Evangelii gaudium - Dolor fidelium
«La gioia del Vangelo» - Il dolore dei fedeli

di Don Franz Schmidberger


Articolo sull'Esortazione apostolica di papa Bergoglio, pubblicato sul sito del Seminario Herz Jesu di Zaitkofen, della Fraternità Fraternità San Pio X,
di cui Don Schmidberger è Direttore.
La presente traduzione è stata effettuata a partire dal testo in francese
pubblicato da DICI
L'impaginazione è nostra


Per concludere l’anno della Fede, il Santo Padre, papa Francesco, ha pubblicato l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, sulla predicazione del Vangelo nel mondo di oggi. Per la sua lunghezza – 289 paragrafi – al lettore e al teologo che vogliano studiarlo correttamente, questo documento richiede un grande sforzo. Si sarebbe potuto dire di più con meno parole. Con quello che segue si cercherà di darne una prima sintesi, certamente incompleta.

I

1. L’occasione di questo documento è il Sinodo dei vescovi che si è tenuto dal 7 al 28 ottobre dell’anno scorso e che era dedicato al tema della nuova evangelizzazione: «Ho accettato con piacere l’invito dei Padri sinodali di redigere questa Esortazione» (n° 16). Al tempo stesso, questo documento è stato presentato dal nuovo Pontefice come una sorta di direttorio. Questo duplice scopo e la prolissità dal Papa hanno come conseguenza che questo documento non presenti delle chiare strutture. Esso manca di precisione, di rigore e di chiarezza. Per esempio, un lungo passo è dedicato alla situazione economica del mondo contemporaneo, e poco dopo è esposta l’importanza ella predicazione, fino a dare dei particolari sulla sua preparazione. A più riprese si affronta la questione della decentralizzazione della Chiesa, mentre le questioni ecumeniche ed interreligiose sono trattate in lungo e in largo. Per di più, questo documento non è esente da contraddizioni: il Papa arriva a precisare che non si tratta di un’enciclica sociale, ma poi le condizioni economiche sono trattate secondo un modello simile a quello delle encicliche dei papi precedenti.

2. Papa Francesco parla delle Chiesa come se fino ad oggi essa non avesse mai trasmesso il Vangelo o l’avesse fatto in maniera imperfetta. Egli si lamenta per un atteggiamento disinvolto, letargico e chiuso. Questo costante rimprovero colpisce sgradevolmente. Si ha l’impressione che fino ad oggi siano state fatte poche cose per la trasmissione della Fede e del Vangelo. I suoi commenti si accompagnano sempre a riferimenti alla sua persona. Il pronome personale «io» figura non meno di 184 volte nel documento, e non si contano i «mio» e i «me».
La parola Dio nell’Apocalisse viene automaticamente richiamata alle nostre menti: «Ecce nova facio omnia» - «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» - (Ap. 21, 5).

3. Indubbiamente, il documento contiene numerose considerazioni positive, che non possono essere passate sotto silenzio. Ne segnaliamo alcune.

Al n° 7 si dice: «la società tecnologica ha potuto moltiplicare le oc¬casioni di piacere, ma essa difficilmente riesce a procurare la gioia».
Che giustezza in questa constatazione!

Al n° 22 si legge: «La Parola ha in sé una potenzialità che non possiamo prevedere. Il Vangelo parla di un seme che, una volta seminato, cresce da sé anche quan¬do l’agricoltore dorme» (cfr. Mc 4, 26-29).
In effetti, l’azione della grazia supera ogni calcolo umano.

Al n° 25 si ricorda che «Ora non ci serve una “semplice amministrazione”».
Oh, se i vescovi e i sacerdoti prendessero a cuore queste parole e abbandonassero le commissioni, i comitati, i forum, il diffuso burocraticismo, per agire da veri teologi e da veri pastori!

