Intervista di Mons. Fellay
al Distretto della FSSPX negli USA

 del 21 aprile 2017




L’intervista è stata concessa il 21 aprile 2017,  nel corso di un viaggio negli USA, dove a St. Mary’s, nel Kansas, Mons. Fellay ha amministrato le Cresime. L’intervista è stata videoregistrata e poi trascritta dallo stesso sito nordamericano. E’ stata condotta da James Vogel, Direttore delle Comunicazioni del Distretto degli Stati Uniti della FSSPX.


M. Vogel: Eccellenza, la ringrazio molto per aver distolto del tempo al tuo fitto programma, per incontrarci. Se non le dispiace, abbiamo alcune domande che recentemente hanno costituto delle novità, sulle quali speriamo che lei possa illuminarci.

Mons. Fellay: Con piacere.

Lo stato dei matrimoni nella FSSPX

M. Vogel: Prima di tutto, le ultime novità da Roma relative alle disposizioni sui nostri matrimoni. Cosa significano per la Fraternità e come ci toccheranno praticamente?

Mons. Fellay: E’ una domanda complessa. Posso ricordare un po’ il contesto?
Il contesto è questo: per anni dalla Chiesa ufficiale, a Roma, è stata fissata una certa giurisprudenza che sostiene che i nostri matrimoni sarebbero invalidi. Naturalmente, ci sono elementi sufficienti nel Diritto Canonico per dimostrare che non è così. Ma comunque, le persone che vogliono rompere - se posso dirlo - il loro matrimonio, con questa impostazione hanno una porta aperta.
Ed è da anni ho cercato di vedere con Roma cosa si potesse fare per bloccare questa situazione ingiusta e irreale. Infine, dopo diverse idee affacciatesi nel corso degli anni - sono quasi dieci anni che ne discuto - si è pervenuti all’idea - e certamente per iniziativa del Santo Padre – di dire ai vescovi: perché non riconoscere questa situazione come cattolica e dunque dare la delega? Questo è realmente il contesto.
Ora, come con molti documenti, bisogna leggere tra le righe. Penso che lo scopo si trovi nel secondo paragrafo che dice ai vescovi: i sacerdoti della Fraternità, sebbene la Chiesa li etichetti come irregolari, sono in grado di ricevere la delega necessaria per benedire o per ricevere il consenso del matrimonio. Quindi penso che questo debba essere letto come un nuovo passo verso la Fraternità, in effetti; non è affatto un passo per cercare di mettere la Fraternità “nel sacco”; come si suol dire? No, al contrario, significa riconoscere che quello che facciamo è cattolico e quindi dire ai vescovi: “Potete dare la delega anche a questi sacerdoti”.
E ciò che è anche molto interessante: qui si parla dei nostri matrimoni. E si dice che in questo caso, anche se per ricevere il consenso saranno delegati dei sacerdoti diocesani, la Messa può essere celebrata da un sacerdote della Fraternità. Quindi il fatto che esista una chiara disposizione perché a celebrare la Messa sia un sacerdote della Fraternità, è ancora una volta un nuovo passo nella giusta direzione, si dice infatti che questi sacerdoti non solo possono, ma celebreranno la Messa. E ovviamente in maniera legittima, quindi senza alcuna irregolarità.
Quindi, c’è in qualche modo una certa contraddizione nel testo. È ovvio. Esso deve essere inteso nel senso che, innanzitutto, Roma vuole stabilire che noi, ai loro occhi, non siamo ancora completamente in ordine con il Diritto Canonico. E questo lo  intendono stabilire con questa dichiarazione. Ma ciò nonostante: ci “trattano normalmente come se non ci fosse tale disordine”. Questa è una cosa interessante.
Certamente, ci sono diversi modi per esaminare questo testo; ci può essere un modo positivo o un modo pessimista. Ma, guardando al Santo Padre, guardando a come Papa Francesco si comporta con noi, da un certo tempo, è chiaro che qui si tratta di un passo benevolo nei nostri confronti; non di una trappola, non di un brutto nascosto trucco o esca. No! qui c’è la volontà di trattarci correttamente a tutti i livelli.

