Dubbii sulla canonizzazione di
Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II


pubblicato su DICI
organo d'informazione della Draternità San Pio X






Il 3 settembre, in occasione del concistoro tenutosi a Roma, Papa Francesco ha annunciato che avrebbe proceduto, con un’unica cerimonia, alla canonizzazione di Giovanni XXIII (1958-1963) e di Giovanni Paolo II (1978-2005), il 27 aprile 2014.
Sulla beatificazione di Angelo Giuseppe Rocalli, il 3 settembre del 2000, e di Karol Wojtyla, il 1 maggio 2001, la Fraternità San Pio X ha giù espresso delle serie riserve.

Interrogativi che rimangono senza risposta

Circa Giovanni Paolo II, queste riserve sono state espresse in uno studio teologico che fu consegnato alle autorità romane, a diverse riprese e tramite diversi intermediarii, sfortunatamente invano: non si è tenuto alcun conto degli argomenti teologici avanzati nel dossier che Mons. Fellay ha reso pubblico il 25 marzo 2001. Nella prefazione di questo lavoro, il Superiore generale della Fraternità San Pio X ricordava come avesse tentato di portare a conoscenza dei responsabili del processo, i gravi interrogativi che non manca di suscitare il pontificato del Papa polacco.
«Al seguito di Mons. Marcel Lefebvre, i cui giudizi sul Papa Giovanni Paolo II sono pubblici, la Fraternità San Pio X ha ritenuto di non poter tacere tali interrogativi. Ho dunque chiesto a Don Patrick de la Rocque di redigere un documento che sarebbe stato consegnato alle autorità ecclesiastiche incaricate del processo diocesano: è infatti a livello diocesano che dovevano raccogliersi tutte le testimonianze favorevoli e sfavorevoli relative alla reputazione di Giovanni Paolo II.
«Questo documento, che costituisce il corpo del presente libro, fu inviato, secondo le norme del diritto, ai diversi responsabili del processo diocesano, affinché fosse inserito tra le carte del dossier ed esaminato con la stessa cura delle altre. Pervenuto in tempo agli uffici competenti, il nostro plico fu misteriosamente messo da parte, per essere scartato solo all’indomani della chiusura del processo diocesano, cioè troppo tardi perché potesse essere preso in considerazione. Così, esso non figura tra le dozzine di migliaia di pagine di testimonianze consegnate solennemente alla Congregazione delle Cause dei Santi.
«Portati a conoscenza dei tribunali romani per altre vie, sfortunatamente i nostri interrogativi non hanno ricevuto alcuna risposta, mentre invece, il 19 dicembre 2009, la Santa Sede dichiarava l’eroicità delle virtù del defunto Papa.
«Dovevamo dunque tacere?
«Forti della raccomandazione dell’Apostolo: “insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna” (2 Tim. 4, 2), scegliemmo di consegnare il documento ai nostri interlocutori romani, nel quadro degli scambi dottrinali tra la Fraternità San Pio X e la Santa Sede, avvisandoli della nostra intenzione di pubblicarlo. Effetto del caso o no, il mondo apprendeva pochi giorni dopo dell’arresto provvisorio del processo di beatificazione, per mancanza di prove sufficienti che attestassero il “miracolo” che sarebbe stato ottenuto per intercessione di Giovanni Paolo II.
«Ciò nonostante, questo stesso miracolo fu alla fine riconosciuto un po’ di mesi più tardi e la cerimonia di beatificazione venne programmata per 1 maggio 2011.
Queste pagine, dunque, riacquistano tutta la loro attualità, Così che ne ho chiesto la pubblicazione»
(Prefazione a Jean-Paul II, doutes sur une béatification, Clovis, pp. 11-12).

