UN'OPERA DELLA CHIESA

Intervista di Mons. Bernard Fellay
del 27 GIUGNO 2015



  rilasciata al settimanale francese “Présent



pubblicata su DICI

In occasione della cerimonia di benedizione delle campane della cappella della scuola Saint-Michel de La Martinerie, à Châteauroux, Mons. Fellay a fatto per “Présent” il punto della situazione della Fraternità San Pio X,
di cui è il Superiore Generale..


In un’intervista concessa a Fideliter nel 2001, Lei ricordava «il movimento di simpatia del giovane clero nei confronti della Fraternità». Tale movimento si è ampliato, in particolare a causa del Motu Proprio del 2007?

Mons. Fellay: Senza alcun dubbio! Questo movimento ha ricevuto una nuova spinta con il Motu Proprio. Peraltro, è opportuno insistere sull’interesse di Benedetto XVI per la liturgia tradizionale in modo generale. Egli ha veramente desiderato rimettere a disposizione dei sacerdoti e dei fedeli tutta la liturgia tradizionale, non solo la Messa, cosa che finora non si è realizzata a causa delle numerosissime opposizioni. Tuttavia, la gioventù vi si ritrova, proprio perché questa liturgia si colloca fuori dal tempo. La Chiesa vive nell’eternità. La liturgia anche, ed è per questo che è sempre giovane. Prossima a Dio, essa non appartiene al tempo. Non stupisce quindi che il carattere battesimale faccia risuonare questa armonia anche nelle anime che non l’hanno mai conosciuta. Peraltro, il modo in cui reagiscono questi giovani sacerdoti è commovente: essi hanno l’impressione che sia stato nascosto loro un tesoro.

In Argentina, la Fraternità è stata riconosciuta ufficialmente dallo Stato come cattolica, con l’aiuto del cardinale Bergoglio, divenuto in seguito papa Francesco. La cosa ha solo un’importanza amministrativa o è rivelatrice di altro?

Mons. Fellay: Vi si trova innanzi tutto un effetto giuridico, amministrativo, senza implicazioni sullo stato delle relazioni generali della Fraternità con, diciamo per semplificare, la Chiesa ufficiale. Ma il secondo effetto è difficile da valutare correttamente. Non v’è alcun dubbio sul fatto che papa Francesco, allora cardinale Bergoglio, avesse promesso di aiutare la Fraternità ad ottenere dallo Stato argentino il riconoscimento della nostra società come cattolica e che abbia mantenuto la sua promessa. Questo obbliga a pensare che egli ci consideri cattolici.

Nello stesso ordine di idee, Lei è stato nominato dal Vaticano giudice di prima istanza per il processo di un sacerdote della Fraternità. Vi si può vedere un segno di benevolenza?

Mons. Fellay: La cosa non è nuova, è in atto da più di dieci anni. Si tratta effettivamente di un segno di benevolenza e di buon senso. È quello che si riscontra nella Chiesa romana attraverso la storia: il suo realismo capace di superare i problemi canonici, giuridici, per trovare delle soluzioni a dei problemi reali.

Nella sua Lettera agli amici e benefattori, Lei parla di «messaggi contraddittori» che vengono da Roma. Cosa intende?

Mons. Fellay: Penso al modo in cui è stata trattata – o maltrattata - una società che stava avvicinandosi alla Tradizione: i Francescani dell’Immacolata. O alle diverse maniere con cui ci tratta un organismo romano rispetto ad un altro: la Congregazione dei Religiosi, per esempio, ci considera sempre come scismatici (nel 2011 ha scomunicato un sacerdote che si è unito a noi), mentre, come abbiamo detto, non è così per altre Congregazioni o per lo stesso Papa.

Pessimista, «chiuso con gli altri», che «pensa che solo i fedeli della Fraternità saranno salvati»: talvolta Lei è indicato così. Cosa risponde? Cos’è per Lei lo spirito missionario?

Mons. Fellay: Non mi riconosco in queste facezie. Una fermezza nella dottrina è certo necessaria, perché la fede non si negozia. La fede è un tutto dato dal Buon Dio e non si ha il diritto di fare la cernita tra le verità rivelate. Ricordare queste esigenze, oggi è malvisto, come peraltro è sempre più o meno stato. L’espressione «battaglia per la fede» fa parte della storia della Chiesa. Il missionario deve far sentire necessariamente la voce della fede all’esterno, mentre cerca di fortificare coloro che ce l’hanno già. Non è possibile rivolgersi solo ai fedeli della Fraternità. La fiaccola illumina il mondo, la luce della fede s’irradia, con calore.
La fede dev’essere portata con la carità: è così che io vedo il missionario.


Alcune settimane fa, dei seminari della Fraternità hanno ricevuto la visita di prelati inviati dal Vaticano: il cardinale Brandmüller, Mons. Schneider. Tali visite costituiscono un legame pubblico con la «Chiesa ufficiale». Non è vitale?

