Intervista a

Don Niklaus Pfluger

Primo Assistente
della Fraternità Sacerdotale San Pio X
 
novembre 2014




Intervista condotta da M. Schäppi, redattore in capo della rivista di Monaco di Baviera
 Der Gerade Weg, della Fraternità San Pio X.

Pubblicata in francese su Tradinews il 24 gennaio 2015
 

impaginazione e neretti sono nostri


Il primo Assistente del Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X, fa il suo giro del mondo per visitare le diverse case dell’opera di Mons. Marcel Lefebvre. Possiamo definirlo un buon conoscitore della Fraternità. Per questo suo incarico egli dispone di una vasta informazione e non esita ad affrontare delle questioni anche sgradevoli. È quello che ha fatto nella presente intervista concessa a DWG sull’attuale crisi d’autorità in seno alla Fraternità.



Reverendo, sembra che gli zelanti protagonisti della «Resistenza” siano divenuti la referenza circa la vita di Mons. Lefebvre. Secondo loro, il fondatore della Fraternità era un fanatico testardo, poco disponibile e poco diplomatico. Si tratta di una falsificazione della storia?

Non direi che si possa parlare di referenza. Al contrario, la detta Resistenza, che bisognerebbe definire piuttosto «pseudo resistenza», è già divisa su questa interpretazione. I più accaniti fra loro dichiarano apertamente che Mons. Lefebvre si sarebbe sbagliato perché non avrebbe basilarmente escluso ogni contatto con la Santa Sede e una regolarizzazione della posizione della Fraternità.  È abituale cercare di legittimare la situazione presente con la storia e gli insegnamenti di quest’ultima. Così si è tentati di presentare gli avvenimenti passati e i personaggi sotto una luce favorevole per le tesi attuali. La «Resistenza» fa tutto quello che può per strumentalizzare Mons. Lefebvre in favore delle sue idee. Tuttavia, questi era troppo cattolico, troppo partigiano della Chiesa universale perché lo si possa far entrare nel giuoco di questo settarismo. Il suo pensiero e la sua azione erano ampii, a misura del mondo, cioè cattolici. Padre del Concilio, com’era, firmò nel 1988, due anni dopo lo scandalo di Assisi, un accordo che poi denunciò per la sola ragione che era convinto che Roma non avrebbe rispettato gli accordi (rimando al 15 agosto delle consacrazioni episcopali). Per quanto riguarda la pseudo resistenza, non si tratta solo di falsificazione della storia. Costoro, partendo da questioni di ordine pratico, d’intelligenza, di diplomazia, elaborano una questione di fede attinente il loro proprio credo.

È possibile che delle ingiurie, delle calunnie espresse contro la direzione della Fraternità in questi ultimi tempi, possano essere imputati ad una nozione unilaterale di peccato da parte dell’uomo moderno, il quale non considera come un’attitudine peccaminosa il ritenersi superiore a tutti e il referente di se stesso?

Ben detto! Ma io credo che la questione sia più semplice. Queste persone praticano piuttosto con grande zelo una religione che non comprendono. Spesso immaginano che vi sia del peccato ove non c’è (tra loro si trovano dei moralisti, dei giansenisti). È curioso come delle persone che si considerano come i più fedeli cattolici romani, non v’è nulla che temano come Roma. Ed hanno un solo nemico: Mons. Fellay! Come abbiamo detto, si tratta di un’attitudine di rifiuto estremo della realtà. In fondo essi nutrono una nozione protestante della fede. La loro fede e la loro obbedienza sono sottomesse a dei criterii soggettivi e personali. Cosa che non è cattolica.



La «Resistenza» non ha presa nell’area germanofona. Ma non v’è da noi qualcosa di molto più pericoloso, una sorta di «Resistenza latente», certo senza aperta ribellione, ma con un atteggiamento tipo «borghesia tedesca», impregnato di un isolamento sociale ed ecclesiale?

