Lettera di giustificazione di Mons. Morerod
circa il decreto d’ammissione
nelle chiese e cappelle cattoliche romane,
di altre religioni, confessioni o raggruppamenti religiosi, tranne la Fraternità Sacerdotale San Pio X


Questa lettera è stato pubblicata dalla diocesi di Losanna, Ginevra e Friburgo.
Il testo originale è reperibile, in formato pdf, nel sito della diocesi

Si legga il nostro breve commento a proposito





Constato che la pubblicazione del mio Decreto del 20 gennaio, relativo all’ammissione di altre religioni o gruppi religiosi nelle chiese della mia diocesi, suscita in certuni delle perplessità, in ragione dell’interdizione riguardante la Fraternità San Pio X (FSSPX). Piuttosto che rispondere individualmente, come ho fatto in questi ultimi giorni, do una spiegazione pubblica sull’argomento della pubblicazione stessa e un elemento in merito al contenuto.

Innanzi tutto, il Decreto da me pubblicato è il risultato di una decisione presa dalla Conferenza Episcopale Svizzera nel settembre 2011, quando io non ne facevo ancora parte. Si trattò allora di aggiornare le norme del 1999 (che già interdivano alla FSSPX l’uso delle chiese). Approntato il testo del Decreto, la sua pubblicazione venne lasciata alla decisione di ogni singolo vescovo o abate territoriale. Per esempio, la diocesi di Sion (con l’abbazia territoriale di Saint- Maurice), lo pubblicò il 10 gennaio 2012, mentre la diocesi di Bâle (con quella di San Gallo), lo pubblicò il 1 febbraio 2012: Bâle e Sion sono le due diocesi in cui si trovano la sede della FSSPX (Menzingen) e il seminario di Ecône, e tutta la Svizzera francofona è ormai coperta dallo stesso decreto.

Quanto a me, posto che ho partecipato al dialogo con la FSSPX, non ho voluto inviare un segnale che avrebbe potuto suggerire che non credessi più a questo dialogo,  ed ho atteso più di un anno prima di pubblicare il decreto. Mi è sembrato che la pubblicazione potesse attendere, perché il contenuto del decreto corrispondeva in ogni caso alla pratica condotta da anni nella diocesi. Se alla fine ho pubblicato il decreto, questo non significa che ho perduto ogni speranza in questo dialogo: se esso dovesse condurre ad un risultato positivo, sarò felice di cambiare quelle norme che corrispondono ad una situazione superata. Tuttavia, diversi avvenimenti mi hanno indotto a considerare che la situazione è grave.

Innanzi tutto, a differenza degli Ortodossi e dei Protestanti che possono utilizzare le chiese della diocesi a certe condizioni e in caso di necessità (per esempio perché non hanno chiese vicine o in ragione di lavori in corso nelle loro chiese, possibilità che è spesso reciproca), i sacerdoti della FSSPX si presentano come cattolici. Il dialogo con la FSSPX non è, propriamente parlando, «ecumenico», ma un dialogo interno. Qual è dunque la situazione dei sacerdoti della FSSPX nella Chiesa cattolica?

Il 22 luglio 1976, Mons. Lefebvre, fondatore della FSSPX, è stato sospeso a divinis da papa Paolo VI: ogni atto ministeriale pubblico gli è stato interdetto. A mia conoscenza, questa misura non è stata mai ritirata, a differenza della scomunica dei vescovi della FSSPX. È così che la nostra conferenza episcopale ha compreso ciò che il papa benedetto XVI ha scritto il 10 marzo 2009 e che il nostro decreto cita, e cioè che i sacerdoti della Fraternità non hanno un ministero legittimo nella Chiesa. Si tratta infatti di sacerdoti ordinati in maniera illecita, e nessun sacerdote cattolico il cui ministero è illecito – sia o meno membro della FSSPX – può celebrare in una chiesa cattolica, a meno che ovviamente non si sia riconciliato con la Chiesa.

