La Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali

 di Joseph Ratzinger, Papa emerito Benedetto XVI

10 aprile 2019


Pubblicato in vari siti internet stranieri e italiani, a partire dal testo diffuso in tedesco e pubblicato sulla rivista cattolica tedesca Klerusblatt
https://katholisches.info/2019/04/11/benedikt-xvi-warum-es-
zum-missbrauchsskandal-in-der-kirche-kommen-konnte/

Si veda il nostro commento






Dal 21 al 24 febbraio 2019, su invito di Papa Francesco, si sono riuniti in Vaticano i presidenti di tutte le conferenze episcopali del mondo per discutere sulla crisi della fede e della Chiesa; una crisi avvertita in tutto il mondo dopo le scioccanti rivelazioni degli abusi commessi da chierici su minori.

L’ampiezza e la gravità degli incidenti riportati ha profondamente angosciato sia i sacerdoti sia i laici, e ha fatto sì che più di qualcuno abbia messo in discussione la Fede stessa della Chiesa. Era necessario diffondere un forte messaggio e cercare un nuovo inizio, così da rendere di nuovo veramente credibile la Chiesa come luce delle genti e come forza attiva contro le potenze distruttrici.

Avendo io stesso operato, al momento del deflagrare pubblico della crisi e durante il suo progressivo sviluppo, in posizione di responsabilità come pastore nella Chiesa, non potevo non chiedermi – pur non avendo più da Emerito alcuna diretta responsabilità – come a partire da uno sguardo retrospettivo, potessi contribuire a questo nuovo inizio.

Così, dopo l’annuncio dell’incontro dei presidenti delle conferenze episcopali, ho redatto  alcune note con le quali avrei potuto contribuire a dare alcune indicazioni in grado di essere d’aiuto in questo momento difficile.

Dopo aver preso contatti con il Segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin, e con lo stesso Santo Padre, mi è sembrato appropriato pubblicare il testo su “Klerusblatt” [mensile per il clero soprattutto delle diocesi bavaresi].

Il mio lavoro è suddiviso in tre parti.

Nella prima parte, mi propongo di presentare brevemente il più ampio contesto sociale in cui è collocata la questione, senza il quale il problema non può essere compreso. Cerco di mostrare come negli anni ‘60 si sia verificato un evento epocale, di un ordine di grandezza senza precedenti nella storia. Si può affermare che nei vent’anni dal 1960 al 1980, i precedenti standard normativi riguardanti la sessualità collassarono interamente e sorse una nuova normalità che da allora è stata oggetto di laboriosi tentativi di dissesto.

Nella seconda parte mi propongo di segnalare gli effetti di questa situazione sulla formazione dei sacerdoti e sulla loro vita.

Infine, nella terza parte, ho inteso sviluppare alcune prospettive per una risposta appropriata da parte della Chiesa.


I  - Il processo iniziato negli anni ’60 e la teologia morale

1. La situazione ebbe inizio con l’introduzione dei bambini e della gioventù, decretata e sostenuta dallo Stato, alla natura della sessualità. In Germania l’allora Ministra della salute, Käte Strobel, fece produrre un film nel quale, a scopo educativo, veniva rappresentato tutto quello che prima non era permesso mostrare pubblicamente, inclusi i rapporti sessuali. Quello che all’inizio era destinato all’educazione sessuale dei giovani, conseguentemente venne accettato come opzione praticabile.

Effetti simili procurò la «Sexkoffer» [valigia del sesso] diffusa dal governo austriaco [Una controversa “valigia” di materiali per l’educazione sessuale, utilizzata nelle scuole austriache alla fine degli anni ‘80.]. Film pornografici e sul sesso divennero cosa corrente, al punto da essere proiettati nei cinema delle stazioni. Ricordo ancora che un giorno, camminando per la città di Ratisbona, vidi una folla di gente che attendeva davanti a un grande cinema, qualcosa che si era vista solo in tempo di guerra, quando si sperava in qualche distribuzione straordinaria. Ricordo anche che arrivando in città il Venerdì Santo del 1970, vidi tutti i cartelloni pubblicitari tappezzati con grandi manifesti che mostravano due persone completamente nude abbracciate strettamente.

Tra le libertà per le quali la Rivoluzione del 1968 cercò di lottare c’era questa totale libertà sessuale, che non contemplava più alcuna norma.

Il collasso mentale era anche legato alla propensione alla violenza. Questo è il motivo per cui non era più consentito l’uso di film a carattere sessuale sugli aerei, perché tra la piccola comunità dei passeggeri sarebbe scoppiata la violenza. E dal momento che l’abbigliamento dell’epoca provocava ugualmente le aggressioni, i direttori scolastici cercarono anche di introdurre uniformi scolastiche per facilitare un clima di apprendimento.