Si tratta certo di un problema. Noi abbiamo tutto: il nostro priorato, la nostra scuola elementare, la nostra comunità, il nostro vescovo. Che desiderare di più? I fedeli sono spesso così culturalmente conservatori che soprattutto non si augurano alcun cambiamento. È per questo che noi non siamo così missionari come potremmo, perché non auspichiamo che ben vengano altri che portano idee ed esperienze nuove, poiché l’accrescimento di una comunità equivale sempre ad un cambiamento. Con tutte le esperienze traumatizzanti vissute in più di cinquant’anni, ogni novità è considerata come sospetta. È per questo che ci si rifugia in un’attitudine di rifiuto.
Tuttavia, non stabilirei un legame tra questo fenomeno e quello della «Resistenza». Si tratta di un problema generale che riguarda tutti. Certo, questo spiega lo scetticismo che ispirano gli sforzi impiegati in vista di una regolarizzazione della Fraternità, ma il problema è più esteso. Si tratta fondamentalmente di una sfida di ordine pastorale. Di certo  vi sono delle eccezioni là dove sorgono delle nuove comunità, dei nuovi gruppi, come in Africa, nell’Est (in Polonia), soprattutto nelle Filippine, nell’America del Nord e nelle giovani comunità religiose. Ma a livello mondiale si osserva che nei vecchi ambienti tradizionalisti ben stabiliti, si diffonde una sorta di malessere generale. È un senso di profonda stanchezza, anche di delusione, dell’averne abbastanza, come direbbero i francesi, che in tedesco si può rendere con «die Nase voll». Questo malessere concerne gli individui, ma anche le famiglie, le collettività, l’apostolato. Ma come abbiamo detto, vi sono anche delle eccezioni.
Infatti, non molto tempo fa Don Udressy, al Consiglio generale, ha dichiarato che da un po’ di anni  nella KJB (organizzazione della gioventù cattolica) si è sviluppato un grande zelo e un vero entusiasmo. Nei primi tempi del movimento tradizionalista, l’entusiasmo era generale, onnipresente. Le conversioni e le vocazioni erano abbondanti, si fondavano dei centri di Messa nel mondo intero. Il punto culminante di questo entusiasmo è stato in occasione dell’evento delle consacrazioni episcopali nel 1988. Anche Monsignore allora aveva la ferma convinzione che la crisi si sarebbe esaurita rapidamente, che la Chiesa avrebbe ritrovato presto la Tradizione. Ma la crisi dura, dura sempre, e diventa sempre più grave. Alcuni sognano una crescita esponenziale come negli anni ’80, ma intanto le vocazioni si riducono e non permettono più di colmare le partenze e di stabilire delle nuove comunità. In due parole: la realtà non è così semplice come tanti avevano immaginato; o come ha detto poco tempo fa il nostro Superiore Generale: «Noi abbiamo idealizzato la nostra situazione».

Nel 2012, la direzione della Fraternità ha tradito la sua missione, la fede cattolica e il Capitolo generale del 2006?

Me lo chiede? Come sa, gli uni dicono che noi li abbiamo traditi perché non ci siamo accordati immediatamente con il Vaticano; gli altri perché siamo in trattative con la Santa Sede. Entrambe le parti sono convinte del loro buon diritto. Questo solo fatto dimostra che non abbiamo tradito alcunché né alcuno, ma in tempi difficili, abbiamo bilanciato la nostra condotta. A questo si aggiunga, e lo sottolineo, che le dichiarazioni di un Capitolo generale non sono dei testi dogmatici. Non più di una predica del Superiore Generale o della presente intervista. Non si tratta di decisioni infallibili; noi rispondiamo solo a certe situazioni o circostanze particolari. Se si trattasse di articoli di fede, potremmo fare ogni volta la stessa dichiarazione. Nessuno di noi, tra i Superiori, poteva immaginare nel 2006 che la Santa Sede avrebbe ritirato il decreto di scomunica del 1988 e che col Motu Proprio il Papa avrebbe dichiarato che la «Messa antica» non è mai stata abrogata e che essa ha il suo posto in seno alla Chiesa.
Nel 2006, l’attitudine di Roma nei nostri confronti era aggressiva, apodittica: o vi accodate o fuori! Da allora qualcosa ha incominciato a muoversi. In occasione dell’ultimo incontro con il Cardinale Müller e la Congregazione per la Dottrina della Fede, è chiaramente apparso che la Santa Sede si trovava di fronte a delle difficoltà gigantesche.
Il movimento della Tradizione ormai non è più una quantità trascurabile, non più che le eccentricità del Papa e le canonizzazioni in massa. È da sei anni che il Superiore Generale non viene autorizzato a celebrare a Lourdes in occasione del pellegrinaggio. Quest’anno l’Ordinario ci ha dato il benvenuto e i nostri tre vescovi hanno celebrato la Messa nella Basilica dei pellegrini. Abbiamo sotto gli occhi: un cardinale-prefetto che si oppone ad un altro; dei cardinali della Santa Chiesa che criticano apertamente il Papa, in quale mette in discussione delle questioni di morale! Anche nei nostri confronti, la politica non è unanime: il Papa dichiara chiaramente che noi siamo cattolici, un Ordinario decreta che noi siamo scismatici… È questa l’«unità»; «Roma» non è più un blocco; nessuno sa in cosa sfocerà la riforma della Curia.