I dubbii inalterati

Quali sono i profondi dubbii che gravano sulla validità della beatificazione di Giovanni Paolo II? La rapidità inaudita con cui ci si è affrettati ad istruire il processo, ed anche i fatti comprovati che hanno tristemente contrassegnato il suo pontificato, ma soprattutto l’“umanesimo” espresso dall’unità fondamentale del pensiero e dell’azione di Karol Wojtyla.  Tali dubbii rimangono inalterati in occasione dell’annuncio della sua canonizzazione, tanto più che nessuna autorità romana ha potuto o voluto rispondere ad essi. Mons. Fellay li ha riassunti in questi termini:
«Un mese dopo la morte di Giovanni Paolo II, il Papa Benedetto XVI ha autorizzato l’apertura del processo di beatificazione del suo predecessore. Meno di due anni furono ritenuti sufficienti per chiudere il processo diocesano, e due altri anni per elevare Karol Wojtyla al rango di “venerabile”: il 19 dicembre 2009, Benedetto XVI firmava il decreto che riconosceva l’eroicità delle virtù di Karol Wojtyla, aprendo la via alla beatificazione, fissata per il 1 maggio 2011.
«La fretta che accompagna questa beatificazione non è solo deplorevole per il giudizio che la storia darà su questo pontificato, lo è soprattutto perché lascia permanere i gravi interrogativi che si pongono alla coscienza cattolica, e questo proprio a proposito delle virtù che definiscono la vita cristiana, e cioè le virtù soprannaturali e teologali di fede, speranza e carità. Nei confronti del primo Comandamento di Dio, per esempio, come valutare i gesti di un papa che per le sue dichiarazioni e il suo bacio sembra aver elevato il Corano al rango della Parola di Dio (Roma, 14 maggio 1999)? Di un papa che ha implorato San Giovanni Battista a protezione dell’Islam (Terra Santa, 21 marzo 2000)? Di un papa che si è compiaciuto di aver partecipato attivamente ai culti animisti nella foresta sacra del Togo (9 agosto 1985)?
«Solo qualche decennio fa, secondo le norme del diritto ecclesiastico, tali gesti sarebbe stati sufficienti per gettare il sospetto di eresia sulla persona che li avesse compiuti. E invece oggi, come per incanto, sarebbero diventati il segno di una virtù di fede praticata ad un grado eroico?
«Il pontificato di Giovanni Paolo II e le innumerevoli innovazioni che lo hanno scandito – dalla riunione interreligiosa di Assisi (27 ottobre 1986) alle molteplici richieste di perdono (tra le altre, la cerimonia di pentimento generale a San Pietro, a Roma, il 12 marzo 2000), passando per la prima visita di un papa in una sinagoga (Roma, 13 aprile 1986) -, sono tali da porre dei gravi interrogativi alla coscienza cattolica, interrogativi che inevitabilmente si accentuano quando, con la beatificazione, tali pratiche vengono proposte come esempii al popolo cristiano.
(…)
«Nel suo esame, l’autore avrebbe potuto utilizzare i numerosi fatti sorprendenti, inquietanti, perfino scandalosi, che hanno caratterizzato questo pontificato. Era degno e opportuno, per un papa cattolico, ricevere le ceneri sacre di Shiva (Madras, 5 febbraio 1986)? Andare a pregare a modo giudaico al Muro del Pianto (Gerusalemme, 26 marzo 2000)? Fare leggere in sua presenza l’epistola ad una donna col seno nudo (Nuova Guinea, 8 maggio 1984)? Tanti e tanti fatti avrebbero potuto essere annoverati che, quanto meno, gettano un’ombra su questo pontificato e seminano lo scompiglio in ogni anima veramente cattolica.
«Queste pagine, tuttavia, non si limitano ad una dimensione puramente fattuale, ma ci conducono fino al cuore del problema, esponendo ciò che costituisce il punto essenziale dell’asse di questo pontificato: “l’umanesimo” di Giovanni Paolo II, i suoi confessati presupposti e le sue ineluttabili conseguenze; “umanesimo” la cui espressione più eclatante fu la riunione interreligiosa di Assisi del 1986.
«Se Don de La Rocque ci presenta in tre capitoli distinti alcune delle principali ragioni che si oppongono alla beatificazione di Giovanni Paolo II, nondimeno la sua analisi presenta l’unità fondamentale di pensiero e d’azione di Karol Wojtyla, unità la cui compatibilità con la Tradizione cattolica, sfortunatamente bisogna riconoscerlo, è ben difficile da stabilire.»
(Ibidem, pp. 10-11 e 13 – i luoghi e date tra parentesi sono di DICI).

