Conservare la Tradizione e trasmetterla

15 gennaio 2022


Pubblicata su FSSPX News

Trascrizione integrale della conferenza tenuta da Don Davide Pagliarani, Superiore Generale della Fraternità San Pio X, al termine del XVI Congresso teologico del Courrier de Rome, in collaborazione con DICI. Parigi, 15 gennaio 2022.
E’ stato mantenuto lo stile orale. Le titolazioni nel testo, gli incisi chiarificatori e le note sono a cura di chi ha trascritto la conferenza.






E’ certo che noi ci troviamo in un momento cruciale, un momento triste ma al tempo stesso logico. Siamo arrivati ad un punto che era prevedibile.
Vero è che la Fraternità San Pio X non è direttamente toccata dal motu proprio Traditionis custodes, per le ragioni che conoscete; ma, di fatto, a causa della situazione che si è creata, mai come oggi la posizione della Fraternità San Pio X si presenta come l’unica praticabile, l’unica che regge.

Io non sono la persona più indicata per affermare questo, ma vi sono dei fatti che sono oggettivi, che sono evidenti.

Perché questo? Perché gli Istituti Ecclesia Dei, che sono toccati direttamente dal detto motu proprio, pur non essendo la Fraternità San Pio X, esistono perché esiste la Fraternità San Pio X. La loro origine, da un punto di vista generale, è legata in una maniera o in un’altra alla storia della Fraternità; essi dipendono dalla Fraternità almeno indirettamente. E oggi, questa nuova situazione sottolinea maggiormente la portata del ruolo della Fraternità e della sua missione: e anche, inevitabilmente, la necessità della Tradizione integrale.

La Tradizione è un tutto, perché la fede è un tutto. Adesso, più che mai si misura la necessità di una professione di fede che sia libera. La vera libertà dei figli di Dio è innanzi tutto la libertà di professare la fede.

L’opposizione di Papa Francesco

Apro una parentesi. Noi parleremo inevitabilmente degli Istituti Ecclesia Dei, e io tengo a precisare che sul piano personale io non ho alcunché contro quelli che appartengono a questi Istituti: siano essi fedeli o membri. Noi siamo completamente al di fuori di questa prospettiva di opposizione personale. Sul piano umano, dappertutto vi è della gente simpatica e della gente insopportabile. Questo vale per l’umanità intera e in qualche maniera vale anche per noi. Io tengo a porre questo preambolo perché esso mi permetterà di essere più libero nella mia esposizione.

Il problema non è che la Fraternità San Pio X potrebbe «attaccare gli Istituti Ecclesia Dei». Al momento, è lo stesso Papa Francesco che sembra essere stanco degli istituti Ecclesia Dei, e più in generale di tutti i sacerdoti che sono legati alla Messa tridentina. E giustamente per noi è l’occasione di ritornare su come è cominciata l’Ecclesia Dei.
Il testo, del 2 luglio 1988 (1), contiene la condanna della Fraternità San Pio X, la condanna di Mons. Lefebvre, e tende la mano agli Istituti Ecclesia Dei. Anche se esso è ben noto, vale la pena leggerne qualche passo, per commentarlo alla luce degli ultimi avvenimenti.

Il motu proprio Ecclesia Dei Adflicta

Innanzi tutto, la ragione teologica per la quale Mons. Lefebvre e la Fraternità sono stati condannati: «La radice di questo atto scismatico è individuabile in una incompleta e contraddittoria nozione di Tradizione. Incompleta, perché non tiene sufficientemente conto del carattere vivo della Tradizione, «che - come ha insegnato chiaramente il Concilio Vaticano II - trae origine dagli Apostoli, progredisce nella Chiesa sotto l’assistenza dello Spirito Santo: infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse, cresce sia con la riflessione e lo studio dei credenti, i quali le meditano in cuor loro, sia con la profonda intelligenza che essi provano delle cose spirituali, sia con la predicazione di coloro i quali con la successione episcopale hanno ricevuto un carisma certo di verità».
«Ma è soprattutto contraddittoria una nozione di Tradizione che si oppone al Magistero universale della Chiesa, di cui è detentore il Vescovo di Roma e il Corpo dei Vescovi. Non si può rimanere fedeli alla Tradizione rompendo il legame ecclesiale con colui al quale Cristo stesso, nella persona dell’apostolo Pietro, ha affidato il ministero dell’unità nella sua Chiesa».