Parte della fisionomia della Rivoluzione del ‘68 era che anche la pedofilia venne allora considerata come consentita e appropriata.

Per i giovani nella Chiesa, ma non solo per loro, questo fu per molti versi un tempo molto difficile. Mi sono sempre chiesto come in questa situazione i giovani potessero accostarsi al sacerdozio e accettarlo con tutte le sue implicazioni.
Le conseguenze di tutti questi sviluppi furono il diffuso collasso delle vocazioni sacerdotali in quegli anni e l’enorme numero di dimissioni dallo stato clericale.

2. Allo stesso tempo, indipendentemente da questo sviluppo, nello stesso periodo si verificò un collasso della teologia morale cattolica che rese inerme la Chiesa di fronte a quei cambiamenti nella società. Cerco di delineare molto brevemente lo svolgimento di questa dinamica.

Sino al Concilio Vaticano II, la teologia morale cattolica era largamente fondata sulla legge naturale, mentre la Sacra Scrittura era citata solo come sfondo o a supporto. Nella lotta del Concilio per una nuova comprensione della Rivelazione, l’opzione della legge naturale venne ampiamente abbandonata e si richiese una teologia morale interamente fondata sulla Bibbia.

Ricordo ancora come la Facoltà dei Gesuiti di Francoforte preparò un giovane Padre molto dotato (Bruno Schüller) allo scopo di sviluppare una morale basata interamente sulla Scrittura. La bella dissertazione di Padre Schüller mostra il primo passo verso l’elaborazione di una morale fondata sulla Scrittura. Padre Schüller venne poi mandato negli Stati Uniti d’America per proseguire gli studi e tornò con la consapevolezza che non era possibile elaborare sistematicamente una morale solo a partire dalla Bibbia. Egli tentò quindi di elaborare una teologia morale più pragmatica, senza però riuscire a fornire una risposta alla crisi della moralità.

Alla fine si affermò soprattutto l’ipotesi che la moralità dovesse essere determinata solo dai prevalenti scopi dell’agire umano. Anche se il vecchio adagio «il fine giustifica i mezzi» non veniva ribadito in questa forma così rozza, tuttavia questo modo di pensare divenne definitivo. Di conseguenza non poteva esserci più alcunché di fondamentalmente cattivo, ma solo giudizi di valore relativi. Non c’era più il bene assoluto, ma solo ciò che era relativamente migliore, dipendente dal momento e dalle circostanze.

Sul finire degli anni ’80 e negli anni ’90 la crisi della giustificazione e della presentazione della moralità cattolica raggiunse proporzioni drammatiche. Il 5 gennaio 1989 fu pubblicata la «Dichiarazione di Colonia» firmata da 15 professori di teologia cattolici. Essa metteva a fuoco diversi punti critici nel rapporto fra magistero episcopale e compito della teologia. Questo testo, che inizialmente non andava oltre il livello consueto delle rimostranze, molto rapidamente si trasformò in un grido di protesta contro il Magistero della Chiesa e raccolse, in modo visibile e udibile, la potenziale protesta globale contro gli attesi testi magisteriali di Giovanni Paolo II (cfr. D. Mieth, Kölner Erklärung, LThK, VI3,196) [LThK sta per Lexikon für Thologie un Kirche – Lexicon di teologia e Chiesa, che tra gli autori contava Karl Rahner e Walter Kasper].

Papa Giovanni Paolo II, che conosceva molto bene la situazione della teologia morale e la seguiva da vicino, fece preparare un lavoro per un’enciclica che potesse rimettere a posto queste cose. Essa fu pubblicata con il titolo Veritatis splendor il 6 agosto 1993 e scatenò veementi reazioni da parte dei teologi morali. In precedenza, il “Catechismo della Chiesa Cattolica” aveva già presentato in modo convincente e in maniera sistematica la morale proclamata dalla Chiesa.

Non potrò mai dimenticare che Franz Böckle – allora il principale teologo morale tedesco, che era ritornato nella nativa Svizzera dopo il pensionamento -, in vista delle possibili decisioni dell’enciclica Veritatis splendor, dichiarò che se l’Enciclica avesse stabilito che ci sono azioni che sempre e in ogni circostanza vanno considerate malvagie, egli avrebbe contestato la cosa con tutte le risorse a sua disposizione.

Fu Dio, il Misericordioso, che gli impedì di mettere in pratica il suo proposito: Böckle morì l’8 luglio 1991. L’Enciclica fu pubblicata il 6 agosto 1993 e conteneva in effetti l’affermazione che ci sono azioni che non possono mai diventare buone.

