Quali prospettive per la Chiesa con l'avvento di un
nuovo papa?
Conferenza tenuta da Mons. B. Fellay
Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale
San Pio X
a Bruxelles il 13.6.2005
I candidati conservatori al conclave
Una formazione non tomista
Esperto al concilio Vaticano II dalla parte
dei progressiti
Da Monaco a Roma
Giuste diagnosi, ma senza rimedi efficaci
Il cardinale Ratzinger e la Fraternità
San Pio X
Benedetto XVI e il Vaticano II
La riunificazione con gli ortodossi
La posta fondamentale: la verità
Cosa possiamo sperare?
Conservare le relazioni con Roma
Il dovere di testimoniare
Illuminare i vescovi e i preti
Verso il rafforzamento della Commissione
Ecclesia Dei?
La vittoria dopo la battaglia
le sottolineature sono nostre
Cari fedeli,
è certo cosa del tutto normale che all’avvento
di un nuovo papa ci si ponga la domanda:
"Che cosa accadrà adesso?".
E questa domanda, piena di speranza, si fonda innanzi
tutto sulla promessa di Nostro Signore:
"Le porte dell’inferno non prevarranno contro la Chiesa".
Questo lo sappiamo tutti e tutti vi crediamo. Resta da
vedere come si realizza concretamente.
Io penso che non ho bisogno di dirvi che le cose non vanno
bene per la Chiesa: è una tragedia, una catastrofe incommensurabile.
Direi di più: i teologi dei primi del XX secolo, ascoltando quello
che diciamo e vedendo che non si tratta di una opinione personale ma della
semplice descrizione della situazione attuale, ci avrebbero considerati
degli eretici. Intendo dire che i teologi consideravano come impossibile,
inconcepibile ciò che di fatto accade oggigiorno. Pensate alle parole
di San Pio X nella sua prima enciclica, ove descrivendo la situazione del
suo tempo, diceva: " con ragione ci si può chiedere se il
Figlio della perdizione non sia già arrivato".
Cosa avrebbe detto oggi?
Da un lato noi constatiamo una crisi terribile nella Chiesa
e dall’altro crediamo alla promessa di Nostro Signore; e sappiamo che il
più forte è Nostro Signore, il Buon Dio. Allora usiamo il
cervello e cerchiamo di riflettere: in che modo questo si realizzerà?
In che modo Nostro Signore potrà rimettere le
cose a posto?
Ed ecco la soluzione, del tutto semplice: con un nuovo
papa. Un buon papa, e tutto torna al suo posto!
Da qui questa aspettativa segreta e perfino inconscia:
ecco, è lui!
Vi è un nuovo papa, quindi è lui! È
lui che dovrà rimettere a posto le cose, poiché le cose vanno
male, poiché Nostro Signore ha promesso che le cose non potevano
spingersi troppo oltre e ci sarebbe stata una ripresa. Dunque è
lui!
D’altronde, molti indizi confortano questa prospettiva.
Per esempio: il Venerdì Santo, appena prima del
decesso di Giovanni Paolo II, il cardinale Ratzinger, nel corso della Via
Crucis, ha fatto una descrizione molto realistica dello stato della Chiesa.
Ha detto che la barca stava per affondare. Pensare allora alla promessa
di Nostro Signore che la barca non affonderà, e sentire il Prefetto
della Congregazione per la Dottrina della Fede che afferma che invece sta
per affondare, è cosa veramente drammatica!
E ve ne sono altre di espressioni simili. In questi ultimi
anni egli ha più volte criticato la nuova messa, e ha anche scritto
un libro sull’argomento. Tutto questo sembra andare verso la giusta direzione.
I candidati conservatori al conclave.
E poi, possiamo dirlo, non è una supposizione:
Benedetto
XVI è stato eletto in opposizione ai progressisti. Abbiamo qualche
informazione su come si sono svolte le cose in conclave.
Voi tutti sapete che i cardinali giurano di conservare
il segreto su tutto quello che accade in conclave, per cui non chiedetemi
come io faccia a sapere certe cose.
Si sa comunque che una cinquantina di cardinali diedero
il loro voto al cardinale Ratzinger, una ventina al cardinale Martini e
altrettanti al cardinale Bergoglio di Buenos Aires; il cardinale Sodano
ne ha avuti quattro. Certo che il cardinale Martini non è
un conservatore, ed era chiaramente, al primo scrutinio, il capofila dei
progressisti. Egli, insieme al cardinale scozzese McCormack e al cardinale
Danneels, formava in seno al conclave un gruppo che era la punta di diamante
del progressismo.
