Intervista di

Don Olivier Rioult, FSSPX

rilasciata al sito polacco Pelagius Asturiensis
il
6 ottobre 2013




impaginazione e neretti sono nostri


Oggi, approfittando della contemporanea presenza mia e di Don Rioult a Parigi, ne ho approfittato per intervistare questo sacerdote coraggioso della Resistenza alla Chiesa conciliare. L’intervista è durata 20 minuti.

Pelagius: Caro Reverendo, prima di tutto la ringrazio per il tempo che mi concede. Da un po’, i testi chiave delle relazioni nascoste tra la direzione della FSSPX e la Roma modernista, penso in particolare alla Dichiarazione conciliare (sono io che la chiamo “conciliare”) di Mons. Fellay e allo scambio di corrispondenza tra lui e Benedetto XVI, sono accessibili al pubblico grazie al sito La Sapinière. I testi sono stati tradotti praticamente in tutte le lingue più diffuse. Essi avrebbero dovuto suscitare un grande scandalo tra tutti i sacerdoti e i fedeli legati all’opera di Mons. Lefebvre, che è la Fraternità San Pio X. Stranamente, questo non è successo. Qual è la ragione, secondo Lei? Perché tanta tiepidezza di fronte ad un chiaro compromesso sulla dottrina e a degli errori di ordine prudenziale? Soprattutto, perché questo non riguarda solo i pochi iniziati e i confidenti di Mons. Fellay e del suo entourage?

Don Rioult: Secondo me, perché sono già dieci anni che si pecca di liberalismo e di omissione. Voglio dire che si pecca nella nostra predicazione in maniera generale. Si può star certi che vi sono numerosi confratelli che costituiscono delle felici eccezioni, ma in maniera generale i Superiori hanno dato un tono che realizza uno svilimento della predicazione e della battaglia contro l’immodestia, l’errore e il liberalismo. Poi vi è il peccato originario come in tutti. Ci si è imborghesiti. Come tutti, si ama il proprio comodo, il proprio andazzo di vita tranquilla. Questi aspetti psicologici sono importanti. Poi, molti confratelli, per temperamento o a causa di un carico pesante, hanno trascurato le letture e lo studio, e le loro convinzioni si sono dunque offuscate. Un Superiore di Distretto che ho conosciuto in seminario, mi ha detto che è da anni che non leggeva un libro. In effetti, essi sono diventati degli amministratori e fanno comunicazione. Tutto questo, unito al peccato originario fa sì che il liberalismo riaffiori molto presto. Nel momento in cui si smette di essere contro corrente, si rincula, e si è rinculato nella nostra predicazione e nelle nostre convinzioni.
E poi vi sono il tradimento e l’ambiguità di Mons. Fellay, che hanno potuto ingannare il suo mondo per degli anni, salvo quelli molto lungimiranti o molto scrupolosi. Questi ultimi sono una minoranza che non riuscirebbe assolutamente a convincere. È stato solo nel 2012 che Mons. Fellay ha gettato la maschera molto chiaramente col suo editoriale di marzo nel Bollettino interno e con la lettera ai tre vescovi. La maschera è stata poi nuovamente indossata, ma malamente, e in ogni caso egli è stato smascherato. Ecco dunque molto semplicemente come si è giunti a tanto. Si è dormito, tranne una minoranza.
Vi è anche un altro grande fattore psicologico che oggi spiega la poca reazione. Quando tutte le protezioni crollano e quando crolla addosso il mondo, questo è psicologicamente insopportabile, e allora si rifiuta la realtà che è troppo dura da sopportare. Si preferisce quindi non vedere la realtà e ci si fanno delle illusioni. Molti vedono benissimo che è un dramma e che bisognerebbe fare delle scelte crocifiggenti. Occorre un’energia psicologica che umanamente non si ha.

Pelagius: Lei fa bene a sottolinearlo, giustamente, perché coloro che hanno lasciato la Chiesa conciliare hanno già sperimentato questo iter ed è più facile per loro fare delle scelte.

