Quali prospettive per la Chiesa con l'avvento di un nuovo papa?
 

Conferenza tenuta da Mons. B. Fellay
Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X

a Bruxelles il 13.6.2005


I candidati conservatori al conclave
Una formazione non tomista
Esperto al concilio Vaticano II dalla parte dei progressiti
Da Monaco a Roma
Giuste diagnosi, ma senza rimedi efficaci
Il cardinale Ratzinger e la Fraternità San Pio X
Benedetto XVI e il Vaticano II
La riunificazione con gli ortodossi
La posta fondamentale: la verità
Cosa possiamo sperare?
Conservare le relazioni con Roma
Il dovere di testimoniare
Illuminare i vescovi e i preti
Verso il rafforzamento della Commissione Ecclesia Dei?
La vittoria dopo la battaglia

le sottolineature sono nostre

Cari fedeli,
è certo cosa del tutto normale che all’avvento di un nuovo papa ci si ponga la domanda: 
"Che cosa accadrà adesso?". 
E questa domanda, piena di speranza, si fonda innanzi tutto sulla promessa di Nostro Signore: 
"Le porte dell’inferno non prevarranno contro la Chiesa". 
Questo lo sappiamo tutti e tutti vi crediamo. Resta da vedere come si realizza concretamente.

Io penso che non ho bisogno di dirvi che le cose non vanno bene per la Chiesa: è una tragedia, una catastrofe incommensurabile. Direi di più: i teologi dei primi del XX secolo, ascoltando quello che diciamo e vedendo che non si tratta di una opinione personale ma della semplice descrizione della situazione attuale, ci avrebbero considerati degli eretici. Intendo dire che i teologi consideravano come impossibile, inconcepibile ciò che di fatto accade oggigiorno. Pensate alle parole di San Pio X nella sua prima enciclica, ove descrivendo la situazione del suo tempo, diceva: " con ragione ci si può chiedere se il Figlio della perdizione non sia già arrivato". 
Cosa avrebbe detto oggi?

Da un lato noi constatiamo una crisi terribile nella Chiesa e dall’altro crediamo alla promessa di Nostro Signore; e sappiamo che il più forte è Nostro Signore, il Buon Dio. Allora usiamo il cervello e cerchiamo di riflettere: in che modo questo si realizzerà? 
In che modo Nostro Signore potrà rimettere le cose a posto? 
Ed ecco la soluzione, del tutto semplice: con un nuovo papa. Un buon papa, e tutto torna al suo posto! 
Da qui questa aspettativa segreta e perfino inconscia: ecco, è lui!

Vi è un nuovo papa, quindi è lui! È lui che dovrà rimettere a posto le cose, poiché le cose vanno male, poiché Nostro Signore ha promesso che le cose non potevano spingersi troppo oltre e ci sarebbe stata una ripresa. Dunque è lui! 
D’altronde, molti indizi confortano questa prospettiva. 
Per esempio: il Venerdì Santo, appena prima del decesso di Giovanni Paolo II, il cardinale Ratzinger, nel corso della Via Crucis, ha fatto una descrizione molto realistica dello stato della Chiesa. Ha detto che la barca stava per affondare. Pensare allora alla promessa di Nostro Signore che la barca non affonderà, e sentire il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede che afferma che invece sta per affondare, è cosa veramente drammatica! 
E ve ne sono altre di espressioni simili. In questi ultimi anni egli ha più volte criticato la nuova messa, e ha anche scritto un libro sull’argomento. Tutto questo sembra andare verso la giusta direzione.

I candidati conservatori al conclave.
E poi, possiamo dirlo, non è una supposizione: Benedetto XVI è stato eletto in opposizione ai progressisti. Abbiamo qualche informazione su come si sono svolte le cose in conclave. 
Voi tutti sapete che i cardinali giurano di conservare il segreto su tutto quello che accade in conclave, per cui non chiedetemi come io faccia a sapere certe cose.
Si sa comunque che una cinquantina di cardinali diedero il loro voto al cardinale Ratzinger, una ventina al cardinale Martini e altrettanti al cardinale Bergoglio di Buenos Aires; il cardinale Sodano ne ha avuti quattro. Certo che il cardinale Martini non è un conservatore, ed era chiaramente, al primo scrutinio, il capofila dei progressisti. Egli, insieme al cardinale scozzese McCormack e al cardinale Danneels, formava in seno al conclave un gruppo che era la punta di diamante del progressismo.
Dal lato opposto vi era un gruppo di quattro, cinque cardinali, e sembra che quello che più abbia lavorato per l’elezione del cardinale Ratzinger sia stato il cardinale Trujillo, colombiano, insieme al cardinale Castrillon, anch’egli colombiano, e al cardinale spagnolo Herranz. Anche il cardinale Medina pare abbia lavorato a favore di questa elezione.
Subito il cardinale Martini, vedendo il numero dei voti raccolti, si rese conto che non poteva correre da solo e fece convergere i voti sul cardinale di Buenos Aires; è così che al secondo turno il cardinale Ratzinger ottenne poco più di cinquanta voti, mentre un certo numeri di voti vennero fatti convergere sul cardinale Bergoglio: i due nomi che erano in testa. 
A questo punto il cardinale di Buenos Aires si impaurì ? forse il termine è troppo forte, comunque si rese conto che avrebbe potuto anche essere eletto e, non sentendosi pronto per un tale compito, si ritirò. Così al terzo turno vi era un solo candidato e il cardinale Ratzinger arrivò a un passo dall’elezione, gli mancavano pochissimi voti, pare tre voti. Subito, la stessa sera si effettuò un quarto scrutinio, e questa volta egli venne eletto con più di cento voti. 
Per i progressisti fu un disastro.
Tutto questo ci dà delle speranze. Le cose vanno per il verso giusto perché i progressisti sono stati battuti; e se guardiamo ai cardinali presenti al conclave, certo il cardinale Ratzinger può essere considerato uno dei migliori.

Allora, va tutto bene? Non è facile parlare del futuro! Dio solo conosce l’avvenire.
Per noi uno sguardo al futuro è sempre qualcosa di molto delicato. Si può cercare di valutare in termini di probabilità, tenendo sempre presente che trattandosi di uomini entrano in giuoco la libertà e le contingenze. Se vi dicessi: "le cose vanno così", sarei obbligato ad aggiungere che vi è la possibilità che non vadano proprio così. Insomma vi è una certa probabilità, di più non si può dire.
Su che fondare questa probabilità, questo sguardo sull’avvenire del pontificato? 
Sulla nostra conoscenza del passato! 
Noi conosciamo molto bene il cardinale Ratzinger e pensiamo che tra il cardinale Ratzinger e il papa Benedetto XVI non vi sia molta differenza né di personalità né di carattere. Ciò che possiamo pensare del cardinale Ratzinger possiamo pensarlo anche di Benedetto XVI. Vero è che vi sono delle grazie di stato, vero è che in quanto vicario di Cristo e capo della Chiesa egli beneficia di una particolare assistenza dello Spirito Santo, e tuttavia il suo modo di reagire di fronte ai problemi, il suo modo di trattarli, almeno sul piano umano, sarà quasi identico a quand’era cardinale.

Una formazione non tomista
Cosa scorgiamo dunque nell’uomo che è adesso Benedetto XVI? Cosa scorgiamo nella sua formazione?
Cominciamo dal teologo. Professore di università, egli stesso, nella sua biografia, ci dice che non è un tomista, e ci dice anche che non ama San Tommaso, almeno nel modo in cui lo insegnavano al seminario. Bisogna dunque concluderne che si tratta di un filosofo e di un teologo a cui manca quell’armatura intellettuale che procura il tomismo.

Se si pensa che Leone XIII diceva che ogni articolo della Summa teologica di San Tommaso è un miracolo e che un solo anno a contatto con San Tommaso rende più di diversi anni di studi dei Padri della Chiesa… Se si pensa che San Pio X, nella sua enciclica Pascendi, fece ritirare tutti i titoli di dottore a coloro che non avevano avuto nella Chiesa una formazione filosofica scolastica… pensate: con quella enciclica tutti i dottori in teologia, in diritto canonico che non avevano studiato la filosofia scolastica si videro ritirare il titolo di dottore! Pensate ad una cosa del genere ai giorni nostri, non vi sarebbero più molti dottori nella Chiesa!
Il professor Ratzinger, quindi, non è un tomista. Vedremo più avanti che nei suoi scritti, nel suo stesso modo di fare vi è qualcosa di hegeliano, di fortemente hegeliano: un elemento evoluzionista, uno sguardo nuovo sulla verità.