Tutto il problema sta qua.

L’atto di Mons. Lefebvre del 1988 – come tutta la storia della Fraternità San Pio X – è un atto di fedeltà alla Chiesa, è un atto di fedeltà al Papa, alla gerarchia, alle anime: indipendentemente da ciò che le autorità romane possono dire o non dire, pensare o non pensare.

Al contrario, con la nozione di Tradizione vivente a cosa si arriva? Nel 1988 si poteva difficilmente prevederlo. Ma ormai siamo arrivati ad Amoris laetitia, siamo arrivati al culto della Terra, siamo arrivati alla Pachamana. E vi sono delle conseguenze che noi ancora non conosciamo, perché con questa nozione evolutiva della Tradizione, con questa nozione dinamica, si può arrivare a qualsiasi risultato. Si è in un’altra dimensione, si è tagliati fuori dalla Tradizione che si radica negli Apostoli, nella Rivelazione, e che è essa stessa una fonte della Rivelazione.

Un po’ più avanti, nello stesso testo del motu proprio, si trova la mano tesa del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II a coloro che diventeranno gli “Ecclesia Dei”.
«Nelle presenti circostanze, desidero soprattutto rivolgere un appello allo stesso tempo solenne e commosso, paterno e fraterno, a tutti coloro che finora sono stati in diversi modi legati al movimento dell’Arcivescovo Lefèbvre, affinché compiano il grave dovere di rimanere uniti al Vicario di Cristo nell’unità della Chiesa Cattolica, e di non continuare a sostenere in alcun modo quel movimento. Nessuno deve ignorare che l’adesione formale allo scisma costituisce una grave offesa a Dio e comporta la scomunica stabilita dal diritto della Chiesa».
«A tutti questi fedeli cattolici, che si sentono vincolati ad alcune precedenti forme liturgiche e disciplinari della tradizione latina, desidero manifestare anche la mia volontà - alla quale chiedo che si associ quella dei Vescovi e di tutti coloro che svolgono nella Chiesa il ministero pastorale - di facilitare la loro comunione ecclesiale, mediante le misure necessarie per garantire il rispetto delle loro giuste aspirazioni».

Voi vedete dove sta il problema: l’unità si fa nella fede. L’unità non si può fare in un indulto, un privilegio che considera una cosa per gli uni e l’opposto per gli altri. Per gli uni, i sacerdoti e i fedeli che vogliono conservare la Messa tridentina è un mezzo per conservare in qualche maniera la Tradizione, ma per le autorità romane . che ora lo ammettono apertamente – è un mezzo per fare arrivare i fedeli progressivamente e completamente alla «Chiesa conciliare», a quel modo di pensare proprio della Chiesa di oggi. Tutto questo fu stabilito, promesso alla luce del protocollo firmato il 5 maggio 1988 [2] dal cardinale Ratzinger e da Mons. Lefebvre.

Veniamo alla saggezza di Mons. Lefebvre.

Questo protocollo che Mons. Lefebvre firmò, che, diciamo, mantenne per diverse ore. Dopo aver passato la notte in preghiera, comprese nella preghiera e nella solitudine ciò che Dio si aspettava da lui. Colui che doveva prendere una decisione di una tale importanza di fronte alla storia, di fronte alla Chiesa e di fronte alle anime, comprese nella solitudine, in quelle ore, ciò che oggi, dopo più di trent’anni, possono comprendere gli stessi “Ecclesia Dei”.