Una beatificazione problematica

Al momento della beatificazione di Giovanni XXIII, la Fraternità San Pio X pubblicò ugualmente diversi studii, tra i quali si può citare: : La «bonté» de Jean XXIII [La «bontà» di Giovanni XXIII], di Don Michel Simoulin, pubblicato originariamente in italiano nella rivista La Tradizione cattolica (n°43, marzo-aprile 2000), riassunto dall’autore per la rivista Fideliter (n°136, luglio-agosto 2000).
Nel 2008, Fideliter (n° 182, marzo-aprile) dedicava un dossier ai «Santi del Concilio», che conteneva un articolo di Don Philippe Toulza intitolato Jean XXIII bienheureux? [Giovanni XXIII beato?], da lì riportiamo i seguenti interrogativi, legittimi ancora oggi:
«Quando, poco prima della sua morte, il Papa Giovanni XXIII pubblica la sua enciclica Pacem in terris, vi difende una certa libertà religiosa, che senza essere esplicitamente eterodossa, (poiché aleggia il dubbio sulla “religione” di cui si tratta), è ambigua. La visione della società ideale che egli esprime, di un orientamento piuttosto naturalista, è fondata sulla dignità della persona umana.
«In definitiva, Giovanni XXIII, senza allinearsi apertamente al modernismo, dimostra le sue attitudini liberali. Naturalmente, le sue preoccupazioni sono rivolte verso tutto ciò che mira a riconciliare il modo moderno con la fede. Egli stesso  confessa un giorno di oscillare tra l’attrazione per “la luce dei tempi nuovi” e quella per lo spirito antico, incarnato dai vecchi curati che avevano segnato la sua giovinezza. Egli si interessa della critica storica, ma non vuole abbandonare l’autorità della Chiesa. Più attratto dalla storia che dalla filosofia o teologia, egli si tiene lontano dall’effervescenza intellettuale modernista e tuttavia l’apprezza più che condannarla. Dirà un giorno a Mons. Casaroli: “Monsignore, la Chiesa ha molti nemici, ma non è nemica di alcuno”.
«Da dove deriva la tendenza congenita appena descritta? Da una formazione dottrinale manchevole? Più sicuramente da un temperamento incline all’indulgenza totale, falsa imitatrice della vera bontà. Si aspetterebbe invano di vedere il prete, il vescovo, il Papa, emettere delle sanzioni contro l’errore e il male. Egli benedice sempre, non riprova mai. Egli si fa sempre degli amici, non incorre mai in qualche guaio, se non per i sospetti di liberalismo. Lui che considera Dio più “come una madre che un padre”, in piena prima sessione del concilio Vaticano II, si vede costretto a gestire il conflitto tra una parte, i cardinali Bacci, Ottaviani, Ruffini e Browne, e l’altra parte, i cardinali e i teologi modernisti. Che fa? Certo non quello che avrebbe fatto un San Pio X. Bensì l’opposto, fino a sostenere anche apertamente i novatori, come farà Paolo VI: lenisce le lamentele dei cardinali tradizionalisti ammannendo loro delle lezioni di storia. Rifiuta di prendere posizione per mettere fine alle diatribe, ricorda la “santa libertà dei figli di Dio” e manifesta chiaramente la sua attitudine citando la Scrittura (la storia di Giuseppe e dei suoi fratelli): “Il padre considerava (le controversie tra i suoi figli) e taceva”. E lui tace. Così che non intervenendo in tali circostanze finirà inevitabilmente col sostenere il complotto dei novatori. In effetti, egli approverà tacitamente la presa in mano del Concilio da parte dei liberali, a detrimento della Curia.
«La beatificazione di Giovanni XXIII pone dei problemi. Poiché beatificare significa proporre un modello di virtù cristiana alle anime cattoliche. Giovanni XXIII fu un modello di pietà personale e di sottomissione? Dio solo lo sa. Ma sotto altri aspetti e malgrado certe posizioni dottrinali in apparenza tradizionali, la bilancia pende dal lato dell’adesione del prete, del vescovo, di papa Roncalli, all’aggiornamento della Chiesa, della sua stima per la democrazia cristiana, del suo rifiuto di ogni condanna dottrinale, del suo ecumenismo, dei suoi favori per quell’ala che al Vaticano II rivoluzionò la Chiesa di Dio.
«Quando un papa che dovrebbe chiaramente garantire l’ordine ed impedire le azioni malvagie, potendolo fare non lo fa, e per di più il suo sentire e il suo agire propendono per i fautori del disordine e delle cattive azioni, come ci si può convincere di trovarsi al cospetto di un modello di papa?»
(Don Philippe Toulza, Fideliter, n° 182, marzo-aprile 2008, pp. 14-15).