Il Papa era pienamente consapevole dell’importanza di tale decisione in quel momento e per questa parte del suo testo aveva consultato di nuovo i migliori esperti che non avevano preso parte alla redazione dell’Enciclica. Egli sapeva che non doveva lasciare alcun dubbio sul fatto che il calcolo morale che comprende il bilanciamento dei beni, deve rispettare un ultimo limite. Ci sono beni che non sono mai soggetti a compromessi.

Ci sono valori che non devono mai essere abbandonati per un valore più grande e perfino superare la preservazione della vita fisica. C’è il martirio. Dio è di più anche della sopravvivenza fisica. Una vita che fosse acquistata a prezzo del rinnegamento di Dio, una vita basata su un’ultima menzogna, è una non-vita.
Il martirio è una categoria fondamentale dell’esistenza cristiana. Il fatto che esso non sarebbe più moralmente necessario, secondo la teoria sostenuta da Böckle e da molti altri, mostra che qui è in gioco l’essenza stessa del cristianesimo.

Tuttavia, in teologia morale, nel frattempo era divenuta pressante un’altra questione: si era ampiamente affermata l’ipotesi che il Magistero della Chiesa avesse competenza definitiva («infallibilità») solo sulle questioni di fede, mentre le questioni relative alla morale non potessero rientrare nello scopo delle decisioni infallibili del Magistero della Chiesa. Probabilmente, c’è qualcosa di vero in questa ipotesi, che giustifica più ampie discussioni. Ma vi è un minimo impianto morale che è indissolubilmente legato al principio fondante della fede e che dev’essere difeso, se non si vuole ridurre la fede a una teoria, mentre invece esso dev’essere riconosciuto in relazione alla vita concreta.

Da tutto ciò emerge come fosse messa radicalmente in discussione l’autorità della Chiesa in campo morale. Quelli che negano alla Chiesa la sua ultima competenza di insegnamento in materia, la costringono a rimanere in silenzio proprio dov’è in gioco il limite fra verità e menzogna.

Indipendentemente da tale questione, in ampi settori della teologia morale si sviluppò l’ipotesi che la Chiesa non abbia né possa avere una propria morale. Si argomenta che tutte le ipotesi morali avrebbero degli equivalenti anche nelle altre religioni e che dunque non potrebbe esistere una esclusiva competenza cristiana sulla morale. Ma alla questione della natura unica della morale biblica, non si risponde col fatto che per ogni singola frase si può trovare un’equivalente nelle altre religioni. E’ piuttosto l’insieme della morale biblica che come tale è nuovo e diverso dalle singole parti.

La dottrina morale della Sacra Scrittura ha la sua unicità nel fatto che si basa in definitiva sul suo ancoraggio all’immagine di Dio, nella fede nell’unico Dio che si è mostrato in Gesù Cristo che ha vissuto come essere umano. Il Decalogo è un’applicazione alla vita umana della fede biblica in Dio. L’immagine di Dio e la morale sono un tutt’uno e producono così quello che è particolarmente nuovo dell’attitudine cristiana verso il mondo e la vita umana. Del resto, sin dall’inizio il cristianesimo è stato descritto con la parola hodòs [Termine greco che sta per via, spesso usato nel Nuovo Testamento nel senso di percorso di crescita].

La fede è un cammino e un modo di vivere. Nella Chiesa antica il catecumenato venne creato come ambito in contrasto con una cultura sempre più depravata, in seno al quale veniva praticato ciò che era specifico e nuovo del modo di vivere cristiano, il quale al tempo stesso veniva salvaguardato rispetto al modo di vivere comune. Io penso che anche oggi sia necessario qualcosa di simile alle comunità catecumenali, così che la vita cristiana possa affermarsi nella sua peculiarità.


II - Prime reazioni ecclesiali

1. Il lungo e continuo processo di dissoluzione della concezione cristiana della morale,  come ho cercato di dimostrare, è stato contrassegnato dl radicalismo senza precedenti degli anni Sessanta. Questa dissoluzione dell’autorità dell’insegnamento morale della Chiesa doveva necessariamente produrre degli effetti nei diversi ambiti della Chiesa stessa. Nel contesto dell’incontro dei presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo con Papa Francesco, è stato di particolare interesse la questione della vita sacerdotale e di quella dei seminari. Riguardo al problema della preparazione al ministero sacerdotale nei seminari, si constata infatti un ampio collasso della forma precedente di questa preparazione.

In diversi seminari si sono formati cricche omosessuali che hanno agito più o meno apertamente e che hanno cambiato significativamente il clima nei seminari. In un seminario nella Germania meridionale i candidati al sacerdozio e i candidati per il ministero laico della pastorale vivevano insieme. Durante i pasti, i seminaristi mangiavano insieme agli specialisti della pastorale, laici coniugati talvolta accompagnati da moglie e figlio e in qualche caso dalle loro fidanzate. In questo seminario il clima non poteva essere d’aiuto per la preparazioni alla vocazione sacerdotale. La Santa Sede sapeva di questi problemi, senza esserne informata con precisione. Come primo passo fu disposta una Visita Apostolica nei seminari degli Stati Uniti.

