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LA PARTECIPAZIONE ALLA SACRA LITURGIA CONFERENZA TENUTA A PARIGI, IL 22 NOVEMBRE 2003, DAL CARDINALE JORGE ARTURO MEDINA ESTEVEZ
Introduzione L’idea della partecipazione alla liturgia si basa su dei principi dottrinali che, a loro volta, hanno come fondamento l’ecclesiologia cattolica. Ora se le attività ecclesiali, secondo il Concilio Vaticano II (cf, Lumen Gentium, 25; Christus Dominus, 12-16; Presbyterium ordinis, 4-6), si svolgono intorno all’annuncio della Parola di Dio, alla celebrazione liturgica e alle azioni che derivano dal governo pastorale del Popolo di Dio, sarebbe errato considerare l’aspetto attivo di queste stesse attività come dipendente dai soli ministri ordinati, poiché in tal modo la partecipazione dei fedeli risulterebbe solo passiva. Lo schema “dare-ricevere” non corrisponde esattamente alla natura profonda dell’ecclesiologia cattolica, ma costituisce una eccessiva semplificazione di una realtà che è molto piú ricca. Certo, non si tratta di negare il ruolo necessario e insostituibile del ministero dei Vescovi e dei preti, bensí di dar conto della sana teologia cattolica, cosí come è stata proposta dal Concilio Vaticano II. Ecco alcuni testi che illustrano questo concetto: "Le azioni liturgiche non sono azioni private ma celebrazioni della Chiesa, che è “sacramento dell'unità”, cioè popolo santo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi . Perciò tali azioni appartengono all’intero corpo della Chiesa, lo manifestano e lo implicano; ma i singoli membri vi sono interessati in diverso modo, secondo la diversità degli stati, degli uffici e della partecipazione effettiva" (Sacrosanctum Concilium, 26).
"Ogni volta che i riti comportano, secondo la particolare natura di ciascuno, una celebrazione comunitaria caratterizzata dalla presenza e dalla partecipazione attiva dei fedeli, si inculchi che questa è da preferirsi, per quanto è possibile, alla celebrazione individuale e quasi privata." (Sacrosanctum Concilium, 27).
"Nelle celebrazioni liturgiche ciascuno, ministro o semplice fedele, svolgendo il proprio ufficio si limiti a compiere tutto e soltanto ciò che, secondo la natura del rito e le norme liturgiche, è di sua competenza" (Sacrosanctum Concilium, 28).
Proseguiamo la nostra riflessione citando altri testi del Concilio Vaticano II: "Giustamente perciò la liturgia è considerata come l'esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell’uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesú Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra" (Sacrosanctum Concilium, 7, 2). "Effettivamente per il compimento di quest’opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale l’invoca come suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all’eterno Padre" (Sacrosanctum Concilium, 7, 1).
"Cristo Signore, pontefice assunto di mezzo agli uomini (cfr. Eb 5, 1-5), fece del nuovo popolo “un regno e sacerdoti per il Dio e il Padre suo” (Ap 1, 6; cfr. 5, 9-10). Infatti per la rigenerazione e l’unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le attività del cristiano, spirituali sacrifici, e far conoscere i prodigi di colui, che dalle tenebre li chiamò all’ammirabile sua luce (cfr. 1 Pt 2, 4-10). Tutti quindi i discepoli di Cristo, perseverando nella preghiera e lodando insieme Dio (cfr. At 2, 42-47), offrano se stessi come vittima viva, santa, gradevole a Dio (cfr. Rm 12,1), rendano dovunque testimonianza di Cristo e, a chi la richieda, rendano ragione della speranza che è in essi di una vita eterna (cfr. 1 Pt 3, 15).