Dubbii fondati

I gravi problemi sollevati dalla beatificazione di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II, le difficoltà che oggi implica la loro canonizzazione, obbligano ad interrogarsi sulla fondatezza delle beatificazioni e delle canonizzazioni effettuate a partire dal concilio Vaticano II secondo una procedura nuova e con dei criterii inediti.
Il Courrier de Rome n° 341 (febbraio 2011), ha pubblicato uno studio intitolato Béatification et canonisation depuis Vatican II [Beatificazioni e canonizzazioni dopo il Vaticano II], nel quale Don Jean-Michel Gleize, professore di ecclesiologia al seminario di Ecône, sottolinea tre difficoltà che dimostrano che il dubbio su questa questione è lungi dall’essere infondato. Riportiamo qui una sintesi di questo studio, fatta dall’Autore stesso.

«Senza pretendere di esprimere una parola definitiva sulla questione (che è cosa riservata a Dio) quanto meno si possono sollevare tre difficoltà principali, sufficienti a rendere dubbia la fondatezza delle nuove beatificazioni e canonizzazioni. Le prime due che mettono in discussione l’infallibilità e la sicurezza di questi atti. La terza, che chiama in causa la loro stessa definizione.

Prima difficoltà: l’insufficienza della procedura
«L’assistenza divina che assicura l’infallibilità o la sicurezza degli atti del magistero, si esercita a mo’ di Provvidenza. Questa, lungi dall’escludere che il Papa esamini con cura le fonti della Rivelazione trasmesse dagli Apostoli, per sua stessa natura esige invece tale esame. E questo è ancora più vero per la canonizzazione: la quale presuppone la più seria verifica delle testimonianze umane che attestano la virtù eroica del futuro santo, al pari dell’esame della testimonianza divina dei miracoli, almeno due per la beatificazione e altri due per la canonizzazione. La procedura seguita dalla Chiesa fino al Vaticano II era espressione di questo estremo rigore. Il processo di canonizzazione supponeva a sua volta un doppio processo condotto al momento della beatificazione: uno che si svolgeva davanti al tribunale dell’Ordinario e agiva per conto proprio; l’altro riservato esclusivamente alla Santa Sede. Il processo di canonizzazione comportava l’esame del “breve” della beatificazione, seguito dall’esame dei due nuovi miracoli. La procedura si concludeva quando il Sommo Pontefice firmava il decreto, ma questi, prima di apporre la sua firma, teneva tre concistori successivi.
«Le nuove norme introdotte da Giovanni Paolo II nel 1983, con la Costituzione Apostolica Divinus perfectionis magister, affidano l’essenziale del processo alle cure del vescovo Ordinario: questi indaga sulla vita del santo, i suoi scritti, le sue virtù e i suoi miracoli, e compila un dossier che trasmette alla Santa Sede. La Sacra Congregazione esamina questo dossier e si pronuncia prima di sottomettere tutto al giudizio del Papa. È richiesto solo un miracolo per la beatificazione e solo un nuovo miracolo per la canonizzazione.
«L’accesso ai dossier dei processi di beatificazione e di canonizzazione non è facilitato, cosa che non ci dà la possibilità di verificare la serietà con la quale viene messa in atto questa nuova procedura. Ma è innegabile che di per sé essa è di già meno rigorosa della vecchia procedura. Essa assicura in modo decisamente inferiore quelle garanzie richieste agli uomini di Chiesa perché l’assistenza divina assicuri l’infallibilità della canonizzazione, e a maggior ragione la certezza di assenza di errori di fatto nella beatificazione. Peraltro, Papa Giovanni Paolo II decise di introdurre una distorsione in questa nuova procedura (che stabilisce che l’inizio del processo di beatificazione non possa aver luogo a meno di cinque anni dalla morte del servo di Dio), autorizzando l’introduzione della causa di Madre Teresa ad appena tre anni della sua morte. Anche Benedetto XVI agì alla stessa maniera, nella beatificazione del suo predecessore. Il dubbio diventa più che legittimo quando si conosca l’opportuna e proverbiale lentezza della Chiesa su queste materie.