Don Rioult:  Sì, ma non è la stessa generazione che si trova di fronte a questa scelta. Da allora, il piccolo mondo della Tradizione ha vissuto tranquillamente e gettarsi nell’ignoto fa paura.

Pelagius: il 28 agosto Lei ha ricevuto la notifica firmata il 28 maggio da Mons. Fellay, con la quale Le si comunicava l’espulsione dalla Fraternità. Sembra proprio che l’auto-purificazione della Fraternità San Pio X continui. Qual era la ragione dell’espulsione riportata nel documento?

Don Rioult: Io ho avuto due monizioni canoniche nel giro di un mese e mezzo. Il decreto di espulsione io l’ho ricevuto in effetti il 28 agosto, ma era firmato in data 28 maggio. Mi si rimproverava di non essermi recato alla mia nuova “destinazione”, che in realtà era un arresto domiciliare e una messa in quarantena, in Svizzera. Io l’ho rifiutata a causa del processo iniquo a cui mi si voleva sottoporre e dei mezzi fraudolenti impiegati nei miei confronti. D’altronde, i processi a Don Pinaud e a Don Salenave sono stati solo delle parodie di giustizia. Per escludere o condannare, essi si servono solo delle forme esteriori del diritto canonico e dell’obbedienza. Ora, il problema di fondo è che Mons. Fellay è stato il primo sedizioso e disobbediente, mettendo nel cestino i principii del Capitolo del 2006 che stabilivano: «niente accordo con i modernisti e gli eretici fino a quando non ci sarà una conversione».

Pelagius: Mentre dei sacerdoti lasciano la FSSPX o ne sono espulsi, certi fanno all’interno ciò che sembra loro prudente. I dissensi sono sempre presenti in seno alla Fraternità (la lettera di Don Moulin ai cattolici perplessi di pochi giorni fa ne è la prova). Essi separano quelli che in linea di principio non sono contro una riconciliazione con la Roma modernista, da quelli che vi sono incondizionatamente contro. Com’è possibile che nella Fraternità fondata da Mons. Lefebvre vi siano tanti membri che vogliono riconciliarsi o che non vedono degli ostacoli in questo? Questo significa…

Don Rioult: Sì, torniamo alla prima domanda: la mancanza di convinzioni, la stanchezza per la battaglia. Vi sono due Fraternità, questo è molto chiaro. Vi sono state sempre due tendenze. Si seguono le stesse leggi sociologiche che si registrano nella nostra società e che hanno minato la Chiesa. Certo, vi sono sempre stati dei liberali e delle tendenze moderniste nella Chiesa, delle tendenze peccaminose, ma fintanto che i capi e che Roma tenevano duro, questi uomini venivano combattuti e queste tendenze neutralizzate. Ma quando Giovanni XXIII e Paolo VI hanno favorito i liberali ecco che c’è stato il maremoto. E adesso che i nostri Superiori sono diventati dei liberali, tutta la cattiva influenza dei confratelli deboli o liberali della Fraternità va peggiorando e va acquisendo un’ampiezza che non sarebbe stata possibile se avessimo avuto dei veri e buoni capi.

Pelagius: Si sono alzate voci diverse a proposito dell’organizzazione della «Resistenza» alla nuova direzione presa dalla direzione della Fraternità. A molti sembra che il modello di un grande organismo sia superato, che la falsa obbedienza che ha condotto al disastro la Chiesa ufficiale, abbia condotto agli stessi risultati la Fraternità San Pio X. Lei pensa che la costituzione di una nuova organizzazione mondiale sia possibile o opta piuttosto per una libera associazione come quella che i sedevacantisti hanno adottato da molti anni?

