Intervista di Don Davide Pagliarani
Superiore Generale della Fraternità San Pio X

rilasciata a FSSPX News

12 settembre 2019


pubblicata sul sito Informazioni della Fraternità San Pio X
FSSPX News




Una Chiesa che cammina sulla testa






Signor Superiore Generale, da qui a fine anno sono attesi avvenimenti importanti, come il Sinodo sull’Amazzonia e la riforma della Curia romana. Essi avranno una ripercussione storica sulla vita della Chiesa. Secondo Lei, quale posto occupano nel pontificato di Papa Francesco?

L’impressione che molti cattolici provano attualmente è quella di una Chiesa sull’orlo di una nuova catastrofe. Se facciamo un passo indietro, lo stesso concilio Vaticano II è stato possibile solo perché si è trattato del risultato di una decadenza che affliggeva la Chiesa negli anni che ne hanno preceduto l’apertura: si è rotta una diga sotto la pressione di una forza che era all’opera da un certo tempo. E’ questo che permette il successo delle grandi rivoluzioni, poiché i legislatori non fanno altro che approvare e sanzionare una situazione che era già uno stato di fatto, almeno in parte.

Così, anche la riforma liturgica è stata il compimento di uno sviluppo sperimentale che risaliva al periodo tra le due guerre e che era già largamente penetrato in una parte del clero. Più vicino a noi, sotto questo pontificato, Amoris laetitia è stata la ratificazione di una pratica sfortunatamente già presente nella Chiesa, in particolare per ciò che riguarda la possibilità di potersi comunicare per le persone che vivono in stato di pubblico peccato. Oggi la situazione sembra essere matura per altre riforme eccessivamente gravi.


Può precisare il suo giudizio sull’esortazione apostolica Amoris laetitia, tre anni dopo la sua applicazione?

Nella storia della Chiesa di questi ultimi anni, Amoris laetitia rappresenta ciò che Hiroshima o Nagasaki è stato nella storia moderna del Giappone: umanamente parlando i guasti sono irreparabili. Non v’è dubbio che si è trattato dell’atto più rivoluzionario di Papa Francesco e al tempo stesso quello che è stato il più contestato, anche al di fuori della Tradizione, poiché esso tocca direttamente la morale coniugale, e ha permesso a molti chierici e fedeli di rilevare la presenza di errori gravi. Questo documento catastrofico è stato presentato a torto come l’opera di un personaggio eccentrico e provocatore nelle sue proposte – cosa che certuni vogliono vedere nel Papa attuale. Ma non è esatto, ed è inadeguato semplificare così la questione.


Lei sembra insinuare che questa conseguenza fosse ineluttabile. Perché Lei è così reticente a definire il Papa attuale una persona originale?

In realtà, Amoris laetitia è uno dei risultati che presto o tardi doveva arrivare dopo le premesse poste dal Concilio. Già il cardinale Walter Kasper aveva confessato e sottolineato che ad una nuova ecclesiologia, quella del Concilio, corrisponde una nuova concezione della famiglia cristiana.

In effetti, il Concilio è prima di tutto ecclesiologico, vale a dire che nei suoi documenti ha proposto una nuova concezione della Chiesa. Molto semplicemente, la Chiesa fondata da Nostro Signore non corrisponderebbe più alla Chiesa cattolica. Essa sarebbe più ampia: ingloberebbe le altre confessioni cristiane. Di conseguenza, le comunità ortodosse o protestanti avrebbero l’«ecclesialità» in virtù del battesimo. In altri termini, la grande novità ecclesiologica del Concilio è la possibilità di appartenere alla Chiesa fondata da Nostro Signore secondo modalità e gradi differenti. Da qui la moderna nozione di comunione piena o parziale, si potrebbe dire «a geometria variabile». La Chiesa è divenuta strutturalmente aperta e flessibile. La nuova modalità di appartenenza alla Chiesa, estremamente elastica e variabile, secondo la quale tutti i cristiani sono uniti nella stessa Chiesa di Cristo, è all’origine del caos ecumenico.