Mons. Fellay: Il legame con la Chiesa è vitale. La manifestazione di questo legame può variare. Le date e i luoghi di queste visite sono state lasciate alla mia scelta, il Vaticano ha proposto i nomi. Io ho scelto i seminari e questo mi è sembrato, per dei vescovi, la cosa più eloquente e più rappresentativa.

Quali sono state le reazioni «dal vivo» di questi vescovi?

Mons. Fellay: Si sono mostrati soddisfatti. «Siete delle persone normali», ci hanno detto… e questo fa vedere la reputazione che ci siamo fatta! Essi si sono felicitati con noi per la qualità dei nostri seminari. Non v’è alcun dubbio che da questo primo contatto da vicino, essi hanno concluso che noi siamo un’opera della Chiesa.

Avete dei contatti con dei vescovi, che vi sostengono con discrezione?

Mons. Fellay: Certamente! Se oggi ci sono dei sacerdoti che si avvicinano a noi, che hanno dei contatti con noi, si può facilmente dedurre che a livello superiore debba essere quasi lo stesso…

Nell’intervista del 2001 che abbiamo già ricordata, Lei ha dichiarato: «Se vi è una possibilità, una sola, che i contatti con Roma possano far ritornare un po’ più di Tradizione nella Chiesa, io penso che noi dobbiamo approfittare dell’occasione». È sempre la sua linea?

Mons. Fellay: Questa rimane sempre la nostra linea, anche se non si può dire che la cosa sia facile, in particolare a causa degli aperti dissensi che ci sono all’interno dello stesso Vaticano. Queste relazioni sono delicate, ma questo punto di vista resta valido e confermato dai fatti. Si tratta di un lavoro discreto, in mezzo a delle opposizioni molto forti. Certuni lavorano in una direzione, altri nella direzione opposta.

Il ruolo di contrappeso della Fraternità all’interno stesso della Chiesa è importante?

Mons. Fellay: Questo ruolo non è nuovo, l’ha iniziato Mons. Lefebvre e noi lo portiamo avanti. Lo si vede bene quando si constata l’irritazione dei modernisti di fronte ai passi compiuti da Benedetto XVI.

A che punto si trova oggi la Fraternità? Quali sono i suoi punti forti e i suoi punti deboli? Come vede il suo avvenire?

Mons. Fellay: Io guarda al suo avvenire serenamente. Si tratta di un’opera che poggia sul Sacro Cuore e sul Cuore Immacolato di Maria, tutto sta nell’essere fedeli alla loro volontà.
Questa Chiesa è la Chiesa di Nostro Signore Gesù Cristo, che ne resta il capo e che non permetterà la sua distruzione.
Le debolezze della Fraternità? Il rischio di separazione, che è grave. Si veda per esempio la caricatura della Tradizione che si fa chiamare «Resistenza»: si tratta di uno spirito non cattolico, quasi settario, che noi rifiutiamo, un movimento che resta ripiegato su se stesso, con delle persone che pensano di essere i soli buoni, i soli giusti sulla terra: questo non è cattolico.
Si tratta di un pericolo oggettivo, ma relativo. La gran parte della Fraternità è sana e non vuole cadere in queste illusioni. Questo ci spinge ad appoggiarci ai mezzi soprannaturali. Ciò che il Buon Dio vuole da noi, ce lo mostrerà, Egli parlerà attraverso le circostanze.
I punti forti? La fedeltà, vivente, che porta dei frutti e mostra al mondo odierno che la vita cattolica, con tutte le sue esigenze, è possibile. Ma – altro punto debole – noi siamo persone di questo tempo, pretendere di essere immuni da ogni influenza del mondo moderno è una chimera. Più precisamente, bisogna evitare il pericolo di una caricatura, pensare di vedere su questa terra la Chiesa senza grinze e senza macchia: non è questo che il Buon Dio ha promesso su questa terra. Non è questo il significato di «Chiesa santa», che significa invece che essa è capace di santificare con i mezzi forniti da Nostro Signore: i sacramenti, la fede, la disciplina, la vita religiosa, la vita di preghiera.


Che ne pensa della proposta del cardinale Sarah di introdurre l’Offertorio tradizionale nella nuova Messa?

Mons. Fellay: Quest’idea non è nuova, è da una dozzina d’anni che circola a Roma. Sono felice che sia stata ripresa. Certuni criticano questo percorso, dicendo che sarebbe come mischiare il sacro col profano. Al contrario, in una prospettiva di risanamento della Chiesa, io penso che questo costituirebbe un enorme progresso, perché l’Offertorio è un compendio dei principii cattolici della Messa, del Sacrificio espiatorio offerto alla Santissima Trinità, rivolto a Dio, in riparazione dei peccati, dal sacerdote accompagnato dai fedeli. E questo riporterebbe gradualmente i fedeli verso la Messa tradizionale che hanno perduta.

Come vuole concludere, Monsignore?

Mons. Fellay: Per me, siamo alla vigilia di avvenimenti gravi che non si possono definire bene. Io appello alla preghiera e voglio concludere con uno sguardo verso il Buon Dio e questo ci permette di conservare sempre la speranza.






giugno 2015

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