Seconda difficoltà: il collegialismo
«Se si esaminano attentamente queste nuove norme, ci si accorge che la legislazione ritorna a quella in vigore prima del XII secolo: il Papa lascia ai vescovi la cura di giudicare immediatamente la causa dei santi e si riserva solo il potere di confermare il giudizio degli Ordinarii. Come spiega Giovanni Paolo II, questo ritorno all’indietro è una conseguenza del principio di collegialità: “noi pensiamo che alla luce della dottrina della collegialità insegnata dal Vaticano II, è molto opportuno che i vescovi siano più strettamente associati alla Santa Sede quando si tratta di esaminare la causa dei santi” (1).
«Ora, questa legislazione del XII secolo mischiava la beatificazione e la canonizzazione, considerandoli atti non infallibili (2). Ecco quindi cosa ci impedisce di assimilare puramente e semplicemente le canonizzazioni derivate da questa riforma a degli atti tradizionali del magistero straordinario del Sommo Pontefice; in questi atti il Papa si accontenta di autenticare l’atto di un vescovo ordinario residenziale. Abbiamo qui un primo motivo che ci autorizza a dubitare seriamente che le condizioni richieste per l’esercizio dell’infallibilità delle canonizzazioni siano assolte.
«Il Motu Proprio Ad tuendam fidem, del 29 giugno 1998, rafforza questo dubbio. Questo testo normativo ha lo scopo di introdurre, spiegandoli, dei nuovi paragrafi al Codice del 1983, aggiunta resa necessaria dalla nuova Professione di fede del 1989. In un primo tempo, l’infallibilità delle canonizzazioni è posta in linea di principio, ma in un secondo tempo, il testo stabilisce delle distinzioni che diminuiscono la portata dell’infallibilità delle canonizzazioni, poiché si evince che questa infallibilità non si intende più chiaramente secondo il significato tradizionale. È quello che quanto meno appare dalla lettura del documento redatto dal cardinale Ratzinger da servire come commento ufficiale a questo Motu Proprio del 1998 (3).
«Questo commento precisa in quale modo il Papa può da allora esercitare il suo magistero infallibile. Fino ad allora avevamo l’atto personalmente infallibile e definitorio della locutio ex cathedra, e i decreti del concilio ecumenico. Da allora avremo un atto che non sarà né personalmente infallibile né definitorio di per sé, ma resterà un atto del magistero ordinario del Papa: quest’atto avrà per oggetto il discernimento di una dottrina data come insegnata infallibilmente dal Magistero ordinario universale del Collegio episcopale. Secondo questa terza modalità, il Papa agisce come un semplice interprete del magistero collegiale.
«Ora, se si osservano le nuove norme promulgate nel 1983 con la Costituzione Apostolica Divinus perfectionis magister di Giovanni Paolo II, è chiaro che nel caso specifico delle canonizzazioni, il Papa – per i bisogni della collegialità – eserciterà il suo magistero secondo questa terza modalità. Se si tiene conto sia della Costituzione Apostolica Divinus perfectionis magister, sia del Motu Proprio Ad tuendam fidem del 1998, quando il Papa esercita il suo magistero personale per procedere ad una canonizzazione, sembra proprio che la sua volontà sia quella di intervenire come organo del magistero collegiale; le canonizzazioni non sono dunque più garantite all’infallibilità personale del magistero solenne del Papa. Lo sarebbero in forza dell’infallibilità del Magistero ordinario universale del Collegio episcopale? Fino ad ora, tutta la tradizione teologica non ha mai detto che si trattasse di questo e ha sempre considerato l’infallibilità delle canonizzazioni come il frutto dell’assistenza divina riservata solo al magistero personale del Papa, assimilabile alla locutio ex cathedra.
«Ecco un secondo motivo che ci autorizza a dubitare fortemente dell’infallibilità delle canonizzazioni compiute sulla base di queste riforme postconciliari.