Dal lato opposto vi era un gruppo di quattro, cinque
cardinali, e sembra che quello che più abbia lavorato per l’elezione
del cardinale Ratzinger sia stato il cardinale Trujillo, colombiano,
insieme al cardinale Castrillon, anch’egli colombiano, e al cardinale spagnolo
Herranz. Anche il cardinale Medina pare abbia lavorato a favore di questa
elezione.
Subito il cardinale Martini, vedendo il numero dei voti
raccolti, si rese conto che non poteva correre da solo e fece convergere
i voti sul cardinale di Buenos Aires; è così che al secondo
turno il cardinale Ratzinger ottenne poco più di cinquanta voti,
mentre un certo numeri di voti vennero fatti convergere sul cardinale Bergoglio:
i due nomi che erano in testa.
A questo punto il cardinale di Buenos Aires si impaurì
? forse il termine è troppo forte, comunque si rese conto che avrebbe
potuto anche essere eletto e, non sentendosi pronto per un tale compito,
si ritirò. Così al terzo turno vi era un solo candidato e
il cardinale Ratzinger arrivò a un passo dall’elezione, gli mancavano
pochissimi voti, pare tre voti. Subito, la stessa sera si effettuò
un quarto scrutinio, e questa volta egli venne eletto con più di
cento voti.
Per i progressisti fu un disastro.
Tutto questo ci dà delle speranze. Le cose vanno
per il verso giusto perché i progressisti sono stati battuti; e
se guardiamo ai cardinali presenti al conclave, certo il cardinale Ratzinger
può essere considerato uno dei migliori.
Allora, va tutto bene? Non è facile parlare
del futuro! Dio solo conosce l’avvenire.
Per noi uno sguardo al futuro è sempre qualcosa
di molto delicato. Si può cercare di valutare in termini di probabilità,
tenendo sempre presente che trattandosi di uomini entrano in giuoco la
libertà e le contingenze. Se vi dicessi: "le cose vanno così",
sarei obbligato ad aggiungere che vi è la possibilità che
non vadano proprio così. Insomma vi è una certa probabilità,
di più non si può dire.
Su che fondare questa probabilità, questo sguardo
sull’avvenire del pontificato?
Sulla nostra conoscenza del passato!
Noi conosciamo molto bene il cardinale Ratzinger e pensiamo
che tra il cardinale Ratzinger e il papa Benedetto XVI non vi sia molta
differenza né di personalità né di carattere. Ciò
che possiamo pensare del cardinale Ratzinger possiamo pensarlo anche di
Benedetto XVI. Vero è che vi sono delle grazie di stato, vero è
che in quanto vicario di Cristo e capo della Chiesa egli beneficia di una
particolare assistenza dello Spirito Santo, e tuttavia il suo modo di reagire
di fronte ai problemi, il suo modo di trattarli, almeno sul piano umano,
sarà quasi identico a quand’era cardinale.
Una formazione non tomista
Cosa scorgiamo dunque nell’uomo che è adesso Benedetto
XVI? Cosa scorgiamo nella sua formazione?
Cominciamo dal teologo. Professore di università,
egli
stesso, nella sua biografia, ci dice che non è un tomista, e ci
dice anche che non ama San Tommaso, almeno nel modo in cui lo insegnavano
al seminario. Bisogna dunque concluderne che si tratta di un filosofo e
di un teologo a cui manca quell’armatura intellettuale che procura il tomismo.
Se si pensa che Leone XIII diceva che ogni articolo della
Summa
teologica di San Tommaso è un miracolo e che un solo anno a
contatto con San Tommaso rende più di diversi anni di studi dei
Padri della Chiesa… Se si pensa che San Pio X, nella sua enciclica
Pascendi,
fece ritirare tutti i titoli di dottore a coloro che non avevano avuto
nella Chiesa una formazione filosofica scolastica… pensate: con quella
enciclica tutti i dottori in teologia, in diritto canonico che non avevano
studiato la filosofia scolastica si videro ritirare il titolo di dottore!
Pensate ad una cosa del genere ai giorni nostri, non vi sarebbero più
molti dottori nella Chiesa!
