Intervista esclusiva rilasciata da Mons. Lefebvre
a Fideliter
a un anno dalle consacrazioni

giugno 1989






L'intervista è stata pubblicata su Fideliter n° 70, luglio agosto 1989

ed è stata riproposta dal sito della Fraternità in Francia
 La Porte Latine

I neretti nelle risposte di Mons. Lefebvre sono nostri



Un anno fa, il 30 giugno, nel corso di una cerimonia di cui tutti coloro che vi hanno assistito hanno conservato un ricordo pieno di ammirazione ed emozione, S. Ecc. Monsignor Lefebvre consacrava quattro vescovi, assistito
da S. Ecc. Monsignor de Castro Mayer, in qualità di co-consacrante.
In occasione di questo primo anniversario, Mons. Lefebvre ha voluto benevolmente rispondere alle domande di
Fideliter ed esprimere la sua profonda soddisfazione per questo evento che ha qualificato come miracoloso.


Fideliter: Monsignore, di questa decisione di voler consacrare dei vescovi, Lei ne parlava già da un po’ di tempo. Ha anche scritto al Papa insieme a Mons. de Castro Mayer, per informarlo della vostra decisione. Lei ha fatto anche una dichiarazione al periodico italiano Trenta Giorni, nella quale da detto in particolare: «Se questo è il mio dovere, consacrerò dei vescovi» Affermazione che Lei ha confermato in occasione delle ordinazioni del 1987. Era la prima volta che Lei ne parlava in pubblico. E questo ha fatto scattare una specie di processo. Alla fine del mese di luglio, Lei ha ricevuto una lettera dal cardinale Ratzinger, la quale le aveva permesso di dire, in occasione della cerimonia del 40esimo anniversario del suo episcopato: «Effettivamente, mi sembra che vi sia qualcosa di cambiato a Roma, perché ciò che mi si propone indica quantomeno che vi è un nuovo modo di vedere le cose». Poi vi sono stati diversi scambi che hanno portato ai colloqui del maggio 1988, che sono sfociati nel Protocollo che forse avrebbe potuto portare a raggiungere un accordo; Protocollo che Lei firmò senza entusiasmo, perché l’indomani Lei giunse a considerare che le procrastinazioni del cardinale Ratzinger sulla scelta di un vescovo portavano a pensare che in definitiva si cercava di ingannarla. Allora, Lei prese la decisione di consacrare quattro vescovi, decisione irreversibile che Lei rese pubblica nella conferenza stampa del 15 giugno.
Forse sarebbe bene ricordare perché, a quale scopo, Lei prese effettivamente quella decisione gravida di conseguenze; all’epoca Lei non ignorava che essa avrebbe suscitato una reazione assai violenta da parte di Roma. Lei quindi accettò di correre il rischio di essere scomunicato, di essere qualificato come scismatico, perché con quelle consacrazioni voleva assicurare la continuità nella trasmissione del sacerdozio e dei sacramenti.