Terza difficoltà: la virtù eroica
«L’oggetto formale dell’atto magisteriale delle canonizzazioni è la virtù eroica del santo. Come il magistero è tradizionale perché insegna sempre le stesse immutate verità, così la canonizzazione è tradizionale perché indica sempre la stesa eroicità delle virtù cristiane, a cominciare dalle virtù teologali. Di conseguenza, se il Papa offre quale esempio la vita di un fedele defunto che non ha praticato le virtù eroiche, o se egli presenta tali virtù in un’ottica nuova, ispirata per di più alla dignità della natura umana piuttosto che all’azione soprannaturale dello Spirito Santo, non si vede come in tale atto possa esserci una canonizzazione. Cambiare l’oggetto significa cambiare l’atto. Questo cambiamento di ottica era già presente nella nuova teologia e nel magistero post-conciliare.
«Non si può passare sotto silenzio la distinzione tra una santità comune e una santità eroica, in cui consiste la santità: la stessa espressione di “virtù eroica” non appare in alcun posto nei testi del Vaticano II. Dopo il Concilio, quando i teologi parlano dell’atto della virtù eroica, essi tendono più o meno a definirlo distinguendolo dall’atto di virtù semplicemente naturale, invece di distinguerlo da un atto ordinario di virtù soprannaturale.
«Questo cambiamento di ottica appare anche se si osserva l’orientamento ecumenico della santità, dopo il Vaticano II. L’orientamento ecumenico della santità è stato espresso da Giovani Paolo II nell’enciclica Ut unum sint (4), nonché nella Lettera Apostolica Tertio millennio adveniente. Il Papa allude ad una comunione di santità che trascende le diverse religioni, che manifesterebbe l’azione redentrice di Cristo e l’effusione dello Spirito Santo su tutta l’umanità.
«Quanto al Papa Benedetto XVI, si è costretti a riconoscere che egli dà della salvezza una definizione che va nello stesso senso ecumenista e che perciò stesso manca della nozione di santità correlativa della salvezza soprannaturale (5). Si può quindi esitare seriamente nel riconoscere agli atti di queste nuove beatificazioni e canonizzazioni una reale continuità con la Tradizione della Chiesa.

Conclusione
«Tre serie ragioni autorizzano il fedele cattolico e dubitare della fondatezza delle nuove beatificazioni e canonizzazioni. Prima cosa, le riforme seguite al Concilio hanno comportato delle sicure insufficienze nella procedura, e hanno introdotto, seconda cosa, una nuova intenzione collegiale; due conseguenze che sono incompatibili con la certezza delle beatificazioni e con l’infallibilità delle canonizzazioni. Terza cosa, il giudizio che si determina nei processi fa intervenire una concezione quanto meno equivoca e dunque dubbia della santità e della virtù eroica.
«Nel contesto scaturito dalle riforme post-conciliari, il Papa e i vescovi propongono alla venerazione dei fedeli cattolici degli autentici santi, che però sono stati canonizzati al termine di una procedura insufficiente e dubbia. È per questo che non si possono avere dubbi sull’eroicità delle virtù di Padre Pio, canonizzato dopo il Vaticano II, anche se non si può non esitare davanti al nuovo stile dei processi che sono arrivati a proclamare le sue virtù. D’altra parte, la stessa procedura rende possibile delle canonizzazioni un tempo impensabili, dove si assegna il titolo della santità a dei fedeli defunti la cui reputazione resta controversa e nei quali l’eroicità della virtù non brilla di una luce evidente. Si è davvero certi che nell’intenzione dei papi che hanno compiuto queste canonizzazioni di nuovo genere, la virtù eroica sia la stessa che era per i loro predecessori fino al Vaticano II?
«Questa situazione inedita si spiega in ragione della confusione introdotta dalle riforme post-conciliari. E la si può dissipare solo riandando alla radice e interrogandosi sulla fondatezza di queste stesse riforme.»

(Lo studio completo è stato pubblicato sul Courrier de Rome, n° 341, febbraio 2011, pp. 5-7 -

Fonte: DICI n° 283 del 18.10.2013)






aprile 2014

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