fino a dove giunge questa «tolleranza» della Chiesa odierna nei nostri confronti, quando ci si dice che si possono discutere certi punti?

Non è una questione in sé, poiché in sé noi attacchiamo il Concilio. Ma la questione sta nel sapere – al fine di prevedere ciò che ci capiterà -  cos’è che pensa, cos’è che vuole l’autorità attuale nella Chiesa. Se per esempio mi si dice: «Potete discutere solo sul punto di sapere se si può dialogare o meno con i protestanti», - questa questione è importante -, ma si aggiunge: «potete discutere su questo punto, ma non sul resto», allora non se ne parla.

Vedete che si tratta di questioni veramente cruciali che ci si parano davanti. Da una parte, è manifesto che Roma ha fatto un passo verso di noi, ma dall’altra ci si può chiedere: è per buona volontà o no? Certo, con la nostra mentalità si tenderebbe facilmente a pensare: non si tratta di una cattiva intenzione, di una trappola? Personalmente io distinguerei. Non penso che vi sia della cattiva intenzione, ma è possibile che si tratti di una trappola, non foss’altro che in ragione della situazione oggettiva che questo creerebbe.

L’ora è grave, senza alcun dubbio, da entrambi i lati. Questa apertura di Roma alla discussione assesta un colpo terribile a tutti coloro che hanno voluto fare del Vaticano II il punto di partenza di una nuova Chiesa; un colpo terribile ai progressisti che col Concilio hanno voluto voltare pagina. Se si apre questa discussione, se adesso si permette di discutere il Concilio, è molto chiaro che per gli adepti di questa nuova Chiesa è la fine. Questo significa quindi che in tutti i modi dovremo fronteggiare l’opposizione dei progressisti. Più che mai, questa volta noi siamo come una spada conficcata nelle loro carni – penso che sia importante tenerlo presente. Si tratta quanto meno di un importante passo avanti che si sta facendo. Ma in pratica, sarà utilizzabile per noi? Ecco la grande questione.

Roma fa di nuovo un gesto, se noi non rispondiamo, o se rispondiamo negativamente, quelli che appariranno come i cattivi, i testardi, gli ottusi, saremo noi – gli irrecuperabili saremo noi. Occorre dunque riflettere su tutto questo. Certo, vi sono delle questioni di Fede, ma anche delle questioni di prudenza.

Questi testi che ci sono stati consegnati il 14 settembre, sono stati esaminati dall’uno o dall’altro specialista a Roma, ed ecco cosa ci è stato detto – cosa che è molto istruttiva: «Fate attenzione, questo non è un testo dogmatico, ma un testo diplomatico tra due parti che non possono perdere la faccia» Evidentemente noi abbiamo difficoltà a capire questo linguaggio, noi vogliamo che le cose siano chiare, vogliamo un sì che sia sì, un non che sia no, e non dei sì-no o dei no-sì. Tutta la nostra difficoltà sta proprio nel riuscire a cogliere il bandolo in quest’imbroglio.

La critica del Vaticano II si estende fuori dalla Fraternità San Pio X

Don Lorans: Monsignore, grazie per questo bel passaggio, in fondo Lei ci invita a leggere Sì Sì No No, cioè il Courrier de Rome. Io vorrei giustamente porLe questa domanda: in questa situazione molto difficile, che abbiamo appena compresa, Lei pensa di poter ricevere un sostegno da parte di un’opera che è sta appena pubblicata proprio dalle edizioni del Courrier de Rome, la versione francese di ciò che è in Italia Sì Sì No No di Don Putti. Parlo del lavoro di Mons. Brunero Gherardini che fa seguito al libro apparso poco più di un anno fa e che si intitolava Concilio Vaticano II. Un discorso da fare. Seguito che è apparso oggi e che ho qui in mano e che s’intitola Concilio Vaticano II. Un discorso mancato (1). So che Lei lo ha letto e che ha anche incontrato Mons. Gherardini. Può presentarcelo e dirci in cosa possa essere utile o meno in questo dibattito che Lei ci ha ricordato essere essenzialmente dottrinale? E anche, in subordine, sapendo che da alcuni giorni degli intellettuali cattolici, sia ecclesiastici sia laici, hanno presentato al Papa una supplica (2) in cui chiedono «un esame approfondito del Concilio Vaticano II», che ne pensa Lei delle iniziative di questo genere e come le giudica?