Non si pensi che queste novità teologiche siano astratte, esse hanno delle ripercussioni sulla vita concreta dei fedeli. Tutti gli errori dogmatici che attengono alla Chiesa hanno presto o tardi degli effetti sulla famiglia cristiana, poiché l’unione degli sposi cristiani è l’immagine dell’unione fra Cristo e la Sua Chiesa. Ad una Chiesa ecumenica, flessibile e pancristiana corrisponde una nozione di famiglia in cui gli impegni del matrimonio non hanno più lo stesso valore, in cui i legami fra gli sposi, tra un uomo e una donna, non sono più percepiti né definiti alla stessa maniera: diventano anch’essi flessibili.

 
Un papa coerente con i princípi del Vaticano II

Può precisare meglio?


Concretamente, come la Chiesa di Cristo «pancristiana» avrebbe degli  elementi buoni e positivi al di fuori dell’unità cattolica, così si avrebbero per i fedeli degli elementi buoni e positivi anche al di fuori del matrimonio sacramentale: in un matrimonio civile e anche in un’unione qualunque. Come non c’è più distinzione fra la «vera» Chiesa e le «false» chiese – poiché le chiese non cattoliche sarebbero buone quantunque imperfette -, così tutte le unioni diventano buone, perché c’è sempre qualcosa di buono in esse, non foss’altro che l’amore.

Questo significa che in un «buon» matrimonio civile – in particolare quando è contratto tra persone credenti – si possono trovare certi elementi del matrimonio sacramentale cristiano. Non che i due devono essere posti su un piede di eguaglianza, tuttavia l’unione civile non è cattiva in sé, ma semplicemente meno buona! Fino a ieri si parlava di azioni buone o cattive, di vita di grazia o in peccato mortale; oggi ci sono solo azioni buone o meno buone. Forme di vita che abbracciano totalmente l’ideale cristiano e altre che vi corrispondono solo parzialmente. Per riassumere, ad una Chiesa ecumenica corrisponde una famiglia ecumenica, e cioè ricomposta o «ricomponibile» a seconda delle necessità e delle sensibilità.

Prima del concilio Vaticano II, la Chiesa insegnava che le confessioni cristiane non cattoliche erano fuori dall’ambito della vera Chiesa e quindi non facevano parte della Chiesa di Gesù Cristo. La dottrina della Costituzione dogmatica sulla Chiesa: Lumen gentium, n°8, apre la via per riconoscerle come realizzazioni parziali della Chiesa di Cristo. Le conseguenze di questi errori sono incalcolabili e tuttora in pieno sviluppo.

Amoris laetitia è il risultato inevitabile della nuova ecclesiologia insegnata da Lumen gentium ed anche della folle apertura al mondo propugnata dalla Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo: Gaudium et spes. E infatti, con Amoris laetitia, il matrimonio cristiano somiglia sempre più al matrimonio come lo concepisce e lo profana la modernità.

Così l'insegnamento oggettivamente confuso di Papa Francesco non è una strana escrescenza, ma piuttosto la logica conseguenza dei principi enunciati nel Concilio. Egli non fa altro che giungere alle ultime conclusioni… per il momento.


Questa nuova dottrina sulla Chiesa è espressa con un concetto teologico particolare?

 Dopo il Concilio, la nozione di Popolo di Dio ha rimpiazzato quella di Corpo Mistico di Cristo. Essa è onnipresente nel nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983. Ma nel 1985 si è operata una flessione. Sembrò che l’espressione «Popolo di Dio» fosse scomoda, perché autorizzava le derive verso la teologia della liberazione e il marxismo. E allora è stata sostituita con un’altra nozione, anch’essa tratta dal Concilio: l’ecclesiologia di comunione, che permette un’appartenenza alla Chiesa estremamente elastica; con essa, tutti i cristiani sarebbero uniti più o meno nella stessa Chiesa di Cristo, e questo fa sì che il dialogo ecumenico sia divenuto babelico, come nell’incontro di Assisi del 1986. Essa ha l’immagine del poliedro, tanto cara a Papa Francesco: «una figura geometrica che ha diverse facce. Il poliedro riflette la confluenza di tutte le diversità, che conservano in esso la loro originalità. Niente si dissolve, niente si distrugge, niente domina niente».


Trova questa stessa radice ecclesiologica all’origine delle riforme annunciate nell’Instrumentum laboris del prossimo Sinodo sull’Amazzonia o nel progetto di riforma della Curia romana?

