Nota di Mons. Bernard Fellay
con la quale presenta la pubblicazione della
Dichiarazione dottrinale del 15 aprile 2012


Questa nota, è tratta dal numero di marzo della pubblicazione della Fraternità San Pio X riservata ai membri: Cor Unum, n° 104

È stata pubblicata sul sito internet francese La Sapiniére,
gestito da sacerdoti
e laici della Fraternità San Pio X, contrari all'accordo con Roma


Il contesto è il seguente: questa dichiarazione giunge il 15 aprile, dopo la lettera del cardinale Levada del 16 marzo, in risposta alla nostra lettera del 12 gennaio.
Nella risposta, il cardinale Levada esprime il rifiuto da parte delle autorità romane della nostra proposta di sostituire il loro Preambolo dottrinale con la Professione di fede tridentina, accompagnata dall’adesione alla Pastor aeternus e al n° 25 di Lumen gentium compreso alla luce del Magistero preconciliare (“secondo il giuramento antimodernista”). Il cardinale Levada aggiunge che il nostro rigetto del Preambolo dottrinale approvato da Benedetto XVI equivale ad una rottura della comunione col romano Pontefice, cosa che comporta le sanzioni canoniche previste per lo scisma.

Fin dall’inizio, ciò che ci guida nelle relazioni con Roma è il principio della fede: senza la fede è impossibile piacere a Dio (cfr. Ebrei, 11, 6). Non possiamo accettare che ci si inganni, né che si indebolisca la fede che abbiamo ricevuto col battesimo. Se vogliamo restare cattolici, è proprio a questo principio che dobbiamo collegarci e su di esso dobbiamo fondare ogni nostra azione. Mettere in causa questo principio per ottenere un qualche vantaggio pratico, perfino un riconoscimento canonico, è sempre stato escluso.

Certuni non hanno chiaramente fatto attenzione al fatto che io ho sempre detto che un accordo pratico non avrebbe mai avuto luogo se non si fossero realizzate le condizioni sine qua non  poste più volte da noi, sia nelle diverse prese di posizione sia nella seconda risposta alla Congregazione per la Dottrina della Fede (12 gennaio 2011), condizioni che riprendevano le stesse parole di Mons. Lefebvre. Dunque, anche se il documento di aprile fosse stato accettato, questo non sarebbe bastato per concludere una normalizzazione canonica. Uno dei punti capitali di queste condizioni sine qua non era e resta il libero attacco e la denuncia degli errori nella Chiesa, compresi quelli derivati dal Concilio.

Al momento della consegna di questa lettera del 16 marzo, il cardinale Levada ci ha fatto capire che le autorità romane pensano che la Fraternità rigetti interamente il magistero di tutti i papi, nonché tutti gli atti del magistero, a partire dal 1962. Poiché, secondo lui, noi, di fatto, non accordiamo alcun valore a questi atti, malgrado tutto quello che possiamo dire.
Questa accusa è falsa, ed era necessario confutarla, poiché come accettiamo di essere ingiustamente condannati per la nostra fedeltà alla tradizione bi-millenaria, così non accettiamo di essere accusati di una rottura con Roma, cosa che il nostro fondatore ha sempre rifiutato.
È la linea di cresta che egli ci ha fissata, al di là della tentazione di un accordo con gli errori conciliari (cosa che noi abbiamo scartato con la lettera del 12 gennaio e che non è sfuggita al cardinale Levada), ma anche al di là della tentazione sedevacantista (cosa che noi abbiamo cercato di fare in questa dichiarazione dottrinale).

Questo contesto mostra che la dichiarazione dottrinale non pretendeva di essere l’espressione esaustiva del nostro pensiero sul Concilio e il magistero attuale. Essa non si sostituiva alla nostra posizione dottrinale, così com’è stata esposta nel corso dei due anni di colloqui dottrinali, essa voleva solo completarla su un punto particolare: l’accusa di scisma.
È per questo che la dichiarazione si sforzava di dare degli esempi della nostra sottomissione all’autorità magisteriale in sé, continuando a mantenere la nostra opposizione a tanti atti da essa posti attualmente (hic et nunc). Per dimostrare il nostro riconoscimento dell’autorità romana, relativamente alle riforme conciliari abbiamo ripreso diversi passi del testo di Mons. Lefebvre del 1988, poiché non volevamo riprendere quello del “preambolo dottrinale” di cui avevamo già rigettato il contenuto con la nostra risposta del 12 gennaio, come aveva preso atto il cardinale Levada con la sua lettera del 16 marzo.