L’esperienza di Benedetto XVI

Una cosa è importante, e anche se è già stata menzionata questa mattina, è importante tornare a ciò che chiamo, per semplificare, “l’esperienza di Benedetto XVI”: Summorum Pontificum [3], che deve essere compreso alla luce dell'«ermeneutica della continuità», questo asse portante del pontificato di Benedetto XVI.

Si diede allora alla Messa tridentina un diritto molto più ampio. Questo ha permesso a un certo numero di sacerdoti di scoprirla e di celebrarla – bisogna riconoscerlo – molti sacerdoti hanno incominciato a interrogarsi sul loro sacerdozio e a interrogarsi sul Concilio, sulla nuova Messa. Ed è proprio questo processo che ha fatto paura al Vaticano.
Ma la prospettiva di quel motu proprio, rimasto imperfetto, era fondata su un errore: due forme dello stesso rito e soprattutto, aggiungerei, l’illusione di migliorare qualcosa nella crisi attuale senza mettere in discussione le cause della crisi. Fu questo l’errore di Benedetto XVI, il limite del suo motu proprio: la cosa non poteva funzionare. Poteva funzionare per un certo tempo, ma presto o tardi doveva sfociare in ciò che è sfociato.

Non si possono correggere degli errori senza riconoscerli come tali e senza rigettarli. Questo è capitale. L’ermeneutica della continuità ha cercato di «superare», di cortocircuitare questi problemi. La Chiesa ha qui una lezione da trarre per l’avvenire.

Quante volte ci siamo posti la domanda: quando si può correggere il Concilio? Bisogna rigettare il Concilio? Lo si può dimenticare? Si potrà salvare tutto ciò che c’è di buono nel Concilio? Perché il Concilio contiene solo errori... in questo dobbiamo essere realisti. Il Concilio contiene solo errori, è metafisicamente impossibile. L’errore è sempre mischiato con la verità Ma siamo onesti, e realisti. Ciò che ha fatto il Concilio, ciò che è la colonna vertebrale del Concilio, il Concilio reale, è il Concilio della nuova Messa, è il Concilio dell’ecumenismo, è il Concilio della dignità umana, è il Concilio della libertà religiosa. Sono questi gli elementi, sono questi gli errori che hanno cambiato la Chiesa. Il vero Concilio che ha messo a soqquadro la Chiesa è questo!

Tutto il resto dei documenti conciliari - sto semplificando un po’ - tutte le citazioni dei Padri della Chiesa, le citazioni dei concili precedenti sono piuttosto una cornice – una bordura - di tutti questi elementi che sono gli elementi centrali. Bisogna essere onesti, questo Concilio reale deve essere rigettato. La Chiesa non può essere rigenerata se non lo rigettiamo. Abbiamo l’esperienza di Benedetto XVI, la cosa non può riuscire: mettere la verità accanto all’errore, mettere le due Messe una accanto all’altra perché una possa «fecondare» l’altra, «la riforma della riforma nella continuità»... È un’illusione.

Lo si sa. Si conoscono questi principii teoricamente, speculativamente, ma abbiamo una prova concreta estremamente utile per l’avvenire.

L’errore e la verità non possono camminare insieme

La pontificia Commissione Ecclesia Dei, incaricata di supervisionare e di guidare gli istituti “Ecclesia Dei” e stata soppressa esattamente tre anni fa, nel gennaio del 2019. 
Io vi cito un estratto della lettera del Papa in cui comunica questa decisione:
«Considerando mutate oggi le condizioni che avevano portato il santo Pontefice Giovanni Paolo II alla istituzione della Pontificia Commissione Ecclesia Dei;
constatando che gli Istituti e le Comunità religiose che celebrano abitualmente nella forma straordinaria, hanno trovato oggi una propria stabilità di numero e di vita».

In altre parole, gli Istituti Ecclesia Dei sono stati sufficientemente reintegrati e quindi la Commissione incaricata di proteggerli viene soppressa.