Mons. Fellay: Trovo che esse giungono al momento giusto. È molto interessante. Ricordo l’anno scorso, quando avete attirato l’attenzione del pubblico su Mons. Gherardini e il suo primo libro, molti sono rimati delusi perché lui si distanziava in qualche modo da noi, e prendeva una quantità di precauzioni oratorie per evitare i contraccolpi. Si trattava del suo primo saggio e certo tanti hanno provato un piccolo disappunto.

Mons. Gherardini, canonico di San Pietro, attualmente di 85 anni, vecchio decano dell’Università del Laterano, è ancora  oggi direttore della rivista di teologia Divinitas; credo che sia la sola rivista pubblicata dal Vaticano. Egli è, si può dire, un maestro in teologia che ha avuto il coraggio di alzare la voce, e più scrive e più aumenta il suo coraggio. Mi piace dunque presentarvi alcuni elementi di questo libro, poiché vale la pena di leggerlo. Questa volta non rimarrete delusi, tolte forse qui o là una o due frasi, ma nell’insieme non ne rimarrete sicuramente delusi.

Voi sapete che il Papa attuale ha presentato un nuovo modo di considerare il Concilio. Cercando di salvare il Concilio da un progressismo radicale, egli ha condannato ciò che chiama «ermeneutica della rottura» (3) – cioè l’interpretazione o la comprensione del Concilio come una rottura col passato. La prima volta che lessi questo testo del Papa, mi feci l’idea che era noi che egli condannava, visto che la nostra posizione è proprio quella di dire che il Concilio è in rottura col passato. In effetti, non eravamo noi che gli aveva in vista, ma i progressisti; i progressisti che logicamente vogliono fare del Vaticano II il punto di partenza di una nuova Chiesa. Ed è esattamente quello che è accaduto nei fati. Papa Benedetto XVI apporta dunque una nuova visione delle cose, dicendo che nella Chiesa vi è una continuità, continuità che noi chiamiamo Tradizione, e da questa Tradizione non si ha il diritto di separare il Vaticano II.
Su questo si è d’accordo: occorre comprendere il Concilio alla luce della Tradizione, dunque alla luce del Magistero precedente. Tutto il problema sta nell’applicazione di questa affermazione. Noi accettiamo ciò che nel Concilio è in armonia con la Tradizione, è normale: se per esempio si parla della SS. Trinità, non v’è alcun problema; per ciò che è dubbio o ambiguo, bisogna comprenderlo come la Chiesa ha sempre insegnato. Quanto a ciò che è falso, o piuttosto che è contrario, nuovo, lo si rigetta come essendo fuori dalla Tradizione. La difficoltà sta nel fatto che il Papa Benedetto XVI dice che questo Concilio non può essere altro che fedele e in armonia con la Tradizione. Di conseguenza, tutto ciò che è stato fatto al Concilio, tutto quello che noi rigettiamo, secondo lui è in continuità con la Tradizione. Ciò che egli ha appena fatto e detto in Germania, illustra bene questo proposito. Per noi, questo modo con cui si vuole alleare la novità alla Tradizione si scontra nientemeno che col principio di non contraddizione.

Un Concilio e due spiriti

Mons. Gherardini, nel suo piccolo lavoro, affronta queste questioni, distinguendo due spiriti. Il cardinale Ratzinger, all’epoca – si era già nel 1985 – aveva descritto questa tendenza che egli considerava come malvagia, progressista, in tedesco egli utilizzava il termine Konzilsungeist. Si tratta di un contro-spirito, un malvagio spirito del Concilio, ed egli lo condannava. Mons. Gherardini, ha dedotto da questa condanna che ci fosse, da un lato uno spirito buono e dall’altro uno spirito cattivo: quello cattivo, venuto dall’esterno, si è impossessato del Concilio e si è imposto come modo obbligato per comprenderlo. È per questo motivo che di volta in volta si è compreso malamente il Concilio, a causa dello spirito cattivo che, essendo scivolato all’interno, ha impedito la sua buona comprensione. Ma in certi ambiti si trova lo spirito buono, e si suppone certo che Roma sia rimasta fedele a questo spirito buono, e che il Concilio in se stesso abbia questo spirito buono. Ma Mons. Gherardini pone molto semplicemente la seguente domanda: non pensate che questo spirito buono sia in parte alleato allo spirito cattivo? E in definitiva, questo cattivo spirito non era ben presente nello stesso Concilio?