Dal momento che dopo il Concilio Vaticano II erano anche cambiati i criteri per la selezione e la nomina dei vescovi, pure il rapporto dei vescovi con i loro seminari fu molto diverso. Soprattutto, il criterio per la nomina di nuovi vescovi fu da allora la loro «conciliarità», con tale termine potendosi intendere naturalmente le cose più diverse.

In effetti, in molte parti della Chiesa, l’attitudine conciliare venne intesa come un atteggiamento critico o negativo nei confronti della tradizione fino ad allora esistente, che ora doveva essere sostituita da un nuovo rapporto, radicalmente aperto, con il mondo.
Un vescovo, che in precedenza era stato rettore di seminario, organizzò per i seminaristi la proiezione di film pornografici, presumibilmente con l’intento di renderli in tal modo capaci di resistere ad un comportamento contrario alla fede.
Vi furono singoli vescovi – non solo negli Stati Uniti d’America – che rigettarono la tradizione cattolica nel suo complesso, mirando a sviluppare nelle loro diocesi una sorta di nuova, moderna «cattolicità». Forse vale la pena menzionare il fatto che in non pochi seminari, studenti sorpresi a leggere i miei libri vennero considerati non idonei al sacerdozio. I miei libri venivano nascosti come letteratura dannosa e così venivano letti solo sottobanco.

La Visita che ebbe luogo non portò a nuove scoperte, perché sembra che diverse forze si fossero coalizzate per occultare la situazione reale. Venne disposta una seconda Visita che portò assai più informazioni, ma nel complesso non ebbe conseguenze. Ciononostante, a partire dagli anni ‘70, la situazione nei seminari è generalmente migliorata. E tuttavia si sono avuti solo casi isolati di un nuovo rafforzamento delle vocazioni sacerdotali, perché la situazione generale aveva preso una piega diversa.

2. La questione della pedofilia, per quanto ricordi, è divenuta scottante solo nella seconda metà degli anni‘80. Nel frattempo, negli Stati Uniti, era diventata un problema pubblico, al punto che i vescovi chiesero aiuto a Roma, dal momento che il diritto canonico, così come fissato nel Nuovo Codice del 1983, non appariva sufficiente per adottare le misure necessarie.

In un primo momento Roma e i canonisti romani ebbero delle difficoltà con questa richiesta; a loro avviso, per ottenere purificazione e chiarimento sarebbe dovuta bastare la sospensione temporanea dal ministero sacerdotale. Questo non poteva essere accettato dai vescovi americani perché in questo modo i sacerdoti restavano al servizio del vescovo e sarebbero stati direttamente associati a lui. Solo lentamente cominciò a prendere forma il rinnovamento e l’approfondimento del diritto penale del nuovo Codice, costruito deliberatamente in modo meno rigoroso.

In più, tuttavia, c’era il problema fondamentale della percezione del diritto penale. Solo il cosiddetto garantismo veniva considerato come «conciliare». Questo significava che prima di tutto dovevano essere garantiti i diritti degli accusati, in misura tale da escludere di fatto qualsiasi condanna. Come contrappeso alle opzioni di difesa spesso insufficienti a disposizione dei teologi accusati, il loro diritto alla difesa venne talmente esteso nel senso del garantismo che le condanne divennero difficilmente possibili.

Mi sia consentito a questo punto una breve digressione. Alla luce della portata della cattiva condotta pedofila, salta all’attenzione una parola di Gesù che dice: «Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare». (Matteo 18, 6; Marco 9, 42).

Nel suo significato originario questa frase non parla dell’adescamento di bambini a scopo sessuale. Nel linguaggio di Gesù, l’espressione “uno solo di questi piccoli” indica i comuni credenti che possono essere confusi nella loro fede dall’arroganza intellettuale di coloro che pensano di essere intelligenti. Quindi qui Gesù protegge il deposito della fede con un’enfatica minaccia di punizione di coloro che lo danneggiano.
Il moderno utilizzo di queste parole in sé non è sbagliato, ma non deve occultare il loro senso originario. In base a tale senso diventa chiaro che, contrariamente ad ogni garantismo, non è solo importante il diritto dell’accusato e il suo bisogno di garanzie, ma sono ugualmente importati i grandi beni come la Fede.

