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Intervista di Mons. Bernard Fellay Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X rilasciata il 20 aprile 2013 alla rivista del Distretto degli Stati Uniti: The Angelus - numero di maggio giugno 2013 pubblicata il 6 giugno sul sito americano della Fraternità e ripresa il 7 giugno da DICI Riflessioni sul XXV anniversario delle consacrazioni episcopali Mons.
Fellay: La mia prima reazione è stata di pensare
che dovevano esserci dei candidati migliori, - se possibile, allontana
a me questo calice! -. Poi ho pensato ai miei confratelli, ai miei
fratelli sacerdoti, poiché è evidente che si tratta di
una croce pesante da portare: si tratta di dedicarsi agli altri.
The Angelus: Ricorda i suoi sentimenti e il suo stato d’animo in quel 30 giugno 1988, dopo essere stato consacrato vescovo per mano di Monsignore? Mons.
Fellay: Non ricordo granché dei miei sentimenti e
delle mie emozioni, ma ricordo come l’assemblea fosse elettrizzata.
L’atmosfera era veramente elettrica. Non ho mai visto niente di simile.
Mi ricordo bene, sia nel corso della cerimonia sia dopo: una gioia
immensa, nient’altro. Fu stravolgente.
The Angelus: Nel suo Itinerario Spirituale, Mons. Lefebvre parla di un sogno che aveva avuto nella cattedrale di Dakar. Può spiegarci in cosa le consacrazioni del 1988 furono una realizzazione di questo sogno? Mons.
Fellay: Cosa sorprendente, direi che non vedo alcun
legame tra i due avvenimenti. In effetti, non credo che ce ne sia uno.
Io non penso che la consacrazione dei vescovi sia direttamente legata
all’opera stessa di Monsignore: si tratta semplicemente di un mezzo di
sopravvivenza. Essa non è essenziale per quest’opera, che
consiste nel formare e nell’edificare dei sacerdoti secondo il Cuore di
Gesù. È questo l’essenziale. Vero è che senza
vescovi non potrebbero esserci dei sacerdoti, ma non è questo
l’essenziale dell’opera. Questo è essenziale per sopravvivere,
ma non per la natura dell’opera. Evidentemente, oggi la questione si
pone diversamente alla luce di tutti gli sviluppi del nostro apostolato
e della situazione della Chiesa!
The Angelus: Mons. Lefebvre insisteva sul carattere straordinario della sua decisione di consacrare e la distingueva anche da un atto scismatico, sottolineando il fatto che egli non intendeva trasmettere alcuna giurisdizione episcopale, ma solo il potere d’ordine. Nel corso degli ultimi 25 anni, certuni hanno criticato la scelta di uno di questi vescovi come Superiore generale, dicendo che una tale elezione suppone per il vescovo la rivendicazione di un potere di giurisdizione. Può rispondere a questo argomento e spiegare come il ruolo del Superiore generale non implichi una tale rivendicazione? Mons.
Fellay: Prima di tutto, perché Mons. Lefebvre, al
momento delle consacrazioni, non voleva che un vescovo divenisse
Superiore generale? Era proprio per facilitare le relazioni con Roma.
Se il Superiore generale fosse stato un vescovo, egli sarebbe stato
oggetto di una sanzione da parte di Roma e questo avrebbe reso
più difficili le discussioni, diversamente da come avveniva con
Don Schmidberger, in quel momento nostro Superiore. La sua decisione si
basava chiaramente sulle circostanze, non si trattava di una questione
di principio. Era una questione di prudenza e non si trattava di
escludere direttamente la possibilità che un vescovo divenisse
in avvenire Superiore generale.
Tuttavia, bisogna distinguere due tipi di giurisdizione. Esiste una giurisdizione normale, ordinaria, che un Superiore generale esercita sui suoi membri, e a parte la giurisdizione ordinaria del vescovo. In quanto vescovi, noi attualmente non possediamo una giurisdizione ordinaria, ma in quanto Superiore generale, io possiedo l’altro tipo di giurisdizione. Sono due cose diverse. Lo spirito di Mons. Lefebvre The Angelus: Vi è un ricordo particolare che Lei conserva di Monsignore e che Le piacerebbe farci conoscere? Mons.
Fellay: Da un lato la sua semplicità e il suo
buon senso, dall’altra la sua alta visione delle cose. Questa era
sempre soprannaturale: egli si volgeva sempre a Dio. È evidente
che era guidato dalla preghiera, dalla Fede, dall’unione con Dio. Per
lui, era normale ed evidente essere sempre, nelle azioni ordinarie,
unito a Nostro Signore.