Al n° 37 si trova un bellissimo paragrafo, con una lunga citazione della Somma teologica di San Tommaso D’aquino. Non possiamo esimerci dal citarlo per intero: «San Tommaso d’Aquino insegnava che anche nel messaggio morale della Chiesa c’è una gerarchia, nelle virtù e negli atti che da esse procedono (Cfr Summa Theologiae, I-II, q. 66, art. 4-6).  Qui ciò che conta è anzitutto “la fede che si rende operosa per mezzo della carità” (Gal 5, 6). Le opere di amore al prossimo sono la manifestazione esterna più perfetta della grazia interiore dello Spirito: «L’elemento principale della nuova legge è la grazia dello Spirito Santo, che si manifesta nella fede che agisce per mezzo dell’amore» (Summa Theologiae, I-II, q. 108, art. 1).  Per questo afferma che, in quanto all’agire esteriore, la misericordia è la più grande di tutte le virtù: «La misericordia è in se stessa la più grande delle virtù, infatti spetta ad essa donare ad altri e, quello che più conta, sollevare le miserie altrui. Ora questo è compito specialmente di chi è superiore, ecco perché si dice che è proprio di Dio usare misericordia, e in questo specialmente si manifesta la sua onnipotenza» (Summa Theologiae, II-II, q. 30, art. 4. Cfr ibid., q. 30, art. 4, ad 1).

Al n° 42, il Papa insiste sul fatto che la predicazione deve innanzi tutto toccare i cuori: «Per questo occorre ricordare che ogni insegnamento della dottrina deve situarsi nell’atteggiamento evangelizzatore che risvegli l’adesione del cuore con la vicinanza, l’amore e la testimonianza».

Dal n° 52 al n° 76, egli tratta degli aspetti economici e mette in evidenza degli elementi interessanti. Il capitalismo sfrenato, che è solo «il risultato di una reazione umana di fronte alla società materialista, consumista e individualista» (n° 63) viene messo alla gogna. «L’individualismo postmoderno e globalizzato favorisce uno stile di vita che indebolisce lo sviluppo e la stabilità dei legami tra le persone, e che snatura i vincoli familiari» (n° 67). E al n° 69 il Papa conclude che  «È imperioso il bisogno di evangelizzare le culture per inculturare il Vangelo», e cioè che il Vangelo dev’essere radicato nella società e nella vita dei popoli.
Ma perché egli non parla a questo punto, come hanno fatto i suoi predecessori prima del Vaticano II, dello Stato cattolico e della società cristiana che erano presentati come i frutti della fede cattolica e anche, come conseguenza logica, come una protezione per questa fede? Non c’era da sperare che con queste lamentele legittime sull’economia attuale, si riferisse alla Quadragesimo anno di Papa Pio XI, per mostrare i princípi che conducono a delle condizioni economiche giuste?

Al n° 66 affronta il tema della famiglia, ma omette di ricordare che il matrimonio è l’unione indissolubile di un uomo e una donna, proprio adesso che la moda attuale delle libere unioni e la rivendicazione della comunione per i divorziati risposati, l’avrebbero richiesto. Inoltre, in questo documento papale ci si sarebbe potuto aspettare un’attenzione maggiore per la famiglia cristiana, visto che è tramite essa che si attua la prima trasmissione del Vangelo, di generazione in generazione.

Nei nn° 78 e 79, il Papa descrive lucidamente la vita spirituale degli anni del post Concilio: «Oggi si può riscontrare in molti operatori pastorali, comprese persone consacrate, una preoccupazione esagerata per gli spazi personali di autonomia e di distensione, che porta a vivere i propri compiti come una mera appendice della vita, come se non facessero parte della propria identità. […] Così, si possono riscontrare in molti operatori di evangelizzazione, sebbene preghino, un’accentuazione dell’individualismo, una crisi d’identità e un calo del fervore. Sono tre mali che si alimentano l’uno con l’altro. La cultura mediatica e qualche ambiente intellettuale a volte trasmettono una marcata sfiducia nei confronti del messaggio della Chiesa, e un certo disincanto. Come conseguenza, molti operatori pastorali, benché preghino, sviluppano una sorta di complesso di inferiorità, che li conduce a relativizzare o ad occultare la loro identità cristiana e le loro convinzioni.»
Oh, come i servitori della Chiesa dovrebbero imbracciare le armi dello Spirito e credere all’efficacia e alla fecondità di tutti i mezzi che Cristo a messo nelle mani della Sua Chiesa: la preghiera, la predicazione integrale della fede, l’amministrazione dei sacramenti, la celebrazione del santo Sacrificio della Messa, l’adorazione del Santissimo Sacramento dell’altare! Invece essi soccombono al «senso di sconfitta, che ci trasforma in pessimisti scontenti e disincantati dalla faccia scura. Nessuno può intraprendere una battaglia se in anticipo non confida pienamente nel trionfo. Chi comincia senza fiducia ha perso in anticipo metà della battaglia e sotterra i propri talenti. Anche se con la dolorosa consapevolezza delle proprie fragilità, bisogna andare avanti senza darsi per vinti, e ricordare quello che disse il Signore a san Paolo: “Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza” (2 Cor 12,9). Il trionfo cristiano è sempre una croce, ma una croce che al tempo stesso è vessillo di vittoria, che si porta con una tenerezza combattiva contro gli assalti del male.» (n° 85).