Io vi cito appena una o due frasi, per mostrarvi il suo stile e la sua percezione delle cose:
«Così, nei confronti dei valori tradizionali, “lo spirito del Concilio” era dunque esso stesso un gegen-Geist – dunque un contro-spirito – prima ancora che questo fosse diffuso dai commentatori interessati. “Lo spirito del Concilio” aveva generalmente opposto il Concilio perfino a tutto ciò che la Chiesa aveva fino ad allora ritenuto il suo pane quotidiano, in particolare ai concilii di Trento e del Vaticano I. Non può che essere così, per la presenza di diverse frasi, disseminate qua e là in certi documenti, soprattutto nei paragrafi strategici dell’innovazione introdotta, al solo scopo di assicurare una corrispondenza tra ieri e oggi [cioè: ciò che vi si dice oggi è tradizionale] che in effetti non esiste» (4)

Si afferma che ciò che si dice oggi è fedele alla Tradizione, e questo non è vero. E l’autore fa tutta una serie di citazioni e di riferimenti. Riguardo alla rottura – poiché noi diciamo esattamente che nel Concilio si è avuta una rottura, mentre il Papa attuale dice che non c’è stata rottura – ecco ciò che scrive Mons. Gherardini:
«Ci fu dunque una vera rottura perché essa fu fortemente voluta, come condizione necessaria, come il solo modo che permettesse di rispondere a delle aspettative, a delle questioni rimaste fino ad allora – cioè a partire dall’illuminismo – senza risposta. Io mi chiedo se veramente tutti i Padri conciliari si rendessero conto che oggettivamente stavano per operare uno strappo con quella mentalità plurisecolare che fino ad allora aveva espresso la motivazione di fondo della vita, della preghiera, dell’insegnamento e del governo della Chiesa» (5).

Quindi vedete che egli ci va forte, e anche molto forte. E questo arriva al momento opportuno. Nel momento in cui si prova ad obbligarci ad ammettere che il Concilio sarebbe in armonia con la Tradizione, si trovano delle persone riconosciute, autorizzate, come Mons. Gherardini, che dicono: «Ma no, non è vero, non è fedele alla Tradizione». Tutto è su questa falsa riga in questo piccolo libro fatto solo di un centinaio di pagine, ma che è veramente il benvenuto.

Ugualmente benvenuta questa richiesta di intellettuali italiani che hanno indirizzato una supplica al Papa perché il Concilio sia «purificato», perché si porti fuori il Concilio da quell’ambiguità che ha aperto la strada a delle innovazioni contrarie all’insegnamento tradizionale della Chiesa. In altre parole, essi cercano di aprire il dibattito, quel dibattito che non c’è stato. È provvidenziale che queste cose giungano in un momento così opportuno. Perché non bisogna farsi alcuna illusione, noi siamo nel bel mezzo ad una battaglia, una battaglia di idee, e non può cambiare tutto in un giorno, una settimana, è impossibile…

Non andremo avanti alla cieca

Quanti anni ancora serviranno perché si ottenga dai responsabili del Magistero questa revisione? Forse non accadrà mai. Perché? Perché loro non possono perdere la faccia. Bisogna capirlo; non si può dire loro: mettetevi in ginocchio e chiedete perdono! Immaginate che Roma ritorni alla Tradizione, ne seguirebbe una levata di scudi di tutti i progressisti, e se a causa nostra Roma perdesse ogni autorità sui progressisti e non potesse più resistere loro, dove sarebbe il guadagno? Non si sarebbe guadagnato granché!

La questione non è solo umana, ma più ancora è una questione di autorità; occorre fare di tutto per proteggere l’autorità di Roma. Detto da noi potrebbe sembrare curioso, ma l’autorità deve esercitarsi com’è necessario, con prudenza, ecco perché occorre preservarla. Roma ha bisogno di questa autorità per combattere gli errori. Da parte nostra, evidentemente, pensiamo che questa autorità sarà affermata allorché verranno corretti gli errori.