Il professor Ratzinger, quindi, non è un tomista.
Vedremo più avanti che nei suoi scritti, nel suo stesso modo di
fare vi è qualcosa di hegeliano, di fortemente hegeliano: un elemento
evoluzionista, uno sguardo nuovo sulla verità.
La teologia e la filosofia perenni, classiche, considerano
la verità qualcosa che si pone interamente al di là del tempo.
Infatti, la verità è legata all’essere e l’essere è
al di sopra del tempo. Ciò che è è, punto
e basta!
Come definizione di Sé stesso, Dio ha dato: "Io
sono colui che sono", in riferimento immediato all’essere; e si
sa bene che Dio è immutabile.
In tutto ciò che riguarda l’essenza delle cose
vi è dunque qualcosa di immutabile, di invariato.
Il primo uomo, Adamo, era un uomo esattamente come noi,
e tutto quello che al tempo di Adamo era buono o cattivo resta tale anche
oggi. Ciò che allora era virtù anche oggi è virtù.
Ciò che allora era peccato, difetto, resta anche oggi peccato, difetto.
La neve era bianca come lo è oggi, il cielo sereno era blu come
lo è oggi. Quando si guarda all’essenza delle cose ci si pone fuori
dal tempo.
Una prospettiva come quella del professore, del teologo,
del cardinale Ratzinger è una prospettiva nuova. È un nuovo
modo di guardare, che ammette un movimento, una evoluzione della verità.
Darò qualche esempio per illustrare il mio assunto.
Nel 1987, al momento dell’incontro tra Mons. Lefebvre
e il cardinale Ratzinger, il nostro fondatore insisteva sulla regalità
sociale di Nostro Signore Gesù Cristo e descriveva la lotta che
si svolge intorno a ciò che dopo il concilio è stata chiamata
libertà religiosa.
Mons. Lefebvre: Si tratta di
qualcosa che si oppone alla Quanta Cura di Pio IX.
Card. Ratzinger: Ma, Eccellenza,
non siamo più ai tempi della Quanta Cura.
Mons. Lefebvre: Allora significa
che aspetterò domani, poiché domani non saremo più
al
tempo del Vaticano II!
D’altronde, detto tra parentesi, un cardinale un giorno mi
ha detto che la Gaudium et Spes era sorpassata.
Un altro esempio di quest’idea in base alla quale la verità
evolve, lo troviamo nella spiegazione fornita dalla Congregazione per la
Dottrina della Fede quando si cercava di giustificare Rosmini.
Voi sapete che il papa Giovanni Paolo II voleva beatificare
Rosmini o quantomeno avviare il processo di beatificazione. Già
Paolo VI aveva istituito una commissione per esaminare il suo processo
di beatificazione.
Il problema di Rosmini consiste nel fatto che è
stato condannato dalla Chiesa. Così ci troviamo di fronte alla prima
commissione di Paolo VI che dice: Impossibile, è stato condannato.
Ma Giovanni Paolo II vorrebbe vedere iniziato questo processo di beatificazione
e istituisce allora una nuova commissione, che ribadisce però quanto
affermato dalla prima.
A questo punto però si impedisce che essa possa
formulare un giudizio definitivo, lasciando tutto in sospeso, e si cerca
di venirne fuori diversamente. Si fa emettere un decreto dalla Congregazione
per la Dottrina della Fede che tenta di spiegare qualcosa difficile da
accettare.
Ci si dice che la condanna di Rosmini, vista
con gli occhi del tomismo allora in vigore, è del tutto giustificata,
ma oggi le cose stanno diversamente: se si considerano le tesi di Rosmini
con gli occhi d Rosmini la sua dottrina è ammissibile.
Si tratta di un approccio alla verità totalmente soggettivo!
Rosmini ha parlato, la sua opera è stata compresa,
la Chiesa l’ha compresa ed ha affermato che ciò che era comprensibile
era condannabile. Ma, più tardi ci si dice che non è in quel
modo che bisognava comprendere Rosmini, per cogliere la visione che egli
aveva delle cose bisognava entrare nella sua testa.
È la fine della verità.
Notate bene: è la fine della verità
oggettiva, e questo è molto, molto grave.
Questo vi fa capire chi è il cardinale Ratzinger,
almeno per quanto riguarda la sua formazione teologica.
Io sostengo che è hegeliana a causa di un altro
aspetto.