Don Rioult: Sì, è possibile che nei prossimi mesi io possa creare un’associazione in senso lato, fondata sull’amicizia con gli altri resistenti cattolici, che siano o meno dell’opinione sedevacantista, perché per me si tratta di una opinione. Ma le cose non sono ancora mature. In ogni caso, tutto ciò che è cattolico è nostro. Dunque, tutti i cattolici che sono pronti a fare un lavoro cattolico e a resistere al modernismo che regna nella Chiesa, ebbene, noi collaboreremo con loro. Dunque, sì ad un’associazione in senso lato che condivida lo stesso bene comune: la fede e il culto della Chiesa cattolica, difendere la fede. È questo bene comune che può creare un’amicizia tra tutti i nostri gruppi.
Io credo che più andiamo verso la fine dei tempi, più il cattolico sarà di fatto un anarchico; non di diritto, ma di fatto. Vale a dire che dovrà essere contro tutti i poteri esistenti, perché tutti i poteri saranno stati neutralizzati, minati o sovvertiti e saranno contro natura. Dunque, di fatto, il cattolico dovrà combattere tutte le autorità, siano esse civili, ecclesiastiche…, perché queste saranno tutte deviate, massoniche…, in ogni caso al servizio del Principe di questo mondo. Penso dunque che sarà molto difficile ricreare delle strutture mondiali. Il Padre Calmel, molto lungimirante, già nel 1970 diceva molto bene che i capi naturali locali dovranno agire là dove sono, con dei semplici legami d’amicizia con gli altri capi locali dei diversi posti.

Pelagius: Lei parla di questo nella serie di dieci articoli che ha scritto sull’amore per il prossimo e l’odio per l’errore?

Don Rioult: No, ne avevo parlato soprattutto in un articolo apparso sul sito antimodernista, in una falsa intervista di DICI. Avevo immaginato una falsa intervista di DICI nella quale Padre Calmel rifiutava, già nel 1970, tutte le stupidità del 2012 di Mons. Fellay. E lì ho citato questa frase:
La «battaglia cristiana» deve essere «condotta da piccole unità che rifiutano di far parte di qualsivoglia organizzazione sistematica e universale. In queste diverse unità, come una modesta scuola, un umile convento, una confraternita di pietà, un piccolo gruppo di famiglie cristiane, un’organizzazione di pellegrinaggio, l’autorità è reale e indiscussa… Si tratta solo di portare avanti la propria grazia e la propria autorità nel piccolo ambito di cui si ha sicuramente l’incarico, tenendosi collegati senza grandi apparati amministrativi.» (Padre Calmel, Itinéraires n° 149).

Pelagius: Dalle parole e dagli scritti di Mons. Lefebvre è chiaro che lui stesso ha spesso esitato sulla questione del Papa. Egli ammetteva la possibilità che la Santa Sede fosse vacante, soprattutto con l’elezione di Giovanni Paolo II e dopo l’abominio di Assisi del 1986. Mi sembra che molti che si rifanno a lui, oggi si spingono ben oltre lo stesso Monsignore. Essi affermano categoricamente, malgrado la pubblica eresia di quelli che siedono in Vaticano, che «il Papa resta il Papa». E Mons. Lefebvre sembra che abbia mantenuto i suoi dubbii. Non si tratta in questo caso del risultato di tanti anni di esercizio almeno ufficiale della loro autorità?

Don Rioult: È certo possibile. Sicuramente! Io penso che Mons. Lefebvre si sia trovato al cospetto di una situazione inaudita, come Luigi XVI davanti alla Rivoluzione. E allora ecco che hanno fatto degli errori, hanno cercato la loro strada, hanno creduto che… hanno sperimentato questo o quello.

Pelagius: Infatti mi sembra che la posizione di Mons. Lefebvre fosse temporanea.