M. Vogel: Eccellenza, lei ha parlato di possibili contraddizioni nel testo e anche di modi diversi di leggere tra le righe. Alcuni dei fedeli che assistono alle Messe della Fraternità hanno forse tratto un’altra interpretazione, e si aspettano che adesso dovranno accettare i sacerdoti della diocesi a ricevere i loro consensi. E alcuni di loro sembrano disturbati all’idea che un sacerdote diocesano, per esempio, entri in una cappella della FSSPX per ricevere i loro consensi. Cosa direbbe a quelli che si aspettano o credono che questa disposizione di Roma sia semplicemente un altro ostacolo per i fedeli per potersi sposare con i sacerdoti della Fraternità?

Mons. Fellay: Io penso che quando andiamo a vedere in pratica la situazione, è difficile parlare in anticipo. Cercheremo di trattare con i vescovi; cercheremo di ottenere il massimo dal testo. Abbiamo già esempi di vescovi, specialmente in Argentina, che è il paese del Papa, dove il vescovo ha semplicemente dato la delega ai nostri sacerdoti. E ci aspettiamo che questa sarà la situazione generale. Così secondo la corretta interpretazione del testo.
Questo non esclude una situazione in cui, per esempio, un vescovo sarà ostinato e così via e insisterà nel voler imporre un sacerdote. Allora dovremo esaminare la situazione concreta. In definitiva, trattandosi del matrimonio dei nostri fedeli, essi diranno la loro. Ed è per questo che io leggo in questo modo il testo dove parla di “in un’impossibilità del piano A e rimanda al piano B”, il quale dà direttamente la delega ai sacerdoti della Fraternità.
Quindi, se ci sono casi in cui ci sentiamo a disagio, dobbiamo dirlo. E questo è anche nel testo. Probabilmente qua e là ci saranno alcune difficoltà, ma queste non sono senza soluzione.

M. Vogel: Poiché il documento menziona la possibilità che gli Ordinari locali possano affidare la delega direttamente alla Fraternità e lei ha indicato alcuni esempi già esistenti, come faranno i sacerdoti della Fraternità a cercare di ottenere questa delega? Lo faranno i singoli sacerdoti, i Priori locali, i Superiori del Distretto, la Casa Generalizia? Può illuminarci su come, praticamente, questo avverrà?

Mons. Fellay: Indicheremo ai diversi Distretti il percorso, il modo di gestire quel caso. Possono averci situazioni diverse. In generale, come dico, cercheremo di non gestire la questione caso per caso, ma di arrivare a delle politiche generali con i vescovi. E questo significherebbe che ci sarebbe un contatto con il Superiore del Distretto.

M. Vogel: Parlando di politiche generali, nel documento che è stato pubblicato dalla Casa Generalizia, vi era l’indicazione che sarebbero state elaborate delle linee guida per tutta la Fraternità. È prematuro commentare tali linee guida o avete già fatto dei discorsi in merito?

Mons. Fellay: Penso che sia troppo presto. Dobbiamo anche vedere come questo testo di Roma verrà recepito in loco. E non abbiamo ancora tutte le risposte. Ma si può facilmente immaginare che, con un testo così, la maggior parte dei vescovi non si preoccuperà che esso consiste in un’apertura verso di noi. E lo concederanno.

M. Vogel: Come dovremo affrontare la questione del matrimonio nei luoghi in cui, ad esempio, i vescovi non vorranno collaborare? C’è il rischio di avere alcuni paesi o diocesi in cui i vescovi conferiranno la delega e altri in cui non lo faranno?

Mons. Fellay: Strettamente parlando, possiamo aspettarcelo. E’ possibile, diciamo, che dei vescovi vadano contro la disposizione del Papa. Lo sappiamo. Ma io non temo questo, perché torniamo alla situazione attuale, prevista dalla Legge Canonica, che dice che, se c’è una grave difficoltà, o in latino, grave incommodum, i due futuri sposi possono andare avanti. In tale situazione, essi devono solo avere i testimoni e, se è disponibile, un sacerdote.

