Intervista di Mons. Bernard Fellay al Tagespost

del 28 giugno 2018





L’intervista è stata diffusa dal sito di informazoni della Fraternità
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Eccellenza, come considerò la sua consacrazione episcopale di 30 anni fa? Fu per lei una separazione definitiva da Roma o una tappa intermedia in un conflitto in cui lei conservava l’idea di una riconciliazione?

Se si fosse trattato di una separazione da Roma, io oggi non sarei qui. Mons. Lefebvre non mi avrebbe consacrato, e io l’avrei rifiutato. Non si trattava quindi di una separazione dalla Chiesa, quanto piuttosto di una distinzione nei confronti dello spirito moderno, nei confronti dei frutti del Concilio. Dopo di allora, altre persone concordano con noi che al Concilio qualcosa è andata male. Esse confermano molte delle idee e dei punti che noi abbiamo combattuti e continuiamo a combattere. Noi non abbiamo mai detto che il Concilio avesse direttamente professato delle eresie. Ma fu tolto il muro di protezione contro l’errore e così si permise all’errore di manifestarsi. I fedeli hanno bisogno di protezione. E’ in questo che consiste la lotta costante della Chiesa militante per difendere la fede.

Ma tutti quelli che criticano il «Concilio dei media», come il Papa emerito Benedetto XVI, non accettano un conflitto che porta fino alla scomunica. Perché non avete rafforzato i ranghi dei tradizionalisti all’interno della Chiesa e lottato per la verità nell’unità con Roma?

In parte, fu sicuramente dovuto alla storia dei Francesi (e il nostro fondatore era francese). Da dopo la Rivoluzione francese, un buon numero di cattolici francesi si sono battuti contro l’errore del liberalismo. Di conseguenza, lì gli avvenimenti durante e dopo il Concilio sono stati percepiti con molta più acutezza e attenzione che in Germania. Non si trattava di errori flagranti, ma di tendenze miranti ad aprire porte e finestre. Le riforme che ne sono seguite lo hanno dimostrato più chiaramente che lo stesso Concilio. Il problema si è cristallizzato con la nuova Messa. A Roma, si diceva a Mons. Lefebvre: «O così o niente, celebri una volta la nuova Messa e tutto rientrerà nell’ordine». I nostri argomenti contro la nuova Messa sono innumerevoli. In effetti, il Messale di Paolo VI è stato redatto in collaborazione con dei teologi protestanti. Se si è forzato per celebrare la nuova Messa, veramente c’è un problema. Ci si voleva costringere.


Il vostro rifiuto della nuova Messa ha rafforzato a sua volta la sua idea, e quelle di Mons. Lefebvre, che la separazione da Roma era voluta da Dio?


Lo ripeto, noi non ci siamo mai separati dalla Chiesa.


Ma le scomuniche parlano da sole. Perché il Papa Benedetto XVI avrebbe dovuto levarle se non esistevano?


Nel Diritto Canonico del 1917, la consacrazione di un vescovo senza il mandato del Papa non era considerata come uno scisma, ma solo come un abuso di autorità, e non comportava la scomunica. L’insieme della storia della Chiesa manifesta un punto di vista diverso sul problema delle consacrazioni episcopali fatte senza mandato del Papa. Questo è molto importante.


Perché è così importante? Nel 1988, il nuovo Codice di Diritto Canonico era già in vigore, e il Codice del 1917 obbligava il vescovo alla fedeltà verso la Santa Sede.

Allora, noi ci trovammo in una situazione di necessità, perché Roma aveva designato un vescovo (per la Fraternità). L’incontro fra il Cardinale Ratzinger e Mons. Lefebvre, il 5 maggio 1988, verteva sulla data della sua consacrazione. Mons. Lefebvre e il Cardinale Ratzinger non arrivarono a mettersi d’accordo. Mons. Lefebvre aveva avanzato una proposta. Io sono sicuro che se il Cardinale Ratzinger avesse accettato immediatamente il 15 agosto come data per la consacrazione, senza cercare di modificare il nome del candidato, Mons. Lefebvre si sarebbe trovato d’accordo. Ma non venne fissata alcuna data. Quando Mons. Lefebvre chiese al Cardinale: «Perché alla fine dell’anno?», egli rispose: «Non lo so, non posso dirlo». Di conseguenza, Mons. Lefebvre pensava che ci si prendesse giuoco di lui. Si trattava certamente di fiducia. E la fiducia è – fino ad oggi – una parola chiave nella nostra storia. Noi lavoriamo a superarla, ma nel frattempo arriva qualcosa di nuovo… E’ veramente penoso (1).


Perché il Cardinale Ratzinger, gran conoscitore e sostenitore della Tradizione cattolica, e amico della Messa tradizionale, non ha potuto dissipare la sfiducia di Mons. Lefebvre?