La difficoltà propria di questi sacerdoti, a confronto con i preti ortodossi o con i pastori protestanti, è che il loro ministero contribuisce di fatto – forse senza la loro intenzione – a dividere dall’interno la Chiesa cattolica. Ed è proprio su questo punto che la mia inquietudine è aumentata in questi ultimi mesi. Io ero già sconvolto per il fatto che un vescovo della FSSPX avesse pubblicato un lavoro in cui si accusa a ripetizione il papa Benedetto XVI di essere eretico (Bernard Tissier de Mallerais, L’étrange théologie de Benoît XVI, Avrillé, 2010) [versione italiana: La strana teologia di Benedetto XVI, Ichthys, Albano Laziale, 2012]. Tuttavia si poteva trattare di un punto di vista isolato che non impegnava la Fraternità come tale, nonostante venisse da uno dei suoi vescovi. Lo stesso vale per le famose dichiarazioni di Mons. Williamson, cosa confermata dalla sua esclusione dalla FSSPX.

Nel corso degli ultimi mesi, delle dichiarazioni di Mons. Bernard Fellay, superiore generale della FSSPX, hanno tristemente confermato ai miei occhi che la sua Fraternità ha il potere di gettare scompiglio all’interno della Chiesa e di nuocere alla reputazione della Chiesa nei confronti dell’esterno.

Io penso, per esempio, all’omelia pronunciata da Mons. Fellay a Parigi, l’11 novembre 2011. Ne riporto alcuni passi:

Circa il Concilio Vaticano II – che afferma sicuramente che il suo insegnamento è in continuità con l’insegnamento tradizionale della Chiesa e ne fa parte – Mons. Fellay dichiara. «questo Concilio ha avuto la volontà, ha voluto, non chissà quale novità, non una novità superficiale, ma una novità profonda e logicamente in opposizione, in contraddizione con ciò che la Chiesa aveva insegnato e perfino condannato.»
Circa la Messa celebrata dopo la riforma conciliare, Mons. Fellay afferma: «E ancora un’altra condizione, quella che riguarda la Messa. Dobbiamo accettare la validità della nuova Messa, non solo la validità, ma anche la liceità. (…) Anche una Messa nera può essere valida. (…) prendendo quest’esempio scioccante, si capisce che questo non è permesso, che non è lecito perché è malvagio. Ebbene, lecito vuol dire permesso perché è buono. (…) D’abitudine, noi non parliamo neanche di liceità, diciamo semplicemente che essa è malvagia. Questo basta.»
Circa lo stato del dialogo, egli la mette in questi termini: «le cose sono bloccate. È un ritorno al punto di partenza. Noi ci troviamo esattamente allo stesso punto di Mons. Lefebvre negli anni 1975, 1974.».
Di fronte a questa constatazione, i miei scrupoli si attenuano…

Io penso anche alle dichiarazioni di Mons. Fellay a New Hamburg, in Canada, il 28 dicembre 2012, che presentano gli Ebrei come «nemici della Chiesa». In questo giudizio, essi sono associati ai massoni e ai modernisti, descritti come attivi a Roma per impedire la riconciliazione con la FSSPX. Questa descrizione degli Ebrei ha comportato una reazione del portavoce della Santa Sede, il Padre Federico Lombardi, il 7 gennaio 2013, e una dichiarazione dei vescovi del Canada del 18 gennaio 2013. Questi fatti attenuano quanto meno il significato rassicurante dell’esclusione di Mons. Williamson.  Fra l’altro, a causa dei drammi storici ben noti, il Concilio Vaticano II ha voluto porre il dialogo religioso col giudaismo in termini positivi e amichevoli, confermati dalle visite dei papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI alla grande sinagoga di Roma. Ogni dichiarazione in senso contrario da parte di un vescovo o prete cattolico nuoce gravemente alla reputazione della Chiesa cattolica, e questo giustifica l’interdizione della parola nelle chiese cattoliche ad un clero suscettibile di parlare in tali termini.

Sono questi recenti avvenimenti che mi hanno indotto ad abbandonare l’attitudine paziente alla quale mi ero attenuto dall’inizio del mio episcopato, perché è dall’inizio che conoscevo il decreto preparato dalla Conferenza Episcopale. E ripeto che se l’attitudine della FSSPX dovesse evolvere, io sarò felice di riconoscere di essere stato eccessivamente pessimista.

Friburgo, 3 febbraio 2013

+ Charles Morerod
vescovo di Losanna, Ginevra e Friburgo




febbraio 2013

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