La teologia e la filosofia perenni, classiche, considerano la verità qualcosa che si pone interamente al di là del tempo. Infatti, la verità è legata all’essere e l’essere è al di sopra del tempo. Ciò che è è, punto e basta!
Come definizione di Sé stesso, Dio ha dato: "Io sono colui che sono", in riferimento immediato all’essere; e si sa bene che Dio è immutabile. 
In tutto ciò che riguarda l’essenza delle cose vi è dunque qualcosa di immutabile, di invariato. 
Il primo uomo, Adamo, era un uomo esattamente come noi, e tutto quello che al tempo di Adamo era buono o cattivo resta tale anche oggi. Ciò che allora era virtù anche oggi è virtù. Ciò che allora era peccato, difetto, resta anche oggi peccato, difetto. La neve era bianca come lo è oggi, il cielo sereno era blu come lo è oggi. Quando si guarda all’essenza delle cose ci si pone fuori dal tempo.
Una prospettiva come quella del professore, del teologo, del cardinale Ratzinger è una prospettiva nuova. È un nuovo modo di guardare, che ammette un movimento, una evoluzione della verità.
Darò qualche esempio per illustrare il mio assunto.

Nel 1987, al momento dell’incontro tra Mons. Lefebvre e il cardinale Ratzinger, il nostro fondatore insisteva sulla regalità sociale di Nostro Signore Gesù Cristo e descriveva la lotta che si svolge intorno a ciò che dopo il concilio è stata chiamata libertà religiosa.

Mons. Lefebvre:    Si tratta di qualcosa che si oppone alla Quanta Cura di Pio IX.
Card. Ratzinger:     Ma, Eccellenza, non siamo più ai tempi della Quanta Cura.
Mons. Lefebvre:     Allora significa che aspetterò domani, poiché domani non saremo più al 
                               tempo del Vaticano II!
D’altronde, detto tra parentesi, un cardinale un giorno mi ha detto che la Gaudium et Spes era sorpassata.

Un altro esempio di quest’idea in base alla quale la verità evolve, lo troviamo nella spiegazione fornita dalla Congregazione per la Dottrina della Fede quando si cercava di giustificare Rosmini. 
Voi sapete che il papa Giovanni Paolo II voleva beatificare Rosmini o quantomeno avviare il processo di beatificazione. Già Paolo VI aveva  istituito una commissione per esaminare il suo processo di beatificazione. 
Il problema di Rosmini consiste nel fatto che è stato condannato dalla Chiesa. Così ci troviamo di fronte alla prima commissione di Paolo VI che dice: Impossibile, è stato condannato. Ma Giovanni Paolo II vorrebbe vedere iniziato questo processo di beatificazione e istituisce allora una nuova commissione, che ribadisce però quanto affermato dalla prima. 
A questo punto però si impedisce che essa possa formulare un giudizio definitivo, lasciando tutto in sospeso, e si cerca di venirne fuori diversamente. Si fa emettere un decreto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede che tenta di spiegare qualcosa difficile da accettare. 

Ci si dice che la condanna di Rosmini, vista con gli occhi del tomismo allora in vigore, è del tutto giustificata, ma oggi le cose stanno diversamente: se si considerano le tesi di Rosmini con gli occhi d Rosmini la sua dottrina è ammissibile.
Si tratta di un approccio alla verità totalmente soggettivo! 
Rosmini ha parlato, la sua opera è stata compresa, la Chiesa l’ha compresa ed ha affermato che ciò che era comprensibile era condannabile. Ma, più tardi ci si dice che non è in quel modo che bisognava comprendere Rosmini, per cogliere la visione che egli aveva delle cose bisognava entrare nella sua testa.

È la fine della verità. 
Notate bene: è la fine della verità oggettiva, e questo è molto, molto grave.
Questo vi fa capire chi è il cardinale Ratzinger, almeno per quanto riguarda la sua formazione teologica.

Io sostengo che è hegeliana a causa di un altro aspetto.
A fianco dell’elemento evoluzionista, troviamo la famosa trilogia tesi-antitesi-sintesi. La cosa è ben evidente quando si considerano non più le verità speculative in sé stesse - cioè quelle verità su cui si riflette ma che non hanno una applicazione direttamente pratica - ma la messa in pratica di queste verità secondo il cardinale Ratzinger. 
Questa prospettiva dinamica - tesi-antitesi-sintesi -  pretende di spiegare gli avvenimenti della storia come un incontro conflittuale che si conclude con l’instaurazione di un nuovo status supposto migliore del precedente, ma che è il frutto di questo incontro, di questo conflitto tra la tesi e l’antitesi. È questa una applicazione del tutto concreta per il Prefetto della Congregazione della Fede.

La prima volta che il cardinale Ratzinger ha visitato il seminario della Fraternità San Pietro a Wigratzbad, ha affermato: "Occorre che voi conserviate la messa antica per fare da contrappeso alla nuova". 
Ecco l’antitesi: occorre stabilire una sorta di equilibrio. Oggi si vira a sinistra, dunque occorre mettere più pesi sulla destra. È necessario un contrappeso. 
"E dopo - ha affermato - si giungerà ad una nuova Nuova Messa". 
Insomma, quando questo contrappeso avrà neutralizzato la tendenza progressista, poiché questa finirà più o meno col neutralizzarsi, allora si potrò fare una nuova Nuova Messa. 
Il cardinale Ratzinger utilizzerà più volte questa applicazione pratica secondo una prospettiva dialettica, hegeliana.

Esperto al concilio Vaticano II dalla parte dei progressisti
La nostra prima impressione sul professor Ratzinger è rafforzata dall’osservazione dei suoi comportamenti e delle sue relazioni nel corso del concilio e del postconcilio.
Al concilio egli entra come esperto, e cioè come teologo del cardinale di Monaco. È il più giovane esperto del concilio. Un altro giovane come lui, il Padre Medina, è oggi cardinale. Entrambi del 1927, furono i partecipanti più giovani del concilio, non come vescovi ma come teologi esperti che aiutavano ognuno un padre del concilio.
In quel tempo i suoi amici erano Karl Rahner, Henri de Lubac, Hans Urs von Balthasar. Sono i grandi nomi del concilio, non nel senso che abbiano fatto grandi cose, ma perché hanno causato grossi rivolgimenti; hanno avuto un’influenza impressionante sul concilio. 
Di Rahner, durante il concilio, si diceva: "Rahner locutus est, causa finita est", ha parlato, la questione è definita. 
Ma Ratzinger, molto rapidamente, dopo il concilio, mentre non è ancora cardinale, prende le distanze da Rahner e si avvicina a Henri de Lubac e a Hans Urs von Balthasar. Con loro fonda il movimento Communio: un raggruppamento di teologi che pubblica una rivista dallo stesso titolo. 
Si tratta sempre di un gruppo progressista, che però non si spinge così lontano come Rahner. D’altronde, il progressismo del concilio, con gli anni, è visto sempre più come conservatorismo, anche se questi teologi non sono affatto cambiati. 
Urs von Balthasar, un anno prima della sua morte, nel 1987, riceve il premio Paolo VI. In quella occasione dichiara: "Se vi è un inferno, non c’è nessuno, perché la sola cosa che vi si trova è il peccato, non il peccatore". Fra l’altro non divenne cardinale solo per poco, perché morì appena prima.
Per contro, Henri de Lubac, suo amico, è stato creato cardinale. Egli è celebre per essere stato condannato nel 1950 a causa del suo libro Il soprannaturale, in cui nega propriamente il soprannaturale. 
In esso, tra la natura e la grazia, egli stabilisce un rapporto tale che la natura ha diritto alla grazia, così che questa non sarebbe più qualcosa di gratuito. Egli disse di aver corretto un po’ la sua tesi, ma la cosa è tutta da discutere.

E questa linea teologica del concilio è quella di colui che diventerà ben presto il cardinale Ratzinger.
D’altronde, quando nel 1985 egli si lamenterà dello stato delle cose in seno alla Chiesa, egli non l’attribuirà al concilio. Secondo lui, non è stato lo spirito del concilio che ha prodotto questi cattivi frutti, ma un cattivo spirito del concilio, una cattiva interpretazione del concilio.
 