The Angelus: Come sviluppate nei vostri sacerdoti e seminaristi lo spirito rimarchevole di Mons. Lefebvre per ciò che concerne la pietà sacerdotale, la solidità dottrinale e l’azione contro-rivoluzionaria? Mons.
Fellay: Prima di tutto, nella misura del possibile, noi
cerchiamo di mettere i seminaristi in contatto con Mons. Lefebvre
stesso: con la sua voce, i suoi insegnamenti, i suoi libri… Noi abbiamo
le registrazioni delle sue conferenze ai seminaristi. In questo i
Francesi sono avvantaggiati! Ma stiamo per tradurle, perché
tutti i seminaristi possano accedervi. In inglese, certe di esse sono
già state pubblicate in libri: They
Have Uncrowned Him, Priestly
Holiness e The Mass of All
Time [Lo hanno detronizzato,
Santità e Sacerdozio
e La Messa di sempre].
Poi, noi cerchiamo di realizzare e di applicare nei nostri seminari i mezzi che lui stesso ci ha dati: per esempio il piano di studi e di conferenze da lui preparato; egli ha fissato il loro ordine e la maniera in cui si strutturano. La nostra filosofa e la nostra teologia sono fondate sull’insegnamento di San Tommaso, come raccomandato dalla Chiesa. Gli Atti del Magistero formano un corso particolarmente caro a Monsignore: vi si studiano le encicliche dei grandi papi del XIX secolo fino a Pio XII, così come la loro battaglia contro l’introduzione dei principi dei Lumi nella Chiesa e nella società. Non portiamo avanti fedelmente tutto questo con frutto. Lo sviluppo della Fraternità dopo il 1988 The Angelus: Dopo le consacrazioni del 1988, quali sono stati nella Fraternità i cambiamenti positivi e negativi più importanti? Mons.
Fellay: Non so se vi sono stati molti cambiamenti. Noi
diventiamo un po’ più vecchi, nonostante restiamo una
congregazione giovane. Ma adesso abbiamo dei sacerdoti anziani, cosa
che non avevamo nel 1988. Si dirà che si tratta di un
cambiamento superficiale. Avevamo quattro vescovi e oggi ne abbiamo
tre. Anche questo è un cambiamento. Ma in sé non è
niente di fondamentale, niente di essenziale. Abbiamo più case
in un numero maggiore di paesi, ma questo più che un cambiamento
è il normale sviluppo di un’opera. Noi rimaniamo fedeli alla
linea di condotta di Mons. Lefebvre. In effetti, guardando agli ultimi
anni, Monsignore aveva detto, nel 1988, che Roma sarebbe rivenuta a noi
5 o 6 anni dopo le consacrazioni; la cosa è durata 24 o 25 anni
e in tutta evidenza la situazione non è ancora matura. I
cambiamenti nella Chiesa, sperati da Mons. Lefebvre – il ritorno alla
Tradizione – non ci sono ancora. Ma è evidente che se le
autorità ecclesiastiche continueranno come fanno adesso, la
distruzione si aggraverà e un giorno dovranno fare marcia
indietro, e allora in quel giorno verranno verso di noi.
D’altra parte, guardiamo a quello che è accaduto in questi anni: si è riconosciuto che la Messa di sempre non era stata abrogata, le scomuniche del 1988 sono state tolte e noi abbiamo acquisito nella Chiesa un’influenza che non avevamo mai avuta prima. Senza parlare della critica sempre più importante del Concilio, anche a Roma e fuori dalla cerchia della Fraternità, cosa che a questo livello è un fenomeno relativamente nuovo. La crociata necessaria The Angelus: Può descrivere i progetti e i lavori che sono stati realizzati nel corso degli ultimi 25 anni dopo le consacrazioni? Mons.
Fellay: Semplice: dopo le consacrazioni, i vescovi della
Fraternità San Pio X hanno ordinato più sacerdoti di
quanti ve ne fossero al tempo delle consacrazioni nel 1988. È
dunque chiaro che i vescovi erano necessari per lo sviluppo
dell’apostolato della Fraternità; senza i vescovi la
Fraternità sarebbe morente: i suoi vescovi sono indispensabili
per la continuazione dell’opera. Vi sono anche le cresime, che fanno i
soldati di Cristo pronti a battersi per Dio e per il Suo Regno. Infine,
non possiamo negare l’esistenza di questa influenza sull’intera Chiesa
perché la Tradizione ritrovi i suoi diritti.