Capisce le persone che, nei nostri ambienti, non si sentono più a loro agio, perché in molti luoghi dei «pastori  esigenti» diffondono un clima poco tollerante di legalismo e di moralismo? Tra la tolleranza indifferente e il liberalismo totale, vi è una tolleranza e una liberalità cattoliche che dobbiamo praticare?

Talvolta questi «pastori esigenti» sono un pungiglione nella carne, che vegliano anche perché l’atmosfera rimanga aperta, attraente e missionaria. Il silenzio del cimitero è particolarmente pericolo. Ci può essere il suo lato buono quando non tutto si evolve sempre armoniosamente e qualcosa scricchiola. Naturalmente, io conosco questo genere di preoccupazioni: che abbiamo vedute troppo strette, troppo fisse, ne abbiamo già parlato.
Ancora una volta: la Fraternità è nata dalla resistenza al crollo della vita religiosa dopo il Concilio. E questo fatto genera una mentalità che si rifiuta di vivere di nuovo un simile cataclisma. Io lo capisco. Così è meglio mantenere tutto com’è e adottare  un’attitudine critica nei confronti della novità. Nei primi degli anni ’70, mantenere l’espressione «tra le donne»  [tu sei la benedetta] era in qualche modo il marchio di resistenza alla novità. La traduzione con «Frau» [donna, moglie] invece che con «Weib» [donna, femmina] sfociò in una questione di fede, perché vi si vedeva un attacco  contro il dogma della Verginità di Maria. Naturalmente questa nostra epoca è diversa, il fumo si è diradato e noi non possiamo rimanere fermi. Ma dobbiamo anche convincere, creare un clima di fiducia, incoraggiare.
Tuttavia ammetto che il fossato fra ciò che noi consideriamo come appropriato e ciò che accade nel quotidiano si allarga e questo fatto non è sempre il segno di un decadimento del mondo, ma può essere un rifiuto della realtà da parte nostra. La tolleranza e la liberalità sono sempre state caratteri della Chiesa mondiale: grande, antica e sempre giovane. Nella misura in cui questa Chiesa segue meglio il corso del torrente, cosa che fa in  tutta evidenza a partire dal Concilio e le sue riforme, sparisce anche quella dimensione ampia e restano solo dei piccoli gruppi dotati spesso di  ristrettezza di spirito. Così sono proprio i giovani che dovranno impegnarsi in favore di una liberalità cattolica, ecco cos’è importante. Un tempo si parlava di “liberalità bavarese”, fondata nell’ambito dello Stato, ma anche in quello della Chiesa, su due principii: 1. da noi è d’uso; 2. Vivere e lasciar vivere.

È solo nella FSSPX che vi sono frutti spirituali? Se no, con quali gruppi o comunità del rito antico Lei vede una possibilità di cooperazione?

