Riflessioni sulla proposta romana


Intervento di Mons. Alfonso de Galarreta
in occasione della riunione dei Superiori della
Fraternità San Pio X,
tenutasi ad Albano il 7 e l'8 ottobre 2011,
per esaminare il Preambolo dottrinale
consegnato dal Card. Levada a Mons. Fellay
il 14 settembre 2011




I neretti sono nostri

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Il testo romano


Per limitarmi alla «Nota preliminare» e al «Preambolo dottrinale», devo dire subito che essi sono confusi, equivoci, falsi e malvagi nell’essenziale. Perfino l’apparente apertura ad una critica del Concilio è sibillina e astuta, una trappola ben architettata («… legittima [?] discussione… di espressioni o di formulazioni…» secondo i «criteri di interpretazione della necessaria dottrina cattolica…», cioè secondo il «Preambolo» II e III, 2, soprattutto alla fine). Questo documento è sostanzialmente inaccettabile. È peggiore del Protocollo del 1988, in particolare riguardo al Concilio e al magistero post-conciliare.

Monsignor Lefebvre: «I nostri veri fedeli, quelli che hanno capito il problema e che ci hanno giustamente aiutato a proseguire lungo la linea diritta e ferma della Tradizione e della fede, temono i passi che ho fatto a Roma. Essi mi hanno detto che era pericoloso e che perdevo il mio tempo. Sì, certo, io ho sperato fino all’ultimo minuto che Roma ci desse prova di un briciolo di lealtà. Non mi si può rimproverare di non aver fatto il massimo. Anche oggi, a quelli che mi dicono: bisogna che Lei si intenda con Roma, credo di poter dire che sono andato perfino più in là di dove avrei dovuto andare» (Fideliter, n° 79-1991, p. 11).

Fideliter: Cosa pensa dell’istruzione del Card. Ratzinger che istituisce il giuramento di fedeltà e che comporta una professione di fede?

Monsignor Lefebvre: «Vi è innanzi tutto il Credo, che non pone alcun problema. È rimasto intatto. Neanche il primo e il secondo paragrafo sollevano delle difficoltà, si tratta di cose correnti dal punto di vista teologico. Ma il terzo è troppo cattivo.
Praticamente significa allinearsi con ciò che i vescovi del mondo intero pensano oggi. D’altronde, nel preambolo è chiaramente indicato che questo paragrafo è stato aggiunto in ragione dello spirito del Concilio. Esso si riferisce al Concilio e al sedicente magistero odierno che è quello dei conciliari. Bisognerebbe aggiungere: posto che questo magistero sia in piena conformità con la Tradizione.
Così com’è formulata è pericolosa. Il che dimostra lo spirito di questa gente, con la quale è impossibile intendersi. È assolutamente ridicolo e falso – come fanno certuni – presentare questo giuramento di fedeltà come una ripresa del giuramento antimodernista soppresso dopo il Concilio. Tutto il veleno è nel terzo paragrafo, che sembra fatto apposta per obbligare quelli che sono rientrati a firmare tale professione di fede e ad affermare il loro pieno accordo con i vescovi. È come se al tempo dell’arianesimo si fosse detto: adesso siete d’accordo con tutto quello che pensano i vescovi ariani.
No. Non esagero, è chiaramente espresso nell’introduzione. È una furberia. Ci si può chiedere se così a Roma non si sia voluto correggere il testo del protocollo. Benché esso non ci soddisfasse, appare ancora troppo a nostro favore nell’articolo 3 della dichiarazione dottrinale, poiché non esprime la necessità di sottometterci al Concilio.
Allora, penso che oggi facciano marcia indietro. Faranno indubbiamente firmare questi testi ai seminaristi della Fraternità San Pietro prima delle ordinazioni e anche ai sacerdoti di questa Fraternità, che a quel punto si troveranno obbligati a compiere un atto ufficiale di ricollegamento con la Chiesa conciliare.
A differenza del protocollo, con questi nuovi testi ci si sottomette al Concilio e a tutti i vescovi conciliari. È questo il loro spirito, e non cambierà» (Fideliter, n° 70- 1989, p. 16).

Fideliter: Pensa che la situazione sia ulteriormente degradata dopo i colloqui condotti da  Lei – prima delle consacrazioni –  eche erano sfociati nella redazione del Protocollo del maggio 1988?

Monsignor Lefebvre: Oh sì! Per esempio questa professione di fede che adesso è richiesta dal Card. Ratzinger dall’inizio del 1989, è una cosa molto grave. Poiché egli chiede a tutti quelli che sono rientrati o che potrebbero farlo, di esprimere una professione di fede nei documenti del Concilio e nelle riforme post-conciliari. Per noi è impossibile (Fideliter n° 79-1991, p. 4).