Mons. Lefebvre: Sì, evidentemente c’è stata una preparazione. Una cosa del genere non si fa da un giorno all’altro. Da diversi anni, io cercavo di far capire a Roma che avanzando con l’età mi era necessario assicurare una successione, che qualcuno un giorno o l’altro prendesse il mio posto. Non si possono avere dei seminari e dei seminaristi senza un vescovo; gli stessi fedeli hanno bisogno di un vescovo per la trasmissione della fede e dei sacramenti, in particolare quello della Cresima. A Roma si era molto coscienti di questo. Io ne avevo fatto allusione a più riprese e alla fine ho finito col farlo pubblicamente. A Roma non possono dire che io li abbia presi alla sprovvista, che non ne sapessero niente e che io abbia fatto la cosa surrettiziamente. Questo non è vero. Loro sono stati avvertiti diversi anni prima sia per lettera, sia tramite le registrazioni delle mie prediche che loro hanno avute, ed anche da una lettera che Mons. de Castro Mayer ed io abbiamo inviato al Santo Padre.
Io penso che sia stato questo a determinare un certo cambiamento di attitudine nei nostri confronti. Essi temevano queste consacrazioni episcopali, ma non credevano che io sarei arrivato a farle.
Quando il 29 giugno 1987 ne parlai pubblicamente, il cardinale Ratzinger rimase per lo meno un po’ turbato. A Roma ebbero paura che io arrivassi veramente a consacrare dei vescovi e fu allora che decisero di attuare un’apertura più grande nei confronti di ciò che noi chiedevamo da sempre e cioè di poter celebrare la Messa, i sacramenti e gli offici pontificali secondo il rito di Giovanni XXIII del 1962. In quel momento sembrava che non avanzassero delle richieste circa l’adesione al Concilio. Non ne parlavano e facevano persino allusione alla possibilità di avere un vescovo che fosse per me un successore.
Si trattava di un cambiamento molto profondo, molto radicale. E a quel punto s’è posta la questione di sapere cosa bisognasse fare. Io andai a Rickenbach a parlare col Superiore Generale e i suoi assistenti per chiedere: che ne pensate? Bisogna accettare la mano che ci è stata tesa? O rifiutarla? Personalmente, dissi loro, non ho alcuna fiducia. Sono anni e anni che frequento questo ambiente, anni che vedo il modo in cui agiscono. Io non ho più alcuna fiducia. Ma io non vorrei che in seguito, nella Fraternità e negli ambienti della Tradizione, si dicesse: avrebbe potuto provare; non le costava niente discutere, dialogare. Fu questo il loro parere e mi dissero: bisogna prendere in considerazione l’offerta fatta e non trascurarla. Quanto meno vale la pena parlare con loro.
Fu a quel punto che accettai di vedere il cardinale Ratzinger e che insistetti molto perché inviassero una visita. Speravo che tale visita avesse il risultato di far vedere i benefici derivanti dal mantenere la Tradizione e al tempo stesso di farne constatare gli effetti. Io pensavo che questo avrebbe potuto rafforzare la nostra posizione a Roma e che le richieste da me avanzate per ottenere più vescovi e una commissione a Roma per difendere la Tradizione, avessero più possibilità di essere soddisfatte.
Ma rapidamente ci accorgemmo che avevamo a che fare con persone che non sono oneste. Già fin dal ritorno del cardinale Gagnon e di Mons. Perl a Roma su di noi veniva espresso disprezzo. Il cardinale Gagnon faceva sui giornali delle dichiarazioni inverosimili. Secondo lui, l’80% delle persone ci avrebbero lasciato se io avessi fatto delle ordinazioni episcopali. Noi desideravamo il riconoscimento, Roma voleva la riconciliazione e che noi riconoscessimo i nostri errori. Quelli che erano venuti in visita da noi dicevano che dopo tutto avevano solo visto l’esteriore e che solo Dio vedeva l’interno e che quindi la visita valeva per ciò che valeva. In breve, delle cose che non corrispondevano a quello che essi avevano detto e fatto nel corso della visita. La cosa appariva inimmaginabile. Tornando in Vaticano essi ritrovavano la cattiva influenza di Roma, ne assumevano la mentalità e si ritorcevano contro di noi, ci disprezzavano di nuovo.
Tuttavia, io andai a Roma per quei colloquii, ma non avevo fiducia. Ai primi del mese di gennaio scrivevo a Don Aulagnier: sono convinto che il 30 giugno consacrerò dei vescovi. Questo sarà l’anno della consacrazione dei vescovi, perché io non ho veramente fiducia.
In effetti, io ho voluto spingermi il più lontano possibile per dimostrare la nostra buona volontà. E allora ci hanno rimesso sotto gli occhi la questione del Concilio, di cui noi non volevamo sentir parlare. E si è trovata una formula accettabile in linea di massima.
In seguito, essi ci hanno accordato la Messa, i sacramenti e i libri liturgici; ma sulla commissione romana e la consacrazione dei vescovi non hanno voluto accettare le nostre richieste. Noi ottenevamo solo due membri su sette nella commissione romana, né il presidente né il vice-presidente e ottenevamo solo un vescovo mentre ne avevamo chiesti tre. Questo era da subito quasi inaccettabile. E quando, anche prima di firmare, noi chiedevamo quando avremmo avuto questo vescovo, c’era la fuga in avanti. Non si sapeva. Nel mese di novembre? Non si sapeva. A Natale? Non si sapeva. Impossibile avere una data.
E allora, dopo aver firmato il Protocollo che doveva aprire la via ad un accordo, io ho riflettuto. Questo accavallarsi di sfiducia e di reticenza mi spinse ad esigere la nomina di un vescovo per il 30 giugno, scelto tra i tre dossier che avevo consegnato il 5 maggio. E così io consacro dei vescovi. E questo avvertimento ha fatto sì che il cardinale Ratzinger dicesse: “Se è così, il Protocollo è abolito. Finito, non c’è più Protocollo. Lei rompe le relazioni”. E’ stato lui a dirlo, non io.
Il 20 maggio, ho scritto al Santo Padre che avevo firmato il Protocollo, ma che tenevo assolutamente ad avere dei vescovi per il 30 giugno.
Così non c’era modo di giungere ad un accordo. Mentre io mettevo alle strette il cardinale Ratzinger, egli mi diceva che ci avrebbero dato un vescovo il 15 agosto, al tempo stesso mi chiedeva degli altri dossier, perché la Santa Sede potesse scegliere un vescovo che avesse “il profilo” desiderato dal Vaticano. Dove poteva portarci tutto questo?
Constatando l’impossibilità di intenderci, il 2 giugno scrissi di nuovo al Papa: inutile continuare i colloqui e i contatti. Noi non abbiamo lo stesso scopo. Voi volete farci rientrare e riconciliarci, noi vogliamo essere riconosciuti così come siamo. Noi vogliamo continuare la Tradizione, come stiamo facendo.
La cosa finì lì. Allora io presi la decisione di fare la conferenza stampa del 15 giugno, perché non volevo agire in maniera segreta. Non si può avere la Tradizione che si mantenga senza vescovi tradizionali. E’ assolutamente indispensabile. Ecco perché la Fraternità San Pietro e Le Barroux si illudono completamente, perché non hanno vescovi tradizionali.


Fideliter: E’ corsa voce che la Fraternità San Pietro possa essere dotata di un vescovo.

