Intervista di
Mons. Joseph Augustine Di Noia
nuovo Vicepresidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei,
rilasciata al National Catholic Register,

il 1 luglio 2012

le sottolineature sono nostre

Qual è stata la sua reazione quand’è stato nominato? È stata una sorpresa?
È stata una sorpresa, ma questo genere di cose sono sempre una sorpresa. Anche l’essere nominato qui [come Segretario della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti] è stata una sorpresa.
 
A che punto sono i colloqui del Vaticano con la FSSPX?
Ad essere onesto, non lo so. Ho una visione conoscitiva basata sugli sviluppi del dialogo. Quando sono arrivato qui, ho studiato la storia della riforma e ho dato un sguardo da vicino al Concilio, così ho imparato molto circa le obiezioni che provengono da quel mondo. Ho letto i libri di Romano Amerio e di Roberto de Mattei sul Concilio e, ovviamente, ho studiato il Concilio per anni; ho quindi un quadro complessivo che mi permette di parlare con loro dei loro stessi problemi.
Un altro fattore di grande importanza, di carattere autobiografico, è che ho vissuto tutta la mia vita religiosa, fino a quando sono venuto qui a Roma, in conventi domenicani, principalmente a Washington e a New Haven, Connecticut, nei quali si viveva, se così posso dire, l’ermeneutica della continuità e della riforma. Non ho mai vissuto il Concilio come rottura. La cosa interessante è che quando ho letto questa letteratura e questa interpretazione tradizionaliste ho incominciato a capire che, in un certo senso, vi sono dei problemi che sono reali. Ma se si smette di credere che lo Spirito Santo preserva la Chiesa dagli errori, si recidono gli ormeggi.
Quali che siano le interpretazioni di destra o di sinistra o quali che siano state le intenzioni degli autori dei documenti del Concilio, questo non può essere indotto in errore. Tutti i documenti rimangono. Lo scisma non è una risposta. Così io sono in sintonia con la Fraternità, ma la soluzione non è la rottura con la Chiesa.
 
Stando così le cose, perché secondo Lei alcuni cattolici hanno ritenuto di attenersi alla tradizione “congelata”, per così dire, invece di addivenire alla piena comunione?
Onestamente non lo so, posso fare solo delle congetture. Per rispondere al perché delle persone sono tradizionaliste, posso dire che dipende dalle loro esperienze. La liturgia è stata uno dei fattori: per certuni si trattò di una terribile rivoluzione e di uno shock. Molte persone si sentirono abbandonate, come se la Chiesa le lasciasse sulla banchina con la nave. In realtà le ragioni sono molto complicate e variano da un tipo di tradizionalismo all’altro e a seconda dei paesi, delle culture e dei contesti in cui questi sono sorti.
Un altro problema è la mancanza di riconoscimento di un fatto semplice della storia della Chiesa: le controversie teologiche non bisogna che dividano la Chiesa. Per esempio, nel XVI secolo, Gesuiti e Domenicani erano in forte disaccordo sulla teologia della grazia. Alla fine, il Papa proibì loro di accusarsi reciprocamente come eretici ed essi lo fecero. Il Papa disse: “Potete continuare a mantenere la vostra opinione teologica”, ma si rifiutò di dare una definizione dottrinale, dicendo che Gesuiti e Domenicani avevano entrambi ragione. Ora, questo è un esempio interessante, perché dimostra che il cattolicesimo è sufficientemente ampio da includere un’enorme quantità di diversità e dibattiti teologici. Qualche volta la Chiesa interviene, ma solo quando le persone scivolano nell’eresia e quindi nella rottura della comunione.
 
Lei nel passato ha lavorato a stretto contatto con Papa Benedetto XVI. Quant’è importante per lui la riconciliazione?
Il Papa auspica la riconciliazione – è il lavoro del Papa. Il ministero di Pietro consiste innanzi tutto nel preservare l’unità della Chiesa. Dunque, al di là di ogni interesse personale che Papa Benedetto potrebbe avere, egli condivide l’inquietudine di Giovanni Paolo II. Come si sa, egli è stato implicato nella questione fin dal principio.
Il Papa si volge all’indietro per accoglierli, ma non cederà sulla questione dell’autenticità dell’insegnamento del Vaticano II e su una serie di atti del Magistero.
 