Egli non capì fino a che punto fossero profondi i motivi di Mons. Lefebvre e l’inquietudine dei fedeli e dei sacerdoti. Molti di loro semplicemente ne avevano fin troppo degli scandali e delle vicissitudini post-conciliari, come del modo in cui veniva celebrata la nuova Messa. Se il Cardinale Ratzinger ci avesse capiti, non avrebbe agito in quel modo. E io credo che egli se ne sia dispiaciuto. Fu per questo, che una volta Papa, cercò di riparare a questi danni con il Motu Proprio e la soppressione della scomunica. Noi gli siamo veramente riconoscenti per i suoi tentativi di riconciliazione..


Ma il Cardinale Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, doveva anche tenere conto delle difficoltà e delle irritazioni degli altri fedeli: è irritante, per esempio, che i membri della Fraternità San Pio X si contraddicano su dei punti così essenziali come la validità della Messa. Certuni dei vostri pretendono che assistendo alla nuova Messa, che essi considerano come «eretica», non si assolva il precetto domenicale.


Devo contestare fermamente la cosa: certo, noi parliamo della invalidità di molte Messe. Ma pretendere che tutte le Messe siano invalide non è la posizione della Fraternità. Noi non abbiamo mai detto questo. Nelle nostre discussioni con Roma, noi abbiamo sempre sottolineato che riconosciamo la validità della nuova Messa quand’essa è celebrata secondo le rubriche e con l’intenzione di fare ciò che è richiesto dalla Chiesa. Bisogna distinguere tra Messa valida e Messa buona. 


Dove sta la differenza per lei?


La nuova Messa comporta delle deficienze e presenta dei pericoli. Certo, ogni nuova Messa non è direttamente uno scandalo, ma la celebrazione ripetuta della nuova Messa conduce ad un indebolimento o perfino ad una perdita della fede. Ogni giorno si vede quanti sempre meno preti credano ancora alla Presenza Reale. Con la Messa antica, la liturgia nutre la fede; si va alla roccia, ci si fortifica in questa fede; certi atti liturgici ci conducono più avanti nella fede, come la fede nella Presenza Reale, nel Sacrificio – solo inginocchiandosi, rispettando il silenzio, osservando il comportamento del sacerdote. Con la nuova Messa, si deve portare da sé la propria fede, si riceve quasi niente direttamente dal rito. Questo rito è piatto.


Ma anche prima della riforma liturgica vi erano dei preti con una fede debole, dei modernisti, degli eretici. I Padri del Concilio, che voi criticate, sono cresciuti con la Messa antica e sono stati ordinati col rito antico. Voi ritenete che le conversioni che si verificano oggi con la nuova Messa – pensi al Nightfever (programma di evangelizzazione nato a Colonia dopo la Giornata Mondiale della Gioventù del 2005 – NDT) siano una illusione?

No, non dico questo. Dico solo che se si riceve un Capo di Stato e si ha possibilità di scegliere tra una tromba d’argento e una di rame, si sceglie quella di rame? Sarebbe un insulto, e non lo si fa. Ora, anche le nuove Messe migliori sono come delle trombe di rame, se paragonate alla liturgia antica. Per il buon Dio si deve scegliere il meglio.


In una omelia, lei ha detto recentemente: «Come possono anche solo osare celebrare una Messa così misera, vuota e piatta? Non si può onorare Dio così» Anche oggi, la nuova Messa è comunque la cosa più importante nella vita dei credenti cattolici, e anche oggi la Chiesa produce dei martiri e dei santi. Perché non fate le distinzioni nella predicazione?


Convengo che bisogna fare delle distinzioni nella discussione teologica. Ma nelle prediche non si può presentare tutto in maniera teologica. Per aiutare le anime è necessaria anche un po’ di retorica, per risvegliare le persone e aprire loro gli occhi.


Papa Francesco vuole tendere una mano alla Fraternità in vista di una riconciliazione. Lei aspetta sempre un accordo o l’occasione è stata mancata?


Io sono ottimista. Ma non posso anticipare l’ora di Dio. Se lo Spirito Santo è capace di influenzare il Papa attuale, farà la stessa cosa col prossimo. Infatti è ciò che è accaduto, anche con Papa Francesco. Quando è stato eletto, ho pensato: adesso arriva la scomunica. Ma è successo il contrario: il Cardinale Müller ha cercato di ottenere la nostra scomunica e Papa Francesco si è rifiutato di attuarla. Me l’ha detto personalmente: «Io non vi condannerò!» La riconciliazione verrà. La nostra Santa Madre Chiesa oggi è incredibilmente lacerata. I conservatori ci vogliono e questo mi è stato detto alla Congregazione per la Dottrina della Fede. I vescovi tedeschi non ci vogliono affatto. Roma deve fare i conti con tutti questi elementi, questo lo comprendiamo. Se noi fossimo accettati semplicemente, ci sarebbe la guerra nella Chiesa. Si teme che noi si possa trionfare. Papa Francesco ha detto a dei giornalisti: «Io mi assicurerò che la cosa non sia un trionfo per essi» (2).