In realtà, in questo immenso conflitto, niente è cambiato. Tutti questi modernisti aspettano solo la morte del Papa; essi considerano il pontificato di Benedetto XVI come una cattiva parentesi e aspettano la sua morte per chiuderla. Evidentemente non sono soli, altre forze si aggiungono adesso! Poiché non si può comparare, né dire o pensare che la Chiesa è la stessa di 20 anni fa. Se si guarda al livello delle diocesi o di certi atti del Papa, si può certo pensarlo, perché si è sempre conservata la stessa linea. Ma al di sotto vi è la giovane generazione che non condivide le stesse opinioni.
Adesso che abbiamo dei contatti con Roma, vi posso assicurare che in Vaticano un certo numero di ecclesiastici non è del tutto d’accordo con Assisi. Forse stanno zitti per conservare il loro posto? Non lo so. Farebbero meglio a parlare. Certuni hanno parlato col Papa e gli hanno detto ciò che pensavano, ma si tratta di un circolo chiuso. Essi non sono a loro agio, conservano il silenzio, ma quanto meno lo si sa. Si constata il desiderio di ritornare ad una maggiore serietà, in particolare per la teologia. Tanti preti vengono verso di noi e ci dicono che in seminario non hanno «imparato niente», dopo 5 o 6 ani di studi universitari. È triste! E non hanno «imparato niente» di quello che è proprio per formarli al loro futuro stato sacerdotale. È impressionante! Non si tratta solo del frutto della nostra immaginazione, semplicemente della speranza di qualcosa, come un miraggio, no! È una realtà questa che constatiamo. Vi sono dei sacerdoti e dei prelati in Vaticano che ci dicono apertamente che sono con noi, questo non accadeva prima.

E questo si muove velocemente? Difficile dirlo, è un giudizio molto difficile da formulare. Quando arriverà il momento, bisognerà essere in grado di valutare correttamente la situazione. Attualmente, quando si vede tutto quello che accade, si ha voglia di andarsene, ve lo dico con franchezza. Quando si vede questo viaggio del Papa Benedetto XVI in Germania, ci si chiede in quale situazione ci metteremmo! Tuttavia, visto che è Roma che fa questo gesto, bisogna esaminarlo, onestamente. Bisogna vedere fin a dove andranno le cose, bisogna cercare di fare avanzare la nostra causa. Per noi il principio è posto: noi vogliamo rimanere cattolici, non è questo il momento di tradire, non avrebbe senso, ma noi abbiamo eminentemente bisogno di luce per vederci chiaro, cogliere il momento opportuno. Certi pensano che il momento è venuto. Ma questo momento è molto difficile valutarlo correttamente. Sicuramente non andremo avanti alla cieca, i beni che sono nelle nostre mani sono troppo preziosi, noi chiediamo con tutte le nostre forze al Buon Dio e ai suoi rappresentanti sulla terra di illuminarci.

Il Rosario, mezzo soprannaturale per un’impresa soprannaturale

Don Lorans: Questo è il mese del Rosario, Lei ha rilanciato la crociata del Rosario e ha detto che ogni volta che c’è stato un progresso è stato grazie al Rosario. Può dirci cosa possiamo fare e cos’è che Lei si aspetta precisamente da questa crociata del Rosario, in questo mese di ottobre del 2011?

Mons. Fellay: Recitare il Rosario è pregare bene! È evidente che gli avvenimenti nei quali ci troviamo comportano un aspetto umano, ed è normale. Ma l’impresa non è umana, è letteralmente sovrumana o soprannaturale, che è la stessa cosa. Quest’impresa è davvero al di sopra delle forze degli uomini e supera le capacità o le forze di un uomo. È la Chiesa! Sarebbe dunque un grave errore contare sulle proprie forze per cercare di risolvere i problemi che abbiamo. Per risolverli, noi vogliamo piazzarci sotto lo sguardo di Dio, col Buon Dio. E in questa battaglia che è molto più una battaglia «contro gli spiriti dell’aria in cerca di preda» - è San Paolo (6) che usa questa espressione per parlare del grande combattimento fra lo spirito buono del Buon Dio da un lato e lo spirito del maligno dall’altro -, in questa siffatta battaglia occorre prendere il grande mezzo della preghiera. Il Rosario è per eccellenza l’arma della Chiesa.