La nostra posizione è certo delicata; dal momento che non vogliamo essere né eretici, né scismatici, abbiamo proposto un testo diviso in due parti, la prima che enuncia i principi generali totalmente e assolutamente condizionanti, la seconda che affronta i punti particolari del concilio Vaticano II e delle principali riforme che ne sono derivate. Per evitare qualunque ambiguità in questa seconda parte – ambiguità che abbiamo già denunciato nella nostra risposta del 12 gennaio (vedi Cor Unum n° 103, p. 52 e ss.) -, sembrava sufficiente ricordare con decisione che il magistero non poteva basarsi in alcun modo su se stesso o sull’assistenza dello Spirito Santo per poter insegnare una novità contraria al magistero costante della Chiesa.

Essendo esclusa la possibilità della novità o della contraddizione con l’insegnamento anteriore, per ciò stesso veniva evitata ogni ambiguità circa il nostro giudizio sul Concilio, ivi compresa la famosa “ermeneutica della riforma nella continuità”, inaccettabile. Alla luce di quanto accaduto, constatiamo che il nostro pensiero non è stato compreso secondo questo senso da diversi membri eminenti della Fraternità, che vi hanno visto dell’ambiguità, cioè un’accettazione della tesi dell’ermeneutica della continuità, che invece noi abbiamo sempre rifiutata.

Le autorità romane, da parte loro, in questa dichiarazione non hanno visto un’accettazione dell’ermeneutica della continuità. È per questo che, dopo aver fissato in un documento di lavoro una tabella comparativa che precisava le divergenze tra il loro Preambolo del 14 settembre 2011 e la nostra dichiarazione del 15 aprile 2012, esse hanno spostato e modificato il senso delle aggiunte che avevamo apportato e che giudicavamo indispensabili e hanno poi aggiunto dei passi che avevamo soppresso e che giudichiamo inaccettabili. È il testo che ci è stato consegnato il 13 giugno 2012.

Si potrà così notare, tra ciò che è stato spostato e modificato, che: al n° III-6, laddove noi riconoscevamo la validità del NOM in sé e la legittimità o legalità della promulgazione (come Mons. Lefebvre nel 1988), nel testo del 13 giugno si trova il riconoscimento della validità e della liceità del NOM e dei sacramenti da Paolo VI e Giovanni Paolo II.

Tra ciò che è stato aggiunto si noteranno i molteplici riferimenti sia al nuovo catechismo, sia all’ermeneutica della continuità; così al n° III-5, ciò che noi avevamo scritto della libertà religiosa: “la cui formulazione è difficilmente conciliabile con le precedenti affermazioni dottrinali del Magistero”, diventa: “la cui formulazione potrebbe sembrare a certuni difficilmente conciliabile…”.
Al n° III-5, la spiegazione teologica delle espressioni del Concilio che non sembrano conciliabili col Magistero anteriore della Chiesa, diventa una spiegazione “in particolare per aiutare a comprendere la loro continuità col Magistero anteriore della Chiesa”, escludendo così ogni critica.

Dopo aver inviato a Roma i testi del Capitolo generale del luglio scorso, io ho conosciuto Mons. Di Noia il 28 agosto 2012 e l’ho informato che ritiravo la nostra proposta del mese d’aprile, che ormai non poteva più servire come base di lavoro.
Resta il Preambolo dottrinale del 14 settembre 2011, ripreso sostanzialmente il 13 giugno 2012, e la nostra doppia risposta: da un lato le lettere del 20 novembre 2011 e del 12 gennaio 2012, e dall’altro la dichiarazione del Capitolo del 14 luglio 2012, con le condizioni richieste prima di ogni riconoscimento canonico.

+ Bernard Fellay




maggio 2013

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