Don Rioult: Era pragmatica, certo, e dunque temporanea. In seguito, nel 1988, egli capì che le sue esperienze (essere riconosciuto da una Roma modernista) erano state infelici, pericolose ed anche cattive, per così dire. E là s’è “indurito” (tra virgolette), cioè ha avuto chiara la necessità della resistenza. Ma è esattamente questo che oggi si vuole nascondere. Poiché tutte le conclusioni e il bilancio di Mons. Lefebvre tra il 1988 e il 1991 dimostrano che egli optò per un sedevacantismo pratico. Egli non risolse il problema teorico perché innanzi tutto non aveva l’autorità per imporlo e poi perché la questione delle essenze in filosofia è sempre molto difficile. E in teologia, vedere un problema e le sue conseguenze è molto più facile che dire esattamente il perché del problema, soprattutto quando il problema è il mistero d’iniquità. Perché in effetti, io penso che ci troviamo di fronte al mistero d’iniquità rivelato da San Paolo, che dice che quando l’ostacolo che trattiene l’Anticristo cederà, allora più niente fermerà l’Anticristo:
«Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s'innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose? E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora. Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene.» (II Tessalonicesi, 2, 3-7).
E San Tommaso espone questa considerazione straordinaria nel suo commento alla seconda Epistola ai Tessalonicesi; a proposito di questo ostacolo che “trattiene” l’Anticristo, ma che cederà, egli parla dell’apostasia della fede cattolica nella Chiesa romana. San Tommaso dice: «due avvenimenti devono portare all’avvento di Cristo: uno che precederà la venuta dell’Anticristo, l’altro che sarà la stessa venuta dell’Anticristo.» «L’avvenimento che precederà è l’apostasia della fede»: «Giunti i tempi, in gran numero si separeranno dalla fede, la carità di molti si raffredderà.»
Ma all’epoca di San Paolo qualcosa trattiene «il mistero d’iniquità» quantunque esso sia già in atto «negli ipocriti, che sembrano buoni e che invece sono malvagi». Essi avranno una «parvenza della pietà, mentre ne hanno rinnegata la forza interiore» (II Timoteto, 3, 5). «L’insieme dei malvagi mischiati anche ai buoni» verrà separato e messo da parte solo «al momento della persecuzione dell’Anticristo».
Qual è la causa di questo ritardo della venuta dell’Anticristo? Cos’è che trattiene il mistero d’iniquità? Cos’è che impedisce a questa iniquità di essere manifestata pubblicamente?
«Poiché molti commetteranno il male ancora in segreto, ma la loro iniquità un giorno sarà manifestata, perché Dio sopporta i peccatori fintanto che il loro crimine è nascosto, fino a quando questo crimine non diventa pubblico. Allora Egli non li sopporterà più, come si vede nell’esempio dei Sodomiti» (Gen. XIX). Ciò che tratteneva e trattiene l’Anticristo era la fermezza dell’Impero romano inteso in senso spirituale. Fintanto che la Chiesa romana teneva duro, l’Anticristo era trattenuto.
«In seguito si può capire questa separazione dell’Impero romano a cui era sottomesso l’universo intero. Sant’Agostino dice che questa separazione è prefigurata nel II capitolo di Daniele, 31-35, dalla statua che indica i quattro regni, finiti questi quattro regni arriverà la venuta di Cristo. Questa raffigurazione era piena di verità, perché l’Impero romano fu stabilito perché all’ombra della sua autorità fosse predicata la fede in tutto l’universo. Ma come può essere vero questo, quando già da lungo tempo le nazioni si sono separate dall’Impero romano e tuttavia l’Anticristo non è ancora venuto? Bisogna dire che l’Impero romano non è ancora finito, e dal regno temporale che era,  è divenuto un regno spirituale, come l’ha sottolineato San Leone in una predica sugli Apostoli. Diciamo dunque che la separazione dell’Impero romano dev’essere intesa, non solo in senso temporale, ma anche in senso spirituale, cioè con l’apostasia della fede cattolica nella Chiesa romana. E il segno dato è del tutto giusto, poiché come Cristo è venuto quando l’Impero romano dominava su tutti i popoli, così, in senso opposto, il segno della venuta dell’Anticristo sarà la separazione dei popoli dall’Impero romano.» (San Tommaso d’Aquino, a proposito del versetto 3 del capitolo 2 della seconda lettera ai Tessalonicesi).
Questa considerazione è importante. È davvero grande. Lo dice San Tommaso! Ed essa pone in pieno dei problemi teologici concreti. Dunque, io credo che bisogna conservare questa libertà intellettuale e di opinione nelle spiegazioni del mistero d’iniquità, ma essere molto fermi nelle conseguenze pratiche. Nullam partem, nessuna parte con gli eretici, nessuna concessione ai modernisti notorii e pubblici, che sono i modernisti e gli anticristi sul Soglio di Pietro.
Ma questa chiusura, questa difficoltà, ebbene, non è stata assunta da certi responsabili della Fraternità San Pio X che hanno deformato l’agire prudenziale di Mons. Lefebvre. In seguito era forse prudente, negli anni ‘60, ‘70, ’80, mantenere la linea di Mons. Lefebvre, che lui stesso diceva non essere una linea teologica, ma unicamente una linea di ordine prudenziale, ad tempus, a tempo. Adesso, dopo 40 anni di tradimento conciliare e modernista, forse bisognerà rivedere questo aspetto puramente prudenziale, che oggi è sicuramente ancora più pericoloso che all’epoca.