Principio di giudizio

Di fatto, questo corrisponde perfettamente al pensiero e alla posizione che la Commissione Romana ha manifestato nel corso dei colloqui dottrinali. Per la questione attuale, è essenziale tenere presente l’indubbia constatazione che abbiamo fatto in quella occasione: essi non sono pronti a rinunciare al Concilio Vaticano II, né alle sue dottrine liberali, e la loro intenzione, la loro manifesta volontà, è di condurci ad esso. Tutt’al più Roma accetterebbe un riequilibrio e una migliore formulazione, sempre nel quadro dell’“ermeneutica del rinnovamento nella continuità”. E là si può discutere e noi saremmo anche utili… per avallare il rinnovamento della riforma con la continuità.

Accordo impossibile

Il documento proposto non fa che confermarci che è illusorio e irrealistico credere che noi si possa giungere ad un buon accordo pratico, conveniente e garantito, e anche semplicemente accettabile per le due parti. Date le circostanze, è certo che alla fine, dopo lunghe discussioni, arriveremo assolutamente a niente. Allora, a che scopo impegnarci?

Ragioni di un rifiuto

Sulla base della proposta romana, la vera domanda, la cruciale, è la seguente: dobbiamo, possiamo impegnarci sulla strada di un «possibile» accordo innanzi tutto pratico? È prudente e conveniente mantenere dei contatti con Roma in vista di tale accordo?
Per me la risposta è chiara: noi dobbiamo rifiutare questa strada perché non possiamo fare un male perché ne derivi un bene (peraltro molto incerto) e perché questo genererà necessariamente dei mali (molto certi) per il bene comune che possediamo, per la Fraternità e per la famiglia della Tradizione.
Ecco riassunte alcune delle ragioni del mio punto di vista:

Obbedire a chi? A che?

I. Come sottometterci e obbedire a delle autorità che continueranno a pensare, a predicare e a governare da modernisti? Abbiamo dei fini e degli scopi contrari, perfino dei mezzi differenti, come lavorare sotto i loro ordini?
Il problema sta non in intenzioni soggettive, ma oggettive, manifeste, nella constatazione che abbiamo fatto circa la loro volontà: accettazione del Concilio Vaticano II e dei suoi principi liberali. Per l’essenziale, nulla è cambiato, non v’è del «ritorno».

Monsignor Lefebvre: «Ci sono delle cose che è facile dirle. Mettersi all’interno della Chiesa, che significa? E intanto di quale Chiesa si parla? Se della Chiesa conciliare: allora noi che abbiamo lottato contro di essa per vent’anni, perché vogliamo la Chiesa cattolica, dovremmo rientrare in questa Chiesa conciliare per renderla, per così dire, cattolica. È una totale illusione. Non sono i soggetti che fanno i superiori, ma i superiori che fanno i soggetti.» (Fideliter n° 70-1989, p. 6).

Monsignor Lefebvre: «Io non penso che si tratti di un vero ritorno. È come in un campo di battaglia, quando si ha l’impressione che le truppe si spingano un po’ troppo lontano, le si richiama, si frena un tantino lo slancio del Vaticano II, perché i sostenitori del Concilio vanno troppo oltre. D’altronde, questi teologi hanno torto ad agitarsi. Questi vescovi sono del tutto acquisiti al Concilio e alle riforme post-conciliari, all’ecumenismo e al “carismatismo”.
Apparentemente essi fanno qualcosa di un po’ più moderato, un po’ di sentimento religioso tradizionale, ma che non è profondo. I grandi principi fondamentali del Concilio, gli errori del Concilio, essi li accolgono, li praticano. Questo non è un problema, al contrario, io credo perfino che sono proprio costoro i più duri con noi. Sono loro che esigono maggiormente che noi ci si sottometta ai principi del Concilio» (Fideliter n° 70-1989, p. 12).

Monsignor Lefebvre: «È tutto perfettamente chiaro e questo illustra bene la loro condizione di spirito. Per loro non è questione di abbandonare la nuova Messa. Al contrario, e la cosa è evidente. È per questo che ciò che può sembrare una concessione, in realtà è solo una manovra per giungere a staccare da noi il maggio numero possibile di fedeli. È in questa prospettiva che sembrano dare sempre un po’ di più e spingersi molto lontano. Dobbiamo assolutamente convincere i fedeli che si tratta solo di una manovra, che è un pericolo mettersi nelle mani dei vescovi conciliari e della Roma modernista. Si tratta del più grande pericolo che ci minaccia. Se abbiamo lottato per vent’anni per evitare gli errori conciliari, non è da noi metterci adesso nelle mani di coloro che li professano». (Fideliter n° 70-1989, pp. 13-14).