The Angelus: Certi critici della Fraternità la paragonano alle comunità Ecclesia Dei, che non hanno vescovi, tolto Campos, e ne concludono che le consacrazioni non erano necessarie, perché queste comunità continuano ad esistere senza dei vescovi propri. In che misura la differente storia negli ultimi 25 anni della Fraternità e delle comunità Ecclesia Dei, dimostra più chiaramente oggi la giustezza del giudizio di Monsignore, e cioè che un vescovo della Fraternità era necessario, non solo per assicurare la sopravvivenza della Fraternità, ma anche per salvaguardare l’integrità della sua missione? Mons.
Fellay: Innanzi tutto, tutti i membri dell’Ecclesia Dei comprendono che se noi
non avessimo avuto dei vescovi, essi stessi non esisterebbero.
Direttamente o indirettamente, essi dipendono dalla vita della
Fraternità. Questo è molto chiaro. Ma attualmente i
frutti del loro apostolato sono totalmente soggetti alla buona
volontà dei vescovi diocesani. Questi limitano in maniera
radicale ogni fermo desiderio di stabilire una vita cattolica
tradizionale, restringendo in questo senso le possibilità
dell’apostolato. La comunità Ecclesia
Dei sono obbligate a mischiarsi alle novità del Vaticano
II, al mondo del Novus Ordo.
Questa è la grande differenza fra la Fraternità e le
comunità Ecclesia Dei.
Tuttavia, io constato che certe comunità Ecclesia Dei si avvicinano a noi, anche se questo è lungi dall’essere il caso di tutte. The Angelus: Mons. Lefebvre era sfiancato dai viaggi per il mondo effettuati nel corso degli anni che hanno preceduto le consacrazioni, visto che era il solo vescovo tradizionale, tolto Mons. de Castro Mayer, che generalmente limitava il suo apostolato alla propria diocesi. Di conseguenza, egli scelse di consacrare quattro vescovi invece che uno solo. Il numero dei fedeli della Tradizione è aumentato nel corso degli ultimi 25 anni, tuttavia, sfortunatamente, il numero dei vescovi della Fraternità oggi è ridotto a tre. Bastano tre vescovi per assicurare il lavoro? Occorre consacrarne egli altri? Mons.
Fellay: In effetti è dal 2009 che noi lavoriamo
solo con tre vescovi. È evidente che la cosa funziona. Dunque
è chiaro che noi possiamo lavorare con tre vescovi. Non
v’è ragione urgente o grande necessità per consacrarne un
altro.
Certo, anche se attualmente non c’è la necessità, noi dovremo porci la domanda per l’avvenire. La mia risposta è semplice: quando e se le circostanze che hanno indotto Mons. Lefebvre a prendere una tale decisione si presenteranno di nuovo, noi adotteremo le stesse soluzioni. L’iniziativa romana di una normalizzazione canonica The Angelus: Nonostante Mons. Lefebvre abbia sempre auspicato una serena relazione con le autorità romane, le consacrazioni furono seguite da ostilità e da rinnovate persecuzioni. Nel corso dell’ultimo decennio, almeno, Lei ha cercato di mettere fine a queste ostilità e a queste percezioni, senza tuttavia mettere in pericolo i principii della missione della Fraternità. Fino ad oggi questi sforzi sono falliti, malgrado la sua buona volontà: perché, secondo Lei? Mons.
Fellay: Innanzi tutto, vorrei precisare che l’iniziativa
di una normalizzazione è venuta da Roma e non da noi. Non sono
stato io a fare il primo passo. Io ho cercato di vedere se la
situazione fosse tale da permetterci di andare avanti senza perdere la
nostra identità. È evidente che ancora non è il
caso.
Perché? Le autorità si aggrappano sempre ai principii pericolosi e avvelenati introdotti nella Chiesa al momento del Concilio. È per questo che non possiamo seguirle. Io non ho idea del tempo che occorrerà o quante tribolazioni dovremo soffrire per giungere a quel momento. Forse dieci anni, forse meno, forse più. Questo è nelle mani di Dio. The Angelus: Rimane aperto a dei nuovi contatti da parte di Roma e in particolare del nuovo Papa? Mons.
Fellay: Certo che rimango aperto! È la Chiesa di
Dio. Lo Spirito Santo è sempre là per andare oltre gli
ostacoli disseminati nella Chiesa dopo il Vaticano II. Se Nostro
Signore vuole raddrizzare le cose, lo farà. Dio solo sa quando,
ma noi dobbiamo essere sempre pronti. Una soluzione reale e completa
può venire solo quando le autorità torneranno ad operare
in questo senso.