Mons. Lefebvre: Quale vescovo? Un vescovo che abbia il profilo che desidera il Vaticano? In questo caso essi avranno un vescovo che molto dolcemente li ricondurrà al Concilio, è evidente. Essi non otterranno mai un vescovo pienamente tradizionale, opposto agli errori del Concilio e alle riforme post-conciliari. E’ per questo che non hanno firmato lo stesso protocollo come noi, perché non hanno un vescovo. Il Protocollo che io ho firmato col cardinale Ratzinger stabiliva quanto meno che noi avremmo potuto avere un vescovo. Quindi, in qualche modo Roma approvava la nomina di un vescovo.
Ci si dice: avete disobbedito al Santo Padre. Disobbedito parzialmente, ma fondamentalmente noi non abbiamo disobbedito. Il cardinale Ratzinger ha dato l’autorizzazione scritta che noi avremmo avuto un vescovo membro della Fraternità. Io ne ho fatti quattro. Ma lo stesso principio di avere uno o più vescovi è stato sancito dal Santo Padre.
Fino a prova contraria, quelli che ci hanno lasciato non hanno ottenuto né un vescovo né alcun rappresentate nella commissione romana. Quindi, essi si sono consegnati mani e piedi legati ai progressisti. In tali condizioni non è possibile arrivare a mantenere la Tradizione. Si dice che sia stato loro accordato tutto quello che desideravano, ma essi si illudono completamente.
Io credo che sia un dovere per me e dunque una necessità per i fedeli e per i seminaristi che si abbiano dei vescovi tradizionali.
Ancora una volta, io non credo che per una comunità sia possibile rimanere fedele alla fede e alla Tradizione se i vescovi non hanno questa fede e questa Tradizione. E’ impossibile. La Chiesa è fatta innanzi tutto di vescovi. Si ha voglia d avere dei sacerdoti, i sacerdoti sono influenzati dai vescovi. Dopo tutto, sono i vescovi che fanno i sacerdoti e che dunque li orientano, con i seminarii, le predicazioni, i ritiri e tutto un insieme di cose. E’ impossibile conservare la Tradizione con dei vescovi progressisti.
Poiché non c’era altro mezzo per noi, io sono molto contento che adesso siamo sicuri di avere dei vescovi che mantengono la tradizione cattolica, che mantengono la fede. Poiché è una questione di fede, e questa non è una piccola cosa; non si tratta di qualche inezia.


Fideliter: Certuni dicono: sì, ma Monsignore Lei avrebbe dovuto accettare un accordo con Roma, perché una volta che la Fraternità fosse stata riconosciuta e fossero state tolte le sospensioni, si sarebbe potuto agire in maniera più efficace all’interno della Chiesa, mentre invece adesso siamo posti all’esterno.

Mons. Lefebvre: Queste sono cose facili a dirsi. Mettersi all’interno della Chiesa? E che vuol dire? E innanzi tutto di quale Chiesa? Se si tratta della Chiesa conciliare, significa che noi che abbiamo lottato contro di essa per 20 anni, perché vogliamo la Chiesa cattolica, avremmo dovuto rientrare in questa Chiesa conciliare per renderla per così dire cattolica. E’ un’illusione totale. Non sono i sottoposti che fanno i superiori, ma i superiori che fanno i sottoposti.
In questa Curia romana, in mezzo a tutti i vescovi del mondo che sono progressisti, noi saremmo stati completamente sommersi. Io non avrei potuto fare niente, né proteggere i fedeli e i seminaristi. Ci avrebbero detto:  bene, vi daremo il tale vescovo per fare le ordinazioni, i vostri seminaristi dovranno accettare dei professori di tale o tal’altra diocesi. Impossibile. Alla Fraternità San Pietro hanno dei professori che vengono dalla diocesi di Augusburg. Chi sono questi professori? Che cosa insegnano?


Fideliter: Non teme che a lungo andare e quando il Buon Dio la chiamerà a Sé, a poco a poco la separazione si accentuerà e si finirà col dare un po’ l’impressione di una Chiesa parallela rispetto a quella che certuni chiamano “Chiesa visibile”?