Attentato alla confessione della Fede

II. Allora, come fare per non andare contro la confessione e la difesa pubbliche della fede, contro la protezione necessariamente pubblica dei fedeli e della Chiesa?
Da questo punto di vita, se noi facciamo un accordo puramente pratico, nelle circostanze attuali siamo già nella duplicità e nell’ambiguità. Il fatto stesso è una testimonianza e un messaggio pubblici: rientriamo in «piena comunione» con delle autorità che restano moderniste.
Noi non possiamo neanche trascurare il contesto, cioè gli avvenimenti e gli insegnamenti costanti nella vita della Chiesa odierna: visite reiterate ai templi protestanti e alle sinagoghe, beatificazione (presto canonizzazione) di Giovanni Paolo II, Assisi III, predicazione a destra e a manca della libertà religiosa e… un lungo eccetera.
Peraltro, se faremo un accordo, perderemo la libertà di parola, dovremo mettere in sordina le nostre critiche pubbliche dei fatti, delle autorità e anche di certi testi del Concilio e del magistero post-conciliare.

Per comprendere e illustrare i punti I e II, basta guardare a ciò che è accaduto a tutti quelli che sono rientrati, dalla Fraternità San Pietro all’Istituto del Buon Pastore: essi sono ineluttabilmente di fronte all’alternativa di cedere o di tradire i loro impegni… ed è la prima cosa che capita.

Fideliter: Quando si vede che Dom Gérard [+ defunto Abate dei Benedettini di Le Barroux] e la Fraternità San Pietro hanno ottenuto di conservare la liturgia e il catechismo, senza – dicono – aver concesso alcunché, certuni che sono turbati di trovarsi in una situazione difficile con Roma, alla lunga possono essere tentati di rientrare a loro volta per stanchezza. Questi sono riusciti – dicono – ad intendersi con Roma senza aver mollato in niente.

Monsignor Lefebvre: «Quando dicono che non hanno mollato in niente, è falso. Essi hanno abbandonato la possibilità di contrastare Roma. Non possono dire più niente. Devono tacere sulla base dei favori che sono stati loro accordati. Per loro adesso è impossibile denunciare gli errori della Chiesa conciliare. Del tutto dolcemente essi aderiscono, non fosse che per la professione di fede che è loro richiesta dal Card. Ratzinger. Io credo che Dom Gérard si appresti a pubblicare un piccolo volume redatto da uno dei suoi monaci, sulla libertà religiosa, in cui la si giustifica» (1). (Fideliter n° 79-1991, pp. 4-5).

Fideliter: Dopo le consacrazioni non vi sono più stati contatti con Roma, tuttavia, come ha raccontato Lei, il Card. Oddi Le ha telefonato dicendo: «Bisogna che le cose si aggiustino. Chieda un piccolo perdono al Papa ed egli è pronto ad accoglierLa». Allora perché non tentare quest’ultima possibilità e perché Le sembra impossibile?

Monsignor Lefebvre: È assolutamente impossibile nell’attuale clima di Roma, che diventa ogni giorno più nefasto. Non bisogna farsi illusioni. I principi che dirigono oggi la Chiesa conciliare sono sempre più apertamente contrari alla dottrina cattolica.
Davanti alla Commissione dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite, il Card. Casaroli ha dichiarato recentemente: «Desidero soffermarmi un po’ su un aspetto specifico della libertà fondamentale di pensiero e d’azione secondo la propria coscienza, cioè sulla libertà di religione… La Chiesa cattolica e il suo Pastore Supremo, che ha fatto dei diritti dell’uomo uno dei grandi temi della sua predicazione, non hanno mai mancato di ricordare che, in un mondo fatto dall’uomo e per l’uomo, ogni organizzazione della società ha senso solo nella misura in cui fa della dimensione umana una preoccupazione centrale».
Sentire una cosa così dalla bocca di un cardinale! Di Dio non parla affatto!
Da parte sua, il Card. Ratzinger, presentando un documento fiume sulle relazioni tra il Magistero e i teologi, afferma, «per la prima volta con chiarezza», come dice lui stesso, che «le decisioni del Magistero non possono essere l’ultima parola sulla materia come tale» ma «una specie di disposizione provvisoria… Il nocciolo resta stabile, ma gli aspetti particolari sui quali hanno un’ influenza le circostanze di tempo, possono aver bisogno di ulteriori rettifiche. Da questo punto di vista si possono segnalare le dichiarazioni dei papi del secolo scorso. Le decisioni antimoderniste hanno reso un grande servizio… ma oggi esse sono sorpassate».
E hoplà, la pagina del modernismo è voltata! Queste riflessioni sono assolutamente insensate.
Infine il Papa è più ecumenista che mai. Tutte le idee false del Concilio continuano a svilupparsi, ad essere riaffermate con sempre maggiore chiarezza. Essi si nascondo sempre meno. È dunque assolutamente inconcepibile che si possa accettare di collaborare con una simile gerarchia» (Fideliter n° 79-1991, pp 3-4).