La Fraternità San Pio X sostiene che il Concilio Vaticano II ha promulgato un insegnamento che non sarebbe né infallibile né irreformabile. Pastorale e non dogmatico. Se è così, perché è tanto importante essere d’accordo con loro?
Esso è abbastanza dogmatico di per sé. La sacramentalità dell’ordinazione episcopale, per esempio, è uno sviluppo dell’insegnamento dell’episcopato e dunque è dottrinale. Tradizionalmente le dottrine venivano formulate come dogmi uniti a degli anatemi. Qui non v’è nulla di questo, ma esso è certamente pieno del magistero ordinario ed è una riaffermazione di questo. È dottrinalmente ricco. Ma ha lo scopo di chiarire ciò che Trento o il Vaticano I hanno lasciato aperto riguardo alla Scrittura e alla Tradizione? Vi è dell’evoluzione dottrinale qui e là. E la Fraternità pensa, certo, che tutto l’insegnamento sulla libertà religiosa si sia allontanato dalla Tradizione. Ma certe persone molto intelligenti hanno provato a sottolineare che si tratta di uno sviluppo consistente. Quello che cerco di sostenere è che loro devono dire che nel Concilio non v’è niente che sia contrario alla Tradizione e che ogni testo, o ogni parte di esso che viene contestata, dovrebbe essere letto nel contesto del Concilio, e letto alla luce della Tradizione. Mi sembra che nonostante le loro difficoltà dovrebbero essere in grado di farlo.

Che ne pensa della tesi secondo la quale se i documenti del Concilio non sono infallibili né irreformabili non sarebbero nemmeno vincolanti?
Dire che non sono vincolanti è un sofisma. Il Concilio contiene cataste intere del magistero ordinario, che è de fide divina. Ora, la costituzione pastorale “Sulla Chiesa nel mondo contemporaneo”, [Gaudium et Spes], fa dei commenti sulla natura della cultura che, generalmente parlando, tutti oggi credono siano eccessivamente ottimisti. Bene, questo non è de fide divina. Non è esatto, è molto impreciso. Ma il Concilio è pieno del magistero ordinario. Quando lavoravo alla Conferenza Episcopale [degli Stati Uniti] e discutevo, per dire, Veritatis Splendor, la gente mi chiedeva: “È infallibile?” e io rispondevo: “La domanda più importante è: è vera?”. Voglio dire che si enfatizza eccessivamente l’infallibilità. È per questo che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno deciso di non definire infallibilmente alcunché, perché si vede quello che succede. La gente dice: “Devo credere solo a ciò che è stato definito infallibilmente”. Ora, di questo c’è molto poco. Ed è per questo che c’è distinzione tra magistero ordinario e straordinario. Il magistero straordinario è ciò che la Chiesa definisce, e questo quasi sempre implica la risoluzione delle controversie che probabilmente sono sorte. Forse la Chiesa non avrebbe mai detto che Maria è la Madre di Dio se Nestorio non l’avesse negato. Ma col magistero ordinario vi è una enorme quantità di cose che crediamo essere de fide divina e che non sono mai state definite. Ecco perché si parla di magistero ordinario cercando di uscire da questa lettura riduttiva che vuole che si debba credere solo in ciò che è infallibile. Quindi, no, il Concilio contiene insegnamenti vincolanti. I Padri hanno scritto come vescovi della Chiesa in unione col Papa e per questo il Concilio è così importante.
 
Eppure, il Card. Ratzinger ha sottolineato che il Concilio non dovrebbe essere visto come una specie di super-dogma.
Esso non cerca di definire infallibilmente alcuna dottrina, è questo che egli dice, ma non ha detto che non contiene un gran quantità di magistero ordinario. Se si prendono le costituzioni dogmatiche, sono dette dogmatiche la Dei Verbum e Lumen Gentium, ma le altre lo sono pure.
 