Mons. Arthur Roche (4) Prefetto della Congregazione per il Culto Divino, è spesso citato perché mai un’autorità ufficiale è stata così esplicita e così chiara. Nella sua risposta al Cardinale Vincent Nichols (5), Arcivescovo di Westminster, Mons. Roche ha scritto (6):
«La falsa interpretazione e la promozione dell’uso di questi testi [liturgici tradizionali], come risultato di concessioni puramente limitate accordate dai Pontefici precedenti, è stata utilizzata per incoraggiare una liturgia che diverge dalla riforma conciliare [e che infatti è stata abrogata dal Paolo VI] e una ecclesiologia che non fa parte del Magistero della Chiesa. […] E’ chiaro che il principale commento alla nuova legge che regola la possibilità di concedere l’uso dei testi liturgici precedenti a titolo di concessione eccezionale, e non di promozione, è la lettera di Papa Francesco ai vescovi. È anche chiaro che queste concessioni eccezionali dovrebbero essere concesse solo a coloro che accettano la validità e la legittimità della riforma liturgica del Concilio Vaticano II e del magistero dei Sommi Pontefici. Tutto il contenuto della nuova legge è diretto al ritorno e alla stabilizzazione della liturgia come decretato dal Concilio Vaticano II».
Questo è sufficientemente chiaro.

Facciamo un piccolo passo indietro. Io mi ricordo che nel 2016, il vescovo incaricato da Roma per negoziare con la Fraternità San Pio X aveva detto: «Non vedo perché bisognerebbe imporvi il Concilio. In definitiva non si chiede ai fedeli che vanno a Messa nella parrocchia se accettano il Concilio. Perché bisogna imporlo a voi?». Questo è esattamente l’inverso di quanto afferma oggi Mons. Roche. E in effetti, durante una trattativa, si possono sentire cose che non corrispondono perfettamente alla realtà, o almeno promesse che non possono essere mantenute.

Qual è il punto centrale di tutto quello che è stato detto oggi, di tutto quello che è stato sottolineato? Qual è l’intuizione principale di Traditionis custodes? Possiamo riassumere tutto in questo principio: la Messa tridentina non può essere celebrata come espressione della vera Chiesa, della vera fede. E possiamo aggiungere: la sua celebrazione può essere concessa a condizione che non sia celebrata per quello che è veramente. Ecco il paradosso, tutto il problema è lì.

Per gli Istituti Ecclesia Dei torniamo alla situazione del 1988, possiamo dire che oggi essi si trovano di fronte ad una scelta; ancor più di prima, è una scelta urgente tra due opzioni:
- o si conserva la libertà incondizionata di professare integralmente la fede, e si assumono i mezzi proporzionati, lasciando che la Provvidenza si occupi delle conseguenze; questa è la scelta fatta dalla Fraternità San Pio X con Mons. Lefebvre;
- o si sottopone questa possibilità [di celebrare la Messa tridentina] alla volontà di un’autorità che va nella direzione opposta; e che lo dice e lo ammette.

Quest'ultima scelta è un vicolo cieco. È impossibile andare avanti senza l’unione delle volontà. Non si possono mettere insieme due entità le cui volontà vanno in due direzioni opposte. Presto o tardi si arriva alla situazione della crisi attuale. Si dà un privilegio, si dà un indulto; si crea una situazione particolare, traballante; e si aspetta lo spazio di una generazione, per esempio - questi ultimi 30 anni. Ma ciò che è concesso, per alcuni ha un significato e mira a un obiettivo particolare, e per altri mira all’obiettivo opposto. Non si può volere sia il bene delle anime attraverso la Tradizione sia una nuova Chiesa senza la Tradizione.

La storia è maestra di vita

La storia è maestra di vita, di prudenza, e gli Istituti Ecclesia Dei oggi sono di fronte ad una scelta. Tuttavia, essi hanno un vantaggio, che è il senno di poi che Mons. Lefebvre non aveva all’epoca. Cinquant’anni dopo, le persone di buona volontà hanno degli elementi supplementari per valutare ciò che accade nella Chiesa, per valutare anche a lungo termine le conseguenze dei principii che sono stati posti.