“Extra Ecclesiam nulla salus”, vale per l’Una Santa, la Santa Chiesa, la cui portata supera quella della FSSPX! Ma la sua domanda è molto importante e sfortunatamente molto attuale. Forse certuni arrivano a pensare che il movimento tradizionalista sia la Chiesa; al di fuori di noi non esisterebbe la vera fede e neanche dei frutti spirituali. Questa sarebbe una tentazione per niente conforme alla natura della Chiesa, non potendo essere giustificata neanche dalla crisi o dagli scandali che si producono nella Chiesa. Essa deriva dal fatto che, tanto nella liturgia e in modo  particolare nell’arte religiosa, quanto nella dottrina e nella spiritualità (usi, devozioni, pratiche religiose) si è tentati di confondere la vera dimensione della Tradizione con le tradizioni, vale a dire con la maniera in cui ci si è comportati nel corso degli ultimi due secoli in materia di Chiesa e di religione. Viaggi a basso costo, mondialismo e multiculturalismo altri elementi di apertura e di ampliamento degli orizzonti. Le tradizioni possono essere diverse, preziose e fondate senza tuttavia derivare dalla legge naturale. Ciò che è d’uso qui, altrove e impensabile, e viceversa.
Io sono ritornato dall’India alcune settimane fa e mi viene in mente il «Dhoti», l’abito tradizionale dell’uomo, e il «Sari», della donna. In termini semplici: gli uomini portano la veste e le donne i pantaloni. A Tokyo, ho dovuto dire la Messa domenicale senza scarpe e nelle isole Figi sono stato ricevuto con dei «Cava», bevanda tradizionale infetta e che per di più demolisce il fegato. Non si può cercare di stigmatizzare come «modernista», «liberale», «massonico», tutto quello che non è conforme all’andamento dei secoli XIX e XX. Una Tradizione così erroneamente concepita non è attraente, né può convincere, non più di quanto peraltro si possa edificare la Chiesa secondo l’immagine che se ne ha degli anni 50 o secondo gli argomenti in voga negli anni ’70. È necessario un vasto lavoro di formazione e di informazione, d’intelligenza e di spirito di discernimento. I luoghi comuni e gli argomenti tutti d’un pezzo non sono costruttivi. Al contrario, si tratta di scoprire il vasto tesoro della Tradizione e della Cristianità. Penso spesso che se non vi riusciremo nel corso dei prossimi anni, ci sarà molto difficile trasmettere la Tradizione in maniera convincente.
Solo la Chiesa è universale e perfetta; essa non si arricchisce dall’esterno, nemmeno per altre religioni. Tuttavia le comunità ecclesiali hanno spesso bisogno della Chiesa.
Il movimento della Tradizione è un membro della Chiesa ed ha bisogno della Chiesa in generale o di altri elementi della Chiesa, oppure molto semplicemente si dichiara «la Chiesa»? Ecco la questione. Se è solo una parte della Chiesa, quantunque delle più importanti, esso non detiene tutto il tesoro della Chiesa e della sua Tradizione e non può esimersi dal prendere contatto con altre comunità e di appropriarsi di altri elementi di cui non è in possesso. Sarebbe troppo semplicistico tacciare di sterile, eretico o conciliare tutto ciò che non è conforme alle nostre vedute.
Detto questo, ci sono vari gradi di ordine teologico nelle decisioni e definizioni della Chiesa. Un’eresia, un errore condannato dalla Chiesa, un errore secondo il nostro giudizio e un avviso di ordine teologico, sono tutte differenti! Secondo l’antico principio «Lex orandi est lex credendi» (si crede secondo il modo di pregare), possiamo dire – cosa che confermano le statistiche - che la cattolicità rimarrà durevolmente solo laddove la liturgia e la predicazione concordano, solo laddove vi sono dei frutti spirituali e la possibilità di rinnovamento della Chiesa. Quando il profeta Elia, abbattuto, si augurava di morire, perché per molti anni aveva inutilmente combattuto contro il paganesimo e l’infedeltà del popolo e pensava di essere rimasto il solo vero credente, Dio ha dovuto insegnargli che vi erano ancora 7000 che non si erano inginocchiati davanti a Baal (III Re 19, 18). «Non spegnete lo spirito», dice l’Apostolo Paolo. Noi conosciamo le famose parole di Cristo: «Chi non è con me è contro di me» (Mc. 9, 38-40).
Noi facciamo parte di un movimento di rinnovamento che attinge alla Tradizione, da cui il suo vigore. Noi ne costituiamo un elemento importante per il salvataggio della liturgia romana, che ne fa un elemento perfino indispensabile ed è l’opera di Mons. Lefebvre. Noi  ne siamo fieri. È una cosa del tutto particolare, una elezione! Questo non significa che tutti gli altri valgono di meno o non producono frutti spirituali, chi pensasse questo si guardi dal cadere. Talvolta si può avere l’impressione che il movimento di rinnovamento inciampi perché sfortunatamente non è unito. Gli altri non cooperano realmente con noi perché ai loro occhi noi siamo «all’esterno» e la nostra Resistenza non vuole cooperare con loro perché sono «all’interno». La divisione non è mai opera di Cristo.

