Intervista esclusiva alla rivista argentina
 Siete Dias Ilustrados
n° 528, luglio-agosto 1977 

di S. Ecc. Mons. Marcel Lefebvre
Fondatore della Fraternità San Pio X


Pubblicata sul sito del Distretto della FSSPX in Sudamerica

Nel luglio del 1977, in occasione del suo viaggio in Argentina, Mons. Lefebvre concesse un’intervista alla rivista “Siete dias” (Sette Giorni), in cui spiegò in maniera chiara e magistrale i motivi della sua resistenza ai nuovi insegnamenti delle autorità della Chiesa.

Pubblicata nella rivista “Siete Dias Ilustrados” anno XI, n° 528, del 29 luglio – 4 agosto 1977, pp. 4-9.
Intervista condotta da Guillermo R. Zorraquin Vivot




Quali sono i motivi, l’elemento di base, che lo hanno portato a considerare scismatico un Concilio convocato, approvato e promulgato da due papi?

Mons. Lefebvre:In primo luogo bisogna considerare il carattere particolare del concilio Vaticano II. Carattere che lo distingue in tutto dagli altri Concilii celebrati nella Santa Chiesa, compreso il Vaticano I del 1870. Fu il Papa Giovanni XXIII che fissò gli obiettivi teologici del Concilio nel suo discorso di apertura: “Non vogliamo definire alcuna nuova verità, quindi non vogliamo fare un Concilio dogmatico, vogliamo fare un Concilio pastorale”.
C’è stato anche l’attuale Pontefice Paolo VI che in diverse occasioni ha dichiarato che: il magistero della Chiesa non ha inteso pronunciarsi con sentenza dogmatica straordinaria, che il Concilio aveva come scopo non dare nuove definizioni dogmatiche solenni.
Pertanto, a partire da questo discorso si deve distinguere tra Concilio dogmatico e Concilio pastorale. Tutti i Concilii sono stati dogmatici, tutti hanno definito delle verità del deposito della Rivelazione, tutti hanno condannato o anatemizzato gli errori che si opponevano alle dottrine definite. Solo il Vaticano II ha voluto limitarsi all’ambito pastorale, senza affrontare direttamente le questioni dogmatiche, senza voler dare delle definizioni e senza voler condannare gli errori del tempo.
Ora, a queste considerazioni fondamentali – che derivano dalle stesse parole pontificie – si debbono aggiungere le circostanze storiche nelle quali si è voluto convocare l’assemblea, e la mentalità con la quale giunsero a Roma molti vescovi, i quali si fecero promotori delle più audaci riforme conciliari. Io fui membro delle commissioni preparatorie disposte dal Papa Giovanni XXIII, e insieme con gli altri componenti – esimii cardinali e buoni teologi – preparammo gli schemi previi che dovevano servire da base per gli studiosi dell’assemblea. La preparazione di questi schemi che sarebbero stati oggetto di approvazione e di promulgazione come documenti autorizzati dell’insegnamento della Chiesa, richiedeva tempo, riflessione, consultazione delle fonti e dei documenti ecclesiastici. Tutto questo doveva essere preso in considerazione. Ma ecco che nella prima sessione del Concilio un gruppo di vescovi e cardinali, impiegando le moderne tecniche di pressione, riuscì a togliere di mezzo l’esaustivo lavoro realizzato. Così, essendo tutti soggetti alla limitazione del tempo e dei regolamenti interni, si dovettero preparare nuovi schemi di discussione, in altre commissioni approntate in modo completamente arbitrario.
Immagini le difficoltà che questo comportava e tenga conto della decisa attività di certi cardinali e vescovi, quelli che vennero detti venienti dalle rive del Reno, raccolti nel gruppo Idoc, tutti impregnati di modernismo e di liberalismo e che in più contavano su una superstruttura ben finanziata di uffici, stampa, distribuzione, ecc. Tenga presente, anche, che l’aula conciliare era sottoposta agli alti e bassi della politica internazionale, e tutto questo spiegherà – come è stato riportato per esteso nel mio libro “Un vescovo parla” – il carattere ambiguo, fluido, dei documenti conciliari alla fine approvati, derivati da quegli schemi frettolosi redatti nella sede del gruppo Idoc e approvati – molti di essi – a scatola chiusa, senza la dovuta e necessaria analisi.
Quando si studiano questi documenti, non si deve prescindere dalle motivazioni puramente umane che influirono sulla loro redazione. Senza dubbio, non tutti sono ugualmente ambigui, alcuni ripetono gli insegnamenti tradizionali della Chiesa – io stesso, e credo di essere l’unico, applico nei miei seminari le norme fissate dal rispettivo documento -, altri si allontanano pericolosamente da tali insegnamenti e così fu necessario introdurre in alcuni delle note che dichiaravano fatte salve le dottrine definite dal magistero ecclesiastico. In questo senso, in quanto sono ambigui, i loro contenuti conducono allo scisma, alla rottura con la Tradizione. Di conseguenza, rompendo con la Chiesa del passato, il Vaticano II può dirsi un Concilio scismatico.