A fianco dell’elemento evoluzionista, troviamo la famosa
trilogia tesi-antitesi-sintesi. La cosa è ben evidente quando si
considerano non più le verità speculative in sé stesse
- cioè quelle verità su cui si riflette ma che non hanno
una applicazione direttamente pratica - ma la messa in pratica di queste
verità secondo il cardinale Ratzinger.
Questa prospettiva dinamica - tesi-antitesi-sintesi -
pretende di spiegare gli avvenimenti della storia come un incontro conflittuale
che si conclude con l’instaurazione di un nuovo status supposto migliore
del precedente, ma che è il frutto di questo incontro, di questo
conflitto tra la tesi e l’antitesi. È questa una applicazione del
tutto concreta per il Prefetto della Congregazione della Fede.
La prima volta che il cardinale Ratzinger ha visitato
il seminario della Fraternità San Pietro a Wigratzbad, ha affermato:
"Occorre che voi conserviate la messa antica per fare da contrappeso
alla nuova".
Ecco l’antitesi: occorre stabilire una sorta di equilibrio.
Oggi si vira a sinistra, dunque occorre mettere più pesi sulla destra.
È necessario un contrappeso.
"E dopo - ha affermato - si giungerà
ad una nuova Nuova Messa".
Insomma, quando questo contrappeso avrà neutralizzato
la tendenza progressista, poiché questa finirà più
o meno col neutralizzarsi, allora si potrò fare una nuova Nuova
Messa.
Il cardinale Ratzinger utilizzerà più volte
questa applicazione pratica secondo una prospettiva dialettica, hegeliana.
Esperto al concilio Vaticano II dalla
parte dei progressisti
La nostra prima impressione sul professor Ratzinger è
rafforzata dall’osservazione dei suoi comportamenti e delle sue relazioni
nel corso del concilio e del postconcilio.
Al concilio egli entra come esperto, e cioè come
teologo del cardinale di Monaco. È il più giovane esperto
del concilio. Un altro giovane come lui, il Padre Medina, è oggi
cardinale. Entrambi del 1927, furono i partecipanti più giovani
del concilio, non come vescovi ma come teologi esperti che aiutavano ognuno
un padre del concilio.
In quel tempo i suoi amici erano Karl Rahner, Henri
de Lubac, Hans Urs von Balthasar. Sono i grandi nomi del concilio,
non nel senso che abbiano fatto grandi cose, ma perché hanno causato
grossi rivolgimenti; hanno avuto un’influenza impressionante sul concilio.
Di Rahner, durante il concilio, si diceva: "Rahner
locutus est, causa finita est", ha parlato, la questione è definita.
Ma Ratzinger, molto rapidamente, dopo il concilio, mentre
non è ancora cardinale, prende le distanze da Rahner e si avvicina
a Henri de Lubac e a Hans Urs von Balthasar. Con loro fonda il movimento
Communio:
un raggruppamento di teologi che pubblica una rivista dallo stesso titolo.
Si tratta sempre di un gruppo progressista, che però
non si spinge così lontano come Rahner. D’altronde, il progressismo
del concilio, con gli anni, è visto sempre più come conservatorismo,
anche se questi teologi non sono affatto cambiati.
Urs von Balthasar, un anno prima della sua morte, nel
1987, riceve il premio Paolo VI. In quella occasione dichiara: "Se
vi è un inferno, non c’è nessuno, perché la sola cosa
che vi si trova è il peccato, non il peccatore". Fra l’altro
non divenne cardinale solo per poco, perché morì appena prima.
Per contro, Henri de Lubac, suo amico, è stato
creato cardinale. Egli è celebre per essere stato condannato nel
1950 a causa del suo libro Il soprannaturale, in cui nega
propriamente il soprannaturale.
In esso, tra la natura e la grazia, egli stabilisce
un rapporto tale che la natura ha diritto alla grazia, così che
questa non sarebbe più qualcosa di gratuito. Egli disse di aver
corretto un po’ la sua tesi, ma la cosa è tutta da discutere.
E questa linea teologica del concilio è quella
di colui che diventerà ben presto il cardinale Ratzinger.
D’altronde, quando nel 1985 egli si lamenterà
dello stato delle cose in seno alla Chiesa, egli non l’attribuirà
al concilio. Secondo lui, non è stato lo spirito del concilio
che ha prodotto questi cattivi frutti, ma un cattivo spirito del concilio,
una cattiva interpretazione del concilio.