Fideliter: Riferendosi a Dom Gérard e agli altri, Lei ha detto: «Ci tradiscono. Adesso danno la mano a quelli che demoliscono la Chiesa, ai liberali, ai modernisti». Questo non è un po’ severo?

Monsignor Lefebvre: Ma no. Essi si sono appellati a me per quindici anni. Non sono stato io a cercarli. Sono loro che sono venuti da me per chiedermi degli appoggi, le ordinazioni, l’amicizia dei nostri sacerdoti e contemporaneamente l’apertura di tutti i nostri Priorati per aiutarli finanziariamente. Si sono tutti serviti di noi fin quando hanno potuto. Lo si è fatto di buon cuore e anche generosamente. Sono stato felice di fare quelle ordinazioni, di aprire le nostre case perché potessero approfittare della generosità dei nostri benefattori… E poi, tutto d’un tratto, mi si telefona: non abbiamo più bisogno di voi, è finita. Andiamo dall’arcivescovo di Avignone. Adesso siamo d’accordo con Roma. Abbiamo firmato un protocollo.
Non è con la gioia nel cuore che noi abbiamo avuto delle difficoltà con Roma. Non è per piacere che abbiamo dovuto batterci. L’abbiamo fatto per dei principi, per conservare la fede cattolica. Ed essi erano d’accordo con noi. Collaboravano con noi. E poi tutto d’un tratto, si abbandona il vero combattimento per allearsi con i demolitori col pretesto che viene loro accordato qualche privilegio. È inammissibile.
Essi hanno praticamente abbandonato la battaglia per la fede. Non possono più attaccare Roma.
È quello che ha fatto anche il Padre de Blignières (2). È cambiato completamente. Lui che aveva scritto un intero volume per condannare la libertà religiosa, oggi scrive in favore della libertà religiosa. Non è serio. Non si può più contare su uomini come questi, che non hanno compreso niente della questione dottrinale.
Io ritengo che in ogni caso essi commettano un grave errore. Hanno peccato gravemente agendo come hanno fatto, scientemente, con una inverosimile disinvoltura». (Fideliter n° 79-1991, p. 6).

La questione dottrinale, problema essenziale

III. Bisogna guardare il quadro nel quale intendono incorporarci. Un accordo, lo si voglia o no, significa integrarci nel loro sistema, in un pensiero e in una realtà date, che non dipendono da noi, ma dipendono dal loro pensiero, dalla loro teologia, dalla loro azione. Ed è così che essi lo presentano (Cfr. Campos, il testo firmato da Mons. Licinio).
Ora, nei colloqui dottrinali, abbiamo appena constatato qual è la loro concezione: puro modernismo rivisto e corretto.
In particolare in essa sono sottintesi tre principi che noi accetteremmo implicitamente:

1) Relativismo della verità, anche dogmatica, necessità del pluralismo nella Chiesa. Per loro noi abbiamo l’esperienza e il carisma della Tradizione, buoni ed utili per la Chiesa, ma solo in quanto verità parziale.
Il loro sistema modernista e dialettico (che necessita del contrario), permette loro di integrarci in nome dell’«unità nella diversità», come un elemento positivo ed anche necessario, posto che noi siamo nella piena comunione (sottomissione all’autorità e rispetto delle altre persone e realtà ecclesiali) e rimaniamo aperti al dialogo, sempre alla ricerca della verità.
La prova di ciò è data dal fatto che essi sono pronti ad accettarci dopo che si è constatata, da una parte e dall’altra, una opposizione dottrinale – di fede – intrinseca ed essenziale.
Come accettare implicitamente un tale principio, con una integrazione esplicita nel loro sistema e con l’interpretazione ufficiale che ne daranno, quando di tratta del fondamento stesso del modernismo, che è il distruttore di ogni verità naturale e soprannaturale?
Significa accettare il relativismo della Tradizione, della sola vera fede.

2) Si può interpretare tutto il Vaticano II in accordo con la Tradizione. Noi potremmo aiutare a trovare, se necessario, la «buona» interpretazione. È «l’ermeneutica della continuità». «L’ermeneutica della rottura» (che è quella vera) dev’essere rigettata, perché né il Vaticano II né il Magistero post-conciliare maggiore hanno potuto sbagliarsi. Dopo i colloqui e il documento proposto è fin troppo chiaro che essi ci accetteranno solo nel quadro della prima e il rigetto della seconda.
Questo significa avallare il Vaticano II.

Monsignor Lefebvre: «Le risposte alle nostre obiezioni, che ci sono state trasmesse da Roma da degli intermediari, tendono tutte a dimostrare che non vi è cambiamento, ma continuazione della Tradizione. Queste sono affermazioni peggiori di quelle della Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa. È la vera menzogna ufficiale.
Fintanto che Roma rimarrà legata alle idee conciliari: libertà religiosa, ecumenismo, collegialità… si seguirà la strada sbagliata. Questo è grave perché la cosa tocca le realizzazioni pratiche. È questo che giustifica la visita del Papa a Cuba. Il Papa che visita o riceve i capi comunisti torturatori o assassini, che hanno sulle mani il sangue dei cristiani, come fossero degni al pari delle persone oneste» (Fideliter n° 70-1989, p. 10).

