Seconda parte della
Omelia di Mons. Bernard Fellay
pronunciata il 1 novembre 2012 a Ecône

dove parla dello stato dei rapporti fra Roma e la Fraternità San Pio X

L'omelia è stata pubblicata su
DICl, n° 264 del 9 novembre 2012
 
La trascrizione e i sottotitoli sono di DICI

La traduzione, l'impaginazione e i neretti sono nostri




 



Presentazione di DICI

Il 1 novembre 2012, nella festa di Ognissanti, Mons. Bernard Fellay ha celebrato la Messa al seminario di Ecône. Nel corso dell’omelia, dopo aver ricordato il significato spirituale di questa festa, ha esposto lo stato delle relazioni della Fraternità San Pio X con Roma.


(…) Perché vi è una Fraternità San Pio X? Perché diventiamo sacerdoti?
Non è semplicemente per il piacere di celebrare la Messa antica. È per andare in Cielo, è per salvare le anime! Certo, conservando i tesori della Chiesa, ma allo scopo di salvare le anime, di santificarle e riscattarle dal peccato, per condurle in Cielo, per condurle a Nostro Signore.

A che punto siamo con Roma?
Permettetemi di esporre due punti. Ma prima di tutto uno sguardo su ciò che è accaduto. Poi uno sguardo sul presente e forse sul futuro.

Prima di tutto ciò che è accaduto. Una prova, forse la più grande che abbiamo mai avuto, è dovuta alla combinazione di diversi elementi presentatisi contemporaneamente e che hanno generato uno stato di confusione, di dubbio assai profondo, che lascia delle ferite, ed anche una delle più grandi ferite che ci fa soffrire enormemente: la perdita di uno dei nostri vescovi. Che non è cosa da poco! Questo non è dovuto solo alla crisi attuale. È una storia lunga, ma che ha trovato in questa crisi il suo compimento.

Due messaggi contrari da parte di Roma

Che cos’è accaduto?
Penso che l’elemento primo sia un problema che si riscontra da molti anni e che io avevo indicato almeno dal 2009.
Io dico che noi ci troviamo di fronte alla contraddizione di Roma. E si è avuta una manifestazione di questa contraddizione nei nostri rapporti con la Santa Sede, quasi un anno fa, nel mese di settembre, quando ho ricevuto da un canale ufficiale dei documenti che presentavano proprio la volontà di Roma di riconoscere la Fraternità, ma per questo bisognava firmare un documento che noi non potevamo firmare.
Al tempo stesso, mi perveniva un’altra linea di informazioni, della cui autenticità mi era impossibile dubitare. Questa linea di informazioni diceva veramente un’altra cosa.

Questo è cominciato a metà di agosto, mentre è solo il 14 settembre 2011 che ho ricevuto il documento ufficiale. A metà d’agosto, una persona del Vaticano ci dice: «Il Papa riconoscerà la Fraternità e questo si verificherà come per le scomuniche, senza contropartite». Fu con questo spirito che io mi disposi alla riunione del 14 settembre, preparando degli argomenti e dicendo «Ma avete riflettuto bene su ciò che fate? Come farete? La cosa non si farà». E infatti, il testo che ci fu presentato era completamente differente da quanto ci era stato annunciato.
Ma io non ho sentito solo una fonte, ho ricevuto diverse informazioni che dicevano la stessa cosa. Un cardinale affermava: «Sì, è vero, vi sono delle divergenze, ma è il Papa che lo vuole». Questa stessa persona che ci aveva dato queste informazioni, dopo che noi abbiamo ricevuto il documento ufficiale, ci dice: «Non è questo che vuole il Papa». Contraddizione!