II La partecipazione Per continuare ad approfondire questo tema della partecipazione nel quadro della Liturgia, è molto importante tenere conto delle riflessioni precedenti. Il testo piú esplicito del Concilio Vaticano II sulla partecipazione dei fedeli alla Liturgia, afferma: "Ad ottenere però questa piena efficacia, è necessario che i fedeli si accostino alla sacra liturgia con retta disposizione d’animo, armonizzino la loro mente con le parole che pronunziano e cooperino con la grazia divina per non riceverla invano. Perciò i pastori di anime devono vigilare attenta mente che nell’azione liturgica non solo siano osservate le leggi che rendono possibile una celebrazione valida e lecita, ma che i fedeli vi prendano parte in modo consapevole, attivo e fruttuoso (Sacrosanctum Concilium, 11). I tre aggettivi con i quali il testo conciliare qualifica la partecipazione sono: "consapevole", "attivo" e "fruttuoso", ma il testo afferma che queste tre caratteristiche vanno al di là dalla semplice osservanza di una celebrazione valida e lecita, poiché devono essere le conseguenze di una "retta disposizione d’animo" di una cooperazione con la grazia divina. In questo senso, "prendere parte", "far parte di un tutto", "agire", "incorporarsi" e "mettersi in comune" sono delle espressioni che non riguardano solo gli aspetti esteriori, ma soprattutto e innanzi tutto le attitudini interiori e spirituali. Se questo non si verifica è inevitabile che la celebrazione liturgica diventi una sorta di spettacolo o, se si vuole, una espressione di tipo folkloristico, o peggio ancora un vuoto ritualismo o anche un esercizio ginnico o coreografico! Le disposizioni interiori richieste per una fruttuosa partecipazione alla celebrazione della Liturgia corrispondono fondamentalmente alle virtú teologali: fede, speranza e carità. Se è vero che, come afferma San Paolo a piú riprese: "Il giusto vivrà per la fede" (Rom 1, 17; Eb 10, 38; Gal 3, 11), è evidente che il culmine della vita cristiana, che è la Liturgia, non può esistere al di là della luce della fede e senza lo spirito di fede. È vero anche che la fede cristiana, che è la virtú propria della nostra condizione di pellegrini, si accompagna necessariamente alla speranza. La fede ci mostra il senso della nostra esistenza in questo mondo e i mezzi che dobbiamo adottare per raggiungere lo scopo ultimo della nostra vita. La speranza, da parte sua, ben conscia delle nostre debolezze e delle ferite che il peccato ha lasciato nella nostra ànima, guarda con fiducia verso lo scopo ultimo del nostro pellegrinaggio con la certezza di potervi pervenire grazie all’aiuto di Dio, che solo può introdurci in una relazione di "connaturalità" con Dio, fonte dell’essere, della salvezza e della vita beata. La fede e la speranza normalmente devono condurre alla carità, che, in maniera, indissolubile, ha per oggetto Dio stesso, da una parte, e il prossimo per amore di Dio, dall’altra. Si tratta evidentemente dell’amore di Dio con tutto il nostro cuore, con tutte le nostre forze e con tutto il nostro essere e, al tempo stesso, dell’amore dei nostri fratelli secondo le caratteristiche commoventi descritte da San Paolo (I Cor 13, 1-13). In vista di una partecipazione fruttuosa alla Liturgia, alle tre virtù teologali si può aggiungere un’altra disposizione interiore indispensabile: la virtú di religione. Questa espressione ha il significato di rispetto profondo, di umile adorazione di Colui che è Tre Volte Santo e a cui noi non siamo degni di accostarci (Es 3, 1-6; I Re 19, 9-13). Si può affermare che la virtú di religione è come l’ànima della Liturgia; infatti, anche se non si può mai dimenticare che Dio è nostro Padre, nondimeno Egli è anche un Padre di immensa maestà, è il Signore onnipotente, è il Re dell’eterna gloria. 1) La fede
2) I segni
È certo che la comprensione dei segni liturgici è inclusa
nella partecipazione cosciente e fruttuosa alla Liturgia; tuttavia, anche
se questi segni esercitano comunque, con la loro semplice presenza, un
ruolo pedagogico nei confronti di coloro che li percepiscono con una coscienza
limitata dal punto di vista del loro contenuto, essi esigono la presenza
di una mistagogia permanente e di una formazione, basate sulla catechesi
liturgica, tali da permettere sia ai fedeli sia ai ministri di progredire
nella conoscenza del mistero che viene celebrato. Questa precisazione è
particolarmente importante quando si è alla presenza di un rito
che non è celebrato abitualmente, come per esempio del rito delle
ordinazioni o della dedicazione di una nuova chiesa. Niente è piú
nocivo alla partecipazione spirituale dei fedeli ad una celebrazione liturgica,
dell’atteggiamento troppo frettoloso o distratto del celebrante, o del
compimento meccanico dei suoi gesti liturgici.