Tutto si rifà direttamente o indirettamente ad una falsa nozione di Chiesa. Ancora una volta, Papa Francesco si limita a trarre le ultime conclusioni dalle premesse poste al Concilio. Concretamente, le sue riforme presuppongono sempre una Chiesa all’ascolto, una Chiesa sinodale, una Chiesa attenta alle culture dei popoli, alle loro aspettative ed esigenze, soprattutto alle condizioni umane e naturali proprie del nostro tempo e sempre cangianti. La fede, la liturgia, il governo della Chiesa devono adattarsi a tutto questo ed esserne il risultato.

La Chiesa sinodale sempre all’ascolto costituisce l’ultima evoluzione della Chiesa collegiale, propugnata dal Vaticano II. Per fare un esempio concreto, secondo l’Instrumentum laboris, la Chiesa dev’essere in grado di assumere e far suoi elementi come le tradizioni locali sul culto degli spiriti ed anche le medicine tradizionali amazzoniche che si richiamano ai cosiddetti «esorcismi». Tali tradizioni indigene, radicate in un suolo che ha una storia, fanno sì che tale «territorio sia un luogo teologico e una fonte particolare della rivelazione di Dio». E’ per questo che bisognerà riconoscere la ricchezza di queste culture autoctone, perché «l’apertura non sincera all’altro, al pari di un atteggiamento corporativo che riserva la salvezza solo alla propria fede,  distruggono questa stessa fede».
Si ha l’impressione che invece di lottare contro il paganesimo, l’attuale gerarchia voglia assumerne ed incorporarne i valori. E gli artefici del prossimo Sinodo si richiamano a quei «segni dei tempi» cari a Giovanni XXIII, che bisogna scrutare come segni dello Spirito Santo.


La Chiesa di Cristo non è un forum o una piattaforma

E in particolare, riguardo alla Curia?


Il progetto di riforma della Curia propugna una Chiesa che assomigli più ad un’impresa umana che ad una società divina, gerarchica, depositaria della Rivelazione soprannaturale, in possesso del carisma infallibile di conservare ed insegnare all’umanità la Verità eterna fino alla fine dei tempi. Si tratta, come dice espressamente il testo del progetto, di operare «l’aggiornamento della Curia» «sulla base dell’ecclesiologia del Vaticano II». Quindi nessuna sorpresa nel leggere quanto scritto dei cardinali incaricati di questa riforma: «La Curia agisce come una sorta di piattaforma e un forum di comunicazione riguardo alle Chiesa particolari e alle Conferenze episcopali che hanno bisogno di certe esperienze. La Curia raccoglie le esperienze della Chiesa universale e, a partire da queste, essa incoraggia le Chiese particolari e le Conferenze episcopali … Questa via di comunicazione donata alla Chiesa ha il volto della sinodalità … Popolo dei fedeli, Collegio episcopale, Vescovo di Roma sono all’ascolto gli uni degli altri e tutti sono all’ascolto dello Spirito Santo … Questa riforma è fatta nello spirito di una “sana decentralizzazione” … La Chiesa sinodale consiste nel fatto che “il Popolo di Dio cammina insieme” … Questo servizio della Curia alla missione dei vescovi e alla comunione non si fonda su un’attitudine di vigilanza o di controllo, nemmeno su decisioni prese in quanto autorità superiore…».

Piattaforma, forum, sinodalità, decentralizzazione…, tutto questo conferma la radice ecclesiologica di tutti gli errori moderni. In questo magma informe non vi è più alcuna autorità superiore. E’ la dissoluzione della Chiesa come fu stabilita da Nostro Signore. Fondando la Sua Chiesa, Cristo non ha aperto un forum di comunicazione, né una piattaforma di scambio; Egli ha affidato a Pietro e ai Suoi Apostoli il compito di pascere il Suo gregge, di essere delle colonne di verità e di santità per condurre le anime in Cielo.


Come caratterizzare questo errore ecclesiologico in rapporto alla costituzione divina della Chiesa fondata da Gesù Cristo?

La questione è ampia, ma Mons. Lefebvre ci fornisce un elemento di risposta. Egli diceva che la struttura della nuova Messa corrispondeva ad una Chiesa democratica e non più ad una Chiesa gerarchica e monarchica. La Chiesa sinodale come la sogna Francesco è veramente di tipo democratico. Lui stesso ne ha fornito l’immagine: quella di una piramide rovesciata. Si poteva esprimere meglio ciò che egli intende con la sinodalità? Si tratta di una Chiesa che cammina sulla testa. Ma lo ripetiamo, egli non fa che sviluppare i germi già presenti nel Concilio.