The Angelus: Quali segni si devono attendere che ci dimostrino che si è compiuto il ritorno alla Tradizione delle autorità romane, o quanto meno è cominciato? Mons.
Fellay: È difficile dire come questo
comincerà. Col Papa Benedetto XVI abbiamo avuto all’inizio il
grande segno della liturgia, e forse alcuni altri sforzi meno
sostenuti. E questo ha avuto luogo malgrado una forte opposizione.
Evidentemente, l’iniziativa non ha sortito il risultato sperato, come vediamo adesso. Ma il movimento dovrà necessariamente venire dalla testa. Tuttavia, un movimento può anche venire dal basso: vescovi, preti e fedeli del Novus Ordo che vogliono ritornare alla Tradizione. Io credo anche che questa tendenza sia già in atto, benché ancora ridotta. Non è ancora la corrente dominante, ma è sicuramente un segno. Il cambiamento profondo dovrà venire dall’alto, dal Papa. Potrà venire da diversi lati, ma in definitiva esso dovrà mirare a rimettere Dio e Nostro Signore Gesù Cristo al loro posto nella Chiesa, cioè al centro. The Angelus: Supponiamo la conversione a partire dal vertice, a Roma, come potrebbe svolgersi la restaurazione dell’intera Chiesa? Mons.
Fellay: È molto difficile dirlo. Per adesso, se
non cambia niente, si potrebbe verificare una persecuzione interna e
delle grandi lotte all’interno della stessa Chiesa, come al tempo
dell’arianesimo. Se accadesse qualcos’altro, se per esempio ci fosse
una persecuzione e quindi in seguito il Papa tornasse alla Tradizione,
la situazione potrebbe essere del tutto diversa. Dio sa quale piano
seguirà per rimettere in buon ordine la Sua Chiesa!
The Angelus: Che si può fare per accelerare un tale ritorno alla Tradizione? Mons.
Fellay: Pregare, fare penitenza! Ognuno dovrà
compiere il suo dovere di stato, incoraggiare la devozione al Cuore
Immacolato di Maria e recitare il Rosario. Quanto al Rosario: io non
sono contrario ad una nuova crociata.
The Angelus: Che può dire a coloro che l’accusano di volere o di avere voluto compromettere i principii della Fraternità relativi al Concilio e alla Chiesa post-conciliare? Mons.
Fellay: Si tratta di pura e semplice propaganda diffusa
da coloro che vogliono dividere la Fraternità. Io non so da dove
traggono queste idee. Certo, essi hanno approfittato della situazione
molto delicata dell’anno scorso, per accusare il Superiore di cose che
non ha mai fatto e che non ha mai avuto intenzione di fare. Io non ho
mai avuto l’intenzione di compromettere i principii della
Fraternità.
Comunque sia, ci si ponga la domanda: a chi gioverebbe una divisione nella Fraternità, se non ai suoi nemici? Costoro che dividono la Fraternità con la loro dialettica, dovrebbero riflettere sui motivi della loro azione. Con costoro, intendo dire Mons. Williamson e i sacerdoti che lo seguono. The Angelus: Guardando indietro, vi è qualcosa che Lei farebbe differentemente nel corso dell’anno passato? Mons.
Fellay: Oh, certamente, si è sempre più
saggi dopo la battaglia. Insisterei di più su quello che ho
sempre detto e che non credevo fosse necessario sottolineare: qualunque
sia l’accordo, vi sarà sempre una condizione sine qua non:
nessun compromesso, è impossibile! Noi restiamo quelli che
siamo. Questo è quello che ci fa cattolici e noi vogliamo
rimanere cattolici.
Avrei anche migliorato le comunicazioni e vi ho già lavorato. Io sono rimasto paralizzato dalle fughe di notizie. Oggi farei le cose diversamente. The Angelus: Al di là delle relazioni con Roma, quali sono le sue speranze per la Fraternità e la Chiesa per i 25 anni a venire? Mons.
Fellay: Che nei 25 anni a venire noi si assista al
ritorno della Chiesa alla sua Tradizione, affinché si veda una
nuova fioritura della Chiesa.
The Angelus: In che modo i fedeli e i sacerdoti possono onorare e commemorare questo XXV anniversario delle consacrazioni? Mons.
Fellay: Onorare il nostro fondatore e cercare di imitare
le sue virtù: la sua umiltà, la sua povertà, la
sua prudenza e la sua fede. In più, studiare gli insegnamenti di
Mons. Lefebvre al fine di comprendere i principii che ci guidano:
l’amore per Nostro Signore, per la Chiesa, per Roma, per la Messa e per
il Cuore Immacolato di Maria.
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giugno 2013 |