Da Monaco a Roma
Vi è un avvenimento molto interessante che, secondo me, sarà determinante per un relativo cambiamento di attitudine del cardinale Ratzinger. È la sua nomina a vescovo di Monaco. 
Fino ad allora egli era un professore, da quel momento possiamo dire che scende in lizza nel concreto: deve governare una diocesi; e nel concreto le idee astratte assumono un’altra dimensione. D’un tratto egli si rende conto che certe teorie che si potevano sostenere molto facilmente in astratto, quando si cerca di applicarle concretamente non funzionano più. In particolare, sulle questioni dell’obbedienza e dell’esercizio del potere nella Chiesa, quando questi intellettuali vogliono praticare le loro teorie non vengono ubbiditi. Ed è singolare constatare che anche i progressisti, quando governano, amano essere obbediti… a quel punto non amano più la contraddizione; e questo li induce a ritornare, almeno nell’esercizio del loro governo, ai metodi tradizionali.
A Monaco, Ratzinger finisce perfino con l’essere costretto ad interdire ad uno dei suoi amici l’occupazione di una cattedra alla facoltà di teologia cattolica dell’università; cosa che gli procura l’opposizione severa dei suoi vecchi amici. 
E io penso che questo gli sia servito da lezione. 
Si trattò di un primo passo indietro, di un cambiamento di attitudine fino ad un certo punto… che gli conferirà una certa aura da conservatore, per alcuni aspetti giustificata.

Quando arriva a Roma, nel 1982, egli si trova in questa nuova disposizione: che in realtà è un miscuglio assai difficile da descrivere e ancora più difficile da concepire. 
Da un lato, un uomo che ha la fede. 
Come credente egli dimostra la fede dei suoi genitori, di quand’era ragazzo: com’era bella quella fede! Si vede che egli ce l’ha sempre, che ama la fede cattolica. Questo è il credente. 
Ma quando si guarda al teologo le cose cambiano. Egli ama molto certe idee moderne. Nella sua biografia spiega che quando presentò la sua seconda tesi di dottorato, questa venne rifiutata perché modernista; allora si rese conto che quella tesi era composta da due parti, una interamente sottolineata di rosso, pertanto inaccettabile, l’altra, più storica, quindi più accettabile. Ripresentò allora questa seconda parte ed ottenne così il suo secondo dottorato in teologia.

L’anno seguente, il 1983, egli assunse diverse posizioni in opposizione con la linea generale. Come Prefetto per la Dottrina della Fede tenne in Francia due conferenze nel corso delle quali ricordò ai vescovi e ai fedeli che la base del catechismo, di ogni catechismo, dev’essere il catechismo romano: e cioè il catechismo del concilio di Trento. Questo ripetuto richiamo suscitò contro di lui l’ira dell’episcopato francese, che passò al contrattacco. Si giunse così ad una ritrattazione del cardinale, pubblicata nella Documentation Catholique, ove egli affermava di non avere mai scritto quelle cose. Disse anche che a quel punto avrebbe dato le sue dimissioni. 
Prima sconfitta. Ciò che aveva ricordato era molto giusto, ma non veniva accettato.

Un altro fatto: Assisi
Si sa che il cardinale Ratzinger  non era d’accordo. Al primo incontro del 1986 non era presente. Al secondo, nel 2002, nonostante fosse ancora contrario fu costretto ad andare, ed andò. 
Anche in occasione del primo incontro di Assisi si disse che aveva presentate le dimissioni. 
Io personalmente posso dire di aver sentito delle dimissioni del cardinale Ratzinger per quattro volte. 
Il cardinale Medina, quando è stato recentemente a Le Barroux, ha dichiarato che aveva dato le dimissioni due volte: ci dev’essere qualcosa di vero. Più volte il cardinale Ratzinger ha presentato le sue dimissioni da Prefetto della Congregazione della Fede, a causa del suo disaccordo col Papa e in particolare a causa di Assisi.

Egli ha anche ripreso, condannato alcuni teologi, non molti, certo, ma questo non si faceva dal tempo di Paolo VI, ed è un fatto che gli va riconosciuto.

Vediamo adesso alcuni aspetti della sua personalità, colti qua e là con una sequenza cronologica, per cercare di comprendere meglio tale personalità e provare ad intendere come essa reagirà adesso che si trova ad occupare il seggio papale.
 

Giuste diagnosi, ma senza rimedi efficaci.
Nel 1989 si produsse la famosa carta di Colonia dei 500 teologi, soprattutto germanofoni. Essi avevano firmato una dichiarazione di protesta contro il magistero romano, perché secondo loro esso intralciava la libertà dei teologi. 
Si trattò di una prima ondata seguita da altre. 
Anche i francesi manifestarono la loro opposizione. 
Occorre rendersi ben conto dell’impatto della carta di Colonia perché diede impulso alle contestazioni: si trattava di 500 teologi e cioè di 500 professori di università, delle facoltà teologiche, dei seminari: in sostanza della grande maggioranza delle forze intellettuali cattoliche, che protestavano contro Roma e contro il magistero. 
In risposta, il cardinale Ratzinger pubblicò un piccolo studio su questa teologia moderna; e bisogna riconoscere onestamente che il cardinale Ratzinger, quando si tratta di fare una analisi, eccelle in finezza. Egli fa attenzione a tutte le sfumature per poter descrivere la situazione che analizza il più obiettivamente possibile e, in generale, non si può essere che d’accordo con ciò che afferma.
Su questa teologia moderna egli indicava tre punti. Il primo caratterizzato dalla sparizione dell’idea di creazione, rimpiazzata dall’evoluzione. Il problema che si pone infatti è che se questo mondo non è stato creato non v’è più un creatore, quindi ben presto non vi sarà più Dio.
Il secondo punto consisteva nel fatto che quando si parla di Gesù Cristo non si parla più del Figlio di Dio, visto che al punto primo si era convenuto che egli non esiste più. Cosa resta allora di Nostro Signore? Un superuomo, un rivoluzionario finito male poiché morto sulla croce.
L’ultimo punto consiste nella sparizione dell’escatologia, e cioè dei fini ultimi, di ciò che vi è dopo la morte: il cielo, il purgatorio, l’inferno. Il cardinale, in maniera molto interessante, dimostra che secondo questa teologia non v’è più inferno, non si parla più di purgatorio e non v’è più neanche il cielo. Se non vi è Dio, se non vi è un Dio personale, perché inventare il cielo? Il cielo, domani, sarà quaggiù, sarà questo il futuro.

Capite bene che dopo una tale descrizione ci si aspettano delle conclusioni. 
Se io vi chiedessi: "Dunque, cosa si fa con questa nuova teologia?", io credo che voi trovereste subito delle soluzioni assai radicali: la pattumiera, l’aspirapolvere, il rogo, la scomunica… Non se ne parli più, la si scacci e basta. 
Ebbene? Il cardinale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, dopo essersi posto il problema di cosa fare, ci dà la seguente risposta: Bisogna cercare di comprendere questi teologi!
Una tale conclusione lascia l’impressione come di un petardo bagnato: ci si aspettava l’esplosione… e invece niente!

Si troverà la soluzione di questo enigma in una piccola frase di quest’anno, prima di divenire papa, indirizzata ad un amico prete: "Voi siete un combattente, io sono un pensatore." Questo fa capire molte cose, e io penso che si tratti di elemento caratteristico della sua personalità.

Nel suo libro sulla liturgia, molto recente, egli ha nuovamente presentato delle buone argomentazioni contro l’altare rivolto al popolo. Leggendole non si può che rimanere soddisfatti. Gli argomenti sono buoni. Alla fine delle argomentazioni non resta un gran che di questo altare rivolto al popolo. 
Ed ancora ci si chiede: che cosa fare? Il cardinale Ratzinger si pone la questione, ma ancora una volta la schiva: non si può ritornare all’altare antico. 
Perché? Perché costerebbe troppo caro, causerebbe troppo scompiglio, troppi sommovimenti. 
Quale allora la soluzione? Si metta una croce in mezzo all’altare e questa costituirà l’Oriente mistico.
Si resta insoddisfatti, e tuttavia è questa la risposta che egli dà. Perché? 
Certo, si potrebbe sostenere che quando scrisse quel libro non era papa. Ma in realtà vi è un problema: un vero sfasamento tra l’analisi e l’individuazione delle cause. Ci si accorge che la conclusione è sproporzionata, che essa non corrisponde alla descrizione che egli fa della situazione. E ci si chiede se questo accade a causa del fatto che egli ha ricevuto troppi colpi, che ritiene di non essere libero, di non poter fare come vorrebbe? È una interpretazione molto benevola, e si potrà vedere se è fondata adesso che egli si trova in cima alla Chiesa.