La Santa Vergine, nei turbamenti gravi e profondi della Chiesa, è sempre venuta per proporre agli uomini quest’arma contro gli errori e i mali che uccidono le anime, per vincere le difficoltà. Questo è molto buono, hanno detto i papi. E voi lo trovate anche a Fatima; suor Lucia l’ha confermato a padre Fuentes: «La Santa Vergine ha messo in questa preghiera un’efficacia particolare, tale che può risolvere tutti i problemi». Tutti i problemi, avete capito bene, tutti! E bisogna crederci. Una delle cause dell’efficacia della preghiera è il crederci. Questo è capitale, si ritrova questa condizione in numerosi passi del Vangelo, delle Lettere. San Giacomo ci dice in particolare: quando pregate, bisogna credere che riceverete, se no insultate il Buon Dio; bisogna avere fiducia in Lui (7). Egli ha detto: «Pregate e vi sarà dato» (8), ma vi si crede o no? E in che misura e fino a dove? Vi si mette tanto del «forse» che c’è da chiedersi se vi si crede veramente.

Talvolta credo che si manchi d’audacia nei confronti del Buon Dio; non si tratta di essere temerari, no! Ma di avere una Fede molto viva e una fiducia incrollabile nel Buon Dio. Se Egli ci ha promesso il suo aiuto, non ci abbandonerà nel momento più grave. Egli ci insegna di fare ricorso a Lui, ebbene!, ricorriamo a Lui, ricorriamo alla Santa Vergine con fiducia. Non imitiamo San Pietro quando dice a Gesù: «Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque». E Nostro Signore gli rispose: «Vieni». Egli incomincia a camminare, ma poi ha paura. È il maligno! E noi, come avremo agito? È facile criticare San Pietro! Nostro Signore gli chiede: «Perché hai dubitato?» (9). Non bisogna dubitare. Nella preghiera non bisogna mai dubitare, ma credere fermamente che il Buon Dio verrà in nostro aiuto, credere fermamente che la Santa Vergine ci farà uscire, noi e la Chiesa, da questa situazione.

Se il Cielo si dà la pena di scendere fino a noi, di fornirci i suoi mezzi, siamo certi che il Buon Dio non si farà beffe di noi, né la Santa Vergine. Bisogna osare, bisogna osare tanto, non si crederà mai abbastanza nei miracoli, si pensa che siano riservati ai santi, si fa presto uso di una falsa umiltà! Non si tratta di chiedere qualsiasi miracolo, non importa come, è evidente.

Nostro Signore ha detto di più: «Se aveste fede quanto un granello di senape, direste a questo monte: “gettati nel mare”, e lui lo farebbe» (10). Allora, chiediamo almeno questa fede, la fede di un granello di senape.

In altre parole, noi contiamo su voi per intensificare questo Rosario. Non bisogna avere assolutamente alcun dubbio, questa preghiera comune di tutta una parte della Chiesa che si unisce per chiedere questa grande grazia al Buon Dio, piace al Buon Dio, Lo onora e onora anche la Santa Vergine, bisogna crederci.
Andiamo dunque ! Entriamo in questa crociata, ma con una fiducia assoluta nel Buon Dio.

Per conservare il carattere proprio di questa conferenza, è stato mantenuto lo stile orale.

NOTE

1 . Mons. Brunero Gherardini, Concilio Vaticano II. Il discorso mancato. Lindau, Torino 2010
2 – Si veda DICI n° 242 del 14.10.2011, pp. 7-11.
3 – Benedetto XVI, Discorso alla Curia del 22 dicembre 2005.
4 – p. 30
5 – p. 31
6 Efesini 6, 12
7 – Cfr. Giacomo 1, 6
8 – Cfr. Luca 11, 9-10 e Giovanni 15, 7
9Matteo 14, 18-31
10Matteo 17, 20 e Luca 17, 6






aprile 2012

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