La Fraternità San Pio X,  come “famiglia spirituale” sta avendo dei problemi molto seri. Come ci si può comportare nei confronti dei seminatori di divisione, tanto laici ingannati quanto sacerdoti disobbedienti? I «normali» non sono altrettanto responsabili della situazione attuale, perché sono spesso meno zelanti e meno interessati alla lotta per la fede  - cosa che quanto meno non si può rimproverare agli «oppositori»?

Io rifiuto l’affermazione che saremmo di fronte a dei problemi molto seri. Non è così semplice. Certo, le difficoltà esistono, ma la grazia produce anche miracoli. E io penso alla diffusione della fede, alla fedeltà nelle piccole cose, alle numerose belle famiglie cattoliche, alle anime preoccupate della loro santificazione.
Fra pochi giorni partirò per l’Africa per visitare le nostre missioni in cinque paesi. In Kenya la Fraternità ha fondato una nuova comunità di suore missionarie e le vocazioni arrivano dal mondo intero in numero superiore alle nostre possibilità di accoglienza.
Io non credo che le difficoltà siano imputabili ad alcuni allontanamenti. Noi formiamo un movimento scaturito dal rifiuto delle riforme instaurate in seguito al Vaticano II. Noi rappresentiamo il canotto di salvataggio per un buon numero di cattolici veramente pii che, negli anni ’70 e ’80, non si sono più riconosciuti nella loro Chiesa e che per questo sono legati a ciò che detenevano. Ma adesso bisogna spiegare che non viviamo più a quel tempo, che la situazione ha proseguito la sua evoluzione e che per questo noi dobbiamo continuamente riposizionarci. I fedeli si rendono anche conto che la crisi della Chiesa non è risolta, che perfino peggiora. Ne risulta quindi un’intima contraddizione tra l’esperienza e le preoccupazioni degli uni e le aspettative degli altri che si collocano fuori dalla realtà. Questa contraddizione, ne convengo, ci incita ad agire. Noi siamo sfuggiti ad un naufragio dopo il Concilio, ma proprio per questo ci troviamo di fronte a nuove difficoltà in ragione della particolarità della nostra situazione.

Le domande da lei poste in questa intervista hanno fatto emergere chiaramente i veri problemi e questo non è un male, perché spesso noi ci accorgiamo solo del pericolo del modernismo religioso, e Scilla è vicino a Cariddi. In una certa misura, i problemi che ci stanno di fronte sono molto semplicemente imputabili alla crisi della Chiesa e alla nostra situazione specifica, ma per altri versi anche al comportamento errato degli uomini.
In queste circostanze, dobbiamo convincere, discutere, essere vincenti. Io auspico che si rifiutino più nettamente questi portavoce richiamati  prima, i quali si accreditano come zelanti difensori  della religione, che non conoscono misura e che combattono una Chiesa che è al di là di loro. Questo spirito malvagio in realtà non ci preoccupa. Queste persone  non sono dei credenti zelanti, ma dei fanatici devoti; essi devono rendersi conto che non rappresentano i fedeli, ma solo loro stessi. È a questo compito che sono chiamati tutti i fedeli e soprattutto i giovani. Le tempeste continuano ad imperversare, le discussioni e le diatribe che hanno contrassegnato il sinodo dei vescovi a Roma a proposito della famiglia sono scioccanti, mentre il Superiore Generale della Fraternità predica la virtù della speranza a Lourdes! Niente teorie di cospirazione, niente apocalisse, ma «Spem contra spem» (Rm 4, 18), speranza contro ogni speranza. Ecco chi è cattolico.

Al culmine della rivoluzione del maggio 1968, tre anni dopo il Concilio, Mons. Lefebvre indirizzò ai membri della comunità di cui era allora il Superiore Generale un articolo che è bene rileggere ancora oggi, intitolato: «Perché siamo ottimisti?» Egli dà due ragioni: la fede cattolica che abbiamo ricevuto dalla Chiesa e una nuova gioventù che si entusiasma per una vita cristiana.



febbraio  2015

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