A proposito della messa, il cardinale Ratzinger ha perorato la causa della messa antica. Questo è chiaro e pacifico. Ed è anche uno dei pochi ad averlo fatto. Il cardinale Stickler l’ha fatto in maniera più puntuale. Ma pochi vi hanno dedicato un intero libro. Io penso che nella Chiesa ufficiale e tra i cardinali, chi ha parlato di più contro la nuova messa, fornendo argomenti a favore della messa antica, è proprio il cardinale Ratzinger.
Ma spingiamoci un po’ più in là e vediamo fin dove arriva questa difesa della liturgia tradizionale.
L’anno scorso, ad uno dei nostri fedeli che gli chiedeva la libertà della messa per tutti, egli scriveva: Non si può dare la libertà della messa, perché i fedeli sono prevenuti contro di essa. Non verrebbe accettata. ? E questo perché la sua soluzione consiste nell’arrivare ad una nuova messa: una nuova “nuova messa” basata sull’antica. 
È questo che egli proponeva l’anno scorso, quand’era ancora cardinale.
La nuova messa, così com’è adesso, non va bene, l’antica nemmeno. Dunque occorre una sorta di misto tra nuovo ed antico, tra antico e nuovo.
 

Il cardinale Ratzinger e la Fraternità San Pio X
E oggi? In concreto, nei confronti della Tradizione, nei confronti nostri, della fraternità San Pio X?
Io penso che il cardinale Ratzinger è quello che ci conosce meglio di tutti, quello che ci ha seguito fin dall’inizio.
È lui che, nel 1982, riprende in mano il dossier del cardinale Seper e ristabilisce i rapporti, ufficiali e ufficiosi, con Mons. Lefebvre, con la Fraternità.
È lui che dirige la redazione dell’accordo del 1988, prima delle consacrazioni.

Ma prima vi erano stati due o tre tentativi strani.
Dei seminaristi che ci avevano lasciati a causa del lavoro di erosione condotto da Roma. 
Poi l’essere stati obbligati a mandar via nove seminaristi da Econe, i quali si presentarono a Roma e venne fondato per loro un seminario sedicente tradizionale, chiamato Mater Ecclesiae, se non ricordo male. Si promise ad essi la luna e la cosa abortì molto presto. Uno di quelli che avevano partecipato a questa triste epopea scrisse a Mons. Lefebvre, subito prima delle consacrazioni, per spiegargli come il nostro fondatore avesse ragione.
Fu il cardinale Ratzinger a fondare praticamente la Fraternità San Pietro. 
Per coloro che non lo sanno, essa fu fondata da Roma direttamente contro la Fraternità San Pio X. 
Nel rapporto del cardinale Gagnon, o quanto meno nelle sue stime, si diceva che al momento delle consacrazioni una cifra tra il 60 e l’80 % dei fedeli e dei preti avrebbe abbandonato Mons. Lefebvre. Da qui la tattica del colpo di maglio su Mons. Lefebvre: la scomunica.
In seguito si aprirono le porte a tutti coloro che non erano stati colpiti, perché entrassero nella Fraternità San Pietro. 
Tutto questo lavoro è stato concepito contro di noi, e le cose stanno ancora oggi così. 
Nelle diocesi, i vescovi vedono rosso quando arriva la nostra Fraternità, e cercano di neutralizzarci facendo arrivare la Fraternità San Pietro. Talvolta lo dicono chiaramente: "No, non vi diamo niente, tranne che non avvenga che arrivi tra noi la Fraternità San Pio X, allora apriremo una cappella San Pietro".

Due anni fa, il cardinale Castrillon voleva sbarazzarsi del segretario dell’Ecclesia Dei, Mons. Perl. Ma Mons. Perl trovò un difensore, un protettore che si oppose alla sua esclusione dall’Ecclesia Dei: era il cardinale Ratzinger.

In queste condizioni, qual è il punto di vista del cardinale Ratzinger sulla Fraternità?
Io penso che egli risenta ancora del fallimento degli accordi del 1988; e poi, è vero che noi non abbiamo esitato ad attaccarlo da tutti i lati. Questo non è piacevole e capisco che egli non lo abbia gradito molto.

Ma, limitiamoci a considerare il passato recente. Anche qui si possono notare degli strani intrecci.
Qualche esempio.
L’anno scorso, un gruppo di cardinali conservatori si è riunito con l’idea di fare qualcosa per la Tradizione. È una novità, ma è anche vero che essi sanno perfettamente che le cose non vanno bene nella Chiesa. Di fronte a questa prospettiva disastrosa, Roma guarda ai tradizionalisti in senso lato, a tutti coloro che sono legati alla messa antica, e non solo alla Fraternità San Pio X. 
Questi cardinali si sono dunque riuniti per vedere cosa si può fare per la Tradizione. Ne sono emerse due tendenze. Una secondo la quale bisognerebbe sostenere la Fraternità San Pio X, che è la colonna portante di tutta la Tradizione ? e noi sappiamo quale cardinale ha difeso questa tesi. L’altra, invece, che sostiene che bisognerebbe rafforzare la San Pietro e l’Ecclesia Dei, cercando di erodere la nostra Fraternità ? e anche qui sappiamo quali cardinali sostengono questa tesi.

Quest’anno, due cardinali sono andati a trovare il papa Giovanni Paolo II, e uno di questi era il cardinale Ratzinger. Essi sono andati dal Santo Padre per chiedergli di nominare segretario della Congregazione per la liturgia un vescovo che è convinto che la Chiesa non uscirà da questa crisi senza ritornare alla messa antica. Un vescovo che afferma che il prete non può trovare la sua identità nella messa nuova. La sua posizione è conosciuta a Roma. Ed è questo vescovo che venne proposto come segretario della Congregazione per la liturgia. Un punto a favore del cardinale Ratzinger. Ma il vescovo in questione non è stato nominato perché il segretario del papa aveva già promesso il posto a qualcun altro.
È così che vanno le cose nella Chiesa!

Un altro esempio di questi intrecci sconcertanti.
Il cardinale Medina ha spiegato che, al momento della pubblicazione della terza edizione tipica del nuovo messale, ha fatto degli sforzi per cercare di includervi, come allegato, niente meno che la messa antica.
È degno di nota osservare fin dove si sia spinto il cardinale Medina, lui, di cui si sa che un tempo voleva far inserire nell’edizione tipica la condanna e l’interdizione della messa antica. Allora fu la Segreteria di Stato che glielo impedì. Adesso avrebbe voluto introdurvi la messa antica, e questa volta non fu la Segreteria di Stato a impedirglielo. Né una segreteria, né una Congregazione, ma un uomo: il cerimoniere del papa, che fece una tale scenata a Giovanni Paolo II da costringerlo a rinunciare.
Ecco come si fa la storia della Chiesa!
 

Benedetto XVI e il Vaticano II
E oggi, Benedetto XVI?
Egli è stato eletto chiaramente sull’onda di un moto di reazione. Nei pochi giorni che hanno preceduto il conclave, egli invitò i cardinali a parlare liberamente. Per la prima volta essi parlarono seriamente tra loro dei gravi problemi della Chiesa, sostenendo con fermezza che le cose vanno male. Si può legittimamente pensare che questa visione della tragedia della Chiesa abbia spinto certi cardinali ad eleggere Benedetto XVI.
A fronte del disastro che affligge la Chiesa vi è una certa attesa da parte della gerarchia e della stessa Chiesa.