Se la Fraternità San Pio X si riconcilia, cosa potrebbe portare da influire positivamente nella Chiesa?
I tradizionalisti che sono già nella Chiesa, come la Fraternità Sacerdotale San Pietro, hanno fatto sì che il Papa insistesse sulla solennità del modo in cui celebrano la liturgia. Specialmente in campo liturgico essi sono una testimonianza della continua vitalità della tradizione liturgica di prima del Concilio, che è poi il messaggio del Summorum Pontificum. La questione è che loro non possono dire che il Novus Ordo è invalido, ma la loro celebrazione col Messale del 1962 è qualcosa che rimane attraente e nutrisce la fede, anche di quelli che non ne hanno esperienza. Questo è un elemento molto importante. Ho provato a trovare un’analogia per questo. Si può dire che la Costituzione americana si può leggere in almeno due modi: se la leggono gli storici, essi sono interessati al contesto storico, agli artefici, alle loro intenzioni, al loro substrato culturale e a tutto il lavoro storico che c’è intorno ad essa. Così si ha un insieme sulla Costituzione che permette di studiarla storicamente e che getta una luce sul suo significato. Tuttavia, quando la Corte Suprema usa la Costituzione, quando la legge come un documento istituzionale vivente su cui sono basate le istituzioni del paese, la sua lettura è diversa. In questo caso, il pensiero degli artefici, compresi quelli esperti su cui essi si appoggiavano, si pone in parallelo con i vescovi, mentre gli esperti si pongono in parallelo con i periti [i teologi che aiutano i partecipanti al Concilio]. Così è come se fossero due documenti indipendenti l’uno dall’altro. Io dico spesso che quello che conta non è ciò che hanno inteso i Padri del Concilio, ma come lo si applica oggi. Si tratta infatti di un documento vivente.
 
Quindi il problema sta nel modo in cui è stato applicato.
Questo è molto importante per i teologi, per chi è incaricato di capire che il Concilio è stato interpretato in modo selvaggiamente distruttivo e discontinuo. Sto leggendo un libro di Louis Bouyer, che nel 1968 scrisse Cattolicesimo in decomposizione. Poi c’è Xavier Rynne, che ha plasmato la comprensione del Concilio nel mondo occidentale, scrivendo quegli articoli su The New Yorker. Il Papa ha scritto brillantemente sull’argomento tante e tante volte, ma, come si può vedere, in parte, i tradizionalisti reagiscono giustamente contro le bizzarre interpretazioni del Concilio da parte dei progressisti.
 
Cos’altro di positivo possono apportare?
Se saranno accettati dalla Chiesa e riammessi alla piena comunione, saranno una sorta di testimonianza vivente della continuità. Potranno essere del tutto contenti di stare nella Chiesa cattolica e in tal modo sarebbero una testimonianza vivente che la continuità tra il prima e il dopo Concilio è reale.
 
Ma questo solo che si conformeranno alle condizioni del Vaticano?
C’è di più. La cosa non è a comando – col rosso stop, col verde avanti – perché l’adesione e la piena comunione implicano la fede nello Spirito Santo che preserva la Chiesa dall’errore e il fatto che la comunione con la Sede di Pietro è parte della realtà della piena comunione. Non è accidentale. Così, se si conformano, questo deve comprendere i necessari requisiti dell’essere pienamente cattolico, non semplicemente ciò che dice il Papa o dico io. Essi devono dire: “Sì, credo che lo Spirito Santo preservi la Chiesa dall’errore”. E allora io potrò dire: “Bene, allora sei un cattolico”. La Fraternità è stata alimentata da persone che usano la parola “errore”. Errore è un termine vago nella Tradizione cattolica. Vi sono diversi livelli di errore. A volte significa che sei caduto nell’eresia, altre che sei sconsiderato.
 
La sua nuova posizione è di Vicepresidente dell’Ecclesia Dei, ma non è chiaro chi rimpiazzerà.
C’è stato un Vicepresidente per un po’, Mons. Camille Perl. E credo che ciò che si è voluto fare è coprire un posto che è rimasto vuoto per tre anni. Io non sono sicuro di quando sia andato in pensione Mons. Perl.
 