Una celebrazione liturgica dev’essere poi "attenta", il che esige uno sforzo particolare da parte del celebrante, affinché, nella misura del possibile, eviti le distrazioni, soprattutto quelle volontarie. Quest’aggettivo "attenta" permette di insistere sulla volontà del celebrante di concentrare il suo spirito, il che esige una disciplina dei sensi atta ad evitare di lasciarsi distrarre dai tanti oggetti che cadono sotto il suo sguardo e distolgono la sua attenzione. La musica, evidentemente, non costituisce in sé un ostacolo per questa attenzione, poiché essa fa parte integrante della partecipazione del coro e dei fedeli; tuttavia, si deve deplorare il fatto che certi pezzi musicali che accompagnano certe celebrazioni liturgiche, non favoriscono l’attenzione del celebrante e dei partecipanti. Infatti, esistono dei generi musicali, troppo marcati da uno stile teatrale, che mettono in evidenza in maniera eccessiva le qualità artistiche degli interpreti, il che finisce col provocare delle spiacevoli distrazioni tra coloro che partecipano alla celebrazione liturgica. È dunque del tutto deplorevole che, in certi casi, la celebrazione della Santissima Eucarestia sia percepita in qualche modo come un elemento secondario in rapporto all’esecuzione di un pezzo musicale celebre, il quale mette in rilievo la qualità del compositore e il virtuosismo degli interpreti. È certo che le pratiche di questo tipo non contribuiscono a rafforzare il senso religioso e il raccoglimento e, a questo proposito, è il caso di far notare che l’impiego del canto gregoriano e della polifonia della migliore qualità, entrambe al servizio della Liturgia, non comportano invece questo tipo di conseguenze particolarmente nefaste. L’"attenzione" esige anche il silenzio, e cioè innanzi tutto il "silenzio interiore", o, se si vuole, un cuore placato e calmo, il che a sua volta implica evidentemente il silenzio esteriore. Le chiacchere e i commenti dei concelebranti tra loro o con gli altri ministri seduti loro vicini, sono il segno di uno spirito senza disciplina e costituiscono un cattivo esempio per i fedeli. L’attenzione richiesta nel corso di una celebrazione liturgica esige invece, come condizione previa, una accurata preparazione della celebrazione stessa, senza che si abbia l’impressione che i suoi diversi elementi siano lasciati all’improvvisazione. Infine, la celebrazione dev’essere "devota", il che significa che è necessaria un’attitudine intrisa di rispetto, di amore di Dio, di senso religioso e di attenzione nei confronti di ciò che è "l’unica cosa necessaria" (Lc 10, 42). In francese l’aggettivo "devoto" può essere reso col termine "pio". È possibile definire questo termine nel modo seguente: "una persona devota è quella che è cosciente che la sua vita non ha alcun senso se non è collegata intimamente a Dio"; in altri termini, si tratta dell’attitudine di colui che vuol vivere in maniera totalmente coerente con la sua consacrazione battesimale, seguendo il programma che San Paolo riassume in poche parole: "Se viviamo, viviamo per il Signore; se moriamo, moriamo per il Signore. Vivi o morti, noi apparteniamo al Signore" (Rom 14, 8). Questo significa che una persona devota è "totalmente votata al Signore". Colui che partecipa ad una azione liturgica non dovrebbe giungere alla celebrazione senza una adeguata pausa, passando cioè immediatamente dalle preoccupazioni profane, anche se buone e rispettabili, alla preghiera comunitaria. È necessario rispettare un certo lasso di tempo, anche breve, caratterizzato dal silenzio, dal raccoglimento e dalla preghiera. Un esempio eclatante, a riguardo, è quello dei monaci che prima di entrare nella chiesa del monastero per celebrarvi l’Ufficio Divino anche chiamato Liturgia delle Ore restano in piedi e in silenzio nel chiostro, allo scopo di raccogliere il loro spirito prima di iniziare la salmodia. La stessa finalità hanno in vista le preghiere che il celebrante recita nel rivestire i paramenti liturgici, appena prima della celebrazione. In conclusione, si può affermare che le riflessioni appena esposte derivano dalla prima tra le disposizioni richieste per una partecipazione autentica alla celebrazione liturgica: la fede, che sola svela i diversi significati, molto ricchi, dei segni liturgici; la fede, che sola permette al ministro ordinato di calarsi nel ruolo sacro di strumento di Cristo e di servitore del suo Corpo, la Santa Chiesa. 3) La grazia di Dio