Mons. Lefebvre: Questa storia della Chiesa visibile, di Dom Gérard e di Madiran, è infantile. E’ incredibile che si possa parlare di Chiesa visibile per la Chiesa conciliare, in opposizione alla Chiesa cattolica che noi cerchiamo di rappresentare e di continuare. Io non dico che noi siamo la Chiesa cattolica. Non l’ho mai detto. Nessuno può rimproverarmi di avermi mai voluto considerare come un papa. Ma noi rappresentiamo veramente la Chiesa cattolica com’essa era un tempo, perché noi continuiamo a fare quello che essa ha sempre fatto. Siamo noi che abbiamo le note della Chiesa visibile: l’unità, la cattolicità, l’apostolicità, la santità. E’ questo che fa la Chiesa visibile.
Madiran aggiunge: e l’infallibilità. Ma sull’infallibilità bisogna tenere presente quello che diceva Don Dulac in una frase suggestiva a proposito di Paolo VI: «Quando nella storia della Chiesa ci sono stati più papi, si poteva scegliere tra i papi. Ma oggi noi abbiamo due papi in uno.» Non abbiamo scelta. Questi di oggi sono infatti dei papi con la doppia faccia. In ciò che rappresentano la tradizione dei Papi, la tradizione dell’infallibilità, noi siamo d’accordo col Papa. Noi siamo legati a lui in quanto continua la successione di Pietro e in forza delle promesse di infallibilità che a lui sono state fatte. E noi siamo legati alla sua infallibilità. E lui stesso, sotto certi aspetti, ontologicamente, si può dire che la rappresenti, ma formalmente gli è contro perché non vuole più l’infallibilità. Egli non ci crede più e non pone in essere degli atti contrassegnati dall’infallibilità. Ecco perché hanno voluto che il Vaticano II fosse un Concilio pastorale e non un Concilio dogmatico, perché essi non credono nell’infallibilità. Essi non vogliono delle verità definitive. Per loro la verità deve vivere e deve evolversi. Essa può cambiare col tempo, con la storia, con la scienza, ecc. L’infallibilità fissa per sempre una formula e una verità che non cambia più. A questo essi non possono credere. Siamo noi che siamo con l’infallibilità, non la Chiesa conciliare. Essa è contro l’infallibilità, questo è assolutamente certo.
Il cardinale Ratzinger è contro l’infallibilità, il Papa è contro l’infallibilità a causa della sua formazione filosofica. Che ci si comprenda bene: noi non siamo contro il Papa quando rappresenta tutti valori della sede apostolica, che sono immutabili, della sede di Pietro, noi siamo contro il Papa che è un modernista che non crede nella sua infallibilità, che fa dell’ecumenismo. Evidentemente, noi siamo contro la Chiesa conciliare che è praticamente scismatica, anche se essi non l’accettano. In pratica, si tratta di una Chiesa virtualmente scomunicata, perché è una Chiesa modernista. E sono essi che ci scomunicano mentre noi vogliamo restare cattolici. Noi vogliamo restare col Papa cattolico e con la Chiesa cattolica. Ecco la differenza.
Che un Madiran, che conosce bene la situazione, dica che noi non siamo la Chiesa visibile, che noi lasciamo la Chiesa visibile che ha l’infallibilità, sono parole che non esprimono la realtà.


Fideliter: Si può essere né pro né contro le consacrazioni ed avere anche il diritto di non pensarne niente e anche esaltare la formazione dei sacerdoti come Lei l’ha praticata fondando Ecône, senza però giungere alla conclusione che per avere dei seminaristi formati al sacerdozio cattolico siano necessarii dei vescovi cattolici per ordinarli?

Mons. Lefebvre: Questi avranno dei vescovi come Mons. de Milleville, che è andato vestito in borghese a fare le ordinazioni a Fontgombault. E se avesse fatto la predica, io mi chiedo cosa avrebbe detto a quei seminaristi e quale esempio avrebbe dato loro.
Questa non è più la Chiesa cattolica, è la Chiesa conciliare con tutte le sue nefaste conseguenze. Essi contribuiscono a distruggere la Chiesa.
Fu già Giovanni XXIII che, come dice Don Dulac, cominciò ad essere due papi in uno. E’ lui che ha voluto l’apertura della Chiesa al mondo. Da allora siamo entrati nell’ambiguità, nell’equivoco, e questo modo di agire è quello proprio del liberale.
Io penso dunque che non debba esserci alcuna esitazione, né alcuno scrupolo di fronte a queste consacrazioni episcopali. Noi non siamo né scismatici, né scomunicati, noi non siamo contro il Papa. Noi non siamo contro la Chiesa cattolica. Noi non facciamo una Chiesa parallela. Tutto ciò è assurdo. Noi siamo quello che siamo sempre stati: cattolici che continuano. Tutto qui. Non bisogna cercare mezzogiorno a mezzanotte. Noi non facciamo una «piccola Chiesa», come scrive Paupert nel suo libro. Quand’egli arriva alla conclusione del suo libro, ciò che scrive fa tremare: “Non so più quel che sono!».
Questo Paupert, che è stato seminarista, se non prete, ha perduto la fede, poi l’ha più o meno ritrovata ed è di spirito un po’ tradizionale, ma ha paura di lasciare la Chiesa conciliare. Allora, egli non sa più se è cattolico o no, se è praticante o no. «Quando oggi mi trovo in una chiesa, ho l’impressione che non sono a casa mia. E’ per questo che non mi comunico».
Egli è un uomo intelligente, ma si trova in una sorta di vicolo cieco in cui non trova l’uscita. E’ inquietante. E questo è il problema di tutti i cattolici che non vogliono assolutamente fare il passo verso la Tradizione. Essi vogliono rimanere con quelli che occupano i posti, con i vescovi, ma non hanno più niente a che vedere con la fede cattolica che hanno praticato quand’erano più giovani e alla quale non hanno la volontà di ritornare. E quando si pensi che milioni di cattolici si trovano in tale situazione, la cosa fa veramente tremare. E’ per questo che molti di loro non vanno più in chiesa la Domenica, che altri entrano nelle sette o addirittura non praticano più e perdono la fede.


Fideliter: Nel suo libro «Ecône, comment dénouer la tragédie» [Ecône, come risolvere la tragedia], Padre de Margerie le consiglia di riconciliarsi con Roma accettando praticamente ciò che Lei ha sempre rigettato. Che ne pensa?