Qui non possiamo non dedicare una parola a quella scelta, a quella decisione che Mons. Lefebvre prese più di trent’anni fa, nel 1988, nel momento più cruciale della storia della Fraternità San Pio X.

Non si può spiegare umanamente - con l’esperienza, la saggezza di vita, la cultura, la conoscenza delle persone – non si può spiegare la saggezza della decisione che egli prese nel 1988. Questo non è sufficiente. E’ un segno infallibile di santità, questa capacità di essere mossi dallo Spirito Santo, di vedere le cose chiaramente, quando molte altre interpretazioni potevano ancora essere concepibili, potevano essere prese in considerazione.

Avere il coraggio di prendere una tale decisione che avrebbe condizionato per sempre la Fraternità, la sua persona, e in un certo senso la Chiesa, la Tradizione nella Chiesa; aver preso quella decisione, da solo davanti a Dio in preghiera, una decisione la cui pertinenza, precisione e profondità di visione si coglie più di trenta anni dopo! Tutto questo non può essere spiegato senza ricorrere a quel dono dello Spirito Santo che è il dono del consiglio, grazie al quale un’anima è docile in quanto è santa, in quanto è pura. E’ la storia, maestra di vita, che ci dà la risposta.

Appoggiarsi sull’esigenza della fede

Ritorniamo agli istituti Ecclesia Dei. Dopo il tempo di una generazione, come abbiamo detto, hanno il senno di poi più che sufficiente, si trovano ora di fronte alla scelta che non è tra Summorum Pontificum e Traditionis custodes. Bisogna uscire da questa logica artificiale. Ormai è stata evidenziata una continuità di fondo tra queste diverse misure; anche se materialmente esse sono molto diverse, hanno un fondo comune. La scelta non è tra Summorum Pontificum e Traditionis custodes, tra indulto A o indulto B o privilegio C.
Occorre uscire da questa prospettiva.

La scelta è tra la dichiarazione del 1974 (7) – dichiarazione di adesione e di fedeltà incondizionata e libera alla Roma eterna – e la concessione di un indulto particolare che si conosce già e di cui si conoscono tutte le conseguenze. E’ il rischio di un’impasse definitiva per gli istituti Ecclesia Dei. Non bisogna basarsi sui diritti acquisiti, bisogna basarsi sull’esigenza della fede.

Perché? Si può avere un diritto particolare, un privilegio (8), si può avere un «carisma» nella vostra Congregazione; ma Roma può cambiare le Costituzioni e più ancora può sopprimere delle Congregazioni: essa ha già soppresso i Gesuiti, ha soppresso la Fraternità San Pio X, essa può sopprimere senza problemi – io non le nomino per rispetto – altre Congregazioni, altri Istituti. Roma può farlo.
E se si è lottato per decenni, basandosi solo su particolari privilegi legati a particolari Congregazioni, tutto questo può essere soppresso.

Che cosa è eterno e che rende la nostra battaglia invincibile? E’ la fede. Verbum Domini manet in aeternum (1 P 1, 25).
E’ la fede il fondamento necessario della battaglia attuale, della battaglia per la Tradizione; non un privilegio.

L’uso strumentale della Messa di San Pio V

Vi è un altro aspetto di Traditionis custodes che merita di essere messo in evidenza. Si tratta dell’accusa di utilizzare il Messale tradizionale in maniera strumentale: «voi utilizzate questo Messale come bandiera di un’altra Chiesa, un’altra fede, quella che voi chiamate la vera fede».
Questa è l’accusa che fa Papa Francesco. Ma chi fa di questo Messale un uso strumentale?