Il n° 104 riveste un’importanza particolare, poiché afferma che il sacerdozio, come segno di Cristo-Sposo, è riservato agli uomini: «Il sacerdozio riservato agli uomini, come segno di Cristo Sposo che si consegna nell’Eucaristia, è una questione che non si pone in discussione»

Al n° 112, è messa in evidenza la gratuità della grazia e dell’opera della Redenzione: «La salvezza che Dio ci offre è opera della sua misericordia. Non esiste azione umana, per buona che possa essere, che ci faccia meritare un dono così grande. Dio, per pura grazia, ci attrae per unirci a Sé».

Al paragrafo seguente si ricorda in maniera del tutto esatta che la salvezza non è una questione individuale: «Nessuno si salva da solo, cioè né come individuo isolato né con le sue proprie forze» (n° 113).
L’uomo, dunque, si salva nella Chiesa e per la Chiesa, o non si salva affatto.

Al n° 134 è sottolineata l’importanza delle università e delle scuole cattoliche per la predicazione della Fede e del Vangelo. E tuttavia ci si può rammaricare per le poche righe riservate a queste opere.

Il n° 214 si oppone all’uccisione del nascituro, che vive ancora nel grembo di sua madre. Sfortunatamente il Papa non fa alcun riferimento all’ingiustizia commessa contro Dio, e quindi né all’ordine naturale né ai Comandamenti, ma solo al valore della persona umana.

Nel n° 235 sono enumerati i sani princípii per lottare contro l’individualismo: «Il tutto è più della parte, ed è anche più della loro semplice somma».  Tutto il paragrafo è posto sotto il titolo: «Il tutto è superiore alla parte».
In questo ambito, sviluppare il tema del bene comune avrebbe certamente potuto fare molto bene. Sfortunatamente questo manca.

L’entusiasmo missionario e l’attività apostolica sono descritte superbamente al n° 267: «Uniti a Gesù, cerchiamo quello che Lui cerca, amiamo quello che Lui ama. In definitiva, quello che cerchiamo è la gloria del Padre, vivia¬mo e agiamo “a lode dello splendore della sua grazia” (Ef 1, 6). Se vogliamo donarci a fondo e con costanza, dobbiamo spingerci oltre ogni al¬tra motivazione. Questo è il movente definitivo, il più profondo, il più grande, la ragione e il senso ultimo di tutto il resto. Si tratta della gloria del Padre, che Gesù ha cercato nel corso di tutta la sua esistenza

II

Bonum ex integra causa, malum ex quocumque defectu, ci dice il principio classico della morale. Il bene proviene da un’integrità, ma se una parte essenziale di una cosa è malvagia, allora l’insieme è malvagio. Le parti belle del documento papale, che ci hanno rallegrati, non possono impedirci di constatare la ferma volontà di realizzare il concilio Vaticano II, non solo nella sua lettera, ma anche nel suo spirito. La trilogia Libertà religiosaCollegialitàEcumenismo, che secondo le parole di Mons. Lefebvre corrisponde alla divisa della Rivoluzione francese: LibertàUguaglianzaFraternità, è stata sviluppata in maniera sistematica.

1. Innanzi tutto, ai nn° 94 e 95, i fedeli legati alla Tradizione sono rimproverati e perfino accusati di neo-pelagianesimo: «È una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario, dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare. In entrambi i casi, né Gesù Cristo né gli altri interessano veramente. … In alcuni si nota una cura ostentata della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, ma senza che li preoccupi il reale inse¬rimento del Vangelo nel Popolo di Dio e nei bisogni concreti della storia.»
Come può credere il Papa una cosa del genere? Non è il dinamismo dei fedeli cattolici radicati nella fede che dimostra esattamente il contrario? Anche a non voler parlare della nostra Fraternità, non ci sono i Francescani dell’Immacolata, una giovane congregazione missionaria fiorente, che oggi si trova gravemente mutilata, se non distrutta, dall’intervento brutale del Vaticano?
Il documento aggiunge poi: «In tal modo la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi

Come abbiamo ricordato sopra, le scuole cattoliche, importante strumento di re-evangelizzazione, beneficiano di una semplice menzione, in una sola frase. Per noi, queste strutture sono esattamente un mezzo per trasmettere il Vangelo. Nella nostra Fraternità, ogni anno abbiamo la gioia di vedere aprire le porte di nuove scuole.