Alcuni hanno sostenuto che Lei è stato chiamato in aiuto per preparare una struttura canonica qualora la FSSPX si riconciliasse. Questo per il vasto lavoro che Lei ha svolto per contribuire a creare l’ordinariato anglicano?
Non lo so, il Papa non mi ha detto perché mi ha scelto. Fui coinvolto nell’ordinariato fin dall’inizio, allora ero Sottosegretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, coinvolta nelle discussioni che miravano alla formazione dell’ordinariato, ma io non sono un canonista. Non ho avuto un ruolo diretto nella redazione della costituzione, ma, sì, ho esperienza, forse di dialogo. Gli anglicani che sono venuti a Roma in vista della piena comunione, sono stati spesso da me. Quindi suppongo che io debba avere qualche specie di dono che li attrae [ride].
 
Il percepito indebolimento del dogma extra Ecclesiam nulla salus, quanto rientra come parte preponderante del problema, come affermano i tradizionalisti? La comprensione odierna del dogma contraddice i precedenti insegnamenti?
Non so se di questo si possa incolpare il Concilio tanto quanto l’emergere di una tendenza teologica che enfatizza la possibilità di salvezza per i non cristiani. Ma la Chiesa questo l’ha sempre affermato e non l’ha mai negato. Rahner ha avuto un effetto disastroso sulla questione, col suo Cristianesimo anonimo. Ma il Concilio non ha alterato l’insegnamento della Chiesa.
 
Eppure essi lo sostengono.
Questo è un ottimo esempio delle due cose che abbiamo detto: il pericolo di una lettura come quella fatta da Rahner, invece che alla luce dell’intera Tradizione.

Essi sostengono che la salvezza non viene più proclamata.
Raph Martin concorda con questo. Noi siamo in crisi perché la Chiesa è stata infettata dall’idea che non dobbiamo preoccuparci o essere ansiosi o sufficientemente impegnati nel mandato di proclamare seriamente Cristo. Ma questo non a causa del Vaticano II, bensì della cattiva teologia. Ecco perché la Dominus Iesus è stata parte della risposta alla teologia della religione. Non c’è dubbio che la necessità dell’extra Ecclesiam nulla salus abbia una lunga storia. Ma ci si riferiva agli eretici non ai miscredenti. Questa formula risolve i problemi dell’eresia. Ha una sua storia.
Il Concilio ha detto che ci sono elementi della grazia nelle altre religioni e io non penso che questo dovrebbe essere ritrattato. Io li ho visti, li ho conosciuti, ho incontrato luterani ed anglicani che sono santi.
 
Alcuni tradizionalisti dicono che nella Chiesa moderna l’umanesimo secolare prevale sulle definizioni dogmatiche. Faccio un esempio: il Santo padre ha detto che non avrebbe rimesso la scomunica a Mons. Williamson se avesse saputo del suo antisemitismo. Ma mentre l’antisemitismo è odioso, i tradizionalisti dicono che tali vedute non costituiscono una posizione dogmatica. E anche che i politici cattolici possono parlare liberamente contro il dogma e rimanere in piena comunione con la Chiesa. Che può dire sull’argomento?
Questa è una trappola. Edward Norman, nel suo bellissimo libro Secularization, dice che non v’è dubbio che ciò che egli chiama secolarizzazione interna, umanesimo secolare, abbia definitivamente invaso parti della Chiesa. Essi [FSSPX] probabilmente hanno ragione su questo, e potrei dar loro una lunga lista di esempi che probabilmente potrebbero compilare loro stessi. Tuttavia, provare a difendere Williamson su questa base è disgustoso e odioso. Un politico è la stessa cosa di un vescovo? Andiamo piano, questa è spazzatura, è un sofisma. Vogliono una generale scomunica di tutti coloro che sono pro-choice? Eppure qui è una persona, un vescovo, che proclama apertamente una posizione che la Chiesa sta disperatamente cercando di sopprimere nella Chiesa stessa, cioè l’antisemitismo.
 
