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a Montréal-de-l’Aude, Francia: lo stato attuale delle relazioni della Fraternità con Roma 1 maggio 2016 pubblicato sul sito francese della Fraternità San Pio X La Porte Latine e su DICI, agenzia di informazione della Fraternità In occasione della consacrazione della chiesa Saint-Joseph a Montréal-de-l’Aude, Francia, Domenica 1 maggio 2016, Mons. Bernard Fellay, Superiore Generale della Fraternità San Pio X, ha pronunciato un’omelia sul senso spirituale di questa magnifica cerimonia liturgica. Nell’ultima parte egli ha parlato dello stato attuale delle relazioni della Fraternità con Roma. Vi sono delle cose scandalose in ciò che accade oggi, è vero, perché ciò che oggi si vede è una situazione di confusione crescente, una situazione sempre più caotica. Si chiede ad un vescovo ciò che pensa, si chiede ad un altro ciò che pensa, ed essi rispondono delle cose contraddittorie, e questo sull’essenziale: sulla fede, su ciò che bisogna fare per essere salvati. Dunque è gravissimo. E più si va avanti, più si vede che questa situazione s’ingrandisce. Al tempo stesso, si vede come il Buon Dio lavori nella Sua Chiesa. Al tempo stesso si vede che, soprattutto tra i giovani, vi è un inizio di reazione, e anche in alto nella gerarchia. Vi sono dei cardinali, vi sono dei vescovi che cominciano a dire: «è troppo». Cominciano a parlare. Direi che ad un tratto si vede che noi non siamo più i soli a protestare, a reagire, vi sono degli altri. E questo è nuovo. L’adesione al Concilio non sarà più il criterio per l’appartenenza alla Chiesa E nelle relazioni che abbiamo con Roma, vi sono delle cose ancora più sorprendenti e che noi riconduciamo a questa situazione caotica. Proprio recentemente, per la prima volta, abbiamo potuto ascoltare a Roma che non saremmo più obbligati ad accettare il Concilio. Vi rendete conto, è enorme! Ci si dice: «Voi avete il diritto di mantenere la vostra opinione». Questo non è ancora: «avevamo torto», non è ancora: «il Concilio è stato malvagio», ma è: «il Concilio non può obbligare». Non si può obbligare qualcuno ad accettare il Concilio per essere cattolico. Ed è quello che noi abbiamo detto finora. Fino a due anni fa era: «Se volete essere cattolici, dovete accettare il Concilio, dovete accettare la bontà della nuova Messa». Ebbene, adesso ci si dice: «No, non lo dovete fare, perché questo non ha il grado dell’obbligazione»; essi utilizzano dei termini non molto precisi. Ci si dice: «Non è dottrinale, è pastorale». Ed è un po’ quello che noi stessi abbiamo detto: «Questo Concilio è pastorale e non ha voluto obbligare». Tutto d’un tratto ce lo si concede: «È vero, questo Concilio non ha voluto obbligare». Questo, che cosa ci apporterà in seguito? Si vedrà, ma è un passo che per me è capitale. Noi siamo in procinto di vivere un momento che è, io penso, una cerniera nella storia della Chiesa, nella storia di quest’epoca in cui ci troviamo, si può anche dire nella storia di questo Concilio. È la prima volta che ci si dice – e lo si dice apertamente - che la non accettazione della libertà religiosa, dell’ecumenismo, della nuova liturgia, non è un criterio di rigetto della Chiesa cattolica. Non si ha il diritto di dire che qualcuno non sarebbe più cattolico se non è d’accordo su Nostra Aetate, sulle relazioni con le religioni non cristiane, sull’ecumenismo, sulla libertà religiosa. È la prima volta che si sente questo, dopo cinquant’anni! E per noi, sembra già che attraverso queste proposizioni, che appaiono un po’ forti, in effetti si delinea una linea coerente che si dispiega già da un anno e mezzo, una linea veramente nuova nei nostri confronti. Ancora una volta, vedremo come si svilupperanno le cose; abbiamo imparato ad essere piuttosto prudenti in tutte queste questioni. Si tratta solo di un momento? A nostro avviso, no! Dal momento in cui si è abbandonato questo punto, non lo si può più riprendere. Si è portato il Concilio al livello dell’opinione, non