M. Vogel: Se un vescovo locale si opponesse, è possibile qualche ricorso a Roma per proteggerci o no?

Mons. Fellay: Direi che non è necessario, ma probabilmente esamineremo la questione. E possiamo parlare con Roma in proposito: in tal caso si tratterebbe solo di stabilire un’altra politica, se posso dirlo? Quando ho parlato al Papa della situazione attuale dei vescovi che rifiutano, ha detto: “Ma io posso darlo!” E’ stato davvero interessante. Diciamo che, come ultima risorsa, noi sappiamo che da parte del Papa c’è disponibilità.

M. Vogel: Può sembrare una questione pratica alla luce del recente documento, ma da adesso, dove saranno registrati questi matrimoni? Semplicemente nei Priorati e nelle cappelle della Fraternità o nelle locali parrocchie diocesane o altrove?

Mons. Fellay: Seguendo l’indicazione del testo, penso che la corretta interpretazione sia che noi continuiamo la nostra registrazione e inviamo la notifica alla diocesi. Potrebbe essere che dovremo inviare qualcosa di più che una semplice notifica.

M. Vogel: Inoltre, dal punto di vista di coloro che desiderano sposarsi, lei si aspetta una sorta di “prova” per i coniugi che abbiamo preparato per il matrimonio? Non sarebbe strano per un sacerdote che non ha avuto alcun ruolo nella formazione degli sposi: testimoniare i loro consensi e non avere nemmeno idea di come siano stati preparati?

Mons. Fellay: Ancora una volta, credo che il testo preveda che siamo noi a prepararli, a fare le prove, mentre il sacerdote locale è lì solo per la cerimonia, come a mettere il timbro su una realtà che è tutta nostra.

Un passo avanti con Roma

M. Vogel: Prima lei ha già risposto, ma forse potrebbe spiegarlo. Sembra che lei interpreti tutto questo come un passo verso la regolarizzazione o almeno come la buona volontà di Roma, piuttosto che come una sorta di trappola per impedirci di fare il lavoro che abbiamo continuato a fare. Può commentare ulteriormente questa dicotomia?

Mons. Fellay: Sì, non c’è alcun problema. Io penso che questo non sia il primo passo che va in quella direzione. Ho detto di aver discusso su questa questione già da dieci anni. Parlo di altri problemi che richiederebbero un intervento di Roma, della più alta autorità; degli atti cattolici che noi compiamo e che dovrebbero essere riconosciuti da Roma. E vedo che questo accade a diversi livelli. Più andiamo avanti e più intensa è la pratica comune.
Questo significa che, anche se ci sono certe affermazioni secondo cui noi saremmo irregolari, sempre più siamo trattati come se le cose fossero semplicemente normali. Negli ultimi anni, tutti hanno sentito parlare del potere di ascoltare le confessioni in tutto il mondo, ovunque. E questo non è solo valido ma lecito; cioè tutti possono, senza problemi di coscienza, rivolgersi ai sacerdoti della Fraternità. Questo è un esempio.
Un altro esempio sono le ordinazioni. L’anno scorso ho ricevuto una lettera da Roma che diceva: “Può liberamente ordinare i suoi sacerdoti senza il consenso dell’Ordinario del luogo”. Quindi, se posso ordinare liberamente, significa che l’ordinazione è riconosciuta dalla Chiesa, non solo come valida ma in regola. Se posso liberamente farlo, è chiaro che questo è già riconosciuto e accettato. Quindi questo è un ulteriore passo per l’accettazione che noi siamo “normali cattolici”, nonostante permanga il presupposto che non siamo ancora completamente in regola. Questo sta accadendo sempre più, e non è il primo passo. Francamente, non vedo nessuna volontà di interferire o di prevalere, ma semplicemente il riconoscimento che quello che facciamo è cattolico.

M. Vogel: Per cambiare un po’ argomento, anche se suppongo che la cosa sia indirettamente collegata: manca poco più di un anno per il prossimo Capitolo Generale della Fraternità. Può dirci qualcosa su quali preparativi siano in corso e cosa questo significhi per la Fraternità; o forse è troppo presto?

