Lettera agli amici e benefattori, n° 67
di S. Ecc. Mons. Bernard Fellay  
Superiore generale della Fraternità San Pio X
dicembre 2004


Allegata a questa lettera vi è il testo di 
quella che Mons. Fellay ha inviato al Card. Castrillon Hoyos nel giugno 2004
in risposta alla di lui lettera del 30 dicembre 2003

Lettera agli amici e benefattori n° 67 ­ dicembre 2004

Cari amici e benefattori,
Che in questi giorni benedetti in cui celebriamo l’Avvento di Nostro Signore Gesù Cristo, il Bambino Gesù vi ricolmi dei suoi benefici. Noi Gli chiediamo che vi renda il centuplo delle vostre generosità e della vostra devozione!

La Natività è ricca di lezioni per il nostro tempo. In particolare, il Dio tra noi, il Vero Dio, l’Eterno, l’Onnipotente, il Creatore di tutte le cose e il Sovrano assoluto, viene in mezzo a noi per salvarci.
Pur facendo tesoro e usando al meglio i mezzi che Egli ci dona, noi dobbiamo aspettarci tutto da Lui. "Senza di me non potete fare niente", "È volontà del Padre che voi portiate molti frutti". Queste due frasi non sono del tutto contraddittorie, ma complementari, esse indicano lo sforzo personale e la cooperazione che deve accompagnare la grazia di Dio. Esse ci dicono che con Nostro Signore noi possiamo tutto, quale che sia la situazione nella quale ci veniamo a trovare, come in particolare la nostra, in questo XXI  secolo di inaudita decadenza. I tempi che viviamo potrebbero scoraggiare più di una persona. La ribellione contro Dio si fa sempre più aperta, manifesta, blasfema, nel mondo intero.
Di fronte a questo nuovo diluvio, la Chiesa sembra come inerte, inebetita e senza forza.

Oggi più che mai, noi dobbiamo osservare tutto con lo sguardo della fede, questa fede che vince il mondo, che dona il coraggio di continuare la battaglia, questa fede con la quale si resiste anche al demonio. Cui resistite fortes in fide.
Ed è questa fede che ci fa riconoscere nel piccolo neonato della mangiatoia, il nostro Dio, il Verbo fatto carne, il Salvatore del mondo, e ci chiede di fondare tutto su di Lui. Venite adoremus.

Cogliamo l’occasione di questa lettera per trasmettervi la risposta che abbiamo inviata al Cardinale Castrillon Hoyos nel mese di giugno. Essa esprime la nostra immutata posizione nei confronti di Roma.

Che Nostra Signora vi protegga in questo nuovo anno e ci ottenga quella fedeltà fino alla fine che ci salverà; che Ella vi benedica col Bambino Gesù, come è detto nella liturgia: Nos cum prole pia, benedicat Virgo Maria.

Con tutta la nostra gratitudine, nella festa di Natale 2004

+ Bernard Fellay

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Lettera di risposta al Cardinale Castrillon Hoyos, del giugno 2004

Fraternità Sacerdotale San Pio X
Schwandegg
CH 6313 Menzingen
Tel 41417553636 fax 41417551444

+ Menzingen, le 6 juin 2004

S. Em. il cardinale Castrillon Hoyos

Eminenza Reverendissima,
abbiamo ricevuta la vostra lettera del 30 dicembre, di auguri e di nuove proposte d’accordo. Abbiamo tardato tanto a rispondere perché essa ci ha lasciati perplessi.
Permettetemi di provare a rispondervi con la massima franchezza, solo modo per andare avanti.

Noi siamo sensibili ai vostri sforzi e a quelli del Santo Padre per venirci in aiuto, e riteniamo che questo gesto d’apertura da parte vostra sia certamente molto generoso, tuttavia noi temiamo fortemente che la nostra attitudine e la nostra risposta non vengano comprese.
Quando noi avanzammo, all’inizio delle nostre discussioni, la nostra richiesta di due pregiudiziali, e quando l’abbiamo ripetuta a più riprese, non abbiamo fatto altro che seguire un andamento inevitabile, necessario: prima di piazzare il piano di un ponte, è indispensabile costruirne i piloni. Diversamente l’impresa sarà destinata al fallimento. Noi non vediamo come si possa giungere ad un riconoscimento senza passare per un certo numero di tappe intermedie.
Tra queste tappe, la prima ci sembra debba consistere nel ritiro del decreto di scomunica. 
La scomunica che colpiva gli ortodossi è stato possibile toglierla senza che questi abbiamo mutato alcunché della loro attitudine nei confronti della Santa Sede. 
Non sarebbe possibile fare lo stesso nei nostri confronti? Per noi che non ci siamo mai separati ed abbiamo sempre riconosciuta l’autorità del Sovrano Pontefice, come definita dal Concilio Vaticano I? 
Al momento della nostra ordinazione nel 1988, noi prestammo giuramento di fedeltà alla Santa Sede, abbiamo sempre professato il nostro attaccamento alla Santa Sede e al Sovrano Pontefice, abbiamo preso ogni tipo di precauzione per dimostrare che noi non abbiamo l’intenzione di erigere una gerarchia parallela: non dovrebbe quindi essere così difficile liberarci dall’accusa di scisma…