si può più dire, subito dopo, che no, che era quanto meno obbligatorio. Ci sono dunque delle cose importanti che stanno per accadere. Questo non vuol dire, miei cari fratelli, che è il trionfo. Questa è una nuova fase della guerra. Questo non vuol dire che, perché dicono così, adesso avremo la pace. Assolutamente no. D’altronde, io arrivo a dire che è una parte che a Roma dice questo, mentre un’altra parte continua a dire che noi siamo scismatici. Il Papa non lo dice, egli dice che siamo cattolici, ma altri dicono che no. È veramente una situazione inverosimile quella in cui ci troviamo. In te, Domine, speravi: non confundar in æternum In una tale situazione, è dunque evidente che bisogna crescere nella fede, radicarsi nella fede. E cerimonie come queste ci aiutano. Bisogna soprattutto ritornare al Buon Dio, ai mezzi soprannaturali, alla Santissima Vergine Maria, ai Santi, che sono vincitori. Essi hanno vinto, essi dominano la battaglia, la guerra in cui ci troviamo. Essi sono vincitori. Se noi rimaniamo legati ad essi, alla Santissima Vergine Maria, se noi cerchiamo la sua protezione, la protezione dei Santi, noi ci mettiamo dalla parte dei vincitori. Evidentemente, questo non ci esime dai nostri obblighi, l’obbligo di combattere, l’obbligo di nutrire la nostra fede. Ma colui che si attacca al Buon Dio, a questa consolazione, anche a questa certezza che viene dalla virtù della speranza: non sarà confuso. Alla fine della cerimonia, noi canteremo il Te Deum, le cui ultime parole sono: «ho sperato in Te, Signore, non sarò confuso in eterno». Se noi ci affidiamo al Buon Dio, è certo che arriveremo in Cielo. Certo, bisogna seguire i Suoi comandamenti, bisogna ubbidirGli, ma si è sicuri di arrivare al Cielo. Perché il Buon Dio ha promesso il Suo aiuto, ha promesso la Sua grazia, e colui che la vuole, questa grazia, che la chiede al Buon Dio, la riceverà. Su questa terra non ci si trova nella situazione di avere il cinquanta per cento di possibilità di vincere o di perdere! Non è vero. Il cinquanta per cento di possibilità di andare in Cielo, il cinquanta per cento di rischio di dannarsi. Assolutamente no! Il Buon Dio non vuole assolutamente che noi ci si perda. Lui permette tutte queste sofferenze, tutte queste prove, non per farci cadere, ma per farci andate in Cielo, perché attraverso queste prove noi cresciamo nella virtù. Ogni volta che Egli permette una prova, vi offre la grazia necessaria per essere vincitori. Egli vi vuole vincitori, non vi vuole perdenti. Non lasciatevi prendere dalle visioni disfattiste, paurose, che vengono dal diavolo. È il solo che cerca di scoraggiarvi, mostrandovi le vostre debolezze – e noi ne abbiamo tutti! –. Ma il Buon Dio ci dà la Sua grazia per renderci forti, per renderci vincitori. Dunque, oggi leviamo i nostri sguardi al Cielo, la Chiesa è solo sulla terra. Quando si consacra giustamente questa chiesa, si pensa alla Chiesa in Cielo, quella che si chiama Gerusalemme celeste. Allora, portiamo i nostri sguardi verso il Cielo. Noi siamo sulla terra per questo, nient’altro che per questo: per andare in Cielo. E vi è già una miriade di uomini che come noi erano qui sulla terra e che adesso sono in Cielo, e che sono nostri amici e ai quali la nostra sorte non è del tutto indifferente. Chiediamo il loro aiuto, ancora una volta, e in modo particolare alla Vergine Maria. Se ella si prende il disturbo di scendere sulla terra per ricordare ai suoi figli l’urgenza della preghiera, della penitenza, è per andare in Cielo. Che questo luogo, adesso consacrato, sia uno dei luoghi che veramente aprono la porta del Cielo, che vi conducono, voi tutti che verrete in questa chiesa, in Cielo, per ammirare per tutta l’eternità la gloria di Dio, la gloria della Santissima Trinità, uniti a tutti i Santi e gli Angeli del Cielo. Così sia. Per conservare a questa omelia il suo carattere proprio, è stato mantenuto lo stile orale. (torna
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maggio 2016 |