Pelagius: E giustamente, certuni diranno che il problema fondamentale si trova già negli stessi principii: nel riconoscimento delle autorità conciliari come autorità cattoliche, in una resistenza a coloro che si riconoscono come la legittima autorità. Se la bolla Unam Sanctam di Bonifacio VIII proclama solennemente che «per ogni creatura umana, la sottomissione al Romano Pontefice è assolutamente necessaria per la salvezza», molti diranno che la posizione della Fraternità non è sostenibile e occorre: o sottomettersi alle autorità conciliari, o trarre la conclusione inevitabile che queste stesse autorità hanno tacitamente rinunciato all’autorità cattolica in ragione della loro eresia e/o apostasia. Questa scelta è ineluttabile per Lei? È necessario dichiararla, senza con questo obbligare i fedeli? Se Mons. Fellay dichiarasse che il Papa non è Papa, anche senza avere il diritto di imporlo, si vedrebbe almeno che non vuole aver niente a che fare con lui?

Don Rioult: Io penso che egli deve dichiarare almeno che non vuole avere niente a che fare con Francesco e che non si può dichiarare con certezza che egli sia un vero papa. Io penso che la Fraternità non è obbligata a dichiarare che non è papa, ma penso anche che la posizione della Fraternità è accettabile solo se accetta pubblicamente la possibilità che Francesco possa non essere papa. Se essi non accettano nemmeno questa ipotesi, allora non v’è alcuna giustificazione possibile per ciò che fa la Fraternità San Pio X. Vista la situazione inaudita, essi devono concedere che le due ipotesi sono del tutto sostenibili e cattoliche.

Pelagius: Cattoliche, appunto, vi sono stati molti teologi che hanno parlato di rinuncia tacita…

Don Rioult: Sì, sfortunatamente la Fraternità San Pio X ha imposto teologicamente la sua opinione. E bisogna ricordarsi che Monsignore confessava lui stesso che un giorno la Chiesa forse avrebbe potuto essere a favore dell’opinione sedevacantista, perché, diceva, essa ha degli argomenti serii in suo favore.
«Certi teologi lo affermano appoggiandosi sulle affermazioni di teologi dei tempi passati, graditi alla Chiesa e che hanno studiato il problema del Papa eretico, scismatico o che praticamente ha abbandonato il suo compito di Pastore Supremo. Non è impossibile che questa ipotesi un giorno venga confermata dalla Chiesa. Perché essa ha a suo favore degli argomenti serii. In effetti, sono numerosi gli atti di Paolo VI che, compiuti da un vescovo o da un teologo, vent’anni fa sarebbero stati condannati come sospetti di eresia o favorenti l’eresia.» (Mons. Lefebvre, cospec 24 febbraio 1977).
Dunque, i Superiori della Fraternità dovrebbero dire pubblicamente questo: che loro, in base a tutte le ragioni che sono più o meno buone, preferiscono considerare che vi è ancora un papa, ma cattivo; e dovrebbero anche concedere pubblicamente che vi è un’altra spiegazione cattolica possibile a questo mistero d’iniquità che viviamo, e cioè che l’occupante del Soglio di Pietro sia molto semplicemente un impostore, un anticristo e che non avrebbe più l’autorità del Papa perché non è Papa. L’avvenire ce lo dirà.

Pelagius: La Chiesa conciliare sembra aver fatto dei grandi passi avanti con Francesco e con la sua velocità e originalità; è difficile dire dove si arriverà domani. Se Mons. Lefebvre ha dichiarata scismatica la Chiesa conciliare, ma riconosceva quanto meno l’autorità di coloro che si trovavano alla sua testa, non è forse tempo di dichiarare i suoi capi come sprovvisti di ogni autorità cattolica?