Il fatto di essere presente ad una azione liturgica in stato di peccato mortale, e senza avere almeno il desiderio della conversione, non costituisce una vera partecipazione, anche se la persona in questione partecipa ai movimenti, ai canti, alle acclamazioni o ad altre azioni nel corso della celebrazione; poiché, in questo caso a costui manca l’orientamento fondamentale verso Dio e verso la sua gloria, cosa questa che è l’ànima della Liturgia. Ciò non significa che bisogna escludere dalla celebrazione coloro che non hanno la disposizione interiore richiesta, poiché è possibile che una tale presenza, che non possiede tutte le condizioni per essere qualificata come una vera partecipazione, costituisca nondimeno un mezzo per la grazia attuale, che condurrà la persona in questione alla conversione. Resta il fatto, però, che bisogna escludere dai ministeri, che si svolgono nel corso della celebrazione, le persone il cui stato pubblico di peccato è noto, poiché, diversamente, esse sarebbero dei cattivi esempi tali da provocare lo scandalo e la confusione tra i fedeli. Certo, la valutazione dei diversi casi concreti richiede una grande prudenza pastorale, insieme ad un modo di fare pieno di delicatezza, ma è conveniente non attenuare mai le esigenze che sono incluse nei principi determinati dalla morale e dal diritto della Chiesa. 4) Gli atti esteriori di partecipazione
Il Concilio Vaticano II indica un certo numero di elementi destinati a promuovere la partecipazione attiva. Ma prima di elencarli occorre dire una cosa molto importante: questi elementi non costituiscono, da soli e in loro stessi, la partecipazione liturgica; essi si limitano ad esprimerla e a favorirla. In effetti, bisogna sempre ricordarsi che la partecipazione che si può qualificare come "sostanziale" proviene da quegli elementi che abbiamo presentato prima, in quanto "elementi formali". Ecco il testo del Concilio Vaticano II: "Per promuovere la partecipazione attiva, si curino le acclamazioni dei fedeli, le risposte, il canto dei salmi, le antifone, i canti, nonché le azioni e i gesti e l’atteggiamento del corpo. Si osservi anche, a tempo debito, un sacro silenzio.Certo, gli elementi esteriori della partecipazione, citati nel testo conciliare, non possono essere biasimati, poiché la persona umana, la cui natura è spirituale e corporea al tempo stesso, ha bisogno delle espressioni sensibili. Di piú, gli elementi esteriori contribuiscono a rafforzare le attitudini interiori. Infine, poiché l’uomo ha una natura che lo porta a vivere in società, ha bisogno delle espressioni sensibili che lo aiutino a vivere questa esperienza della vita comunitaria e a manifestare il culto come una realtà sociale e non solo individuale. È per questo che è assolutamente impossibile immaginare un culto cattolico sprovvisto di elementi sensibili. C’è di piú, se, per avventura, si tentasse di eliminare da questo culto alcune delle espressioni cosí connaturate nella natura umana, si avrebbe per effetto di privarlo di una parte essenziale di ciò che esso è per natura. Del pari, è del tutto errato imporre certe espressioni esteriori in maniera eccessiva e sproporzionata, col rischio di fare della celebrazione liturgica una successione di gesti compiuti in maniera meccanica e dunque, in qualche modo, senz’ànima. A questo proposito, occorre comprendere che situazioni soggettive differenti possono condurre alcune persone a non adottare un atteggiamento rigorosamente uniforme ad un momento dato, ma questo non equivale ad un allontanamento nei confronti di ciò che abbiamo chiamato prima "partecipazione formale". Sarebbe dunque un errore pensare che perché non rispetta rigorosamente un dato atto esteriore, la persona in questione non possieda le disposizioni richieste per una partecipazione reale e autentica. In effetti, bisogna dire che può accadere che certi attori della liturgia, che compiono con gran minuzia e con una rigorosa disciplina gli atti esteriori richiesti dalle rubriche, rimangano in realtà molto lontani dalla vera partecipazione interiore. 5) I ministeri
Tra i diversi ministeri liturgici è il caso di citare innanzi tutto le funzioni relative a coloro che, per l’ordinazione sacramentale, appartengono al clero: i Vescovi, i preti e i diaconi. È proprio di questi ministeri ordinati "strutturare" la Chiesa, Corpo visibile di Cristo, nella quale la gerarchia sacra è ad un tempo il segno di salvezza, che viene dall’Alto, come dono gratuito, e lo strumento dell’azione salvifica, la cui fonte prima è il Signore Gesú, Pontefice unico della Nuova Alleanza, che esercita il suo ruolo di mediatore tramite i ministri ordinati. Questi ministeri sono talmente necessari che Sant’Ignazio di Antiochia dichiara che senza Vescovi, né preti, né diaconi, non si può parlare di Chiesa (cf. Ad Trall.). Tuttavia, esistono altri ministeri non ordinati che contribuiscono alla
dignità della celebrazione liturgica.