Come si è visto questa mattina, la Messa tridentina esprime di per sé un’altra concezione della Chiesa, un’altra concezione della vita spirituale, un’altra concezione del sacerdozio. E’ inevitabile. E d’altronde è per questo che essa ha dovuto essere sostituita con un’altra Messa, che potesse corrispondere ad una nuova concezione della Chiesa, della vita spirituale e del sacerdozio. L’uso di questo Messale tradizionale nella Chiesa non è stato dunque strumentale: è stato l’uso normale della Messa, che ha alimentato la concezione cattolica della vita cristiana.

Di contro, vi è stato un uso strumentale del Messale di San Pio V fatto dalle autorità romane, che l’hanno utilizzato ai loro fini, per portare i cattolici conservatori sulla loro strada. Ma non si giuoca col Messale. Non si giuoca con i sacramenti. Non si può dire: sì, vi è stato dato questo messale per trent’anni, quarant’anni, per farvi passare gradualmente verso la concezione della corrente dominante nella Chiesa … e ora questo tempo di passaggio è finito.

Non si può utilizzare la Messa in questo modo. Stavo per dire che è un uso omeopatico, o piuttosto un abuso omeopatico. Il principio dell’omeopatia è di trattare il male con il principio stesso del male, di provocare nel sistema immunitario una reazione graduale al male che si vuole curare. Le autorità romane hanno fatto la stessa cosa con il Messale di San Pio V, e lo riconoscono. Ma non si può giocare con questo, non si può usare la Messa, considerata come un problema, per curare quel problema nei fedeli. È un uso che si può dire veramente strumentale, ed è inammissibile.

Vi è una sola Redenzione

Possiamo allora concludere. Come trasmettere la Tradizione? Come conservarla? Qual è il ruolo della Fraternità San Pio X?

Umanamente, noi non siamo migliori degli altri. Umanamente, noi non meritiamo più degli altri. Ma la nostra forza, che non è nelle nostre qualità, è altrove. La nostra forza è in ciò a cui non possiamo rinunciare. La nostra forza è nella fede, e nella Tradizione. La nostra forza è nella Messa e nella Messa come bandiera e come stendardo di questa fede e di questa Tradizione.

Nel suo motu proprio, Papa Francesco dice qualcosa di vero – se si fa astrazione di certi contenuti.  E’ vero che la Chiesa ha una sola Messa. E’ vero che la Chiesa ha un solo culto. Ma questo culto unico della Chiesa non è la nuova Messa.
Il problema è tutto qui.

Questo culto unico della Chiesa è la Messa di sempre. E questo perché? Perché vi è una sola Redenzione.

Vedete come nell’Antico Testamento tutto converge verso la Croce, verso il Calvario. Tutta la moltitudine dei diversi sacrifici che offrivano gli Ebrei, in una maniera o in un’altra, rappresenta il Sacrificio della Croce, il quale, nella sua perfezione unica, li riassume tutti. Tutta la vita dello stesso Nostro Signore tende verso la Croce, ha in vista la Passione: per questo ha questa straordinaria unità. Se posso esprimermi così, tutta la vita di Nostro Signore è costruita integralmente attorno ad una sola idea: arrivare alla Croce. E questo Sacrificio della Croce è così perfetto che Nostro Signore lo offre solo una volta.

Ora, la vita della Chiesa, come la vita di ogni anima in particolare, non è altro che il prolungamento di questa idea centrale che unifica tutto. La vita della Chiesa e delle anime redente è una sola dall’unità stessa della Croce, della Redenzione. Vi è un solo Cristo, una sola Croce attraverso la quale noi possiamo adorare Dio ed essere santificati. E dunque è necessariamente questa stessa unità che si ritrova nella Messa, in questa applicazione della Redenzione alla vita della Chiesa, alla vita delle anime. Perché vi è una sola Redenzione, che è perfetta, e dunque un solo modo per perpetuare questa Redenzione, attualizzarla nel tempo per applicarla alle anime: non vi è che una sola Messa cattolica. Non due. Questo prolungamento della nostra Redenzione è una sola perché semplicemente perpetua l’intenzione unica e centrale che sgorgava dall’anima di Nostro Signore e unificava tutta la Sua vita.