2. In questo documento, difetta veramente il senso della realtà e questo dà l’illusione che la verità vincerà di per sé l’errore. Prospettiva, questa, che secondo il n° 225 poggerebbe sulla parabola del buon grano e della zizzania: «il nemico può occupare lo spazio del Regno e causare danno con la zizzania, ma è vinto dalla bontà del grano che si manifesta con il tempo.» Una tale interpretazione è un controsenso rispetto alla parabola ed una falsificazione del Vangelo.
La mancanza di realismo è visibile anche al n° 44, dove i preti sono esortati a non fare del confessionale «sala di tortura» Anche se nel corso della storia della Chiesa tali eccessi siano qua e là esisti, dove li si ritrova oggi? Non sarebbe stato meglio aggiungere un capitolo sulla confessione, nei suoi aspetti di liberazione dal peccato e dalla colpa e della riconciliazione con Dio, e come punto culminante della nuova evangelizzazione e del rinnovamento interiore delle ánime?
Questa ingenuità, che è ancor più una contestazione del peccato originale o quanto meno delle sue conseguenze nelle ánime e nella società, si manifesta anche al n° 84, dov’è citato il discorso di apertura del concilio Vaticano II, discorso pieno delle illusioni del Papa Giovanni XXIII: «A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo. … Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai».
Sfortunatamente, gli anni del post Concilio hanno dato ragione ai «profeti di sventura».

3. Particolarmente strana è l’osservazione fatta al n° 129, cioè «Non si deve pensare che l’annuncio evangelico sia da trasmettere sempre con determinate formule stabilite, o con parole precise che esprimano un contenuto assolutamente invariabile
Questo ci ricorda inevitabilmente la dottrina dell’evoluzione dei dogmi, com’è difesa dai modernisti e com’è stata condannata dal Papa San Pio X nel giuramento antimodernista.
Quest’attitudine evoluzionista la si ritrova anche a proposito della Chiesa e delle sue strutture.
La prima parte del capitolo I del documento ha come titolo La trasformazione missionaria della Chiesa. E il concilio Vaticano II vi è presentato come il garante dell’apertura della Chiesa ad una riforma permanente, perché «Ci sono strutture ecclesiali che possono arrivare a condizionare un dinamismo evangelizzatore» (n° 26).

4. Il n° 255 parla della libertà religiosa come di un diritto fondamentale dell’uomo. Qui, il Papa cita Benedetto XVI, suo predecessore sulla Cattedra di Pietro: «Essa [la libertà religiosa] comprende “la libertà di scegliere la religione che si considera vera e di manifestare pubblicamente la propria fede”». Questa dichiarazione si oppone diametralmente alla condanna espressa nel Syllabus di Papa Pio IX, dove la 15° proposizione condannata è la seguente: «È libero ciascun uomo di abbracciare e professare quella religione che, sulla scorta del lume della ragione, avrà reputato essere vera.»
Il seguito di questo n° 255 contraddice la dottrina dei papi dopo la Rivoluzione francese, fino a Pio XII incluso. Qui il Papa parla di un «sano pluralismo». Ora, un tale pluralismo è compatibile con la conoscenza che il Verbo, seconda Persona del solo vero Dio trinitario, è venuto nel mondo per riscattarlo e che Lui è la fonte di tutte le grazie e solo in Lui si trova la salvezza?
Il documento condanna anche il proselitismo. Questo termine è divenuto ambiguo ai giorni nostri. Esso è chiaramente da rigettare se lo si intende come reclutamento per la vera religione attuato con mezzi improprii, tuttavia, per la maggior parte dei nostri contemporanei, è considerato proselitismo, non solo ogni attività missionaria, a anche qualsivoglia di reclutamento o di argomentazione a favore della vera religione.