Ma le tensioni e le paure esistono anche in seno alla Fraternità. In Francia, un buon numero di sacerdoti e di laici si sono separati dalla Fraternità perché le discussioni col Vaticano hanno suscitato della sfiducia. La Fraternità, come accoglierà una riconciliazione con Roma? Quanti resteranno? E quanti se ne andranno?

Questo dipenderà da quello che Roma esigerà da noi. Se ci si lascerà continuare così e ci si daranno sufficienti garanzie, nessuno se ne andrà. La sfiducia si basa sulla paura di dover accettare le novità. Se si esigerà da noi di seguire i nuovi cammini, nessuno ci andrà.


Cos’è che la rende così sicura che tutti possano accettare? Il solo annuncio delle discussioni ha provocato contrasti e dimissioni in massa. Quale conclusione potrebbe rassicurare i vostri? La sfiducia non sparirebbe semplicemente dopo un accordo.


E’ vero. Ma vi è della bontà, della benevolenza. Da anni noi lavoriamo di concerto con Roma per ristabilire la fiducia. E abbiamo fatto dei grandi progressi, malgrado tutte queste reazioni. Se arriveremo ad un accordo ragionevole con delle condizioni normali, molto pochi resteranno in disparte. Se si troverà con Roma una buona soluzione, io non temo affatto una nuova divisione nella Tradizione. Ormai noi possiamo contestare certi punti del Concilio. I nostri interlocutori a Roma ci hanno detto: i punti principali – la libertà religiosa, l’ecumenismo, la nuova Messa -  sono delle questioni aperte. Si tratta di un progresso incredibile. Fino ad oggi ci si diceva: dovete ubbidire. Oggi, dei membri della Curia ci dicono: dovreste aprire un seminario a Roma, una Università per la difesa della Tradizione… - Non è più tutto nero o bianco.


Quale sarebbe una soluzione ragionevole?


Una prelatura personale.


Se la forma giuridica è stata trovata e le discussioni con Roma proseguono bene, cos’è che è mancato fino adesso per il passo decisivo?

L’anno scorso, Mons. Pozzo ci ha detto che la Congregazione per la Dottrina della Fede aveva approvato il testo dottrinale che avremmo dovuto firmare. Con quello noi avremmo dovuto accettare una prelatura personale. Un mese e mezzo dopo, il Cardinale Müller decise di rivedere quel testo e di esigere un’accettazione più chiara del Concilio e della legittimità della nuova Messa. Prima ci sono stati aperti dei mezzi di discussione, poi ci sono stati chiusi. Che si esige veramente da noi? Il demonio è all’opera. E’ un combattimento spirituale.


Personalmente, ha fiducia nel Santo Padre, il Papa Francesco?


Noi abbiamo delle relazioni molto buone. Se gli facciamo sapere che siamo a Roma, la sua porta ci viene aperta. Egli ci aiuta ad un livello più basso. Per esempio, ci ha detto: «Ho dei problemi quando faccio qualcosa di buono per voi. Io aiuto i protestanti e gli anglicani, perché non posso aiutare dei cattolici?» Certuni vogliono impedire un accordo, perché noi saremmo un elemento perturbante per la Chiesa. Il papa si trova tra due fuochi.

(Sorride, e mostra una lettera manoscritta che lo stesso Santo Padre gli ha indirizzata in francese, che comincia col saluto: «Caro fratello, caro figlio»).

NOTE

1 – E la redazione di Tagespost aggiunge: «Il Papa emerito ha confidato alla redazione che non si ricordava più dei dettagli, ma che era quasi certo che la questione del candidato proposto aveva svolto un ruolo solo secondario. Giovanni Paolo II aveva fermamente accettato una consacrazione di un vescovo. Fissare una data non riguardava la sua missione (del Cardinale Ratzinger). Mons. Lefebvre aveva firmato il protocollo alla fine dei colloqui, e, se egli avesse mantenuto il suo sì, avrebbe significato un accordo. Come convenuto, un collaboratore della Congregazione per la Dottrina della Fede, l’indomani si recò ad Albano per ritirare il documento. Con grande sorpresa di tutti, Mons. Lefebvre spiegò che non aveva potuto  prendere sonno per tutta la notte e che aveva concluso che di fatto si voleva utilizzare quell’accordo per distruggere la sua opera.»

2 – Allusione alla risposta del Papa alla domanda di Nicolas Senèze (La Croix) di ritorno dal pellegrinaggio a Fatima, il 13 maggio 2017: «Un accordo è prossimo? Non sarebbe il ritorno trionfale dei fedeli che dimostrano ciò che significa essere veramente cattolici?». Risposta di Francesco: « Io scarterò ogni forma di trionfalismo. Completamente», che conclude: «Per me non è un problema di vincitori o di perdenti, ma di fratelli, che devono camminare insieme cercando la formula per fare dei passi in avanti.»





luglio 2018

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