Che fare? Vista la serietà delle informazioni che ci dimostravano che il Papa volesse fare qualcosa – ma fino a dove? -, ero obbligato a verificare.
Ma era impossibile comunicare questo ai fedeli. La cosa veniva da canali ufficiosi, ma molto vicini al Papa.
Vi riferisco alcune delle frasi che mi sono giunte. Prima di tutto questa: «So bene che sarebbe più facile, per me e per la Fraternità, rimanere nello stato in cui si è». Il che dimostra che egli sa che avrà dei problemi e anche noi.
Ma fin dove vuole arrivare?
Altre affermazioni del Papa: «Che la Fraternità sappia che risolvere il problema della Fraternità è al centro delle priorità del mio pontificato».
O anche: «In Vaticano vi sono degli uomini che fanno di tutto per mandare a monte i progetti del Papa».
E questa: «Non abbiate paura, dopo potrete continuare ad attaccare come volete, come fate adesso».
E quest’altra: «Il Papa è al di sopra della Congregazione per la Dottrina della Fede, anche se la Congregazione per la Dottrina della Fede prenderà una decisione a voi avversa, il Papa vi passerà sopra».

Ecco il genere di informazioni che mi giungevano.
Evidentemente, le cose non sono chiare quando, da un lato vi sono dei documenti ufficiali ai quali bisogna dire di no, perché ci si chiede di accettare il Concilio, cosa impossibile, e dall’altro vengono comunicate informazioni simili. Nondimeno, io diedi una prima risposta in cui dicevo di no. Mi si telefona per dirmi: «Non potete essere un po’ più preciso?» Scrivo una seconda volta. Loro non ne sono più contenti di prima.

Si arriva al 16 marzo, quando mi si presenta una lettera e mi si dice: «Questa lettera viene dalla Congregazione per la Fede, ma è approvata dal Papa».
Se avessi avuto in mano solo quella lettera, le relazioni con Roma sarebbero terminate, perché questa lettera diceva che non si ha il diritto di opporre il magistero del passato al magistero odierno. Quindi non si ha il diritto di dire che oggi le autorità romane sono in contraddizione col passato.
Essa diceva anche che rifiutare il testo del 14 settembre, che è stato esplicitamente approvato dal Papa, equivaleva a rifiutare di fatto l’autorità del Papa. Vi si faceva anche menzione dei canoni che parlano di scisma e di scomunica per scisma. La lettera continuava: «Il Papa, nella sua bontà, vi lascia ancora un mese per riflettere, se volete ritornare sulla vostra decisione fatelo sapere alla Congregazione per la Dottrina per la Fede».

Allora è chiaro! Non c’è più niente da fare. Questa lettera che viene dal canale ufficiale, chiude il dibattito. È finita. Ma contemporaneamente io ricevo un consiglio ufficioso che mi dice: «Sì, riceverete una lettera dura, ma restate calmi», oppure: «niente panico».

La lettera al Papa e la sua risposta

È perché avevo ricevuto queste comunicazioni che mi sono permesso di scavalcare la Congregazione per la Dottrina della Fede e scrivere direttamene al Papa. E anche perché mi sono reso conto che il punto più delicato delle nostre discussioni era il seguente: le autorità romane erano convinte che noi diciamo di riconoscere il Papa in teoria, ma nei fatti noi rigettiamo tutto. Esse sono convinte che per noi, dal 1962, non v’è più niente: niente più Papa, niente più magistero. E io ho pensato che dovevo correggere questo, perché non è vero. Si rigettano molte cose, non si è d’accordo su molte cose, ma quando si dice che lo si riconosce come Papa è una verità, lo si riconosce veramente come Papa. Si riconosce che egli è del tutto in grado di porre degli atti da Papa.

Così mi sono permesso di scrivergli. Evidentemente la cosa era delicata, perché bisognava dire che si era d’accordo e al tempo stesso che non si era d’accordo. Questa lettera estremamente delicata sembra che sia stata approvata dal Papa e dopo anche dai cardinali. Ma nel testo che mi si presentò nel mese di giugno, tutto quello che io avevo tolto perché non poteva essere accettato, era stato ripresentato.