Si pensi al numero effettivo delle vocazioni: non v’è nulla di cui gloriarsi!
Una diocesi come Dublino è arrivata a conoscere un anno senza alcuna vocazione sacerdotale. Si è caduti davvero in basso. Da alcuni anni, in tutti i noviziati d’Irlanda vi sono stati 150 novizie a fronte delle 32000 religiose. Cosa che diventa più pesante per gli uomini: a fronte dei 10000 frati, in tutti i noviziati d’Irlanda vi sono stati 5 novizi.
I gesuiti, l’anno scorso o l’anno prima, hanno contato solo sette professioni perpetue per tutto l’ordine; venti anni fa quest’ordine contava 32000 membri, oggi ne annovera circa 25000.
Vedete bene che queste cifre sono in grado di essere comprese da chiunque.

Il cardinale Castrillon parlava un giorno dello stato delle università romane. Al suo interlocutore che gli diceva che "le università pontificie a Roma sono zeppe di eretici", egli aggiungeva che "Si, è terribile, io spero che il nuovo prefetto abbia la forza sufficiente per rimettere ordine". E due anni più tardi, il Prefetto della Congregazione per il Clero dichiarava: "Non si può far niente".
Ecco come nella Curia romana si parla delle università pontificie: Non possiamo farci niente!

Certo è che il cardinale Ratzinger, oggi papa Benedetto XVI, si rende conto dello stato pietoso della Chiesa. Egli sa che la Chiesa si trova in una situazione terribile. Ed egli conosce anche il terzo segreto di Fatima.

Che bisogna dunque aspettarsi? 
È necessario dirlo: vi è un problema che oscura le nostre speranze; e questo problema è che Benedetto XVI rimane legato al concilio: è la sua opera, la sua creatura. Certo, egli riconosce che vi sono degli sviluppi inaccettabili, ma questo significa anche che ve ne sarebbero degli accettabili.

Per quanto ci riguarda, la nostra posizione nei confronti del concilio è molto semplice: in esso vi sono degli errori, delle ambiguità che conducono ad altri errori ancora peggiori. Ciò che ha ispirato questi testi, ciò che li rende inassimilabili, è uno spirito non cattolico.
È questa la nostra posizione sul concilio.
Evidentemente vi si possono trovare degli elementi che sono veri, ma l’insieme è inassimilabile. Ed è per questo, guardando l’insieme, che noi rifiutiamo di sottoscrivere una dichiarazione che, in una maniera o in un’altra, farebbe pensare che noi aderiamo a questo concilio.
Per usare un’immagine tratta dalla vita domestica: noi disputiamo con Roma, dicendoci a vicenda: "Si tratta di minestra", "No, non si tratta di minestra", "Si", "No". E infine Roma ci dice: "Voi non la mangerete, ma in definitiva bisogna anche dire che si tratta di minestra". E noi rispondiamo: "Sappiamo bene che si tratta di minestra, ma essa è avvelenata". E quindi non si può più chiamarla minestra, ma veleno. E quando la si chiama minestra si inganna la gente perché le si fa credere che si possa mangiarla. Il problema non sta nel sapere se si tratta di una minestra o meno, ma se si tratta o meno di veleno, se può farci del bene o può ucciderci. È questo il problema. E di fronte ad un tale problema non serve a niente disputare per sapere se si tratta o no di una minestra. Essa fa male, quindi non va mangiata.
Allora Roma cerca di trovare una formula che sia “mangiabile”: "Il concilio alla luce della Tradizione". Ma nel contesto in cui è impiegata questa formula, essa non ci si addice.
Che cosa significa infatti: "Accetto il concilio alla luce della Tradizione"? Cos’è che può voler dire quando ci si accusa di avere una falsa idea della Tradizione?
Nello stesso testo della scomunica di Mons. Lefebvre è detto che egli ha commesso un errore consacrando dei vescovi perché aveva una incompleta nozione di Tradizione. E poi ci si propone di firmare una dichiarazione con la quale noi accettiamo il concilio alla luce della Tradizione!

Lo stesso dicasi per la messa. Le formule che ci ha proposto Roma sono giuste, ma solo fuori dal contesto. Ci si chiede di riconoscere che la nuova messa è valida se celebrata con l’intenzione di compiere il sacrificio di Nostro Signore, il che è ancora più preciso di quanto richiede la teologia, ove si parla solo di celebrare con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. Questa frase in sé è accettabile, ma siamo di nuovo all’immagine della minestra. La nuova messa, anche valida, è avvelenata; è per questo che non si deve mangiare, è per questo che noi vi diciamo: Non andateci!

Perché questa incomprensione tra noi e le autorità romane?
Perché esse non riescono a sganciarsi dal concilio. Dal concilio e dalle riforme.
Si capisce molto bene che esse provano come un disagio nei nostri confronti. Esse riconoscono che ciò che noi facciamo è cattolico. Il cardinale Castrillon ci dichiara: "Voi non siete né eretici né scismatici".
Il problema non sta dunque dalla nostra parte.
L’attitudine di Roma nei nostri confronti si può riassumere così: Vi si lascia fare perché ciò che voi fate è buono; ma vorremmo che voi diceste che anche ciò che facciamo noi è buono.
- E questo noi non possiamo farlo.

Al tempo stesso, si comprende bene che vi è la volontà di colpevolizzarci: Voi avete sbagliato. Avete effettuato delle consacrazioni contro la volontà del papa. Questo non si può fare. Dite che il concilio è cattivo, che la messa è cattiva, e questo non è possibile, questo è stato riconosciuto dal papa, che è infallibile.
Come ha detto lo stesso cardinale Castrillon in una conferenza a Münster: "La nuova messa è stata riconosciuta dal papa. E questo è infallibile, è buono". 
Nel corso di una discussione, il Prefetto della Congregazione per il Clero mi ha detto: "Il papa e io stesso amiamo la nuova messa. Noi pensiamo che essa è più apostolica. Vero è che manca di qualcosa, e bisogna compensarla con una catechesi adeguata". Io allora ho ripreso la definizione del male di San Tommaso d’Aquino: "Il male è la privazione di un bene dovuto. Vi è qualcosa che dovrebbe essere là e non c’è. Ora, voi stesso, Eminenza, riconoscete che a questa nuova messa manca qualcosa. Dunque riconoscete che è cattiva".  Il cardinale non ha risposto.

Bisogna dire che non è stata la Chiesa a sbagliare, ma gli uomini di chiesa. 
Ora, le autorità romane non vogliono entrare in questa logica; e siccome non vogliono cogliere il problema là ove esso si trova, non sono in grado di prendere le misure necessarie per uscire da questa crisi.
È questo il guaio!
 

La riunificazione con gli ortodossi.
Se guardiamo al nostro nuovo papa, vediamo che gli inizi del suo pontificato non lasciano molto posto alla speranza.
Nella sua omelia in occasione della presa di possesso della cattedra di San Pietro, in Laterano, egli ha parlato del vescovo di Roma. Il Laterano è la chiesa del vescovo di Roma. Egli ha parlato della potestas docendi, ed era da molto tempo che non si parlava più del potere di insegnare. Ma quando si tratta di parlare del primato, non solo del potere di insegnare, ma anche di reggere, di governare, ecco che questo primato diventa un "primato d’amore"; e sotto questa espressione Dio solo sa che cosa vi si può mettere.

Benedetto XVI ha un’idea, ed ha confermato che si tratta dell’idea chiave del suo pontificato. Su quest’idea egli concentrerà tutta la sua energia e tutta l’energia della Chiesa. E questa idea è la riunificazione con gli ortodossi. 
Benissimo. Si tratta in fondo dei più vicini; e così si ridurrà sensibilmente il campo dell’ecumenismo. Non si parlerà più tanto del dialogo interreligioso, come ad Assisi. 
Tutto questo va bene, ma… l’idea, che era già quella del cardinale Ratzinger, è che per fare questa riunificazione, visto che gli ortodossi non accettano il primato di Pietro, occorre ritornare alla concezione che si aveva del papa prima dello scisma. In altre parole occorre ritornare alla concezione del papa in vigore nel primo millennio. Si tratta di un’idea fortemente radicata nel cardinale Ratzinger, e che ora è di Benedetto XVI.
A Bari, nel corso del Congresso Eucaristico, egli ha detto molto chiaramente che uno degli obiettivi del suo pontificato è la riunione con gli ortodossi. Se questo si attuasse secondo la concezione cattolica, non vi sarebbe niente da dire. Ma il problema è che le autorità romane hanno attualmente un concetto dell’unità che mi piacerebbe proprio capire.
Giovanni Paolo II diceva che non si sarebbe trattato "né di un assorbimento, né di una fusione". Cos’è che può essere l’unità senza assorbimento né fusione di due esseri che per adesso sono separati?
Il cardinale Kasper è più esplicito: "Non si tratterà di un agglomerato di Chiese", perché sarebbe una concezione troppo politica, troppo amministrativa. 
E ci si continua a chiedere di che cosa si potrebbe mai trattare. 
Come in questa espressione "unità nella diversità";  unità qui significa “uno”, e diversità significa “molti”, ed allora sarà "l’uno nei molti"?
È questa una formula molto alla moda in seno al New Age, e forse anche in seno all’Europa moderna, ma in fin dei conti o l’uno o l’altro, non tutti e due. No si può parlare di entrambi, l’uno e i molti, allo stesso tempo, perché allora si dovrebbe sostenere che i triangoli sono quadrati.