Mons. Lefebvre: Non conosco personalmente Padre de Margerie. E’ pieno di contraddizioni. Si vede bene che è molto imbarazzato nel difendere la libertà religiosa e nel sostenere che essa è conforme alla Tradizione, che non vi è rottura. E’ una posizione insostenibile. Perché i sostenitori della Chiesa conciliare, le personalità più notevoli, come per esempio il Rettore dell’Università del Laterano o Mons. Pavan che è un uomo importante a Roma (è lui che praticamente ha redatto tutte le encicliche sociali dei papi), l’anno scorso, nel mese di maggio al Congresso di Venezia, a proposito della libertà religiosa hanno detto apertamente: Sì, vi è qualcosa di cambiato. Gli altri, come il cardinale Ratzinger e i teologi che hanno scritto numerose opere sulla questione, si sforzano di provare che si tratta della continuazione della Tradizione.
Prima la libertà era essenzialmente in rapporto con la Verità, adesso la libertà è in rapporto con la coscienza umana. Il che significa lasciare alla libertà di coscienza la scelta della Verità. E’ la morte della Chiesa. E’ l’introduzione del veleno della Rivoluzione, l’approvazione dei Diritti dell’uomo da parte della Chiesa. Almeno il Rettore dell’Università del Laterano e Mons. Pavan lo riconoscono. Gli altri diranno ciò che vogliono per cercare di chiuderci la bocca. Ma sta scritto nero su bianco: «Lo Stato, la società civile, è radicalmente incapace di riconoscere quale sia la vera religione».
Tutta la storia della Chiesa a partire da Nostro Signore contraddice una simile affermazione.
E Giovanna d’Arco, e i santi, e tutti i príncipi e i re che sono stati santi, che hanno difeso la Chiesa, erano allora incapaci di discernere la vera religione? Ci si chiede come si possano scrivere simili enormità.
Le risposte alle nostre obiezioni, che ci sono state inviate da Roma con degli intermediarii tendono tutte a dimostrare che non vi è cambiamento, ma continuazione della Tradizione. Si tratta di affermazioni che sono peggiori di quelle della Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa. Si tratta di una vera menzogna ufficiale.
Fintanto che Roma rimarrà attaccata alle idee conciliari: libertà religiosa, ecumenismo, collegialità… si andrà fuori strada. E’ grave perché questo scende fin nelle realizzazioni pratiche. E’ questo che giustifica la visita del Papa a Cuba. Il Papa visita o riceve i capi comunisti torturatori o assassini che hanno sulle mani il sangue dei cristiani, come se fossero degni al pari degli uomini onesti.


Fideliter: C’e stata una parentesi col cardinale Lustiger che non è potuto andare a Kiev.

Mons. Lefebvre: Andando nell’URSS egli ha creduto che Mosca fosse diventata cattolica. E’ una mancanza di giudizio. Il Papa, si dice, avrebbe più o meno accordato a Mosca la designazione del Patriarca ucraino in sostituzione dell’attuale, che era subentrato al cardinale Slipyi, ma si tratterà di un patriarca che sarà evidentemente un agente sovietico come Pimène.
Tutte queste visite fanno il gioco dei sovietici, che finiranno con l’ottenere ciò che desiderano e cioè mettersi gli Ucraini in tasca tramite una gerarchia nelle mani del governo. Esattamente come hanno fatto col cardinale Mindszenty in Ungheria, nominando Lekaï: lo scandalo Lekaï! Un tempo tutti questi cardinali e questi vescovi venivano gettati in prigione perché difendevano la religione cattolica, adesso sono loro che fanno mettere in prigione i sacerdoti che sono veramente cattolici. Noi siamo esattamente nella stessa situazione: i vescovi ci perseguitano perché siamo cattolici. Non è il governo ateo, i socialisti, i massoni che ci perseguitano, sono i vescovi sedicenti cattolici, i vescovi conciliari.
Lo stesso accade nei paesi comunisti, essi hanno dei vescovi conciliari, dei vescovi che appartengono ai «preti per la pace», che sono d’accordo col governo comunista. Lì i persecutori non sono più i governi, ma i vescovi.
Ho ricevuto una lettera da un sacerdote ungherese che mi scrive: quando ci sono dei litigi, il governo è come se fosse il buon papa che cerca di mettere i vescovi d’accordo con i sacerdoti e che assume un ruolo lodevole. E’ inverosimile. Il Papa è la causa di notevoli danni con questo modo di accordare lo stesso rispetto sia all’errore e al vizio sia alla verità e alla virtù. Questo è catastrofico per le persone semplici, è la rovina totale di tutta la morale cristiana, del fondamento stesso della moralità ed anche della vita sociale.


Fideliter: Giovanni Paolo II difende l’unità della famiglia, è contro il matrimonio dei preti, contro l’aborto. Sul piano morale molti ritengono che sia un buon papa.

Mons. Lefebvre: Sì, nei confronti di certi princípi di morale naturale. Si affermano queste cose e poi praticamente si lascia fare senza perseguire i preti che sono favorevoli alla contraccezione. Non vi sono delle prese di posizione energiche. Si tratta di disposizioni generali che fanno talmente parte della morale naturale che non vi si può opporre. Bush, il presidente degli Stati Uniti è contro l’aborto. Sarebbe inimmaginabile che il Papa fosse favorevole.