Da Monaco a Roma
Vi è un avvenimento molto interessante che, secondo
me, sarà determinante per un relativo cambiamento di attitudine
del cardinale Ratzinger. È la sua nomina a vescovo di Monaco.
Fino ad allora egli era un professore, da quel momento
possiamo dire che scende in lizza nel concreto: deve governare una diocesi;
e nel concreto le idee astratte assumono un’altra dimensione. D’un tratto
egli si rende conto che certe teorie che si potevano sostenere molto facilmente
in astratto, quando si cerca di applicarle concretamente non funzionano
più. In particolare, sulle questioni dell’obbedienza e dell’esercizio
del potere nella Chiesa, quando questi intellettuali vogliono praticare
le loro teorie non vengono ubbiditi. Ed è singolare constatare
che anche i progressisti, quando governano, amano essere obbediti… a quel
punto non amano più la contraddizione; e questo li induce a ritornare,
almeno nell’esercizio del loro governo, ai metodi tradizionali.
A Monaco, Ratzinger finisce perfino con l’essere costretto
ad interdire ad uno dei suoi amici l’occupazione di una cattedra alla facoltà
di teologia cattolica dell’università; cosa che gli procura l’opposizione
severa dei suoi vecchi amici.
E io penso che questo gli sia servito da lezione.
Si trattò di un primo passo indietro, di un cambiamento
di attitudine fino ad un certo punto… che gli conferirà una certa
aura da conservatore, per alcuni aspetti giustificata.
Quando arriva a Roma, nel 1982, egli si trova in questa
nuova disposizione: che in realtà è un miscuglio assai difficile
da descrivere e ancora più difficile da concepire.
Da un lato, un uomo che ha la fede.
Come credente egli dimostra la fede dei suoi genitori,
di quand’era ragazzo: com’era bella quella fede! Si vede che egli ce l’ha
sempre, che ama la fede cattolica. Questo è il credente.
Ma quando si guarda al teologo le cose cambiano. Egli
ama molto certe idee moderne. Nella sua biografia spiega che quando presentò
la sua seconda tesi di dottorato, questa venne rifiutata perché
modernista; allora si rese conto che quella tesi era composta da due parti,
una interamente sottolineata di rosso, pertanto inaccettabile, l’altra,
più storica, quindi più accettabile. Ripresentò allora
questa seconda parte ed ottenne così il suo secondo dottorato in
teologia.
L’anno seguente, il 1983, egli assunse diverse posizioni
in opposizione con la linea generale. Come Prefetto per la Dottrina della
Fede tenne in Francia due conferenze nel corso delle quali ricordò
ai vescovi e ai fedeli che la base del catechismo, di ogni catechismo,
dev’essere il catechismo romano: e cioè il catechismo del concilio
di Trento. Questo ripetuto richiamo suscitò contro di lui l’ira
dell’episcopato francese, che passò al contrattacco. Si giunse così
ad una ritrattazione del cardinale, pubblicata nella Documentation
Catholique, ove egli affermava di non avere mai scritto quelle
cose. Disse anche che a quel punto avrebbe dato le sue dimissioni.
Prima sconfitta. Ciò che aveva ricordato era molto
giusto, ma non veniva accettato.
Un altro fatto: Assisi.
Si sa che il cardinale Ratzinger non era d’accordo.
Al primo incontro del 1986 non era presente. Al secondo, nel 2002, nonostante
fosse ancora contrario fu costretto ad andare, ed andò.
Anche in occasione del primo incontro di Assisi si
disse che aveva presentate le dimissioni.
Io personalmente posso dire di aver sentito delle dimissioni
del cardinale Ratzinger per quattro volte.
Il cardinale Medina, quando è stato recentemente
a Le Barroux, ha dichiarato che aveva dato le dimissioni due volte: ci
dev’essere qualcosa di vero. Più volte il cardinale Ratzinger ha
presentato le sue dimissioni da Prefetto della Congregazione della Fede,
a causa del suo disaccordo col Papa e in particolare a causa di Assisi.
Egli ha anche ripreso, condannato alcuni teologi, non
molti, certo, ma questo non si faceva dal tempo di Paolo VI, ed è
un fatto che gli va riconosciuto.