Non pensa che Lei forzi la lettura della realtà attuale, riconducendo tutto ai princípi del concilio Vaticano II che si è svolto più di cinquantenni fa?


E’ uno dei più stretti collaboratori di Francesco che ci dà la risposta, il cardinale Maradiaga, arcivescovo di Tegucigalpa e coordinatore del C 6. Egli ha affermato: «Dopo il concilio Vaticano II, i metodi e il contenuto dell’evangelizzazione, come dell’educazione cristiana, sono cambiati. La liturgia è cambiata (…) La prospettiva missionaria è cambiata: il missionario deve stabilire un dialogo evangelizzatore (…). L’azione sociale è cambiata: non più solo la carità e lo sviluppo dei servizi, ma anche la battaglia per la giustizia, i diritti umani e la liberazione… Seguendo il modello pastorale rinnovato, tutto cambia nella Chiesa». E per mostrare con quale spirito si compiono queste trasformazioni egli ha aggiunto: «Il Papa vuole portare avanti il rinnovamento della Chiesa fino al punto che diverrà irreversibile. Il vento che spinge le vele della Chiesa sul mare alto del suo profondo e totale rinnovamento è la misericordia».


Tuttavia, non si può negare che numerose voci si sono levate contro queste riforme e si può ragionevolmente presumere che questo continuerà nei prossimi mesi. Come giudica queste reazioni?


Ci si può solo rallegrare di queste reazioni e di una progressiva presa di coscienza di molti fedeli e di alcuni prelati circa il fatto che la Chiesa si approssima ad una nuova catastrofe. Queste reazioni hanno il vantaggio e il merito di dimostrare che la voce che muove questi errori non può essere quella di Cristo, né quella del Magistero della Chiesa. Questo è estremamente importante e incoraggiante, malgrado il contesto tragico. La Fraternità ha il dovere di essere attenta a queste reazioni e al tempo stesso di provare ad evitare che esse vadano fuori strada e sfocino in niente.




Il pluralismo conciliare rende strutturalmente inefficace ogni opposizione


Cosa intende dire con questo?

 
Innanzi tutto, bisogna notare che queste reazioni cozzano sistematicamente contro un «muro di gomma» e bisogna avere il coraggio di chiedersi perché. Per fare un esempio: quattro cardinali avevano espresso i loro “dubia” a proposito di Amoris laetitia. Questa reazione era stata sottolineata da molti e salutata come l’inizio di una reazione che avrebbe prodotto dei risultati durevoli. In realtà, il silenzio del Vaticano ha lasciato questa critica senza risposta. Nel frattempo, due di questi cardinali sono morti e Papa Francesco è passato agli altri progetti di riforma di cui abbiamo parlato, il che ha spostato l’attenzione sui nuovi argomenti, lasciando da parte per forza di cose la battaglia su Amoris laetitia, che è stata dimenticata e il contenuto di questa esortazione sembra ormai un fatto acquisito.

Per comprendere questo silenzio del Papa non bisogna dimenticare che la Chiesa sortita dal Concilio è pluralista. E’ una Chiesa che non si fonda più su una Verità eterna e rivelata, insegnata dall’alto con autorità. Noi ci troviamo al cospetto di una Chiesa che è all’ascolto e dunque necessariamente all’ascolto di voci che possono divergere tra loro. Per fare un confronto, in un regime democratico c’è sempre un posto, almeno apparente, per le opposizioni. Queste in qualche modo fanno parte del sistema, perché dimostrano che si può discutere, avere  un’opinione differente, che c’è posto per tutti. Questo, evidentemente, può favorire il dialogo democratico, ma non il ristabilimento di una Verità assoluta e universale e di una morale eterna. In questo modo, l’errore può essere insegnato liberamente a fianco di una opposizione reale ma strutturalmente inefficace e incapace di rimettere le verità al proprio posto. Quindi, ciò che è necessario è uscire dal sistema pluralista, e questo sistema ha una causa: il concilio Vaticano II.


Secondo Lei, che dovrebbero fare questi prelati e questi fedeli che hanno a cuore l’avvenire della Chiesa?