Quando mi fu consegnato questo documento, dissi: «No, non firmo, la Fraternità non firma». Scrissi al Papa: «Questo non possiamo firmarlo», e precisai: «Fino ad oggi – poiché noi non siamo d’accordo sul Concilio e poiché sembra che vogliate riconoscerci – avevo pensato che foste disposti a mettere da parte il Concilio». E feci un esempio storico, quello dell’unione con i Greci al concilio di Firenze, in cui non si erano messi d’accordo sulla questione dell’annullamento del matrimonio a causa dell’infedeltà. Gli ortodossi ritenevano che fosse una causa in grado di annullare un matrimonio, la Chiesa cattolica no. Non trovarono un accordo. Cosa fecero? Lasciarono da parte il problema. Si vede molto bene la differenza tra il decreto percgli Armeni, in cui è menzionata la questione del matrimonio, e il caso dei Greci ove essa è omessa. Feci questo riferimento dicendo: «Forse farete la stessa cosa, forse penserete che sia più importante riconoscerci come cattolici che insistere sul Concilio. Ma adesso, con la lettera che ci consegnate, io penso che mi sono sbagliato. Allora diteci cos’è che volete veramente. Perché tra noi questa questione semina la confusione».

Il Papa mi ha risposto con una lettera del 30 giugno, in cui pone tre condizioni:

- La prima è che noi si riconosca che il magistero è il giudice autentico della Tradizione apostolica – il che significa che è il magistero che ci dice cos’è che appartiene alla Tradizione. Questo è vero. Ma evidentemente le autorità romane lo usano per dire: voi riconoscete questo, dunque adesso noi decidiamo che il Concilio è tradizionale e voi dovete accettarlo. Cosa che costituisce la seconda condizione.

- Bisogna che noi accettiamo che il Concilio fa parte integrante della Tradizione, della Tradizione apostolica. Ma noi diciamo che la constatazione di tutti i giorni ci prova il contrario. Come si potrebbe dire ad un tratto che questo Concilio è tradizionale? Bisogna che sia mutato completamente il significato del termine “Tradizione” per poter dire una cosa così. Ed effettivamente ci si rende conto che essi hanno cambiato il significato del termine “Tradizione”; non è un caso che al concilio Vaticano II hanno rifiutato la definizione di San Vincenzo di Lerino, che è la definizione perfettamente tradizionale: «Ciò che è stato creduto da tutti, dappertutto e sempre».
“Ciò che è stato creduto” è un oggetto. Oggi per loro la Tradizione è qualcosa di vivente, non è più l’oggetto, ciò che essi chiamano il «soggetto Chiesa» è la Chiesa che cresce. È questa la Tradizione, che di anno in anno realizza nuove cose, accumula; e questo accumulo è una Tradizione che si sviluppa, che aumenta. Questo significato è anche vero, ma è accessorio.

- Il terzo punto è che bisogna accettare la validità e la liceità della nuova Messa.

Io avevo inviato a Roma i documenti del Capitolo generale, la nostra Dichiarazione finale che è chiara, e le nostre condizioni per eventualmente essere d’accordo, quando sarà, su un possibile riconoscimento canonico. Condizioni senza le quali è impossibile vivere; sarebbe come demolire semplicemente tutto. Poiché accettare tutto quello che si fa oggi nella Chiesa significa distruggerci. Abbandonare tutti i tesori della Tradizione.

Perché queste contraddizioni a Roma?

La riconciliazione proposta equivale, in effetti, a riconciliarci col Vaticano II. Non con la Chiesa, non con la Chiesa di sempre. D’altronde, non c’è bisogno di riconciliarsi con la Chiesa di sempre, vi si è.
E Roma dice: «Non abbiamo ancora ricevuto la risposta ufficiale». Ma per tre volte io ho risposto che non si poteva, che non si poteva percorrere questa strada.

Di recente abbiamo avuto una presa di posizione del Presidente dell’Ecclesia Dei, che è anche il Prefetto della Congregazione della Fede, il quale ha affermato che le discussioni con la Fraternità erano finite. E sabato scorso, una nuova dichiarazione della Commissione Ecclesia Dei afferma: «No, bisogna lasciare del tempo; è comprensibile che dopo trent’anni di dispute essi abbiano bisogno di un certo tempo; si capisce che loro hanno un desiderio ardente di essere riconciliati». Io ho l’impressione che essi l’abbiano più di noi. E noi ci chiediamo: che succede?

Evidentemente, questo genera nuovamente del trambusto, ma non bisogna lasciarsi turbare. Noi continuiamo per la nostra strada. Molto semplicemente.
 