Per quanto concerne la pena per la ricezione dell’episcopato, il Codice di Diritto Canonico del 1983 prevede che la pena massima non debba applicarsi nel caso in cui il soggetto abbia agito in stato di necessità soggettiva. Se la Santa Sede non vuole concedere che vi fosse una necessità oggettiva, dovrà quanto meno ammettere che noi intendevamo le cose in questo modo.
Una tale misura verrebbe intesa come una reale apertura da parte di Roma e creerebbe un clima nuovo, necessario per andare oltre.
Nello stesso tempo, la Fraternità si sottometterebbe a quello che possiamo chiamare, analogicamente, una visita ad limina, e la Santa Sede potrebbe osservare ed esaminare il nostro sviluppo senza che si abbia ancora un qualche impegno delle due parti.

Per quanto riguarda le formule che Voi ci chiedete di sottoscrivere, esse suppongono un certo numero di condizioni che noi non possiamo accettare e che ci mettono parecchio a disagio.
Le proposizioni suppongono che noi si sia colpevoli e che questa colpevolezza ci abbia separati dalla Chiesa. Per riparare e per assicurare la nostra ortodossia, ci si chiede una sorta di professione di fede limitata (il Concilio Vaticano II e il Novus Ordo).

La maggior parte dei nostri sacerdoti e dei nostri fedeli si sono trovati direttamente di fronte all’eresia, spesso di fronte allo scandalo liturgico grave, consumati dai loro pastori, sia preti sia vescovi. 
Tutta la storia del nostro movimento è segnata da una sequenza tragica di fatti di questo genere, fino ad oggi, in cui continuano a raggiungerci religiosi, seminaristi e sacerdoti che hanno fatto la stessa esperienza. Non potete chiederci ammende onorevoli o contrizioni, perché noi, soli, abbandonati e traditi dai pastori, abbiamo reagito per conservare la fede del nostro battesimo o per non disonorare la divina Maestà. È impossibile esaminare le ordinazioni del 1988, senza considerare il tragico contesto nel quale si sono svolte. Diversamente, le cose diventano incomprensibili e la giustizia non può più applicarsi.

Per di più, è detto spesso che il nostro statuto sarebbe una concessione, e ci accorderebbe uno status corrispondente al "nostro carisma".
È necessario ricordare che ciò a cui noi siamo legati è il patrimonio comune della Chiesa cattolica romana? Noi non chiediamo né vogliamo uno status particolare, nel senso che si tratterebbe dell’indicazione di un particolarismo; noi vogliamo un posto "normale" nella Chiesa. 
Fino a quando la Messa tridentina sarà considerata come una concessione particolare, noi resteremo dei marginalizzati, in una situazione precaria e sospetta.
È anche in questa ottica che noi reclamiamo un diritto che non è mai andato perduto: quello della Messa per tutti. Ed è già una lesione di questo diritto volerlo ridurre ad un indulto (per di più a titolo provvisorio: secondo certe voci romane).

Nella situazione attuale, in cui tutto ciò che abbia un sapore tradizionale diviene immediatamente sospetto, noi abbiamo necessità di un protettore e di un difensore dei nostri interessi presso la Curia romana. Si tratta di molto di più che rappresentare la Tradizione a Roma, o stabilire un delegato della Santa Sede agli affari tradizionali, come è il caso dell’odierna Ecclesia Dei.
Perché un tale organismo abbia qualche credibilità e corrisponda allo scopo, è importante che esso sia composto da membri provenienti dalla Tradizione cattolica.

Giungere ad un "riconoscimento" senza aver prima affrontate alla radice queste questioni, significa destinare al fallimento "l’accordo pratico" che ci viene proposto, poiché noi pensiamo proprio di poter agire domani come oggi, con la stessa fedeltà alla Tradizione cattolica. Volendo conservare la franchezza con la quale trattiamo queste questioni (franchezza che non significa arroganza o mancanza di carità), noi verremmo condannati domani come lo fummo ieri.

Al momento del battesimo si stabilisce un contratto tra l’ànima cristiana e la Chiesa: "Cosa chiedete alla Chiesa?" - "la fede". Questo è quello che noi esigiamo da Roma: che Roma ci confermi nella fede, nella fede di sempre, nella fede immutabile. Noi abbiamo il diritto di reclamare questo dalle autorità romane e pensiamo che non si possa veramente progredire verso un "riconoscimento", fin tanto che Roma non avrà dimostrata la sua volontà concreta di voler fugare la nube che ha invaso il tempio di Dio, ha oscurata la fede e ha paralizzata la vita soprannaturale della Chiesa, con la copertura di un Concilio e delle sue conseguenti riforme.

Con la speranza che questa lettera contribuisca al superamento dell’attuale immobilità, Vi assicuriamo, Eminenza, le nostre preghiere quotidiane per il compimento del vostro compito in quest’ora grave per la santa Chiesa.

+ Bernard Fellay



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