3. La verità di fede evolve, i dogmi anche, le formule dogmatiche e le definizioni della fede sono solo degli approcci sostanziali ai misteri della fede. Il nocciolo resta, tutto il resto evolve a seconda del tempo, delle culture, delle circostanze storiche, dell’esperienza e del vissuto del Popolo di Dio.
Di conseguenza la Tradizione è vivente, la Tradizione è il Vaticano II, le condanne del liberalismo e del modernismo sono sorpassate.

Monsignor Lefebvre: «Hanno voluto che il Vaticano II fosse un Concilio pastorale e non un Concilio dogmatico perché essi non credono nell’infallibilità. Non vogliono delle verità definite. La verità deve vivere e deve evolversi. Essa può eventualmente cambiare col tempo, con la storia, la scienza, ecc… L’infallibilità fissa per sempre una formula e una verità che non cambiano più. Questo essi non possono crederlo. Siamo noi ad essere con l’infallibilità, non la Chiesa conciliare. Essa è contro l’infallibilità, è assolutamente certo.
Il Card. Ratzinger è contro l’infallibilità, il Papa è contro l’infallibilità, per la sua formazione filosofica. Ci si comprenda bene, noi non siamo contro il Papa fintanto che rappresenta tutti i valori della Sede Apostolica, che sono immutabili, la sede di Pietro, ma siamo contro il Papa che è un modernista che non crede nella sua infallibilità, che fa dell’ecumenismo. In tutta evidenza, noi siamo contro la Chiesa conciliare che praticamente è scismatica, anche se essi non l’accettano. Nella pratica si tratta di una Chiesa virtualmente scomunicata, perché è una Chiesa modernista. Costoro sono quelli che ci scomunicano mentre noi vogliamo rimanere cattolici. Noi vogliamo rimanere col Papa cattolico e con la Chiesa cattolica. Ecco la differenza». (Fideliter n° 70-1989, p. 8).

Monsignor Lefebvre: «Ma per essere precisi, noi non siamo nella stessa verità. Per loro la verità è evolutiva, la verità cambia col tempo, e la Tradizione è oggi il Vaticano II. Per noi la Tradizione è quello che la Chiesa ha insegnato dagli Apostoli ad oggi. Per loro no, la Tradizione è il Vaticano II che riassumerebbe in sé tutto quello che è stato detto precedentemente. Le circostanze sarebbero tali che oggi bisogna credere a ciò che ha fatto il Vaticano II. Ciò che c’è stato prima non esiste più, appartiene al passato. È per questo che il Cardinale non esita a dire: «Il Concilio Vaticano II  è un anti-Sillabo». Ci si chiede come un cardinale della Santa Chiesa possa dire che il Concilio Vaticano II sia un anti-Sillabo, atto ufficialissimo del Papa Pio IX nell’enciclica Quanta Cura. È inimmaginabile.
Un giorno ho detto al Card. Ratzinger: «Eminenza, bisogna che scegliamo: o la libertà religiosa com’è nel Concilio o il Sillabo di Pio IX. Essi sono in contraddizione. Bisogna scegliere». E allora egli mi ha risposto: «Ma Monsignore, non siamo più ai tempi del Sillabo» - Ah! Gli ho detto: «Allora la verità cambia col tempo. Allora ciò che mi dice oggi, domani non sarà più vero. Non v’è più modo di intenderci, si è in una evoluzione continua. Diventa impossibile parlare».
Essi hanno questo nello spirito. Ed egli mi ha risposto: «Non v’è che una Chiesa, la Chiesa del Vaticano II. Il Vaticano II rappresenta la Tradizione.» Disgraziatamente la Chiesa del Vaticano II si oppone alla Tradizione. Non è la stessa cosa» (Fideliter n° fuori serie, 29-30 giugno 1989, p. 15).