Si ha in questo una nuova manifestazione della contraddizione che c’è a Roma. Perché vi è contraddizione?
Perché vi è della gente che vuole continuare lungo la strada moderna, la strada della distruzione, della demolizione, e poi perché vi sono altri che cominciano a rendersi conto che così non va e che ci vogliono bene.
Ma si può avere fiducia in questi?
Dipende a quali condizioni, non basta che ci si voglia bene.

In tutte queste discussioni, io sono giunto ad una conclusione – e penso che questo spiega ciò che accade adesso: il Papa vorrebbe veramente, molto seriamente, riconoscere la Fraternità. Tuttavia le condizioni che egli pone, per noi sono impossibili. Le condizioni che si trovano nella sua lettera, per noi sono semplicemente impossibili.
Dire che il Concilio è tradizionale! Mentre tutto dice il contrario! 50 anni di storia della Chiesa dicono il contrario!
Dire che la nuova Messa è buona! Anche qui, c’è solo da aprire gli occhi per vedere il disastro.
L’esperienza che in questi ultimi anni abbiamo avuto con i sacerdoti che ci vengono a trovare, è istruttiva.
Io ho avuto di nuovo uno di questi incontri molto recentemente. Ero in Argentina, dove ho conosciuto un sacerdote relativamente giovane che non sapeva assolutamente niente della Tradizione, che scopriva la Messa. Era la prima volta che assisteva ad una Messa tradizionale: fino a prima non sapeva neanche che essa esistesse. Qual è stata la sua reazione? Si è detto terribilmente frustrato, in collera con coloro che gli hanno nascosto questo tesoro! Ecco la sua reazione: «È questa la Messa? Non ce l’ha mai detto nessuno!»

La Tradizione è un tesoro, non un arcaismo

Il cammino per uscire da questa crisi è molto semplice. Se si vuole parlare di nuova evangelizzazione – poco importano i termini – il solo cammino per uscire dalla crisi è quello di ritornare a ciò che la Chiesa ha sempre fatto. È molto semplice, non è complicato. E questo non significa fare dell’arcaismo. Io so bene che si vive nel mondo di oggi. Non si vive ieri, né l’altro ieri; vero è che vi sono dei nuovi problemi, ma le soluzioni del Buon Dio sono là! Queste soluzioni, sono eterne. Noi sappiamo che non v’è in alcun momento della nostra vita una situazione in cui saremo privi della grazia. Ogni volta che vi è una scelta, ogni volta che vi è una tentazione, il Buon Dio ci dà la grazia proporzionata alla situazione, per vincerla.
I comandamenti di Dio sono validi oggi come ieri. Dio resta Dio!

Dunque, quando si dice che bisogna adattarsi al mondo, adattarsi al suo linguaggio… o a non so che, occorre provare a spiegare le cose. Sì, questo è vero, ma non c’è bisogno di cambiare la Verità.
Il cammino per il Cielo resta sempre un cammino di rinuncia al peccato, a Satana, al mondo. È la prima condizione che si trova nelle promesse del battesimo: «Rinunci a Satana? Rinunci alle sue opere?». Il cammino è sempre questo, non ve ne sono altri.
Oggi ci si fa tutto un discorso sui divorziati risposati. L’anno scorso i vescovi tedeschi hanno detto che uno dei loro scopi era quello di arrivare alla comunione dei divorziati risposati. Ebbene! La Chiesa, e non solo la Chiesa, il Buon Dio ci dicono: no, bisogna prima regolarizzare questa situazione.
Il Buon Dio dà la grazia a coloro che sono in una situazione difficile. Nessuno dice che sia facile! Quando un matrimonio è spezzato è un dramma, ma il Buon Dio dà la grazia. Coloro che sono in questo stato devono essere forti e la Croce di Nostro Signore li aiuta, ma non si va a ratificare o a fare come qui, nella diocesi di Sion, che vi è un rituale per benedire queste unioni. Non lo si dice a gran voce, ma è una realtà. Ora, questo significa benedire il peccato, e non può venire dal Buon Dio! I preti e i vescovi che fanno questo, conducono le anime all’inferno. Fanno esattamente il contrario di quello per cui sono stati chiamati a diventare preti e vescovi.