Anche i "serventi d’altare" (o "giovani del coro"), chiamati anche "accoliti", possono essere "istituiti" (si tratta allora di uomini adulti (viri): can, 230 § 1), "benedetti" o semplicemente chiamati a prestare tale servizio in maniera occasionale, o piú o meno permanente. Essi hanno bisogno di ricevere una adeguata formazione per poter compiere la loro funzione con dignità, e cioè senza commettere quegli errori che arrecherebbero inevitabilmente pregiudizio alla qualità e all’armonia della celebrazione. Spetta al Vescovo diocesano autorizzare, per delle ragioni particolari, delle persone di sesso femminile ad esercitare eccezionalmente questo ministero, tenendo comunque conto della preferenza che la Chiesa accorda tradizionalmente agli uomini e ai ragazzi. La Lettera circolare della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina del Sacramenti ai Presidenti delle Conferenze Episcopali, del 15 marzo 1994 (Notitiae 39 1994 333-335), in applicazione alla Risposta del Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi a proposito dell’interpretazione autentica del canone 230 § 2 (nelle funzioni liturgiche che i laici, uomini e donne, possono svolgere ai sensi del can. 230 §2, è compreso il servizio all’altare? Affermativo e iuxta instructiones a Sede Apostolica dandas. Cf AAS 86 1994 541), stabilisce in particolare che è compito del Vescovo della diocesi, dopo aver inteso il parere della Conferenza Episcopale, emettere un giudizio prudenziale su ciò che è opportuno fare per lo sviluppo armonioso della vita liturgica nella sua diocesi. In piú, resta sempre l’obbligo di continuare a favorire il servizio all’altare affidato ai ragazzi, che ha permesso uno sviluppo incoraggiante delle vocazioni sacerdotali. In una Lettera del 27 luglio 2001 (Notitiae 421-422 2001 397-399), la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina del Sacramenti precisa che, per un verso, la libertà del Vescovo diocesano non può essere condizionata da eventuali decisioni dei Vescovi limitrofi in favore del servizio all’altare delle donne, e per altro verso l’eventuale autorizzazione del Vescovo deve sempre lasciare la possibilità ai preti della diocesi di ricorrere solo a dei gruppi di serventi composti unicamente da ragazzi, in base all’obbligo contenuto nella Lettera citata prima del 1994 circa lo sviluppo delle vocazioni sacerdotali. La musica fa parte integrante delle celebrazioni liturgiche; è per questo che la Chiesa ha riconosciuto nei secoli il ruolo della "schola cantorum"; questa ha il compito di interpretare certi pezzi della musica liturgica. Tuttavia, occorre rilevare che, a questo proposito, sarebbe un abuso accordare alla schola cantorum un posto tale da sopprimere la partecipazione del popolo al canto nella celebrazione liturgica. Ancora peggio se i membri della schola agissero in maniera da attirare l’attenzione su di loro a detrimento dell’azione liturgica, invece che limitarsi al loro ruolo che consiste nel porgere un aiuto atto a rafforzare lo spirito religioso dei partecipanti alle celebrazioni liturgiche. Resta il fatto che il ruolo della schola cantorum è stato riconosciuto dalla Costituzione sulla Liturgia come un vero ministero cultuale (Cf Sacrosanctum Concilium, 29). La mancanza di ministri ordinati per la distribuzione della santa Comunione giustifica il servizio di ministri straordinari per la distribuzione della santa Eucarestia. Questi ministri possono essere costituiti in maniera stabile, oppure essere chiamati in casi imprevisti. Si tratta di un ministero di supplenza e in nessun caso di una sorta di "promozione" del laicato. L’insufficienza del numero dei preti o dei diaconi per la celebrazione
del sacramento del battesimo può indurre il Vescovo ad autorizzare
dei laici come ministri straordinari di questo sacramento (Cf can.230 §3).