Allora, cos’è che vogliamo? Che vuole la Fraternità San Pio X? Noi vogliamo la Croce. Noi vogliamo la Croce di Nostro Signore. Noi vogliamo celebrarla questa Croce e vogliamo entrare nel mistero di questa Croce. Noi vogliamo fare nostra questa Croce. Non vi sono due croci possibili e non vi sono due redenzioni o due Messe possibili.

Qual è l’alternativa a questa unica vita cristiana possibile? E’ l’inutile, frustrante adattamento a una natura umana che in realtà è sempre la stessa; in altre parole, questa idea moderna che dobbiamo adattarci a una natura umana che cambia, che ha sempre bisogno di qualcos’altro. Ma questa idea è falsa. Perché? Perché le fonti del peccato sono sempre le stesse e possono essere curate sempre e solo nello stesso modo.

Questa menzogna – perché è una menzogna – che l’uomo moderno deve essere sempre avvicinato e curato in maniera differente, produce i frutti della menzogna; produce la disintegrazione della vita della Chiesa. Senza questa applicazione della Redenzione, la vita della Chiesa perde il suo principio di unità.

E’ in questo senso che Messa è veramente la nostra bandiera, il nostro stendardo. E in una battaglia lo stendardo è l’ultima cosa che si lascia cadere.

Vi è un’ultima cosa che la Fraternità deve procurare. Ed è capitale. Noi vogliamo questa Messa non unicamente per noi stessi, ma la vogliamo per la Chiesa universale. Noi non vogliamo un altare laterale. Noi non vogliamo il diritto di entrare col nostro stendardo in un anfiteatro ove tutto è permesso. No!

Vogliamo questa Messa per noi stessi e allo stesso tempo per tutti. Non è un privilegio che vogliamo. E’ un diritto per noi e per tutte le anime, senza distinzione. E’ per questo che la Fraternità San Pio X continua e continuerà ad essere un’opera della Chiesa. Perché essa mira al bene della Chiesa; non mira a un privilegio particolare. Dio sceglierà il momento, la modalità, la gradualità, le circostanze. Ma per quanto dipende da noi, vogliamo questa Messa ora, incondizionatamente e per tutti.
Senza entrare in una prospettiva troppo umana che cerca un privilegio particolare; senza entrare in un negoziato in cui si comincia a trattare: ci si dà una chiesa, un orario, l’uso del manipolo, della berretta, la Settimana Santa di San Pio X… No! Noi non vogliamo entrare in questa logica.

Noi vogliamo solo due cose: la fede e la Messa. La dottrina e la Croce che alimentano nell’anima la vita spirituale, la vita morale. Noi li vogliamo adesso, incondizionatamente e per tutti. E se conserviamo questa prospettiva, la Fraternità San Pio X sarà sempre e perfettamente un’opera della Chiesa, che agisce nel cuore stesso della Chiesa e che non ha altro scopo che procurare la salvezza delle anime nella Chiesa e per la Chiesa.