5. Il concetto di collegialità sviluppato dal Papa sarà ancora più funesto per l’avvenire della Chiesa. Basta leggere infatti l’intero n° 32: «Dal momento che sono chiamato a vivere quanto chiedo agli altri, devo anche pensare a una conversione del papato»
Il Sommo Pontefice cita quindi l’enciclica Ut unum sint di Papa Giovanni Paolo II, in cui questi chiede aiuto per trovare «una forma di esercizio del primato che, pur non rinunciando in nessun modo all’essenziale della sua missione, si apra ad una situazione nuova», e conclude dicendo: «Siamo avanzati poco in questo senso».
È deciso dunque a fare dei progressi anche su questo punto? Ma qual è la sua visione?
Egli lo dice con chiarezza: «Ma questo auspicio non si è pienamente realizzato, perché ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale
Secondo la nostra modesta opinione, una Conferenza episcopale non può mai essere il soggetto di un’autorità dottrinale autentica, poiché essa non è di istituzione divina, ma solo è solo un’istituzione totalmente umana, di tipo organizzativo. È di istituzione divina il papato in sé, al pari di ogni vescovo in se stesso e di tutti i vescovi dispersi nel mondo e in comunione con Pietro, ma non lo è la conferenza episcopale. Se si continua su questo cammino fatale, molto rapidamente la Chiesa si disgregherà in tante chiese nazionali.
Al n° 16 si legge: «Non credo neppure che si debba attendere dal magistero papale una parola definitiva o completa su tutte le questioni che riguardano la Chiesa e il mondo.» Naturalmente non possiamo aspettarci che la Chiesa prenda posizione su tutte le questioni, ma i papi del passato hanno sempre dato i princípii d’azione per la condotta sia degli individui sia della società ed è questo che dovremmo aspettarci anche oggi dall’insegnamento papale. Cristo ha costituito Pietro perché pascesse il gregge.

6. Veniamo infine all’ecumenismo, al dialogo ecumenico e interreligioso.
Il n° 246 parla della “gerarchia delle verità”. Questa espressione ambigua è già stata utilizzata dal concilio Vaticano II nel n° 11 suo decreto sull’ecumenismo, Unitatis redintegratio. Facendo seguito ad essa si è tentato di mettere da parte la verità cattolica e di dissimulare ciò che potrebbe costituire una pietra d’inciampo per i nostri «fratelli separati». Nel 1982, la Congregazione per la Dottrina della Fede è intervenuta, dichiarando che l’espressione “gerarchia delle verità” non significa che una verità è meno importante di un’altra, ma esistono delle verità dalle quali discendono delle verità parziali. Noi possiamo essere solo riconoscenti per questa chiarificazione. La fede cattolica, virtù teologale, esige l’accettazione della Rivelazione integrale, in ragione di Dio che la rivela. Questa chiarificazione, inoltre, dà un esempio del modo in cui è possibile rettificare le ambiguità dei testi del concilio Vaticano II, ad eccezione dei punti francamente errati.
La fine di questo stesso n° 246, invita noi cattolici ad apprendere dagli ortodossi il significato della collegialità episcopale e dell’esperienza della collegialità.

Al n° 247 leggiamo che l’alleanza del popolo ebraico con Dio non è mai stata soppressa.
Ma questa alleanza non era stata istituita da Dio per preparare la Sua incarnazione salvifica nella persona di Gesù Cristo? Non era un’ombra e un modello che doveva far posto alla realtà: umbram fugat veritas? E l’antica alleanza, non è stata rimpiazzata dalla nuova ed eterna alleanza conclusasi nel santo Sacrificio del Gólgota?
Se, secondo la dichiarazione di San Paolo nel capitolo XI della lettera ai Romani, una gran parte o perfino la totalità dei Giudei si convertirà alla fine dei tempi, ciò avverrà col riconoscimento di Cristo come solo salvatore di tutti e di ciascuno degli individui e con l’integrazione nella Chiesa, che si compone di pagani e di Giudei convertiti.
Per i Giudei, non vi è un cammino separato di salvezza, al di fuori di Cristo. D’altronde, già da lungo tempo la Chiesa ha assimilato i valori del Giudaismo del Vecchio Testamento. Pensiamo i particolare alla preghiera dei Salmi e ai libri del Vecchio Testamento. Non possiamo più parlare di una «ricca complementarietà» col Giudaismo contemporaneo.