L’Istruzione interdicasteriale Ecclesiae de mysterio, del 15 agosto 1997
(Disposizioni pratiche art. 11) precisa che occorre fare attenzione alle
interpretazioni troppo estensive ed evitare di concedere questa facoltà
in forma abituale. Cosí, per esempio, all’assenza o all’impedimento
che rendono lecita la deputazione dei fedeli non ordinati ad amministrare
il battesimo, non si può assimilare il lavoro eccessivo del ministro
ordinario, né il fatto che egli risieda fuori dal territorio della
parrocchia, né tampoco la sua indisponibilità nel giorno
previsto dalla famiglia. Nessuna di queste ragioni costituisce un motivo
sufficiente (AAS 89 1997 874).
Si possono anche autorizzare dei laici a presiedere il culto domenicale in assenza del prete (can 1248 §2; Sacra Congregazione per il Culto Divino, Direttorio perle celebrazioni domenicali in assenza dei preti Christi Ecclesia, 10 giugno 1988, preliminari, Cf Notitiae 263 1988 366-378. ). L’Istruzione interdicasteriale Ecclesiae de mysterio, del 15 agosto 1997 (Disposizioni pratiche art. 7) precisa che il fedele non ordinato che guida questo genere di celebrazioni deve avere un mandato speciale da parte del Vescovo, che abbia cura di dare delle indicazioni opportune relative alla loro durata, il luogo, le condizioni e il prete che ne è responsabile. Per di piú, queste celebrazioni, i cui testi devono essere sempre quelli approvati dall’autorità ecclesiastica, costituiscono sempre delle soluzioni temporanee. È proibito inserire degli elementi propri alla liturgia del sacrificio, soprattutto la "Preghiera eucaristica", anche sotto forma narrativa. Occorre anche ripetere sempre ai partecipanti che queste celebrazioni non sostituiscono il Sacrificio eucaristico e che si assolve al precetto di santificare le feste solo partecipando alla Messa, ognuno è libero di partecipare o meno ad una celebrazione domenicale in assenza del prete, ma lo stesso non vale per la partecipazione al Santo Sacrificio. Nel caso in cui le distanze e le condizioni fisiche lo permettono, i fedeli devono essere incoraggiati e aiutati a fare il possibile per assolvere al precetto (AAS 89 1997 869-870). Infine si può permettere a dei laici di presiedere alle esequie (Cf Ordo Exsequiarum, praenotanda, n° 19). L’Istruzione interdicasteriale Ecclesiae de mysterio, del 15 agosto 1997 (Disposizioni pratiche art. 12) ricorda che una tale possibilità esiste solo nel caso della reale mancanza di ministri ordinati. Per di piú, dato che nelle attuali circostanze di crescente decristianizzazione e di allontanamento dalla pratica religiosa, le esequie possono talvolta divenire una delle occasioni pastorali piú opportune per permettere ai ministri ordinati di incontrare direttamente i fedeli che non praticano abitualmente, è auspicabile, anche a prezzo di qualche sacrificio (cum magna deditione), che i preti e i diaconi presiedano personalmente ai riti funebri (AAS 89 1997 874). Tra i ministeri che sono d’aiuto ai ministri ordinati durante la celebrazione
liturgica, soprattutto quella della santissima Eucarestia, è il
caso di citare il "maestro delle cerimonie", incaricato di vegliare a che
la celebrazione si svolga in maniera ordinata e ciascuno dei ministri svolga
esattamente il suo ruolo. Questo compito non è strettamente riservato
ad un ministro ordinato, prete o diacono, anche se è opportuno che
il maestro delle cerimonie sia scelto tra questi ultimi.
È evidente che tutte queste persone che partecipano alla celebrazione
liturgica esercitando un tale "ministero", devono prepararsi con cura,
tanto dal punto di vista spirituale quanto da quello liturgico, come anche
al livello delle conoscenze proprie delle norme che reggono le cerimonie
e di quelle che permettono di mettere in essere una celebrazione ordinata
e intrisa di spirito religioso.
III Conclusione La Liturgia ha una dimensione "ascendente" poiché fa veramente
salire, verso la Maestà di Dio, la lode che gli è dovuta
come Creatore e come Redentore.
Giunti alla fine di questa riflessione, mi sembra quanto mai opportuno
ritornare al testo iniziale della Costituzione del Concilio Vaticano II
sulla santa Liturgia.
Il tema della partecipazione alla celebrazione liturgica ci fa veramente toccare con mano il mistero della salvezza, l’economia ammirabile con la quale il Padre misericordioso, per mezzo del suo Verbo incarnato, ci rivela il suo disegno e lo compie tramite la forza dello Spirito Santo che rinnova tutte le cose. Parigi, 22 novembre 2003
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