Il Concilio, lo Spirito Santo, la Fede

Affermando questo, non si corre il rischio di attentare contro l’assistenza dello Spirito Santo al Concilio?

Mons. Lefebvre: Ho detto che il Vaticano II è stato un Concilio puramente pastorale e per ciò stesso è chiara l’intenzione dei due Pontefici che hanno presieduto le sue sessioni di non impegnare nell’evento il Magistero dogmatico della Santa Chiesa.
Quindi è in tale prospettiva che deve considerarsi l’ispirazione dello Spirito Santo nei documenti prodotti dal Concilio. L’orientamento liberale del Concilio non può attribuirsi al Divino Spirito; sarebbe blasfemo, sacrilego. Né tampoco si può, basandosi sulla giurisdizione, sollecitare una totale ubbidienza alle riforme conciliari.
Nella Chiesa, la giurisdizione è al servizio della Fede, la quale è la sua prima finalità.
Non può imputarsi allo Spirito Santo una sminuizione della nostra Fede. Lo stesso Papa ha riconosciuto che i frutti del Concilio sono frutti amari, e i frutti sono sempre della stessa natura della causa che li produce. Di conseguenza, non c’è giurisdizione né diritto alcuno che possa imporci una sminuizione della nostra Fede.
Se il fumo di Satana si è infiltrato nella Chiesa, come ha affermato angosciosamente il Papa Paolo VI, è innegabile che la sicurezza dell’ispirazione dello Spirito Santo si deve cercare solo nei documenti che contengono le definizioni dogmatiche del Magistero, e non nelle indefinite dichiarazioni del Concilio a carattere semplicemente pastorale e per ciò stesso contingenti e mutevoli.


L’autorità pontificia

Quale sicurezza la porta a sentirsi in possesso di una verità, mentre la maggioranza accetta la verità proposta dall’autorità papale?


Mons. Lefebvre: Io non ho idee personali, ma affermo la verità insegnata per venti secoli e che tutti i fedeli cattolici hanno appreso da bambini col loro piccolo catechismo. Io non affermo altro, se non quello che la Chiesa ha sempre affermato, sostenuto e insegnato.
Così, contesto tutti quegli errori che il Magistero ha condannato e anatemizzato una volta e per sempre. Ci sono certe verità contenute nel Santo Catechismo che nessun cristiano può ignorare e nell’attualità vi sono certi gravissimi errori che si oppongono a queste verità e alle quali, per ciò stesso, qualunque cristiano può e deve resistere.
Non importa chi pronuncia gli errori, la resistenza dev’essere la stessa. Non vi è niente di più prezioso del tesoro della nostra Fede cattolica, ricevuta il giorno del nostro Battesimo, e nessun obbligo è più necessario e urgente della conservazione di questo magnifico tesoro.
Ne consegue che, di fronte al fatto che molti vescovi e sacerdoti proclamano attualmente dottrine da molto tempo già condannate dalla Chiesa – fatto che possiamo constatare ogni giorno – noi dobbiamo rimanere fermi nella nostra Fede.
Per altro verso – e questo è un altro fatto – non è certo che la maggioranza dei vescovi segua l’autorità  pontificia. Si ricordi semplicemente la reazione di molti episcopati in occasione della pubblicazione dell’enciclica “Humanae vitae”.
Io seguo l’autorità pontificia, la stessa autorità permanente di tutti i Romani Pontefici che hanno occupato la Cattedra di Pietro. Io, come tante migliaia di cattolici, chiedo solo al Papa di essere il successore di Pietro e non il successore di Gian Giacomo Rousseau, di Lamennais, dei filosofi rivoluzionari.