Fideliter: Giovanni Paolo II ha proceduto a delle nomine di vescovi, in Austria e altrove, che sono considerati piuttosto tradizionali, a tal punto che un gruppo di teologi tedeschi, collegati a dei teologi francesi, criticano il Papa e lo rimproverano.
Anche il cardinale Ratzinger ha pubblicato recentemente quella istruzione sul giuramento di fedeltà con la professione di fede che lo precede, non vede in questo dei segni di una sorta di emendamento e di ritorno a certe formule più tradizionali?

Mons. Lefebvre: Non penso che si tratti di un vero ritorno. E’ come in una battaglia, quando si ha l’impressione che le truppe si spingano un po’ troppo lontano, le si trattiene; si frena un pochino lo slancio del Vaticano II, perché i sostenitori del Concilio vanno troppo oltre. D’altronde, questi teologi hanno torto ad agitarsi, questi vescovi sono tutti acquisiti al Concilio e alle riforme post-conciliari, all’ecumenismo e al carismatismo.
Apparentemente fanno delle cose un po’ più moderate, con un po’ di sentimento religioso tradizionale, ma non in profondità. I grandi princípi fondamentali del Concilio essi li accolgono e li mettono in pratica. Su questo non c’è problema. Al contrario, io direi perfino che sono proprio costoro ad essere i più duri con noi. Sono quelli che esigono più di tutti che ci si sottometta ai princípi del Concilio.
No, è una tattica un po’ necessaria come in ogni battaglia. Bisogna evitare gli eccessi.
D’altronde, il Papa ha appena nominato Mons. Kasper in Germania. Egli era segretario al Sinodo nel 1985, presieduto dal cardinale Danneels di Bruxelles. Kasper era il capo, l’uomo di pensiero del Sinodo. Egli è molto intelligente ed è uno dei più pericolosi. Il Papa lo ha appena nominato vescovo. Egli è un po’ come il vescovo di Tréves che è presidente dell’assemblea episcopale tedesca e che è anch’egli molto pericoloso. Sono tutte persone interamente di sinistra che, in fondo, equivalgono ai Rahner, agli Hans Küng, ma che si guardano bene dal dirlo. Essi assumono degli atteggiamenti per evitare che li si associ a quelli, ma hanno lo stesso spirito. E allora no, io penso che non ci sia da sperare per il momento.


Fideliter: Che pensare infine dell’attitudine di Roma come caratterizzata dai cardinali Ratzinger e Mayer che, fino ad oggi, danno quantomeno prova di una certa tolleranza nei confronti di Le Barroux, della Fraternità San Vincenzo Ferreri e della Fraternità San Pietro. Lei pensa che siano sinceri? O che si tratti di un doppio gioco che andrà avanti per il tempo necessario a dispiegare tutti i mezzi per far rientrare altri gruppi tradizionalisti e una volta raggiunto lo scopo, chiedere ai “riconciliati” con Roma: sottomettevi al Concilio. Si tratta di svolta da iscrivere al loro attivo?

Mons. Lefebvre: Vi sono molti segni che ci dimostrano come tutto questo sia eccezionale e provvisorio. Non si tratta di regole generali rivolte a tutti i sacerdoti e al mondo intero. Si tratta di privilegi eccezionali accordati a dei casi specifici. Così, quello che è stato accordato all’abbazia di Fontgombault o alle Suore di Jouques e ad altri monasteri – non lo dicono – ma è in base all’indulto. Ora, l’indulto è un’eccezione. Esso potrà sempre essere ritirato. L’indulto conferma la regola generale; che è la nuova Messa, la nuova liturgia. Quindi si tratta di un’eccezione fatta per queste comunità.
Noi ne abbiamo un esempio a Londra, dove il cardinale arcivescovo ha inaugurato tre Messe intorno al nostro centro di Messa nella capitale britannica, per cercare di toglierci dei fedeli. «Faccio una prova per sei mesi», ha detto. Se i nostri fedeli incominceranno ad allontanarsi dal nostro centro, egli continuerà. Se al contrario, i fedeli rimarranno con noi, egli le sopprimerà. Se verranno soppresse queste Messe, i fedeli che avranno ripreso gusto alla liturgia tradizionale verranno senza dubbio da noi.
Pare che il cardinale Lustiger stia considerando di dare una chiesa a dei sacerdoti che ci hanno lasciato, ma esigerebbe che vengano celebrate anche delle nuove Messe. Quando a Roma ho discusso col cardinale Ratzinger, egli mi disse che nella prospettiva di un accordo, se fosse stata data l’autorizzazione per usare l’antica liturgia a Saint-Nicolas, bisognava che ci fossero anche delle nuove Messe.
Questo è del tutto chiaro ed illustra bene le loro intenzioni. Per loro non si tratta di abbandonare la nuova Messa, al contrario, e la cosa è evidente. Ecco perché ciò che sembra una concessione, in realtà è solo una manovra per arrivare ad allontanare da noi il maggior numero possibile di fedeli. E’ in questa prospettiva che essi sembrano dare un po’ di più e spingersi ancora più lontano. Dobbiamo assolutamente convincere i fedeli che si tratta di una manovra e che è pericoloso mettersi nelle mani dei vescovi conciliari e della Roma modernista. Questo è il grande pericolo che ci minaccia. Se abbiamo lottato per vent’anni per evitare gli errori conciliari non è per metterci adesso nelle mani di coloro che li professano.