NOTE

1 – Lettera Apostolica Ecclesia Dei adflicta del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II in forma di motu proprio, data a Roma il 2 luglio 1988.
«Viene istituita una Commissione, con il compito di collaborare con i Vescovi, con i Dicasteri della Curia Romana e con gli ambienti interessati, allo scopo di facilitare la piena comunione ecclesiale dei sacerdoti, seminaristi, comunità o singoli religiosi e religiose finora in vario modo legati alla Fraternità fondata da Mons. Lefebvre, che desiderino rimanere uniti al Successore di Pietro nella Chiesa Cattolica, conservando le loro tradizioni spirituali e liturgiche, alla luce del Protocollo firmato lo scorso 5 maggio dal Cardinale Ratzinger e da Mons. Lefebvre» (Ecclesia Dei adflicta, n° 6 a).
2 – Tra il 15 aprile e il 5 maggio 1988, Mons. Lefebvre ritenne di aver ottenuto un buon accordo e assicurato la stabilità e la perennità della sua opera. Così egli partecipò il 4 maggio ad un ultimo colloquio ad Albano e il 5 maggio, a Roma, firmò la dichiarazione del protocollo d’accordo, nella festa di San Pio V. Il protocollo d’accordo che Mons. Lefebvre accettò di firmare prevedeva che «per delle ragioni pratiche e psicologiche appare l’utilità della consacrazione di un vescovo membro della Fraternità» (n° 5, 2). Non era prevista alcuna data. Al momento della firma del protocollo, il Cardinale Ratzinger consegnò a Mons. Lefebvre una lettera, datata 28 aprile 1988, che fece insorgere la confusione la delusione nello spirito dell’uomo di Chiesa.
L’indomani, il 6 maggio, Mons. Lefebvre scrisse al Cardinale Ratzinger: «E’ con grande soddisfazione che ieri ho apposto la mia firma sul protocollo elaborato nei giorni precedenti. Ma lei stesso ha potuto constatare la profonda delusione che ho provato alla lettura della lettera che mi ha consegnata e che conteneva la risposta del Santo Padre a proposito della consacrazione episcopale. Praticamente mi si chiedeva di differire la consacrazione ad una data ulteriore non fissata. Questa sarebbe la quarta volta che differivo la data della consacrazione a più tardi. In una delle mie lettere precedenti indicavo la data del 30 giugno come data limite. Io vi ho trasmesso un primo dossier dei candidati. Rimanevano quasi due mesi per stabilire il mandato. Date le circostanze particolari di queste proposte, il Santo Padre può facilmente snellire la procedura perché il mandato ci sia comunicato a metà giugno. Se la risposta fosse negativa io in coscienza mi vedrei obbligato a procedere alla consacrazione, sulla base dell’approvazione data dalla Santa Sede nel protocollo per la consacrazione di un vescovo membro della Fraternità».
3 – Lettera Apostolica Summorum Pontificum del Sommo Pontefice Benedetto XVI in forma di motu proprio data a Roma il 7 luglio 2007.
4 – Dopo le dimissioni del Cardinale Sarah per ragioni d’età, il 20 febbraio 2021, la carica di Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti era vacante. Il 27 maggio 2021, Papa Francesco ha nominato come nuovo Prefetto l’allora segretario dello stesso dicastero, Mons. Arthur Roche. Nato nel 1950 di nazionalità britannica, egli è stato formato essenzialmente in Spagna prima della sua ordinazione sacerdotale nel 1975 nella diocesi di Leeds (Liverpool, Inghilterra). Dal 1991 al 1996 ha vissuto a Roma, studente alla Gregoriana e direttore spirituale al collegio inglese. Nel 1996 è diventato segretario generale della Conferenza Episcopale di Inghilterra e Galles.
5 – In una lettera del 28 luglio 2021, il Cardinale Vincent Nichols chiede dei chiarimenti sull’applicazione di Traditionis custodes, in sei domande principali. Questa lellera è stata pubblicata sul sito Gloria.tv il 5 novembre 2021, seguita dalla risposta di Mons. Roche in una lettera del 4 agosto. Lo scambio epistolare è stato confermato dal Cardinale Nichols a Catholic News Agency, l’8 novembre 2021.
6  - La lettera di Mons. Roche del 4 agosto 2021, scritta in inglese, è stata tradotta da Jeanne Smits e pubblicata sul suo blog il 9 novembre 2021.
7 – Dichiarazione di Mons. Lefebvre del 21 novembre 1974, che cominciava con queste parole: «Noi aderiamo con tutto il cuore e con tutta l’anima alla Roma cattolica custode della fede cattolica e delle tradizioni necessarie al mantenimento della stessa fede, alla Roma eterna, maestra di saggezza e di verità»
(http://www.unavox.it/Documenti/Doc0286_Dichiarazione_Lefebvre__21.11.1974.html).
8 – In latino, una privata lex, una legge privata.






febbraio 2022

Ritorna a Documenti