Monsignor Lefebvre: «Certo, la questione della liturgia e dei sacramenti è molto importante, ma non è la più importante. La più importante è quella della fede. Per noi è risolta. Noi abbiamo la fede di sempre, quella del Concilio di Trento, del Catechismo di San Pio X, di tutti i concili e di tutti i papi prima del Vaticano II.
Per anni, a Roma si sono sforzati di dimostrare che tutto ciò che è nel Concilio sarebbe perfettamente conforme alla Tradizione. Oggi si rivelano. Il Card. Ratzinger non s’era mai pronunciato con tanta chiarezza. Non c’è più Tradizione. Non c’è più deposito da trasmettere. La Tradizione nella Chiesa è ciò che il Papa dice oggi. Voi dovete sottomettervi a ciò che il Papa e i vescovi dicono oggi. Ecco cos’è per loro la Tradizione, la famosa tradizione vivente, solo motivo della nostra condanna.
Oggi, essi non cercano di provare se ciò che dicono è conforme a ciò che ha scritto Pio IX, a ciò che ha promulgato il Concilio di Trento. No, tutto ciò è finito, è superato, come dice il Card. Ratzinger. Questo è chiaro ed avrebbero potuto dirlo prima. Ci avrebbero risparmiato la fatica di farci parlare, di discutere. Oggi vi è la tirannia dell’autorità, perché non vi sono più regole. Non ci si può più riferire al passato.
In un certo senso oggi le cose diventano più chiare. Essi prima ci danno sempre ragione. Abbiamo a che fare con della gente che ha un’altra filosofia, diversa dalla nostra, un altro modo di vedere, che è influenzata da tutte le filosofie moderne e soggettiviste. Per essi non v’è più una verità fissa, non vi è più il dogma. Tutto è in evoluzione. Si tratta di una concezione del tutto massonica. È veramente la distruzione della fede. Fortunatamente, noi continuiamo ad appoggiarci alla Tradizione!» (Fideliter n° 79-1991, p. 9).

Monsignor Lefebvre: «Il Papa vuole realizzare l’unità al di fuori della fede. Una comunione. Una comunione con chi? Con che? In che? Questa non è più un’unità. L’unità si può realizzare solo nell’unità della fede. È questo che la Chiesa ha sempre insegnato. È per questo che c’erano i missionari, per convertire alla fede cattolica. Adesso non bisogna più convertire. La Chiesa non è più una società gerarchica, è una comunione. Tutto è falsato. È la distruzione della nozione di Chiesa, del cattolicesimo. E questo è molto grave e questo spiega i numerosi cattolici che abbandonano la fede» (Fideliter n° 79-1991, p. 8).

La vera battaglia è dottrinale

In tutte le rivoluzioni, dopo il «furore» e il «terrore», c’è un tempo di riequilibrio nella nuova situazione, un periodo di istituzionalizzazione. D’altra parte è prevedibile che se ritorno dev’esserci, sia graduale. Sappiamo quindi a priori che vi saranno delle fasi più confuse: a fianco di un miglioramento nella pratica e forse nelle intenzioni, di un po’ più di ordine (tutto ciò in rapporto al peggio), si avrà necessariamente un aggravamento in rapporto alla chiarezza delle cose, l’errore sarà più ingannevole e seduttore, meno evidente e più sottile, in breve molto più pericoloso… capace di ingannare perfino gli eletti. L’errore è più equivoco e pericoloso quando assomiglia a prima vista alla verità, come per esempio la moneta falsa.
Noi sappiamo dunque a priori che la nostra battaglia e la nostra posizione saranno comprese sempre meno, più difficili da spiegare, da giustificare e da mantenere. Le cose si muovono necessariamente in questo senso: occorre dunque che da parte nostra ci sia una risposta appropriata, una risposta, per così dire, inversamente proporzionale alla confusione.
Le tre ragioni citate sopra dimostrano che noi siamo in questa fase della falsa restaurazione, del falso ritorno. L’attitudine del Papa e della Curia romana – molto più confusa, contraddittoria e seduttrice – ha solo l’apparenza della Tradizione.
Bisogna distinguere gli aspetti buoni dell’attuale pontificato – accidentali o puntuali – dall’insegnamento e dalla direzione dottrinale.
Ora, la nostra battaglia è dottrinale. È sul terreno dottrinale che si giuoca la vittoria o la disfatta della fede e con questo, di tutto il bene della Chiesa.

Cardinale Pie: «Non si dirà che certi uomini vogliono un po’ d’ordine nei fatti solo per far rivivere impunemente il disordine nelle coscienze, e che chiedono al Cielo una qualche sicurezza materiale solo per avere il diritto di riprendere, senza troppo rischio, il vecchio tessuto delle loro menzogne, interrotto per un istante per la paura? Insensati, per non avere ancora compreso che, in definitiva, è sul terreno della dottrina che si vincono o si perdono le battaglie che decidono per l’avvenire! No, tutta una parte della società non saprebbe conservare a lungo questa attitudine che siamo ancora condannati a mantenere: la penna in mano per insegnare sempre gli stessi principi, l’arma in pugno per sterminarne le conseguenze; scendendo volentieri in strada la sera per abbattere gli atti provocati dalle dottrine e dagli esempi del mattino. Contraddizione sempre rinascente e che terminerà solo quando gli uomini che hanno qualche autorità e qualche ascendente sui loro simili abbracceranno sinceramente la verità e la pratica cristiane» (Opere, t. II, pp. 170-171).