Un diritto canonico equilibrato, che corrisponda al messaggio di Gesù nella sua interezza, deve dunque, non solo prevedere la garanzia per l’accusato, il cui rispetto è un bene giuridico, ma deve proteggere anche la Fede, anch’essa un importante bene giuridico. Un diritto canonico costruito nel modo giusto deve dunque contenere una duplice garanzia: la protezione giuridica dell’accusato e la protezione giuridica del bene che è in gioco. Quando oggi si espone questa concezione in sé chiara, in genere ci si scontra con sordità e indifferenza sulla questione della protezione della Fede come bene giuridico. Nella consapevolezza generale del diritto, la Fede non sembra più avere il rango di un bene da proteggere. Questa è una situazione allarmante, che dev’essere considerata e presa seriamente dai pastori della Chiesa.

Vorrei ora aggiungere, alle brevi note sulla situazione della formazione sacerdotale al momento dello scoppio pubblico della crisi, alcune osservazioni sullo sviluppo del diritto canonico in materia.

In linea di principio, per i crimini commessi dai sacerdoti è responsabile la Congregazione per il Clero. Ma dal momento che allora il garantismo dominava ampiamente sulla situazione, concordammo con Papa Giovanni Paolo II che fosse più appropriato attribuire la competenza su questi delitti alla Congregazione per la Dottrina della Fede, col titolo «Delicta maiora contra fidem».

Questa attribuzione rendeva possibile anche l’imposizione della pena massima, cioè l’espulsione dallo stato clericale, che invece non sarebbe stata comminabile con altri titoli giuridici. Non si trattava di un espediente per poter comminare la massima pena, ma una conseguenza dell’importanza della Fede per la Chiesa. Infatti è importante tener presente che tali cattive condotte dei chierici in ultima analisi danneggiano la Fede.

Solo dove la Fede non determina più le azioni dell’uomo sono possibili tali delitti.

La severità della punizione, tuttavia presuppone anche una chiara prova del delitto: questo aspetto del garantismo rimaneva in vigore.

In altri termini: per poter legittimamente comminare la massima pena è necessario un processo penale genuino. Ma sia le diocesi sia la Santa Sede furono sopraffatti da tale requisito. Stabilimmo allora un livello minimo del procedimento penale e lasciammo aperta la possibilità che la stessa Santa Sede avocasse a sé il processo nel caso che la diocesi o l’amministrazione metropolita non fossero in grado di svolgerlo. In ogni caso il processo doveva essere verificato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede perché si garantissero i diritti dell’accusato. Alla fine, però, nella Feria IV (cioè nell’assemblea di tutti i membri della Congregazione), stabilimmo un’istanza d’appello, perché ci fosse la possibilità di un ricorso.

Poiché tutto questo in realtà andava al di là delle capacità della Congregazione per la Dottrina della Fede e si verificavano dei ritardi che invece, a motivo della materia, dovevano essere evitati, Papa Francesco ha avviato ulteriori riforme.


III - Alcune prospettive

1. Cosa dobbiamo fare? Perché le cose possano funzionare, dobbiamo forse creare un’altra Chiesa? Bene, questo esperimento è già stato fatto ed è già fallito. Solo l’amore e l’obbedienza a Nostro Signore Gesù Cristo possono indicarci la via. Proviamo perciò innanzitutto a comprendere in modo nuovo e in noi cosa il Signore vuole ed ha voluto da noi.

In primo luogo, vorrei suggerire quanto segue: se volessimo veramente sintetizzare molto brevemente il contenuto della fede fondata nella Bibbia, potremmo dire che il Signore ha iniziato con noi una storia d’amore e vuole inglobare in essa tutta la creazione. L’antidoto al male che minaccia noi e il mondo intero, in ultima analisi può solo consistere nell’entrare in questo amore. Questo è il vero antidoto al male. La forza del male nasce dal nostro rifiuto di amare Dio. Colui che si affida all’amore di Dio è redento. Il nostro non essere redenti è una conseguenza della nostra incapacità di amare Dio. Imparare ad amare Dio è dunque la strada per l’umana redenzione.

Proviamo adesso a svolgere un po’ più ampiamente questo contenuto essenziale della Rivelazione di Dio. Possiamo dire che il primo fondamentale dono che la Fede ci offre è la certezza che Dio esiste.

Un mondo senza Dio non può essere altro che un mondo senza senso. Da dove proviene infatti tutto quello che è? In ogni caso sarebbe privo di un fondamento spirituale. In qualche modo semplicemente ci sarebbe e basta, senza alcun fine né alcun senso. Quindi non ci sarebbero più criteri del bene e del male. Allora, solo ciò che è più forte dell’altro potrebbe affermare se stesso. La forza sarebbe quindi il solo principio. La verità non conterebbe, in realtà non esisterebbe. Solo se le cose hanno una ragione spirituale, se sono intese e concepite – solo se c’è un Dio creatore che è buono e vuole il bene - la vita dell’uomo può avere un senso.