È questa la realtà della Chiesa che ci si para davanti! E come si potrebbe dire sì a questa realtà? È il dramma della Chiesa che abbiamo di fronte.

Adesso, per parlare del futuro, quello che proveremo a fare con le autorità romane è dir loro che non serve a niente pretendere che la Chiesa non possa sbagliarsi in nome della fede. Poiché, a livello di fede, noi siamo del tutto d’accordo sull’assistenza dello Spirito Santo, ma bisogna aprire gli occhi su ciò che accade nella Chiesa!
Bisogna smetterla di dire: la Chiesa non può fare nulla di malvagio, dunque la nuova Messa è buona. Bisogna smetterla di dire: la Chiesa non può sbagliarsi, quindi non vi sono errori nel Concilio. Ma guardate la realtà! … [bisogna smetterla di dire:] Non può esserci contraddizione tra la realtà che osserviamo e la fede. È lo stesso buon Dio che fa entrambe, quindi, se vi è una contraddizione apparente, certamente vi è una soluzione. Forse non la si è ancora trovata, ma non si può negare la realtà in nome della fede!
Ora, è veramente questa l’impressione che si ha a proposito di ciò che Roma vuole imporci adesso. E noi rispondiamo: non possiamo. Punto e basta.
E dunque noi continuiamo, accada quel che accada!

Noi sappiamo bene che un giorno questa prova – prova che tocca tutta la Chiesa – finirà, ma non sappiamo come. Noi cerchiamo di fare tutto ciò che possiamo. Non bisogna avere paura. Il Buon Dio è al di sopra di tutto questo, Egli rimane il Maestro. È questo che è straordinario. E la Chiesa, anche in questo stato, resta santa, rimane in grado di santificare. Se oggi, miei cari fratelli, noi riceviamo i sacramenti, la grazia, la fede, è grazie a questa Chiesa cattolica romana, non grazie ai suoi difetti, ma grazie a questa Chiesa reale, concreta. Che non è un’immagine, che non è un’idea, ma una realtà di cui il più dell’aspetto che noi oggi celebriamo è il Cielo.
Ebbene! Il Cielo si prepara qui in basso. È questo il bello nella Chiesa, questa battaglia terrificante, straordinaria con le forze del male, in cui si trova la Chiesa, e anche in questo stato di sofferenza terribile in cui essa si trova oggi, essa è ancora capace di trasmettere la fede, di trasmettere la grazia, i sacramenti. E se noi diamo questi sacramenti e questa fede è attraverso questa Chiesa, è in nome di questa Chiesa, è in quanto siamo strumenti e membri di questa Chiesa che noi lo facciamo.
Che i Santi del Cielo, che gli Angeli ci vengano in aiuto e ci sostengano!

Evidentemente, questo non è facile, evidentemente noi abbiamo timore. È ciò che dice il graduale di oggi. Bisogna avere il timore di Dio. A quelli che lo temono, il Buon Dio dona tutto. Non abbiamo paura di aver paura di Dio. Il timore di Dio è l’inizio della saggezza. Che esso ci conduca attraverso tutti i dedali della vita terrena verso il Cielo, ove la Santa Vergine Maria, Regina di tutti i Santi, Regina degli Angeli, è veramente la nostra protettrice, veramente nostra Madre. Se di Nostro Signore si dice che Egli vuol’essere tutto in tutti, bisogna dire quasi lo stesso della Santa Vergine. Noi abbiamo una Madre in Cielo, che ha ricevuto da Dio un potere straordinario, quello di schiacciare la testa di Satana, di schiacciare tutte le eresie. Dunque si può anche dire che Ella è la Madre della fede, la Madre della grazia. Andiamo verso di Lei. Consacriamole la nostra esistenza, le nostre famiglie, le nostre gioie, le nostre pene, i nostri progetti, i nostri desideri. Che Ella ci conduca fino al porto eterno, affinché noi possiamo godere, con tutti i Santi, della beatitudine eterna: questa visione di Dio che è la visione beatifica. Così sia.



novembre 2012

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