Nel comunicato della Congregazione per Dottrina della Fede che accompagna la sua nomina, si dice che la sua esperienza “faciliterà lo sviluppo di alcune condizioni liturgiche nella celebrazione del Missale Romanum del 1962”, comunemente conosciuto come rito tridentino. Può spiegare più in dettaglio?
Ci sono due cose: Nel calendario vi sono un sacco di santi che si vorrebbero aggiungere, ma il Messale romano è fisso. Si deve stabilire un dialogo tra loro e la Congregazione del Culto Divino su come incorporare gli elementi del calendario romano e su come esso si sia sviluppato negli ultimi 50 anni. E quindi i prefazi: i vecchio Messale del 1962 ha un numero molto limitato di prefazi ed è interessante incorporarvi alcuni prefazi. Ma essendo l’edizione del 1962, chi può rivedere questa edizione del Messale? In effetti il Novus Ordo, il Messale corrente, è una revisione del Messale romano. Quindi la domanda è: come posso farlo? Io non lo so, ma il lavoro dev’essere fatto. Ci sono già stati due incontri fra i rappresentanti della Congregazione e quelli dell’Ecclesia Dei, per discutere come si debba fare.
 
Si è parlato delle sue buone relazioni con la comunità ebraica. Quanto sono buone tali relazioni?
Ho avuto lunghe e calorose relazioni con vari capi ebrei fin da quando negli Stati Uniti lavoravo alla Conferenza Episcopale, relazioni che ho mantenuto. Essi vengono a trovarmi ogni anno. Io non so se hanno detto qualcosa in pubblico, ma per telefono sono felici. Sanno che sono sensibile nei loro confronti.

Nostra Aetate (un documento che molti ritengono abbia contribuito a promuovere migliori relazioni ebraico-cattoliche) è un problema per la FSSPX.
Sì, ma bisogna ricordare che se si prende la costituzione esattamente, giuridicamente, in essa si può spaziare o attenervisi strettamente, e questo è il disaccordo che può stabilirsi tra due giudici simultaneamente. Quindi, ripeto, se essi vogliono fare una più rigorosa lettura di quei testi conciliari, teologicamente sono liberi di farlo. Ma questo non significa che debbano stare fori dalla Chiesa e che debbano argomentare contro sulla base della teologia. Se credono che Nostra Aetate sia stata interpretata malamente, allora devono entrare nell’agone per interpretarla meglio. Piuttosto che passeggiare fuori dal campo, essi devono giuocare la partita.
 
Ci potrebbe essere una riconciliazione tempestiva, visti i problemi nella Chiesa e la cultura?
È una mia impressione. Ricordo che fino a dicembre 2005, quando Benedetto XVI rivolgendosi alla Curia fece il discorso sull’ermeneutica della continuità, non si poteva parlare di queste cose. Fu Benedetto XVI che ci ha liberati per la prima volta.
Oggi si può criticare De Lubac, Congar, Chenu, e molti giovani hanno scritto tesi e libri che in qualche modo era impossibile fare prima. Quindi direi che la dominante lettura progressista del Concilio è in ritirata. Prima non è mai stato così. Ma è l’insistenza sulla continuità, è questo che loro devono abbracciare. I tradizionalisti devono convertirsi e smettere di guardare al Concilio come rottura e discontinuità. Questa è una distinzione che fa de Mattei. Il Concilio è stato vissuto come una rottura, ma dottrinalmente e teologicamente esso dev’essere letto in continuità – altrimenti bisogna arrendersi.
 
Pensa che i timori della FSSPX saranno tenuti in considerazione se ci sarà una riconciliazione?
Come si potrà non tenerli in considerazione? Chi è che impone loro cosa fare? Io dico loro solamente: il Vaticano II non è un allontanamento dalla Tradizione.
 
È ottimista o pessimista sulla riconciliazione?
Non sono niente, proprio non lo so. Io penso che sarà un atto di grazia. In realtà ho intenzione di chiedere ai Domenicani di incominciare a pregare. Spero che accada. Il Papa non vuole che la cosa continui – un’altra setta, un’altra divisione.
ignor Arcivescovo, cosa prova per questa sua nomina?





luglio 2012

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