Che Dio ci sia come creatore e misura di tutte le cose, è innanzitutto un bisogno primordiale. Ma un Dio che non si manifestasse affatto, che non si facesse riconoscere, resterebbe una presunzione e perciò non potrebbe determinare la forma della nostra vita.

Perché Dio sia realmente Dio in questa deliberata creazione, dobbiamo attenderci che Egli si manifesti in una qualche forma. Egli lo ha fatto in molti modi, e in modo decisivo nella chiamata che fu rivolta ad Abramo e diede all’uomo in cerca di Dio l’orientamento   che supera ogni aspettativa: Dio stesso diventa creatura, parla come uomo con noi esseri umani.

In questo modo, l’affermazione «Dio è» diventa in definitiva un vero messaggio gioioso, proprio perché Egli è più che conoscenza, perché Egli genera – ed è - amore. Rendere gli uomini nuovamente consapevoli di questo è il primo e fondamentale compito che il Signore ci assegna.

Una società senza Dio - una società che non Lo conosce e Lo tratta come se non esistesse - è una società che perde la misura di sé. Ai giorni nostri è stato creato lo slogan della “morte di Dio”. Ci è stato assicurato che in una società, quando Dio muore, essa diventa libera. In realtà, la morte di Dio in una società significa anche la fine della sua libertà, perché ciò che muore è lo scopo che fornisce l’orientamento: e perché scompare la bussola che ci indica la giusta direzione, insegnandoci a distinguere il bene dal male.
La società occidentale è una società nella quale Dio è assente nella sfera pubblica e non ha più nulla da offrire. Ed è per questo che è una società nella quale si perde sempre più la misura dell’umano. In singoli punti appare improvvisamente evidente che ciò che è male e distrugge l'uomo è diventato una cosa ovvia.

E’ il caso della pedofilia. Teorizzata solo poco tempo fa come del tutto legittima, essa si è diffusa sempre più. E ora ci rendiamo conto con sorpresa che stanno accadendo cose ai nostri figli e ai giovani, che minacciano di distruggerli. Il fatto che questo possa diffondersi anche nella Chiesa e tra i sacerdoti, deve turbarci in modo particolare.

Come ha potuto la pedofilia raggiungere tali proporzioni? In ultima analisi il motivo sta nell’assenza di Dio. Anche noi cristiani e sacerdoti preferiamo non parlare di Dio, perché è un discorso che non sembra avere utilità pratica. Dopo gli sconvolgimenti della Seconda Guerra Mondiale, noi in Germania avevamo espressamente posto la nostra Costituzione sotto la responsabilità di fronte a Dio come principio guida. Mezzo secolo dopo nella costituzione europea non fu più possibile includere in essa la responsabilità di fronte a Dio come principio guida. Dio viene visto come cosa che riguarda un piccolo gruppo e non può più essere assunto come principio guida della comunità nel suo insieme. Questa decisione riflette la condizione dell’Occidente, dove Dio è divenuto affare privato di una minoranza.

Il compito fondamentale che deve scaturire dagli sconvolgimenti morali del nostro tempo è che noi stessi dobbiamo nuovamente iniziare a vivere per Dio e in Dio. Soprattutto noi stessi dobbiamo imparare di nuovo a riconoscere Dio come fondamento della nostra vita, invece di metterLo da parte come fosse una parola senza efficacia. Io non dimenticherò mai il monito che il grande teologo Hans Urs von Balthasar mi scrisse una volta su una delle sue cartoline: “Non presupporre Dio trino, Padre, Figlio e Spirito Santo, ma tieniLo presente!”».

In effetti, in teologia, spesso Dio viene dato per scontato, ma concretamente di Lui non ci si occupa. Il tema di Dio appare così irreale, così lontano dalle cose che ci riguardano. E tuttavia ogni cosa diventa diversa se Dio non Lo si presuppone, ma Lo si tiene presente. Se non Lo si lascia in qualche modo sullo sfondo ma Lo si riconosce come centro dei nostri pensieri, delle nostre parole e delle nostre azioni.

2. Dio è divenuto uomo per noi. L’uomo come sua creatura è così vicino al Suo cuore che Egli si è unito a lui ed è così entrato nella storia umana in modo molto pratico. Egli parla con noi, Egli vive con noi, Egli soffre con noi, e per noi ha preso la morte su di Sé. Di questo parliamo in teologia con parole e concetti dotti. Ma è proprio in questo modo che corriamo il rischio di diventare signori della Fede, invece di lasciarci rinnovare e dominare dalla Fede.