Mons. Fellay: No, non credo che sia troppo presto. Possiamo parlarne. Questo Capitolo si farà, sia che le cose vadano avanti o rimangano ancora come sono adesso. In ogni caso, anche se fossimo riconosciuti prima, questo implica la convocazione di un Capitolo Generale secondo le nostre norme interne. Quindi, che si svolga prima o al momento, in ogni caso esso sarà l’occasione per noi per esaminare la nostra fedeltà ai nostri Statuti, quanto li rispettiamo accuratamente, quali sono le manchevolezze, quali sono i punti che hanno bisogno di essere migliorati, quali sono le nuove istanze e i nuovi problemi. Immagino che, con questo nuovo possibile riconoscimento da parte di Roma, la cosa, quando si verificherà, solleverà una serie di nuove istanze, di nuove situazioni. Certamente già riflettiamo su di esse, ma dobbiamo metterli sotto forma di regole o di politiche per tutta la Fraternità. In ogni caso, io penso che sarà un Capitolo importante e lo stiamo preparando, sicuramente. Un anno non è troppo per prepararlo.

Lo stato attuale della FSSPX

M. Vogel: Forse parlando ancora più in generale, può dire come e dove la Fraternità cresce di più nel mondo? Ci sono posti in particolare che forse la colpiscono come unici o particolarmente interessanti?

Mons. Fellay: Quello che vedo, in generale, è una crescita più o meno costante, non troppo spettacolare. Qui e là qualche gruppo si unisce a noi come tale, ma questo è veramente raro. Sono più o meno le persone che vengono, che si uniscono a noi, una famiglia qui o là. Ma questa è una cosa generale, in tutti i paesi in cui siamo stabiliti; lo si riscontra in tutti e sei i continenti. Alcuni luoghi conoscono una crescita maggiore o più intensa: si verifica in paesi come gli Stati Uniti e in alcuni luoghi in Africa. Ma ci sono differenze da un paese all’altro. Quindi non posso dire con certezza che in 10 anni qualcuno cresce più di un altro. Tutta la Fraternità continua a crescere e più cresciamo, più abbiamo il problema di non avere abbastanza sacerdoti per far fronte a tutte le esigenze.

M. Vogel: Parlando dei sacerdoti, qual è la tendenza dei sacerdoti provenienti da diocesi o congregazioni religiose, forse sono interessati alla Fraternità? Questo è aumentato o diminuito con Papa Francesco? Forse può parlarci delle loro motivazioni e del perché scelgono la Fraternità tra altre opzioni.

Mons. Fellay: Mi sembra che non ci sia un grande cambiamento tra prima e dopo l’elezione di Papa Francesco. Penso che sia una tendenza più profonda che legata ad una data persona in carica. In effetti, ci sono sacerdoti che si avvicinano a noi. Si avvicinano per diventare membri della Fraternità, ma molti di loro non necessariamente vogliono diventarne membri. Piuttosto vogliono esserci amici, vogliono imparare da noi: la sacra liturgia, da un lato, ma più la dottrina.
Una volta che ero con un gruppo di amici sacerdoti in Italia – è stato circa due anni fa - e ho chiesto loro, erano circa 30: cosa vi aspettate da noi? Ed ero quasi certo che avrebbero detto: “Beh, che ci insegnate a dire Messa”. Ma non fu questa la risposta. La risposta fu: la dottrina. Ecco cosa si aspettano. E la cosa è profonda, ovviamente: senza la dottrina, come si spiega la Messa? La Messa può essere bella e così via, ma ciò che la rende solida è la dottrina che vi è espressa, che manifesta la Messa. E se si ha una buona e solida conoscenza di questa teologia, questo rende la liturgia ancora più necessaria, se posso dire così.
Ed è quello che si vede un po’ ovunque. Io vedo sacerdoti che ci avvicinano, ma non solo per la Messa: per molto di più! Vogliono apprendere la Tradizione. Molti di loro, quando scoprono la Messa, sono frustrati. Si sentono ingannati; e dicono: “Questi sono dei tesori, i nostri tesori, e ci sono stati nascosti!” Ma scordano subito la frustrazione; in realtà godono profondamente della Tradizione e vogliono viverla.