Don Rioult: Secondo me, siamo nell’ordine delle opinioni. Io non so chi sia realmente questo Francesco. Quello di cui sono certo è che io non sono in comunione con lui. Sono i fatti pubblici che mi danno questa soluzione pratica del problema: è solo così che io posso concludere, che devo concludere. Ma io non ho le competenze teologiche e ancor meno l’autorità per dire con certezza che questa persona è così o cosà. Questa è la mia debolezza, io sono limitato, non sono un gran teologo, ecco! E la storia della Chiesa e la teologia dimostrano che la Chiesa ha vissuto per dei secoli con delle opinioni teologiche che sono state incompatibili tra loro (sulla grazia, su altri problemi teologici), per dei secoli, fino a quando non si è avuto un giudizio definitivo e autorizzato della Chiesa. La Chiesa ha vissuto con delle opinioni teologiche contraddittorie. Ebbene, io penso che oggi noi viviamo il mistero d’iniquità e bisogna avere quella carità necessaria e anche quell’umiltà intellettuale di accettare diverse spiegazioni, fino a quando la Chiesa non avrà definito la cosa con autorità. Accettiamo le opinioni anche se sono contraddittorie, ma questo non deve impedire né la disputa teologica, né la possibilità di mostrare le debolezze di questo o quell’argomento.

Pelagius: Un tempo si vedevano dei sedevacantisti esprimersi accanto a coloro che riconoscevano l’autorità di Paolo VI, mentre conducevano insieme la guerra contro i modernisti. Parlo soprattutto degli anni ‘60 e ‘70. La separazione avvenne quando Mons. Lefebvre pubblicò la sua dichiarazione dell’8 novembre 1979, in cui affermava che nella Fraternità non c’era posto per quelli che non riconoscevano l’autorità dei papi conciliari. Da allora, le circostanze sono cambiate ed evidentemente in peggio. Non si sa se Mons. Lefebvre oggi aderirebbe alla posizione sedevacantista, come fece Mons. de Castro Mayer al più tardi nel 1988. Inoltre, abbiamo potuto ascoltare Don Grossin e l’associazione messicana Trento, che hanno proposto la collaborazione con i sacerdoti della Fraternità in disaccordo con la direzione di questa e intenzionati sempre a condurre la battaglia contro la Chiesa conciliare. Pensa che una tale collaborazione sia auspicabile? Possibile?

Don Rioult: Assolutamente. Io penso che sarebbe bene che si ritrovi questa libertà d’opinione e questa collaborazione tra tutte le forze cattoliche.
Come è un male che dei sedevacantisti rifiutino la comunione con gli “una cum” che hanno la fede e che lottano contro i modernisti, così è ingiusto che gli “una cum” (tra cui la FSSPX ufficiale) scomunichino concretamente i sacerdoti “non una cum” la cui opinione non è altro che teologica. Il problema è unico e nessuna teologia ne ha veramente trattato. Non si tratta di sapere se il Papa eretico rimane Papa. Noi ci troviamo di fronte ad un problema di tutt’altra portata: l’apostasia della Chiesa romana predetta da San Paolo e insegnata da San Tommaso!
La Chiesa, al momento della disputa sulla grazia, ha vissuto conservando nel suo seno due sistemi teologici contraddittorii, di cui almeno uno era falso. Per un essere umano è molto difficile spiegare l’essenza di una cosa di cui constata un effetto. Tutti constatano il fenomeno delle maree e devono tenerne conto per non annegare, ma ben poco possono per spiegare le ragioni in maniera esatta e scientifica. E qui non di tratta di spiegare il fenomeno delle maree o il mistero della grazia e della nostra natura libera, ma il mistero d’iniquità che è contro natura!
Non dimentichiamo che San Vincenzo Ferreri, uno dei più grandi santi del suo secolo, si è sbagliato al punto da difendere un antipapa (vi era un vero papa e due falsi papi). Il più grande santo del XIV secolo era in comunione con un antipapa: questa è storia! E il nostro secolo non è più semplice del suo, al contrario!