Consideriamo questo a riguardo di un punto centrale, la celebrazione della Santa Eucaristia. La nostra padronanza dell’Eucaristia può solo destare preoccupazione. Il Concilio Vaticano II si è giustamente concentrato sul riportare questo sacramento della Presenza del Corpo e del Sangue di Cristo, della Presenza della Sua Persona, della Sua Passione, Morte e Risurrezione, al centro della vita cristiana e dell’esistenza stessa della Chiesa. In parte questo è realmente avvenuto e dovremmo essere molto grati al Signore per questo.

E tuttavia è prevalente un’attitudine diversa. Ciò che predomina non è un nuovo profondo rispetto per la presenza della morte e della resurrezione di Cristo, ma un modo di trattare con Lui che distrugge la grandezza del mistero. Il declino della partecipazione alla celebrazione eucaristica della Domenica mostra quanto poco noi cristiani di oggi sappiamo ancora apprezzare la grandezza del dono che consiste nella Sua Presenza Reale. L’Eucaristia è svalutata a mero gesto cerimoniale, quando si dà per scontato che la cortesia richieda che Egli sia offerto a tutti gli invitati per ragioni di famiglia nelle celebrazioni familiari o in occasioni come matrimoni e funerali.

Il modo in cui la gente spesso semplicemente riceve il Santissimo Sacramento nella comunione, come fosse cosa scontata, mostra che molti vedono la comunione come un gesto puramente cerimoniale. Quindi quando si pensa a cosa bisogna fare prima e soprattutto, è abbastanza ovvio che non abbiamo bisogno di una Chiesa fatta a nostro piacimento. Ciò che è necessario prima e soprattutto è il rinnovamento della Fede nella Realtà di Gesù Cristo offertoci nel Santissimo Sacramento.

Nei colloqui con le vittime della pedofilia, ho acquisito con forza la necessità di questa prima e più importante esigenza. Una ragazza che serviva all’altare mi ha raccontato che il cappellano, suo superiore come chierichetta, introduceva sempre l’abuso sessuale che compiva su di lei con le parole: «Questo è il mio corpo che sarà dato per te».

E’ ovvio che questa ragazza non può più ascoltare le parole della consacrazione senza provare di nuovo tutta l’orribile angoscia dell’abuso subito. Sì, dobbiamo implorare urgentemente il perdono del Signore e soprattutto supplicarLo e pregarLo di insegnare nuovamente a tutti noi a comprendere la grandezza della Sua Passione, del Suo Sacrificio. E dobbiamo fare tutto quello che possiamo per proteggere dall’abuso il dono della Santa Eucaristia.

3. Ed ecco infine il Mistero della Chiesa. Restano impresse nella memoria le parole con cui ormai quasi cento anni fa Romano Guardini esprimeva la gioiosa speranza che era stata instillata in lui e in molti altri: «E’ iniziato un evento di incalcolabile importanza, la Chiesa si risveglia nelle anime».

Intendeva dire che la Chiesa non era più vissuta e percepita come un semplice sistema esterno che entrava nella nostra vita, come una sorta di autorità, ma iniziava ad essere percepita come presente nel cuore delle persone: non come qualcosa di meramente esteriore, ma come qualcosa che ci muove dal di dentro. Circa mezzo secolo dopo, riflettendo di nuovo su quel processo e guardando a cosa stava accadendo, fui tentato di capovolgere la frase: «La Chiesa muore nelle anime».

Infatti, oggi la Chiesa viene ampiamente considerata solo come una specie di apparato politico. Si parla di essa quasi esclusivamente per categorie politiche e questo vale persino per dei vescovi che formulano la loro concezione della Chiesa di domani quasi esclusivamente in termini politici. La crisi, causata da molti casi di abusi dei chierici, ci spinge a considerare la Chiesa come qualcosa di quasi inaccettabile, che adesso dobbiamo prendere in mano noi e ridisegnare. Ma una Chiesa fatta da noi non può costituire una speranza.

Gesù stesso ha paragonato la Chiesa a una rete da pesca nella quale stanno pesci buoni e cattivi, che alla fine Dio stesso separerà. C’è anche la parabola della Chiesa come un campo sul quale cresce il buon grano che Dio stesso ha seminato, ma anche la zizzania che un “nemico” di nascosto ha seminato in mezzo al grano. In effetti, la zizzania nel campo di Dio, la Chiesa, è fin troppo visibile e anche i pesci cattivi nella rete mostrano la loro forza. Tuttavia, il campo resta ancora il campo di Dio e la rete rimane la rete da pesca di Dio. E in tutti i tempi c’è e ci sono, non solo la zizzania e i pesci cattivi, ma anche il raccolto di Dio e i pesci buoni. Annunciarli entrambi con forza non è una falsa forma di apologetica, ma un necessario servizio alla Verità.