Fideliter: Dopo un anno di esperienza, con i vescovi che Lei ha scelto, si è svolto tutto come Lei desiderava e secondo le direttive che Lei diede loro nella lettera scritta un anno prima?

Mons. Lefebvre: Fino ad oggi sembra che le cose vadano bene. Ci si sforza di fare in modo che non ci si possa rimproverare di assegnare loro una giurisdizione territoriale, che vi sia un vescovo assegnato ad un territorio. Di certo, sembrerebbe più normale che fosse un vescovo francese a recarsi dai Francesi e un vescovo tedesco dai Tedeschi. Ma noi ci siamo sforzati volta per volta di effettuare degli scambi, per non dare adito alla critica. Certo, è normale che negli Stati Uniti sia Mons. Williamson a conferire le Cresime; ma anche Mons. Fellay ha amministrato le Cresime a Saint Mary’s. Non si può dire dunque che gli Stati Uniti siano il feudo di Mons. Williamson. Mons. Fellay è andato anche in Sudafrica, dove era stato prima Mons. Williamson. Quanto a Mons. Tissier de Mallerais, egli è stato nell’America del Sud e a Zaitzkofen in Germania. Noi ci sforziamo di mantenere il principio che non ci siano incarichi territoriali. I vescovi si recano nei vari posti per conferire le ordinazioni e le Cresime, per sostituirmi e per fare quello che io ho fatto per anni.
Per il resto, sono i Superiori dei Distretti ad essere evidentemente assegnati ad un dato territorio e, nella misura in cui possono, andare in aiuto delle anime che li chiamano. Perché queste anime hanno il diritto di avere i sacramenti e la verità per essere salvate. Quindi noi andiamo in loro aiuto, ed è l’appello di queste anime che ci conferisce il diritto previsto dalla legge canonica di recarci da loro.
Io credo dunque che si possa ringraziare il Buon Dio perché tutto si è svolto bene. Gli echi che noi raccogliamo presso i fedeli ci provano che essi sono soddisfatti e che i nostri vescovi sono ben accolti.
Senza dubbio, abbiamo sofferto per la partenza di alcuni sacerdoti e seminaristi; ma è un po’ come il pellegrinaggio a Chartres, si può ringraziare il Buon Dio di aver permesso che coloro che non sono completamente d’accordo con noi, che non comprendono la nostra battaglia se ne vadano. A questo modo siamo più forti e più sicuri nella nostra azione. Diversamente saremmo continuamente alle prese con persone che ci criticano, che al nostro interno non sono d’accordo con noi, e questo comporterebbe la divisione e il disordine.
Come ha sottolineato Don Schmidberger nell’ultimo numero di Fideliter, noi abbiamo avuto dei buoni arrivi nei nostri seminari, e così nelle Suore della Fraternità e in altri gruppi di religiose. Non c’è stato quindi un duro contraccolpo, come speravano certuni, che ci facesse temere una diminuzione considerevole.


Fideliter: Lei ha incontrato recentemente il cardinale Thiandoum, su sua richiesta; ha cercato di aprire una via di riconciliazione?

Mons. Lefebvre: E’ vero, egli aveva insistito perché lo andassi a trovare a Neuilly, presso le Suore di San Tommaso di Villeneuve. E allora ci sono andato. Egli è sempre molto amabile, molto affettuoso, ma per il momento non c’è niente, né da parte di Roma né da parte del cardinale Thiandoum né da parte di alcun altro cardinale. Non v’è alcun tipo di apertura.
Come sempre, io penso che i fatti siano più convincenti delle parole. Ci sono di quelli che mi dicono: potrebbe scrivere una bella lettera al Papa; ma è da vent’anni che scriviamo delle lettere che non servono a niente! Ancora una volta, sono i fatti che parlano. Quando si apre un seminario, si creano dei Priorati, si aprono delle scuole, le Suore aumentano e i conventi si moltiplicano, tutto questo costituisce il solo mezzo per obbligare Roma al dialogo. Non si tratta della mia presenza, ma delle opere. Essi si rendono conto che questo non è poca cosa. I vescovi si innervosiscono un po’ quando ci si installa qua o là, e allora si lamentano con Roma, e Roma sa.
Credo dunque che non sia opportuno tentare qualcosa con Roma. Penso che bisogna attendere. Attendere che sfortunatamente la situazione si aggravi di più presso di loro. Ma fino ad oggi essi non vogliono convenirne.


Fideliter: Se Roma avesse accettato di darle solo un vescovo, il Protocollo di accordo avrebbe potuto portare ad un accordo, e ci si stupisce che questa concessione che non comportava chissà che (un vescovo su quasi tremila vescovi nel mondo) le sia stata rifiutata.

Mons. Lefebvre: Sì, è straordinario, e questo si spiega solo con la paura che hanno della Tradizione. E’ incredibile, ma essi hanno paura di un vescovo tradizionale che lavori contro gli errori conciliari, non lo possono sopportare.

Fideliter: Che ne pensa dell’istruzione del cardinale Ratzinger che istituisce il giuramento di fedeltà e che comporta una professione di fede?