Io utilizzo spesso quest’immagine per spiegare l’ecumenismo moderno: Ammettendo che ogni denominazione o confessione cristiana sia una forma geometrica, come è possibile che si arrivi a ridurre all’unità tutte queste forme geometriche, lasciando che ognuna resti ciò che è, poiché è proprio questo che fa la diversità? 
Ebbene! La cosa è presto fatta, basta che ogni forma geometrica ammetta di essere un cerchio.
Evidentemente ciò significa sospendere il principio di non contraddizione. È tutto qui il problema. Ma se si arriva a risolverlo, va bene.
Questo è proprio quello che accade con l’ecumenismo: ci si vuol far credere che i quadrati sono dei triangoli o delle losanghe e che tutte queste figure sono dei cerchi.
Ci si dice anche: Abbiamo tutti la stessa fede; quello che affermava Giovanni Paolo II: "Tutti i cristiani hanno la stessa fede". Ma noi sappiamo bene che non è vero!
Il cardinale Kasper ci spiega che per avere la stessa fede non è necessario avere lo stesso credo: cosa che a chiare lettere significa arrotondare gli angoli.
 

La posta fondamentale: la verità
Questo falso ecumenismo ci permette di toccare con mano la gravità della situazione. Non si tratta di una semplice questione di rubriche liturgiche ? tre colpi d’incensiere più o meno -; qui si tratta e della verità. 

"Che cos’è la verità?" Questa famosa domanda di Pilato oggi non la si pone neanche più. Si vive senza neanche porsela. Ci se ne infischia. L’unità ci sarà perché "tutti sono buoni, tutti sono gentili". E tanto peggio per la verità. Non ci interessa. Né la verità, né la questione del bene sono più un problema per l’uomo moderno.


Quanti vescovi, quanti preti non credono più, non credono più che Nostro Signore è Dio!
Basta citare il caso del cardinale Kasper che ha scritto un libro intitolato, Gesù, il Cristo, nel quale ci dice che quando si ama qualcuno si tende ad esagerare; ed è per questo che vi sono così tanti miracoli nei Vangeli. Gli evangelisti, che amavano Gesù, hanno esagerato sul numero dei suoi miracoli! E Kasper prende la cesoia per sfoltire quasi tutto, lascia solo qualche guarigione perché se ne vedono anche oggi, quindi è possibile che ve ne fossero anche al tempo di Cristo. Egli si permette perfino di affermare che non è stato mai detto che Nostro Signore è il Figlio di Dio. E se gli si obietta che alla richiesta di Caifa: "Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio", Gesù rispose: "Io lo sono", ecco che Kasper ribatte: Dovete capire che in quel momento Gesù era sotto pressione!
E costui è un cardinale, e non ha la fede!
Quanti cardinali non hanno la fede?
Benedetto XVI è in mezzo a costoro. Che farà? Che potrà fare? Cosa vorrà fare?
 

Cosa possiamo sperare?
Nella stato attuale della Chiesa come possiamo guardare al futuro pontificato di Benedetto XVI?
Per riassumere in una immagine, possiamo dire che se si considera il pontificato di Giovanni Paolo II come una caduta libera, probabilmente bisognerà vedere quello di Benedetto XVI come una caduta col paracadute. La questione sta nel sapere di che tipo di paracadute si tratterà. 
Si andrà ancora nella stessa direzione, ma ad una minore velocità. 
Vi sarà un colpo di freno, ma quale sarà la sua efficacia? Voi sapete che quando si usa il freno in una macchina in corsa non si sa bene che cosa possa accadere al veicolo. Normalmente esso rallenta, ma talvolta sbanda da un lato…
E poi, tutto dipende dalla grandezza del paracadute. Se è piccolo, praticamente non si vedrà alcuna differenza, se è grande può effettivamente rallentare di molto la caduta.
Io credo che Benedetto XVI cercherà di frenare. Si deve sperare di più? Certo, occorre sperare di più, ma non dagli uomini. Ancora una volta la nostra speranza è in Dio. 
Le promesse di Nostro Signore valgono per sempre; valevano sotto Giovanni Paolo II, valgono sotto Benedetto XVI. Il buon Dio si serve di tutto per far procedere la sua Chiesa verso là ove Egli vuole.

A questo punto vi do un mio personale parere: io penso che se Benedetto XVI si trovasse in una situazione critica ? cosa che non è da escludere del tutto -, se fosse messo con le spalle al muro: per esempio per una reazione violenta condotta dai progressisti o per delle persecuzioni derivate da una crisi politica, io penso che se fosse costretto in circostanze simili farebbe la scelta giusta. Credo questo in forza delle reazioni che ha avuto fino ad oggi.
Questo significa che la Chiesa è sicuramente in stato di sofferenza, ma che le sofferenze sono salvatrici. Indubbiamente non ci si augura mai la persecuzione, come non ci si augura mai di spezzarsi una gamba, ma se questa frattura vi permette di salvarvi la vita allora non si esita più. Non è vero?
Io non dico che accadrà sicuramente una cosa del genere, ma credo che non bisogna farsi illusioni sulla situazione del mondo, né su quella della Chiesa. Le leggi che oggi vengono votate nel mondo rendono lentamente, ma sicuramente impossibile la vita cattolica. 
Questo significa che presto o tardi il cristiano sarà costretto a dire: No, non posso! 
E che fa uno Stato quando gli si dice di no? Vi mette in prigione. 
Oggi si mettono in prigione persone che dicono di no all’aborto o che recitano il Rosario a cinquanta o cento metri da dove si pratica l’aborto, e questo in una paese liberale come gli Stati Uniti. Come vedete oggi non è poi così difficile andare in prigione per la giusta causa.

Occorre essere pronti. Occorre prepararsi. 
Mi chiederete com’è che ci si prepara. Semplice. Gesù Cristo ci ha data una regola per prepararci alle grandi prove, una regola d’oro, e tuttavia estremamente semplice: la fedeltà alle piccole cose o, se volete, il dovere di stato. La fedeltà alle piccole cose è quella che ci garantisce la fedeltà alle grandi. È Nostro Signore stesso che l’ha detto.
 

Conservare le relazioni con Roma
Cos’è che chiediamo a Roma? 
Molto semplicemente noi vogliamo essere e vogliamo restare cattolici. 
Non si può chiedere di meno: che la Chiesa sia cattolica, che la nostra madre Chiesa sia una, santa, cattolica e apostolica. Non chiediamo niente di più e niente di meno. 
Noi chiediamo tutta la fede, tutti i sacramenti, tutta la disciplina. Ecco il nostro scopo.
Quali sono i nostri mezzi? Certo, non spetta a noi convertire Roma, possiamo però collaborarvi, cooperarvi, e noi dobbiamo fare tutto quello che possiamo. E tra tutto quello che possiamo vi è innanzi tutto il dovere di conservare le relazioni con Roma. Non bisogna troncarle, sarebbe un errore metter da parte il papa, la curia e i vescovi, per poi finire col dire: ci siamo solo noi.

Se vi serve una prova, sappiate che coloro che incominciano così finiscono sempre col darsi un papa, il loro papa. Oggi ve ne sono già una quindicina! 
Uno di essi mi ha scritto, si fa chiamare Pietro II, e mi ha chiesto il permesso di conservare il Santissimo Sacramento nel suo garage! Ecco a che punto si arriva!
Ve n’è un altro, Pio XIII, un cappuccino, che si è detto: "Adesso che sono papa, mi servono dei cardinali", e ha nominato cardinale un australiano. Qualche giorno dopo lo ha consacrato vescovo, mentre era ancora un semplice frate cappuccino, e tre giorni dopo si è fatto consacrare vescovo da lui!
Tutto ciò è ridicolo, è penoso. Siamo alle false soluzioni che non portano a niente. Vescovi dappertutto! Un vescovo in un garage! E poi i papi! Così non va bene.