Pelagius: Unione contro il modernismo e i modernisti.

Don Rioult: Proprio così, io la condivido. Io non c’ero nel 1979, dunque non conosco bene il contesto storico che in quel momento c’era nella Fraternità San Pio X. Quello che mi è stato detto è che certuni dogmatizzavano la loro opinione sedevacantista in maniera esorbitante e con un’autorità che non avevano, cosa che avrebbe indotto Mons. Lefebvre a separarsene. A posteriori, si può rimpiangere questa presa di posizione di Mons. Lefebvre; si può anche pensare che in sé fosse un errore. Il 5 ottobre 1978, in occasione di una conferenza a Ecône, Mons. Lefebvre confessò: «pertanto questo non vuol dire che io sia assolutamente certo di avere ragione nella posizione che prendo. Io la prendo soprattutto in maniera prudenziale, che io spero essere soprannaturale. È piuttosto in questo dominio che mi pongo, più che nel dominio puramente teologico e puramente teorico

Pelagius: Nell’ordine dell’azione e non nell’ordine della teoria.

Don Rioult: Nell’azione, sì. È evidente che, come ho già detto, in seguito è diventato un sedevacantista pratico. Io penso che egli non avrebbe mai fatto il passo verso il sedevacantismo teorico. Ma questo, nessuno lo sa. Questo problema mostra anche o l’incongruenza totale di Mons. Fellay o la sua disonestà, poiché in privato ha permesso a dei sacerdoti di essere “non una cum”. Oggi, diversi sacerdoti nella Fraternità sono “non una cum”. Dunque, questa libertà che ha concesso in privato…

Pelagius: infatti, a Parigi c’era Don Schaeffer.

Don Rioult: Sì. E questa libertà si dovrebbe professare pubblicamente, dicendolo, come accadeva negli anni ’70: ed allora questi opereranno con noi, tutti i sacerdoti, che siano dell’opinione sedevacantista o dell’opinione non sedevacantista, dal momento che sono antimodernisti e cattolici. Visto che lo fanno in privato, dovrebbero dirlo pubblicamente. Per me in questo vi è una disonestà teologica…

Pelagius: Per ciò che riguarda il suo apostolato, Lei ha scritto un libro eccellente, intitolato L’impossibile riconciliazione, che raccoglie i testi di quelle relazioni, Lei serve dei fedeli e pronuncia delle conferenze in tutta la Francia, che Lei chiama il suo Priorato. Ha dei progetti particolari per l’avvenire?

Don Rioult: Sì, nel giro di alcuni mesi io spero di fondare qualcosa, se le cose matureranno. Con Don Faure abbiamo diversi dei progetti di installazione in Francia; vi sono tre o quattro posti possibili, ben messi, delle proposte di fedeli, ecc. Non posso dire di più per adesso. Noi siamo coscienti che bisogna dare inizio ad un apostolato, diciamo, classico e di resistenza e di ministero sacerdotale. Ma, probabilmente, la situazione si complicherà, poiché le mostruosità di Francesco il romano finiranno per far passare Mons. Fellay come un sant’Atanasio. Per adesso si deve rimanere un po’ mobili. Io penso che vi sono ancora molte illusioni che cadranno l’anno prossimo e che richiederanno la nostra energia.
Dunque un progetto di un’associazione per una struttura amicale di sacerdoti che vogliono essere resistenti e forse uno o due luoghi per la Resistenza in Francia, questo dipende da certi confratelli ancora esitanti. E poi, pensare sempre a chiarire le cose alle persone, con degli argomenti tali che esse comprendano la profondità e la gravità del male nella Fraternità San Pio X a causa degli inganni di Mons. Fellay e dei suoi partigiani.

Pelagius: La ringrazio per il tempo prezioso che mi ha dedicato e Le assicuro le nostre preghiere.

Intervista condotta da Pelagius Asturiensis. Nella trascrizione dell’intervista, che è stata rivista da Don Rioult, è stato mantenuto lo stile parlato.





dicembre  2013

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