Risposte alla crisi corrente

M. Vogel: Eccellenza, parliamo di un’altra questione più universale, Amoris Laetitia ha generato una grande quantità di confusione e di controversie dal momento in cui è stata pubblicata l’anno scorso. Da un lato, si potrebbe dire che sia incoraggiante vedere alcuni svegliarsi per la crisi della Chiesa; dall’altro, i risultati pastorali di questo documento sono davvero devastanti. Ci sono anche alcuni che sostengono che la Fraternità sia stata troppo morbida nella sua critica di Amoris Laetitia. Che pensa di questo documento e delle controversie che ha generato?

Mons. Fellay: A suo tempo, io ho scritto a Papa Francesco e noi abbiamo preparato un testo per allertare i cardinali, una lettera dei nostri tre vescovi. Ora, non dirò “purtroppo” - che non sarebbe la parola giusta - ma quattro cardinali hanno preso l’iniziativa poco prima che inviassimo la lettera. Ecco perché non se n’è parlato, ormai era cosa fatta. Così la nostra lettera è rimasta in un cassetto.
Di fatto, stiamo facendo certamente tutto quello che possiamo con coloro che sollevano la loro voce. Penso che sia importante che le persone notino che non siamo più gli unici che si lamentano, che denunciano, che attaccano situazioni disgraziate che danneggiano le anime. Questa è una delle ragioni per cui io non parlo espressamente qua e là, e lascio che resti in risalto la loro voce, non mescolando alla loro la mia. Perché di solito quando lo facciamo, quelli vengono squalificati, visto che questa tendenza a disqualificarci è ancora molto presente nella Chiesa moderna. E così, lasciando che sia la loro voce a farsi sentire per tutta la Chiesa, probabilmente è meglio. E comunque tutti sanno cosa pensiamo e quali sono le nostre posizioni. Non sono cambiate e tutti lo sanno.
In effetti, finché ci sono voci nella Chiesa che parlano nella giusta direzione, dire che in un giorno o in un altro avrei parlato più debolmente, non cambia nulla della situazione, della grande battaglia che è ancora in corso. Questo sia molto, molto chiaro. E non significa assolutamente che noi teniamo una certa politica per non compromettere un possibile accordo - che non è poi la parola giusta -  o il riconoscimento canonico; che abbiamo abbassato la nostra voce non è affatto vero. Se qualcuno stesse attento e guardasse tutto quello che scrivo e dico, capirebbe che io continuo come prima. Noi siamo ancora gli stessi.
E io insisto con Roma nel dire che noi siamo così e non cambieremo. Possiamo essere un po’ meno polemici nell’attaccare le persone. Ma la nostra ragione non sarebbe per un guadagno personale. Quello che cerchiamo è il modo più efficace per avere un beneficio per tutta la Chiesa. A volte si guadagna di più semplicemente argomentando piuttosto che attaccando. Bisogna considerare i casi. Noi siamo ancora in lotta, lo sappiamo, e non è definitivamente finita. Non è solo per il piacere di combattere, ma noi apparteniamo alla Chiesa militante.

M. Vogel: Per concludere, una domanda più semplice: lei è qui a St. Mary, KS, per le Cresime. St. Mary è chiaramente la più grande parrocchia e scuola della Fraternità in America. Quali sono le sue impressioni o pensieri che può condividere su St. Mary?

Mons. Fellay: Ammiro il lavoro della divina Provvidenza in questo luogo che è stato santificato proprio prima di noi dai gesuiti. Era una scuola dei gesuiti. Nella chiesa, che non c’è più, perché è andata bruciata, sappiamo che sono stati ordinati più di 1.000 sacerdoti. Sappiamo che non è solo un luogo molto santo, ma un luogo molto sacerdotale. E poiché il primo scopo della Fraternità è il sacerdozio, questo è un buon viatico.
E posso dire certamente che noi stiamo raccogliendo. Stiamo cercando di seminare,  ma stiamo raccogliendo maggiormente dall’opera dei precedenti buoni operai nel campo del Signore. Noi certamente ammiriamo e ringraziamo Dio per questi bei frutti dell’attitudine tradizionale, che prima erano dappertutto.




maggio 2017

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