Sappiamo molto bene che ancora oggi nella Chiesa ufficiale vi sono delle ànime, dei preti, dei vescovi, che non si mostrano, ma che sono indubbiamente cattolici. Senza ombra di dubbio. Per contro si può dire che siamo rimasti solo noi, i fedeli alla Tradizione, che conserviamo in vita l’insieme della dottrina, e intanto vi sono sfortunatamente molti cattolici che non lo sono più. È questo che crea la difficoltà.
Un cancro, quand’esso è ben delimitato, si può provare a toglierlo. Ma se il cancro è generalizzato, se la malattia è dappertutto non si prova neanche a toglierlo, poiché non si sa più ciò che bisogna togliere e ciò che bisogna lasciare. I medici sono impotenti.
È questo lo stato della Chiesa. Siamo di fronte ad un cancro generalizzato al punto tale che non si può neanche prendere il bisturi per recidere i tumori.
Una volta, vi era un prete eretico qua, un vescovo eretico là, bastava che li si facesse saltare e tutto tornava a posto. Oggi invece il male è talmente diffuso che Roma stessa non osa più usare il bisturi.
Non chiedetemi come tutto questo possa essere possibile. Questo fa parte del mistero della Chiesa. 
In questo possiamo vedere una associazione del Corpo mistico con le sofferenze di Cristo sulla croce. Si capisce che la Chiesa attraversa  lo stesso stadio del suo fondatore, quello di una passione inaudita.
Tutto questo sfocerà nella morte, come per Nostro Signore? Si giungerà ad una morte apparente, come una sparizione della Chiesa?
Io mi chiedo se la parte pubblicata del terzo segreto di Fatima non riguardi proprio questa Passione. In definitiva si tratta di un massacro: una processione che segue il papa, con i vescovi, i religiosi, i fedeli di ogni condizione, e tutti vengono uccisi. E la visione si conclude con gli angeli che presentano questo sangue a Dio, e questo sangue ricade come grazia su coloro che restano. È come se vi fosse una sparizione apparente della Chiesa.
Questa interpretazione non è esattamente quella che ha fornito Roma, ma io non faccio altro che descrivere puramente e semplicemente la visione.
 

Il dovere di testimoniare
La situazione in cui viviamo è proprio inaudita. Non di meno, voi stessi vedete che con del coraggio, degli sforzi, con pene e lacrime, oggi si riesce ancora a vivere cristianamente. E ci si riesce perché la grazia del Buon Dio è ancora effettiva. Prova ne è questa piccola Fraternità che continua a portarsi dappertutto.
La testimonianza: ecco il nostro semplicissimo compito. Noi ci siamo e quelli che sono vicini a noi se ne accorgono. Voi non vi rendete conto dell’effetto che producono queste famiglie cattoliche con dei figli che si comportano come si deve. Non vi rendete conto quanto questo impressioni le persone che ci conoscono.

Un piccolo esempio: una suora, una religiosa insegnante italiana, viene ad Econe per le ordinazioni. Alla fine della Messa ella piange: è sconvolta. Perché? Perché ha visto un gran numero di bambini, uno sciame in mezzo alla folla, sotto un sole cocente, rimasti composti per cinque ore. E ci dice: "Io non riesco a tenerli a bada dieci minuti, e qui invece è intera folla di bambini che rimane composta." Ne è rimasta segnata: ha lasciata la sua congregazione per unirsi a noi.
È quello che è anche accaduto in occasione del nostro pellegrinaggio a Roma. Abbiamo dato semplicemente l’esempio la vita cattolica. Non c’è bisogno di fare niente di straordinario. Eravamo là. Abbiamo recitato il rosario in ginocchio per circa un’ora. 
Ma il fatto è che questo non si vede più. Un tempo era perfettamente normale. Oggi sono queste le cose che colpiscono, delle cose così semplici come queste. Non bisogna cercare l’impossibile. Le cose come queste obbligano a riflettere anche i teologi e i vescovi. 
Il capo di un Dicastero a Roma, quando ha visto quelle processioni ha detto: "Ma questi sono cattolici, dobbiamo fare qualcosa per loro." Come se venisse dal cielo!
Perché, voi lo sapete, noi siamo francamente demonizzati da tutti i giornali.

Si può ancora fare molto. 
Certo, è con la croce che noi andiamo avanti, ma noi dobbiamo dimostrare che la religione cattolica esiste, che è possibile praticarla in questo mondo, che si possono fare anche dei progressi.
 

Illuminare i vescovi e i preti
Il nostro compito è, giustamente, di mantenere quel minimo di relazioni che permette di far passare questo esempio. È per questo che non bisogna rompere. Bisogna convertire.
E ancora una volta, non siamo noi che convertiamo, ma il Buon Dio. Ma noi possiamo apportare la nostra piccola pietra.
Approfittiamo così di queste relazioni per dare a Roma degli studi teologici che dimostrano che esistono veramente dei seri problemi nei testi del concilio, e dopo il concilio. Si tratta di un lavoro a lunga scadenza… prima che le autorità romane acconsentano a riflettervi e a parlarne!
Ma non si perde niente nel dire la verità, anche quando fa male.

Vi è anche tutto un lavoro da svolgere presso i vescovi e i preti. Questo li infastidisce, lo capite bene. Ma poi, all’improvviso vi è un vescovo francese che vi dice: "Sono contento che visitiate i miei preti, ne hanno bisogno. Continuate!". Un altro, sempre in Francia: "La Chiesa ha bisogno di voi, Ma, vi supplico, restate come siete. Non cambiate!".
Per contro si continuano a raccogliere delle batoste da parte di altri vescovi, e le si raccoglie volentieri se questo può aiutarli a vederci chiaro, un giorno.
Quelli che incominciano a comprendere non sono troppo coraggiosi. Sanno bene che se aprissero la bocca verrebbero subito colpiti. Alcuni addirittura ci dicono: "Pregate per me, perché io possa parlare".

Io credo che Roma si sbagli sullo stato della Chiesa. I progressisti fanno molto rumore, sono in tanti, ma vi sono ancora dei fedeli del tutto pronti a riavere la messa antica. Certo, bisogna prepararli, ma ve ne sono più di quanto si creda.

Con i preti le cose sono più difficili. La nostra esperienza dimostra che vi è una categoria di preti che non sentire niente. Sono quelli tra i 60 e i 75 anni, quelli che hanno l’età del concilio, quelli che hanno dovuto lasciare tutto quello che avevano prima. Essi si sono abbandonati a queste novità e adesso non riescono più a far marcia indietro. È impressionante. Fa male. È la fascia d’età più toccata. I più anziani, al di sopra dei 75 anni, in maggioranza non hanno problemi. 
I più giovani invece, in maniera del tutto impressionante, sono molto aperti. Non sanno niente, è vero, ma non di meno sono aperti.

Ecco cosa mi dice un vicario che mi viene a trovare: "Ascoltate. Quando visito i fedeli, mi dicono: perché avete cambiato la Chiesa? Perché avete cambiato la messa? Noi vogliamo l’altra, l’antica", e confessa: "Io vorrei, ma non la conosco. Non l’ho mai vista. Ho 28 anni. Quando cerco di chiedere ai preti anziani, mi trattano male. Volete insegnarmi la messa antica? Com’era la Chiesa di prima? Io conosco quella dopo il Vaticano II, ma di prima non so niente."
Un altro esempio edificante: un ragazzo che va alla nuova messa. Un bel giorno apprende che vi sono stati dei martiri che sono morti per la messa, e dice a sé stesso: "Non è possibile". Subisce un certo travaglio a causa di questo fatto storico, poiché, ai suoi occhi, non si poteva morire per la messa, non era possibile. Fino a quando apprende che vi era un’altra messa. La cosa lo ha interessato: ci ha cercati e ci ha trovati. Ora è un seminarista.