“Confidiamo in Nostro Signore”

Secondo l’Apocalisse di San Giovanni, l’avvento del regno di Dio, la parusia, avverrà dopo un possibile declino della Chiesa. Prima dell’apparente trionfo di Satana. Ritiene che siamo all’inizio di tempi apocalittici?


Mons. Lefebvre: Non posso affermarlo. Non sono un profeta. Posso solo affermare che siamo in presenza di una grave crisi della Chiesa cattolica. Dobbiamo pregare molto e confidare in Nostro Signore Gesù Cristo, che non ci farà mancare le grazie necessarie per resistere e superare questa dolorosa situazione. Abbiamo la parola sicura e infallibile di Nostro Signore: le porte dell’Inferno non prevarranno contro di essa.
Che siano o meno i tempi apocalittici, confidiamo nella promessa del Divino Redentore e ricorriamo all’aiuto efficace della Vergine Santissima, come canta la liturgia. Solo ella ha vinto tutte le eresie dell’universo mondo.


Quali sono, secondo lei, le devastazioni più gravi prodotte dal Concilio?

Mons. Lefebvre: In generale, ciò che è più riprovevole del Concilio è lo spirito che anima i suoi documenti e le sue dichiarazioni. E’ uno spirito liberale, conciliante, ecumenico. Non si sostiene con fermezza e chiarezza la dottrina cattolica. Si fanno concessioni, si producono gravi omissioni. Allo scopo di non contraddire le altre religioni, le filosofie moderne, materialiste, esistenzialiste, positiviste. Lo spirito liberale e modernista fluttua in molti documenti del Vaticano II.

La Santa Chiesa è nemica inconciliabile del liberalismo e del modernismo, categoricamente condannati nel Sillabo e nell’enciclica “Quanta Cura” di Papa Pio IX, nell’enciclica “Pascendi” di Papa San Pio X, e da molti altri documenti dei Pontefici. Condanne definitive nelle quali i Papi hanno impegnato la loro infallibilità.
La costituzione “Gaudium et spes” raccoglie gli orientamenti e le tendenze più rivoluzionarie del mondo moderno. Questa costituzione, e lo afferma essa stessa, vuole unire, vuole sposare con la Chiesa, la Sposa immacolata di Cristo, col mondo moderno e quindi con la Rivoluzione, con tutti i suoi errori e deviazioni.

Il documento sulla libertà religiosa contiene insegnamenti di natura tale che non rende necessario il lavoro missionario della Chiesa, fondato sul mandato evangelico di andare e insegnare a tutte le genti. Il suo contenuto ambiguo contrasta con la chiarezza e con la forza delle encicliche nelle quali i Romani Pontefici degli ultimi tempi hanno insegnato la vera dottrina sulla libertà religiosa.
La segnalata ambiguità dello schema sorge con evidenza quando si consideri la nota introduttiva che fu necessario apporvi: questa nota chiede di far salva la dottrina tradizionale in materia. Ebbene, nessun documento del Concilio necessitò di note introduttive di tal fatta.
Ma il concilio Vaticano II non ha voluto definire. Il Concilio non ha voluto dare definizioni esatte sui temi che si discutevano, e questo rifiuto delle definizioni, questo rifiuto di esaminare filosoficamente e teologicamente i temi che si trattavano, ha fatto sì che non si son potuti definire i temi stessi, ma solo descriverli. E non solo non si definì, ma spesso nelle discussioni su questi temi venne falsificata la definizione tradizionale.