Innanzi tutto occorrerebbe che abbiamo la lucidità e il coraggio di riconoscere che vi è una continuità tra gli insegnamenti del Concilio, dei papi dell’epoca post-conciliare e il pontificato attuale. Per esempio, citare il magistero di «san» Giovanni Paolo II per opporsi alle novità di Papa Francesco è un rimedio sbagliato, fin da subito votato allo scacco. Un buon medico non saprebbe accontentarsi di alcuni punti di sutura per chiudere una ferita, senza prima aver eliminato l’infezione che si trova all’interno della piaga. Lungi da noi biasimare questi sforzi, ma al tempo stesso è una questione di carità indicare ove risiede la radice dei problemi.

Per fare un esempio concreto di questa contraddizione, basta citare un nome per tutti, quello del cardinale Müller. Egli oggi è innegabilmente il più virulento contro Amoris laetitia, l’Instrumentum laboris, il progetto di riforma della Curia. Egli usa delle espressioni molto forti, fino a parlare di «rottura con la Tradizione»; e tuttavia, questo cardinale che trova oggi la forza di denunciare pubblicamente questi errori è lo stesso che ha voluto imporre alla Fraternità San Pio X – in continuità con i suoi predecessori e successori alla Congregazione per la Dottrina della Fede – l’accettazione di tutto il Concilio e del magistero post-conciliare.
Indipendentemente dalla Fraternità e delle sue posizioni, questa critica che si ferma ai sintomi senza risalire alla loro causa rappresenta un illogismo dei più dannosi e più fuorvianti.


La carità di voler «trasmettere ciò che abbiamo ricevuto»

Si obietta spesso che la Fraternità sa solo criticare. Cosa propone Lei positivamente?

La Fraternità non critica in maniera sistematica o a priori. Essa non è una «brontolona» professionista. Essa ha una libertà di tono che le permette di parlare apertamente, senza temere di perdere dei vantaggi che non ha. Nelle circostanze attuali, questa libertà è indispensabile.

La Fraternità nutre soprattutto l’amore per la Chiesa e per le anime. La crisi presente non è solo dottrinale: i seminari chiusi, le chiese vuote, la pratica sacramentale caduta in maniera vertiginosa. Noi non possiamo rimanere spettatori, con le braccia incrociate, dicendo: «tutto questo prova che la Tradizione ha ragione». La Tradizione ha il dovere di venire in aiuto alle anime con i mezzi che le dà la Santa Provvidenza. Noi non siamo mossi da una fierezza orgogliosa, ma dalla carità di voler «trasmettere ciò che abbiamo ricevuto» (I Col. 15, 3). E’ questo che noi ci sforziamo umilmente di fare col nostro lavoro apostolico quotidiano. Ma questo è inseparabile dalla denuncia dei mali che soffre la Chiesa, per proteggere i gregge abbandonato e disperso dai cattivi pastori.


Cosa si aspetta la Fraternità dai prelati e dai fedeli che incominciano a vederci chiaro, al fine di dare un seguito positivo ed efficace alle loro prese di posizioni?

Bisogna avere il coraggio di riconoscere che anche una buona presa di posizione dottrinale non è sufficiente, se non è accompagnata da una vita pastorale, spirituale e liturgica coerente con i princípi che si vogliono difendere, poiché il Concilio ha inaugurato un nuovo modo di concepire la vita cristiana, coerente con la nuova dottrina.

Se la dottrina è riaffermata in tutti i suoi diritti, bisogna passare ad una vita cattolica reale e conforme a ciò che si professa. Senza di questo, questa o quella dichiarazione resterà solo un avvenimento mediatico, della durata di alcuni mesi o perfino di alcune settimane.
Concretamente, bisogna passare alla Messa tridentina e a tutto quello che questo significa; bisogna passare alla Messa cattolica e trarne tutte le conseguenze; bisogna passare alla Messa non ecumenica, alla Messa di sempre, e lasciare che questa Messa rigeneri la vita dei fedeli, delle comunità, dei seminari e soprattutto trasformi i sacerdoti. Non si tratta di ristabilire la Messa tridentina perché è la migliore opzione teorica, si tratta di ristabilirla, di viverla e di difenderla fino al martirio, perché è solo la Croce di Nostro Signore che può far uscire la Chiesa dalla situazione catastrofica nella quale si trova.

Portæ inferi non prævalebunt adversus eam! 
Le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa!
 
Don Davide Pagliarani, Superiore Generale

Menzingen, 12 settembre 2019,
festa del Santo Nome di Maria






settembre 2019

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