Fideliter: «Il Card. Oddi recentemente ha dichiarato: «Sono convinto che la rottura non durerà a lungo e che Mons. Lefebvre rientrerà molto presto nella Chiesa di Roma». Allo stesso modo si dice che il Papa e il Card. Ratzinger ritengano che «la questione Lefebvre» non sia finita. Nella sua ultima lettera al Santo Padre, Lei dichiara di aspettare tempi più propizi per il ritorno di Roma alla Tradizione. Che ne pensa di un’eventuale ripresa dei colloqui con Roma?

Monsignor Lefebvre: Non abbiamo lo stesso modo di concepire la riconciliazione. Il Card. Ratzinger la vede nel senso di ridurci, di condurci al Vaticano II. Noi la vediamo come un ritorno di Roma alla Tradizione. Non ci capiamo. È un dialogo fra sordi. Io non posso parlare tanto di avvenire, poiché il mio è alle mie spalle. Ma se vivrò ancora un po’ e supponendo che da qui a qualche tempo Roma faccia un appello, che voglia rivederci, riprendere a parlare, in quel momento sarò io a porre le condizioni. Non accetterò più di trovarmi nella situazione in cui ci siamo trovati al momento dei colloqui. È finita.
Io porrò la questione sul piano dottrinale: «Siete d’accordo con le grandi encicliche di tutti i papi che vi hanno preceduto? Siete d’accordo con la Quanta Cura di Pio IX, con le Immortali Dei e Libertas di Leone XIII, con la Pascendi di San Pio X, con la Quas Primas di Pio XI, con l’Humani Generis di Pio XII? Siete in piena comunione con questi papi e con le loro affermazioni? Accettate ancora il giuramento antimodernista? Siete per il Regno sociale di Nostro Signore Gesù Cristo?
Se non accettate la dottrina dei vostri predecessori è inutile parlare. Fintanto che non accetterete di riformare il Concilio considerando la dottrina di questi papi che vi hanno preceduto, non vi è dialogo possibile. È inutile.
Così le posizioni saranno più chiare.
Non è una piccola cosa che ci divide. Non basta che ci si dica: potete dire la Messa antica, ma bisogna accettarla. No, non è questo che ci divide, è la dottrina. Questo è chiaro» (Fideliter n° 66-1988, pp. 12-14).

Entrare in contraddizione

IV. Andare in direzione di un accordo pratico significherebbe rinnegare la nostra parola e il nostro impegno nei confronti dei nostri sacerdoti, dei nostri fedeli, di Roma e del mondo intero. Questo avrebbe delle conseguenze enormi ad intra et ad extra.
Dal punto di vista dottrinale, da parte di Roma non vi è alcun cambiamento, tale da giustificare il nostro. Al contrario, i colloqui hanno dimostrato che essi non accettano in niente le nostre critiche.
Sarebbe assurdo da parte nostra andare in direzione di un accordo pratico, dopo il risultato e le constatazioni dei colloqui. Salvo che non bisogna pensare che Mons. Rifan e Don Aulagnier avessero ragione.
Un tale comportamento manifesterebbe una grave debolezza diplomatica da parte della Fraternità. A dire il vero: più che diplomatica. Sarebbe una mancanza di coerenza, di dirittura e di fermezza che avrebbe come effetto la perdita della credibilità e dell’autorità morale di cui godiamo.

Implosione della Fraternità

V. Il semplice fatto di impegnarci su questa strada, genererebbe tra noi il dubbio, dispute, sfiducie, partiti e soprattutto divisioni. Molti dei Superiori e dei sacerdoti avrebbero legittimi problemi di coscienza e vi si opporrebbero. L’autorità e lo stesso principio di autorità sarebbero posti in questione, minati.
Non possiamo andare a rimorchio dei nostri contatti con Roma, dobbiamo mantenere i comandi, segnare i tempi e le condizioni. Ci serve quindi una linea definita a priori, chiara e ferma, indipendente dalle sollecitazioni e dalle eventuali manovre romane.
Di conseguenza, non è il momento di cambiare la decisione del Capitolo del  2006 (nessun accordo pratico senza la soluzione della questione dottrinale), non è corretto né prudente lanciarsi a preparare gli spiriti in senso contrario prima che tra noi vi sia la convinzione, il consenso e la decisione di cambiare. Il contrario provocherebbe solo la divisione e per reazione i battibecchi e l’anarchia.

Messa in guardia autorizzata

VI. L’avvertimento del Rev. Padre Ferrer, segretario del Card. Cañizares: «Non fate accordi con Roma, essa non potrà mantenere ciò che vi prometterà». Abbiamo ricevuto altri avvertimenti simili a Roma.