Bisogna sapere che nei seminari moderni, gruppi di candidati al sacerdozio si riuniscono per studiare San Tommaso. Per ricevere il l’antidoto contro ciò che hanno appreso il giorno. Accade anche di ricevere delle richieste telefoniche di seminaristi che ci chiedono: "Il nostro professore di Sacra Scrittura ci ha detto che vi erano tre Isaia. Mi sembra un po’ bizzarro. Che dice la Chiesa?". Si tratta di un austriaco. Stessa domanda da un seminarista dell’Australia.
In questa generazione di preti vi è qualcosa di sorprendente, che lascia stupefatti i responsabili delle vocazioni nei seminari moderni. Tutto a un tratto essi si rendono conto che nei loro seminari vi sono dei movimenti sotterranei di seminaristi che vogliono essere conservatori. Certo, quando li si scopre, li si caccia. Poiché oggi è un peccato essere conservatori.

Capite allora perché si è obbligati a dire che così non si può andare avanti. Noi abbiamo il dovere di dirlo a Roma: Non vogliamo dei compromessi, degli accordi a metà. No. Noi vogliamo essere cattolici, punto e basta. E non ci aspettiamo di meno da Roma.

Il cardinale Castrillon, nel 2004, parlando di noi mi diceva: "Sono scoraggiato". Ma io non sono completamente scoraggiato. Si vede bene che il Buon Dio è al lavoro. Certo, non si può dire che il rinnovamento della Chiesa è compiuto, ma è come quando si scorgono tanti piccoli germogli verdi in mezzo al deserto: se ne vede uno qui, uno là, e si sa che dopo di questo il Buon Dio farà in modo che in mezzo al deserto un giorno vi sia l’erba verde dappertutto.
 

Verso il rafforzamento della Commissione Ecclesia Dei?
Nella situazione attuale, che si prepara per noi?
Secondo, le informazioni che abbiamo, il cardinale Ratzinger, già l’anno scorso, lavorava al rafforzamento dell’Ecclesia Dei, e non era il solo. Si può legittimamente pensare che oggi il papa prosegua in questo lavoro di rafforzamento dell’Ecclesia Dei. Egli accorderà maggior peso a questa Commissione e ne aumenterà il personale. Per ciò stesso egli sosterrà ancora meglio quelli che vogliono la messa antica. Ma questo riguarderà solo gli organismi riconosciuti dall’Ecclesia Dei: San Pietro, Cristo Re, ecc.
Paradossalmente, tutto questo ci aiuterà, perché il Buon Dio si serve della Fraternità San Pietro come di un trampolino verso la Fraternità San Pio X.

In definitiva, il bilancio dell’indulto è proprio questo. Roma ha sbagliato i conti: aprendo le porte, le autorità pensavano di condurre i fedeli alla nuova messa. Nei fatti è accaduto il contrario, così che si può solo gioire per ogni apertura a favore della messa antica.

Perché questa libertà ha favorito il movimento in questo senso piuttosto che nell’altro?
Perché la messa antica, in quanto tale, ha una potenza straordinaria. Essa esige la fede e dona la fede. E quando si è appena gustata la fede tradizionale, non se ne vedono tutte le implicazioni. 
Vi sono dei preti che hanno detto la nuova messa e che hanno ridetto l’antica, una, due, tre volte; e poi hanno dichiarato: "Mai più la nuova". 
Per contro, conosco un prete che non osa ridire la messa antica, perché riconosce che dopo non potrà più dire quella nuova. Viene voglia di dirgli: "Forza, coraggio!"

Questa messa nutre, essa è davvero il cuore della Chiesa, il cuore che manda il sangue in tutto il corpo. E il sangue porta la vita, l’ossigeno, la respirazione. Il cuore è la pompa del nostro corpo; e la pompa soprannaturale della Chiesa, che porta la vita a tutto il Corpo mistico, è la messa. Alimentando la pompa si rigenera tutto il corpo: è per questo che chiediamo la libertà per la messa. So bene che non si limita tutto a questo, che vi sono delle eresie da combattere, ma bisogna cominciare da qualche parte, e innanzi tutto dal concreto.


Per il momento occorre cambiare il clima, cominciare col far dire alle autorità, con i fatti, che la Tradizione non è una curiosità archeologica, preistorica; ma lo stato normale: il solo stato normale della Chiesa.
Evidentemente questo non si potrà fare in un giorno.

Roma lavora dunque a questo rafforzamento della comunità dell’Ecclesia Dei. Si può pensare che noi saremo ignorati, così che per un certo tempo la nostra situazione potrà essere più difficile di quanto fosse sotto Giovanni Paolo II, poiché molti si inganneranno e diranno "Ecco, è fatta, va bene, abbiamo ottenuto", quando invece non si è ancora ottenuto niente.
Il rafforzamento dell’Ecclesia Dei si tradurrà probabilmente, ad un certo punto, nella creazione di entità più o meno esenti dalla giurisdizione dei vescovi diocesani. Le autorità romane saranno obbligate ad accordare una certa esenzione malgrado la violenta opposizione dei vescovi.
Per adesso esse evitano di andare contro questa opposizione, ma si rendono perfettamente conto che questa situazione è ingiusta. Esse sanno che i fedeli che vogliono la messa antica ne hanno diritto. Si, Roma sa perfettamente che questa messa non può essere interdetta, e questo o quel cardinale incomincia a dirlo. Tra di essi, l’ex Prefetto della Congregazione per la liturgia, il cardinale Medina, ha dichiarato: "Io ho fatto delle ricerche e non vi sono dei testi che interdicono la messa antica". Ora, dire che non è interdetta significa riconoscere che è permessa.
Roma lo sa, e per Roma io intendo la Curia, Giovanni Paolo II e adesso Benedetto XVI, essi sanno ce la messa tridentina non è mai stata interdetta e non può essere interdetta, che non v’è alcun elemento giuridico o teologico che permette l’interdizione di questa messa. Lo sanno, e dunque un giorno questa ingiustizia fatta alla Chiesa e alla messa antica sparirà. 
Preghiamo perché questo accada il più presto possibile. Preghiamo perché questo accada sotto questo pontificato, perché è del tutto possibile che sia così.

Tutto quello che si può fare in favore della Tradizione è benefico.
Qual è il bilancio da dopo le consacrazioni fino ad oggi? Negli Stati Uniti ? sono le cifre ufficiali della messa dell’indulto ? 150.000 fedeli possono beneficiare della messa tridentina. Se non ci fossero state le consacrazioni questi fedeli oggi non avrebbero questa messa.
 

La vittoria dopo la battaglia.
Per concludere, qual è la nostra attuale disposizione? 
La speranza, una speranza certa.
Perché certa?
Perché essa non si fonda su un uomo, ma sul Buon Dio, che è fedele alle sua promesse.
Preghiamo proprio perché la grazia del Buon Dio sia talmente forte da superare tutte le debolezze di coloro che hanno degli incarichi nella Chiesa.
Dio può farlo, e forse Egli ha perfino legato l’ottenimento di questa grazia alle nostre preghiere e ai nostri sacrifici; poiché vi è una stupefacente solidarietà nel Corpo mistico. Non dimentichiamolo.

Invece di imprecare contro questi poveri vescovi o questi preti che conducono delle vite scandalose, preghiamo per loro. In questo modo si fa loro e alla Chiesa molto più bene di quando li si insulta.
Domandiamo al Buon Dio di far discendere la grazia su di loro.

Io credo nella Santa Vergine. Fatima non è finita! Noi siamo nell’epoca della Santa Vergine. E vedendo tutto ciò che è accaduto a partire dal XIX secolo, io sono convinto che noi viviamo nell’epoca della Santa Vergine.
Alla fine, il mio cuore immacolato trionferà.

Ma al trionfo precede la battaglia, la vittoria giunge alla fine della battaglia, non prima. Come la resurrezione viene dopo la morte.
Oggi si vuole pregare solo Gesù resuscitato, ma prima di resuscitare Egli è morto.

Ricordiamoci che la vittoria viene dopo la battaglia, e non dimentichiamo che adesso noi siamo nel pieno della battaglia.
Chiediamo alla Santa Vergine di rimanere sotto il suo mantello, sotto la sua protezione, nella sua armata, per contribuire a questa vittoria mettendo tutte le nostre energie nella presente battaglia.

Coraggio! Continuiamoci a battere, non siamo alla fine. La vittoria sarà il trionfo del Cuore immacolato. 




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