In questo contesto, è necessario riferirsi ad un importante testo dell’Apocalisse di San Giovanni. Qui il diavolo è identificato come accusatore che accusa i nostri fratelli davanti a Dio giorno e notte (Ap. 12, 10). In questo modo l’Apocalisse riprende un pensiero che sta al centro del racconto che fa da cornice al libro di Giobbe (Gb 1 e 2, 10; 42, 7-16). Lì è detto che il diavolo tenta di screditare davanti a Dio la rettitudine di Giobbe come cosa puramente esteriore. E’ esattamente ciò di cui parla l’Apocalisse: il diavolo vuole dimostrare che non ci sono uomini giusti; che tutta la rettitudine delle persone è solo mostrata all’esterno. Che se uno si avvicina di più ad una persona, l’apparenza della sua giustizia cade rapidamente.

Il racconto di Giobbe inizia con una disputa fra Dio e il diavolo, in cui Dio indicava in Giobbe un vero uomo giusto. Lui verrà usato adesso come un esempio per stabilire chi ha ragione. «Togligli quanto possiede – argomenta il diavolo – e vedrai che nulla resterà della sua pietà». Dio gli permette questo tentativo, dal quale Giobbe esce positivamente. Ma il diavolo continua e dice: «Pelle per pelle; tutto quanto ha, l’uomo è pronto a darlo per la sua vita. Ma stendi un poco la mano e toccalo nell’osso e nella carne e vedrai come ti benedirà in faccia» (Gb 2, 4-5).

Dio concede al diavolo una seconda possibilità; può anche toccare la pelle di Giobbe, solo che gli è negato di ucciderlo. Per i cristiani è chiaro che questo Giobbe, che sta al cospetto di Dio come un esempio per tutta l’umanità, è Gesù Cristo. Nell’Apocalisse di San Giovanni, il dramma dell’umanità ci è presentato in tutta la sua ampiezza.

Al Dio creatore si contrappone il diavolo che dice male di tutta l’umanità e dell’intera creazione. Egli dice, non solo a Dio, ma soprattutto agli uomini: guardate cosa ha fatto questo Dio; apparentemente una creazione buona, ma in realtà piena di miseria e di disgusto. Questa denigrazione della creazione in realtà è un denigrare Dio. Esso vuole dimostrare che Dio stesso non è buono, e così allontanarci da Lui.

L’attualità di quello che qui ci dice l’Apocalisse è ovvia. Oggi, l’accusa contro Dio consiste soprattutto nel connotare la Sua Chiesa come interamente cattiva, e così allontanarci da essa. L’idea di una Chiesa migliore, creata da noi stessi, è in realtà una proposta del diavolo, con la quale vuole allontanarci dal Dio vivente, attraverso una logica menzognera con la quale veniamo ingannati troppo facilmente. No, anche oggi la Chiesa non è fatta solo di pesci cattivi e di zizzania. La Chiesa di Dio esiste anche oggi, e oggi essa è il vero strumento con il quale Dio ci salva.

E’ molto importante opporre tutta la verità alle menzogne e alle mezze verità del diavolo: sì, c’è il peccato nella Chiesa e il male, ma anche oggi c’è pure la Chiesa Santa, che è indistruttibile. Oggi ci sono molte persone che umilmente credono, soffrono e amano, attraverso le quali  il vero Dio, il Dio che ama, mostra Sé stesso a noi. Anche oggi Dio ha i suoi testimoni (martyres) nel mondo. Dobbiamo solo essere vigili per vederli e ascoltarli.

Il termine martire è tratto dal diritto processuale. Nel processo contro il diavolo, Gesù Cristo è il primo e autentico testimone di Dio, il primo martire, al quale da allora innumerevoli ne sono seguiti.

La Chiesa di oggi è più che mai una “Chiesa di Martiri” e così una testimone del Dio vivente. Se ci guardiamo intorno e ascoltiamo con cuore vigile, oggi possiamo trovare testimoni ovunque, specialmente fra le persone semplici, ma anche negli alti ranghi della Chiesa, che si ergono per Dio con la loro vita e la loro sofferenza. E’ pigrizia del cuore non volere accorgersi di loro. Uno dei grandi ed essenziali compiti della nostra evangelizzazione è, per quanto possiamo, stabilire habitat della Fede e, soprattutto, trovarli e riconoscerli.

Io vivo in una casa, in una piccola comunità di persone che scopre di continuo, nella vita di tutti i giorni, questi testimoni del Dio vivente, che segnalano con gioia anche a me. Cercare e trovare la Chiesa vivente è un impegno meraviglioso che ci rafforza e ci rende sempre più gioiosi nella nostra Fede.

Alla fine delle mie riflessioni vorrei ringraziare Papa Francesco per tutto quello che fa per mostrarci di continuo la luce di Dio, che anche oggi non è tramontata. Grazie, Santo Padre!

Benedetto XVI






aprile 2019

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