Mantenere la linea

Il meglio che possiamo fare è mantenere la linea che ha assicurato la coesione e la sopravvivenza della Fraternità e che ha dato molti frutti nei confronti di Roma, per la Chiesa. Essi esitano, cominciano a cedere, il loro edificio crolla, non possono fare a meno di noi… Rimaniamo fermi nella nostra politica e aspettiamo che vi siano delle condizioni chiaramente certe e garantite. Come indicava Mons. Lefebvre dopo le consacrazioni: bisognerà attendere, sfortunatamente, che la situazione presso di loro si aggravi… fino a che saranno pronti ad abbandonare il Vaticano II.
Noi potremmo rispondere che, viste le conclusioni dei colloqui, per fedeltà e lealtà verso Dio, verso la nostra coscienza, verso la Chiesa e anche verso la Santa Sede, noi non possiamo impegnarci su un percorso primariamente pratico, ma, come abbiamo già detto, rimaniamo aperti a collaborare o partecipare allo studio e alla critica dottrinale del Concilio.

Seguire la Provvidenza

Se allora essi rompono con noi, una pausa in questa tensione costante legata ai contatti, per la Fraternità sarà la benvenuta e, ai miei occhi, provvidenziale. In ogni caso, conoscendoli, non tarderanno molto a riparlare con noi.

In conclusione, non dobbiamo precedere la Provvidenza, è Essa che risolverà la crisi. Noi dobbiamo fare molta attenzione alla tentazione sub specie boni, dobbiamo evitare la precipitazione, pazientare, e impegnarci su questa strada solo quando non vi sarà più un solo dubbio che Roma (il Papa) voglia la Tradizione, che essi abbiano una giusta concezione di essa, che sia prudente e che si tratti della volontà di Dio. Ci servono più ragioni per cambiare che per rimanere nella linea certa e sperimentata che teniamo. Ora, è proprio il contrario che accade.

Monsignor Lefebvre: «Senza attardarsi sul fatto che molte cose non vanno, l’accento è stato messo sulle grandi speranze che generano il “carismatismo” e il “pentecostalismo”. A Roma vogliono convincersi di questo. Essi chiudono ostinatamente gli occhi sulle catastrofi generate dal Concilio e che essi sono in procinto di compiere, sulla rovina alla quale stanno per condurre la Chiesa. E vogliono che noi entriamo in questa corrente. Se noi facciamo un passo su questa strada, se noi ci sottomettiamo all’autorità senza garanzie, più o meno a lungo termine, in due, tre o cinque anni perderemo la Tradizione. Ora noi non vogliamo perderla. Quindi non possiamo sottometterci alle autorità che vogliono farci perdere la Tradizione.
Come ho già spiegato, se io sono andato a discutere a Roma è perché volevo cercare di vedere se avessimo potuto realizzare un accordo con le autorità ecclesiastiche, pur mantenendoci al sicuro rispetto al loro liberalismo e pur salvaguardando la Tradizione. È stato giocoforza constatare che non poteva essere realizzato alcun accordo che ci desse ogni garanzia e insieme la convinzione che Roma volesse sinceramente concorrere a preservare la Tradizione.
Io ho aspettato fino a giugno per scrivere al Papa: «Mi dispiace, ma noi non possiamo intenderci. Voi non avete il nostro stesso scopo. Facendo questo accordo, il vostro scopo e di condurci al Concilio. Il mio, al contrario, è di poterci mantenere fuori dal Concilio e dalle sue influenze» (Fideliter n° 68- 1989, p. 15).

Attenzione al pericolo!

Per il bene della Fraternità e della Tradizione, bisogna richiudere al più presto il «vaso di Pandora», per evitare il discredito e la demolizione dell’autorità, per evitare le contestazioni, le discordie e le divisioni, forse senza ritorno.
In questo senso, la vera domanda alla quale bisogna rispondere è la seguente: quali sono le altre condizioni richieste, ad intra et ad extra, nel caso ipotetico di una proposta «buona», totalmente accettabile in sé, per tentare di fare un accordo?

I testi citati di Monsignor Lefebvre permettono di rispondere con chiarezza e fermezza.

+ Mons. Alfonso de Galarreta


NOSTRE NOTE
(1) - Si tratta dell’allora prima stesura della nota La liberté religieuse et la Tradition catholique. Un cas de développement doctrinal homogène dans le magistère authentique, Le Barroux, 6 voll.; II  ed., 1998, pp. 3050 ; III ed., maggio 2011, pp. 2524. La monumentale “tesi di laurea” di Dom Basile Valuet, reclamizzata clamorosamente dal Cardinale Ratzinger nel suo convegno di Fontgombault del 1991 e poi ripresa continuamente da tutti gli ex tradizionalisti diventati difensori del Vaticano II. Tesi discussa alla Pontificia Università della Santa Croce, dell’Opus Dei, che per dimostrare quanto fosse ovvia ed evidente la “continuità con la Tradizione” della libertà religiosa del Vaticano II, ha avuto bisogno di sei interi volumi.]
(2) - Domenicano, fondatore e Superiore della Fraternità San Vincenzo Ferreri di Chéméré-Le-Roi, Francia]



luglio 2012

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