A QUARANT'ANNI DALLA RIFORMA CONCILIARE
TUTTE LE SORPRESE DELLA NUOVA LITURGIA
LA MESSA IN CERTI CASI È STRAVOLTA:
RESTA QUALCHE RIMPIANTO PER L'AUSTERITÀ PERDUTA
Articolo di Mons. Alessandro Maggiolini
pubblicato sul Quotidiano Nazionale di martedí
27 gennaio 2004
A un dipresso cade in questi giorni il centenario di un
documento di S. Pio X che proibiva le canzonette e le arie operistiche
e invitava a riprendere il canto gregoriano nella celebrazioni liturgiche,
specie durante la Messa. Cade anche il quarantennio della promulgazione
della Costituzione sulla riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano
II. Che dire? Forse il giudizio circa l’applicazione di queste direttive
è ancora intempestivo. Né basta il tono enfatico è
un po’ vuoto di chi esalta l’utilizzazione della lingua volgare, si entusiasma
per l’abbondante presenza della Bibbia nei riti della Chiesa, si compiace
di una liturgia più vicina ai gusti della gente.
Una valutazione documentata e saggia risulta impervia.
Anche perché molti credenti attuali non hanno né potuto gustare
le celebrazioni austere ed eleganti di stile benedettino della
prima metà del secolo scorso, né si sono sentiti prepotentemente
attratti e coinvolti da una sacralità in gran parte perduta, che
ha finito per copiare, spesso senza accorgersene, spettacoli televisivi,
arcigni o frivoli che fossero.
Qualche esempio. La Scrittura. Già essa è
difficile da interpretare e da capire, soprattutto se seguita da prediche
che sembrano dotte chissà lezioni di esegesi e lasciano
freddo il cuore; o sono occasioni per puntate politiche, operaistiche,
terzomondistiche le quali magari tirano il sacro testo per i capelli; o
sono semplicemente lunghe e noiose tiritere.
Ancora. I canti. Che spesso sono lagne o ballabili che
poco han da spartire con la preghiera. Qualche eccezione non guasta.
Ancora. Gli attori del rito. Laici talvolta improvvisati
che ignorano teologia e catechismo. O, più frequentemente, preti
che, dopo aver tanto perorato la promozione del laicato, si comportano
da padroni del rito. Macché norme ecclesiali. Ciò che importa
è la spontaneità. E una Messa cambia molto se il celebrante
ha digerito bene o no, se è euforico o depresso, se è in
vena di lisciate o di invettive ecc. Qualcosa come degli happening. I praticanti
hanno il diritto di sapere quanto duri una cerimonia e che cosa li attenda,
se vi partecipano.
Ancora. Il silenzio. Si riesce a creare un clima di mistero
e a pregare se l’accavallarsi delle didascalie, dei gesti,
delle formule recitate al galoppo non lasciano un istante di silenzio in
cui uno che vuole che vuole sia se stesso davanti al suo Signore?
Si potrebbe analizzare a lungo. Avendo anche un poco
di pietà per noi sacerdoti che abbiamo dovuto improvvisarci attori,
registi, direttori di cappella ecc. quasi da un giorno all’altro. Ma i
“semplici” fedeli sanno di avere, anche in liturgia, diritti da far valere?
Meglio se con garbo.
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