In tal modo, con una cattiva definizione o con l’assenza di definizione ci siamo trovati in pieno disordine. In tutti i documenti non esiste una definizione della collegialità episcopale, non c’è una definizione dell’ecumenismo. In tal modo si è falsificata la definizione della Chiesa. Non si è voluta presentare la Chiesa come mezzo necessario per la salvezza e così, insensibilmente, nei testi risulta che la Chiesa non è più un mezzo necessario, ma un mezzo utile, semplicemente utile. I cristiani devono introdursi nella massa dell’umanità che, nella sua integrità, già si dirige verso la sua salvezza; i cristiani devono apportarvi un complemento di unione, di carità, ecc.… tutto qui.
E questo significa rovinare alla radice lo spirito missionario della Chiesa. Così che lo schema delle Missioni fu letteralmente minato da questa idea.


La Chiesa in America

La sua attitudine di severa critica, non corre il rischio di trasformarsi in attitudine scismatica, di creare atteggiamenti scismatici?

Mons. Lefebvre: Io non sono né voglio essere scismatico. Lo scisma è la rottura con la Tradizione e il pericolo di cadere nello scisma lo corrono quelli che introducono novità nella Chiesa ignorando il mandato di Papa Sant’Agatone:
delle cose che furono regolarmente definite, nessuna dovessi diminuire, nessuna mutare, nessuna aggiungere, ma tali esse debbono essere custodite intatte nelle parole e nei significati
Giammai coloro che rimangono fedeli alla Tradizione potranno cadere nello scisma. Non possono arrivare allo scisma coloro che credono e insegnano che fuori dalla Chiesa non c’è salvezza. Ma sono invece i prelati che guidano ad un falso ecumenismo, che sostengono la bontà di tutte le religioni, quelli che corrono il rischio di diventare scismatici.
Non sono promotore di alcun movimento, né di alcuna setta. Sono e voglio rimanere figlio fedelissimo della Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana.


Quale sarebbe, in sintesi, per lei, l’esperienza raccolta in questo viaggio in America e in particolare in Argentina?

Mons. Lefebvre: E’ stata un’esperienza positiva e redditizia. Ho potuto constatare la profonda preoccupazione di molti sacerdoti e fedeli per le difficili circostanze che attraversa la Santa Chiesa e ho potuto ugualmente avvertire i gravi problemi di coscienza che essi vivono.
In tutti i paesi che ho visitato ho ricevuto moltissime adesioni per la mia opera di formazione di autentici sacerdoti cattolici. I popoli hanno un gran bisogno di buoni sacerdoti. Io faccio quello che ho fatto per trent’anni come missionario, come arcivescovo di Dakar, come visitatore apostolico in Africa, come Superiore della mia Congregazione. Faccio quello che la Chiesa ha sempre chiesto ai suoi vescovi: formare veri sacerdoti, che celebrino la Santa Messa e predichino la Parola divina.
Qui, in questo meraviglioso paese, di cui conservo bei ricordi, ho parlato con innumerevoli sacerdoti, seminaristi, religiosi e laici, e ho anche ricevuto la testimonianza di una moltitudine di persone semplici che sono venute alla Messa che ho celebrato.


Che direbbe ai cattolici argentini?

Mons. Lefebvre: Che siano fedeli alla Santa Chiesa. Che rimangano sempre fermi nella Fede cattolica, che la trasmettano integralmente ai loro figli. Che resistano agli errori moderni con l’arma del Santo Catechismo tradizionale e che centrino tutta la loro pietà nel Santo Sacrificio della Messa, nella Messa tradizionale di venti secoli e nella devozione filiale alla Vergine Santissima, nella Madonna di Lujan, patrona delle cattoliche e mariane nazioni della Plata.





novembre 2017

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