Mons. Lefebvre: Innanzi tutto vi è il Credo, che non comporta alcun problema. Esso è rimasto intatto. Il primo e il secondo paragrafo, anch’essi non sollevano difficoltà. Sono cose correnti dal punto di vista teologico. Ma il terzo paragrafo è molto cattivo. Si tratta praticamente di allinearsi con ciò che oggi pensano i vescovi del mondo intero. D’altronde, nel preambolo è chiaramente indicato che questo paragrafo è stato aggiunto in ragione dello spirito del Concilio. Esso si riferisce al Concilio e al cosiddetto magistero odierno che è quello dei conciliari. Si sarebbe dovuto aggiungere: fintanto che  tale magistero sia in piena conformità con la Tradizione.
Così com’è, questa formula è pericolosa, e questo dimostra qual è lo spirito di questa gente, con cui è impossibile intendersi. E’ assolutamente ridicolo e falso – come hanno fatto alcuni – presentare questo giuramento di fedeltà come una ricomparsa del giuramento antimodernista soppresso dal Concilio. Tutto il veleno sta nel terzo paragrafo, che sembra fatto espressamente per obbligare quelli che si sono riconciliati a firmare questa professione di fede e ad affermare il loro pieno accordo con i vescovi.
E’ come se al tempo dell’arianesimo si fosse detto: adesso siete in accordo con tutto ciò che pensano i vescovi ariani.
Non esagero, è chiaramente espresso nell’introduzione. E’ un inganno. Ci si può chiedere se a Roma non abbiano voluto correggere il testo del Protocollo. Benché esso non ci soddisfi, nell’articolo 3 della dichiarazione dottrinale sembra che sia ancora troppo a nostro favore, perché non esprime appieno la necessità di sottometterci al Concilio.
Quindi, io penso che adesso vogliano recuperare. Senza dubbio faranno firmare questi testi ai seminaristi della Fraternità San Pietro prima della loro ordinazione a sacerdoti, così che questi si troveranno nell’obbligo di fare un ufficiale atto di riunione con la Chiesa conciliare.
A differenza del Protocollo, con questi nuovi testi ci si sottomette al Concilio e a tutti i vescovi conciliari. E’ il loro spirito, e non li si cambierà.


Fideliter: In definitiva, Lei non ha alcun dubbio e non si pente di nulla.

Mons. Lefebvre: Ah, assolutamente no! Io credo che tutto questo sia stato condotto provvidenzialmente e quasi miracolosamente.
Molti mi pressavano: Lei avanza negli anni, se venisse a mancare, cosa diventeremmo… Io avrei potuto ordinare dei vescovi da almeno tre o quattro anni. Sarebbe stato anche ragionevole; ma credo che il Buon Dio volesse che le cose maturassero a poco a poco, per dimostrare a Roma che noi stavamo facendo tutto il possibile per arrivare ad ottenere l’autorizzazione ad avere dei vescovi veramente tradizionali.
Pur firmando il Protocollo, Roma si è rifiutata di darci questi vescovi. E se noi avessimo proseguito, nella pratica avremmo avuto tutte le pene del mondo. Io penso che bisognava arrivare alla decisione che ho preso, eravamo al limite estremo.
Il nostro buon Monsignor de Castro Mayer adesso è così stanco che non può più celebrare la sua Messa, e questo appena un anno dopo le consacrazioni. Credo veramente che tutto sia stato miracoloso: la sua venuta, il suo viaggio, la sua ammirevole professione di fede, l’accettazione di condurre con me la cerimonia delle consacrazioni dei nostri vescovi. E’ stato tutto miracoloso. La stampa non ha colto l’importanza della sua presenza. Ma per me e per i vescovi che sono stati consacrati, si è trattato veramente una grazia tutta particolare. Il fatto che ci fossero due vescovi a consacrarli è molto importante.
Quanto a me, mi sento bene, non ho delle infermità gravi, e tuttavia risento della fatica e sarò obbligato a rinunciare completamente alle cerimonie che accetto ancora di compiere, non ne ho più la forza. Oggi non sarei in grado di fare tutti quei viaggi per il mondo, come facevo prima. Insistono perché io ritorni in Argentina, perché vada negli Stati Uniti a visitare il nuovo seminario di Winona. Ma vi sono dei limiti e io non posso più. Continuo ancora a fare solamente le cose che non mi affaticano: la benedizione di una cappella, la presa del velo delle carmelitane, l’assistenza ad una prima Messa, in definitiva poche cose rispetto alle mie attività precedenti. Io sento che per me anche lo scorso 30 giugno sia stata la data limite. E credo che il Buon Dio volesse che queste cose si svolgessero come è stato. Tutti quelli che hanno assistito a questa cerimonia ne conserveranno un ricordo straordinario. Tutto è stato provvidenziale.
Quello che si può sperare è che i fedeli siano sempre più numerosi, che aprano gli occhi e finiscano col vedere dove si trova la verità, e constatino che la salvezza è nella Tradizione e non nella Chiesa conciliare, che è sempre più scismatica.


Fideliter: Certo saprà che il suo nome è sparito nell’ultima edizione dell’Annuario Pontificio.

Mons. Lefebvre: Io penso che non sia sparito nell’annuario del Buon Dio, almeno lo spero… e questa è la cosa principale.




agosto 2018

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