I n° dal 250 al 253 sono dedicati all’Islam e vi si legge che il dialogo interreligioso «è una condizione necessaria per la pace nel mondo».
Il n° 252, seguendo il n° 16 della Lumen gentium del concilio Vaticano II, pretende che i musulmani «professando di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico».
Ma i musulmani non sono quelli che rigettano espressamente il mistero della Santissima Trinità e per questo ci rimproverano di essere dei politeisti? Per di più il Papa, usando le parole della Nostra aetate (n°3), dice che essi hanno una profonda venerazione per Gesù Cristo e Maria. Ma, essi venerano davvero Cristo come Figlio di Dio, a Lui uguale nell’essenza? Sembra che si tratti di un dettaglio senza importanza!

Al paragrafo successivo, il Papa arriva a delle conclusioni pratiche: «Noi cristiani dovremmo accogliere con affetto e rispetto gli immigrati dell’Islam che arrivano nei nostri Paesi, così come speriamo e preghiamo di essere accolti e rispettati nei Paesi di tradizione islamica.»
E il paragrafo si chiude con una falsa affermazione scandalosa: «Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza.»
Ma il Santo Padre ha mai letto il Corano?

Al n° 254 si affronta il problema dei non cristiani in generale e il fatto che i loro simboli e riti «possono essere canali che lo stesso Spirito suscita per liberare i non cristiani dall’immanentismo ateo o da esperienze religiose me¬ramente individuali.»
Questo, non significa forse che lo Spirito Santo opera in tutte le religioni non cristiane e che esse sono tutte vie di salvezza?
La fede dell’Islam in un solo Dio – parlando in maniera astratta - è certamente superiore al politeismo dei pagani, tuttavia, pedagogicamente e psicologicamente, è molto più facile convertire un pagano che un musulmano, poiché quest’ultimo è integrato in un sistema socio-religioso: uscire da questo sistema mette in pericolo la sua vita.
Ma le religioni non cristiane non sono affatto delle vie neutre di venerazione di Dio, poiché troppo spesso sono mescolate a degli elementi demoniaci che impediscono all’uomo di giungere alla grazia di Cristo, di farsi battezzare e anche di salvare la propria ánima.
In questi ultimi cinquant’anni, niente ha causato maggior danno alla protezione e alla trasmissione della fede, di questo ecumenismo senza limiti che non è altro che una «dittatura del relativismo» religioso (card. Ratzinger). Questo male ha fatto sparire la definizione di Chiesa come Corpo Mistico di Cristo, sola Sposa dell’Agnello sacrificato e unica via di salvezza. È esattamente questo ecumenismo che ha trasformato la Chiesa missionaria in una comunità ecumenica «dialogante» in mezzo alle altre comunità religiose.
Nel quadro di questo ecumenismo, chiamare la Chiesa alla gioia del Vangelo e volerla trasformare in una Chiesa missionaria è cosa un po’ tragicomica.
Come può la Chiesa pensare ed agire in maniera missionaria, quando non crede alla sua stessa identità e alla sua missione?

Conclusione

Quantunque l’Esortazione apostolica Evangelii Gaudium possa contenere degli aspetti corretti, come semi dispersi, essa nel suo insieme non è altro che uno sviluppo conseguente del concilio Vaticano II, secondo le sue conclusioni più inaccettabili. In essa noi non vediamo «vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni» (n° 1), quanto piuttosto un altro passo funesto per il declino della Chiesa, per la decomposizione della sua dottrina, per la dissoluzione delle sue strutture e anche per l’estinzione del suo spirito missionario, nonostante esso vi sia evocato a più riprese.
Così, questo Evangelii gaudium diviene dolor fidelium, una pena e un dolore per i fedeli.

I cattolici legati alla Tradizione della Chiesa devono seguire la divisa del pontificato di San Pio X: Instaurare omnia in Christo, rinnovare tutto in Cristo. È questo che noi vediamo come il solo cammino, la sola via «per il cammino della Chiesa nei prossimi anni».

Pertanto, col Rosario quotidiano, rifugiamoci presso Colei che ha vinto nel mondo tutte le eresie.

Don Franz Schmidberger
Seminario Herz Jesu
Zaitkofen, 4 dicembre 2013, Festa di San Pietro Crisologo






dicembre 2013

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