Vediamo adesso alcuni aspetti della sua personalità,
colti qua e là con una sequenza cronologica, per cercare di comprendere
meglio tale personalità e provare ad intendere come essa reagirà
adesso che si trova ad occupare il seggio papale.
Giuste diagnosi, ma senza rimedi efficaci.
Nel 1989 si produsse la famosa carta di Colonia dei 500
teologi, soprattutto germanofoni. Essi avevano firmato una dichiarazione
di protesta contro il magistero romano, perché secondo loro esso
intralciava la libertà dei teologi.
Si trattò di una prima ondata seguita da altre.
Anche i francesi manifestarono la loro opposizione.
Occorre rendersi ben conto dell’impatto della carta
di Colonia perché diede impulso alle contestazioni: si trattava
di 500 teologi e cioè di 500 professori di università, delle
facoltà teologiche, dei seminari: in sostanza della grande maggioranza
delle forze intellettuali cattoliche, che protestavano contro Roma e contro
il magistero.
In risposta, il cardinale Ratzinger pubblicò un
piccolo studio su questa teologia moderna; e bisogna riconoscere onestamente
che il cardinale Ratzinger, quando si tratta di fare una analisi, eccelle
in finezza. Egli fa attenzione a tutte le sfumature per poter descrivere
la situazione che analizza il più obiettivamente possibile e, in
generale, non si può essere che d’accordo con ciò che afferma.
Su questa teologia moderna egli indicava tre punti.
Il primo caratterizzato dalla sparizione dell’idea di creazione, rimpiazzata
dall’evoluzione. Il problema che si pone infatti è che se questo
mondo non è stato creato non v’è più un creatore,
quindi ben presto non vi sarà più Dio.
Il secondo punto consisteva nel fatto che quando si
parla di Gesù Cristo non si parla più del Figlio di Dio,
visto che al punto primo si era convenuto che egli non esiste più.
Cosa resta allora di Nostro Signore? Un superuomo, un rivoluzionario finito
male poiché morto sulla croce.
L’ultimo punto consiste nella sparizione dell’escatologia,
e cioè dei fini ultimi, di ciò che vi è dopo la morte:
il cielo, il purgatorio, l’inferno. Il cardinale, in maniera molto
interessante, dimostra che secondo questa teologia non v’è più
inferno, non si parla più di purgatorio e non v’è più
neanche il cielo. Se non vi è Dio, se non vi è un Dio personale,
perché inventare il cielo? Il cielo, domani, sarà quaggiù,
sarà questo il futuro.
Capite bene che dopo una tale descrizione ci si aspettano
delle conclusioni.
Se io vi chiedessi: "Dunque, cosa si fa con questa nuova
teologia?", io credo che voi trovereste subito delle soluzioni assai radicali:
la pattumiera, l’aspirapolvere, il rogo, la scomunica… Non se ne parli
più, la si scacci e basta.
Ebbene? Il cardinale Prefetto della Congregazione
per la Dottrina della Fede, dopo essersi posto il problema di cosa fare,
ci dà la seguente risposta: Bisogna cercare di comprendere questi
teologi!
Una tale conclusione lascia l’impressione come di un
petardo bagnato: ci si aspettava l’esplosione… e invece niente!
Si troverà la soluzione di questo enigma in
una piccola frase di quest’anno, prima di divenire papa, indirizzata ad
un amico prete: "Voi siete un combattente, io sono un pensatore."
Questo fa capire molte cose, e io penso che si tratti di elemento caratteristico
della sua personalità.
Nel suo libro sulla liturgia, molto recente, egli ha nuovamente
presentato delle buone argomentazioni contro l’altare rivolto al popolo.
Leggendole non si può che rimanere soddisfatti. Gli argomenti sono
buoni. Alla fine delle argomentazioni non resta un gran che di questo altare
rivolto al popolo.
Ed ancora ci si chiede: che cosa fare? Il cardinale
Ratzinger si pone la questione, ma ancora una volta la schiva: non si può
ritornare all’altare antico.
Perché? Perché costerebbe troppo caro,
causerebbe troppo scompiglio, troppi sommovimenti.
Quale allora la soluzione? Si metta una croce in mezzo
all’altare e questa costituirà l’Oriente mistico.
Si resta insoddisfatti, e tuttavia è questa la
risposta che egli dà. Perché?
Certo, si potrebbe sostenere che quando scrisse quel
libro non era papa. Ma in realtà vi è un problema: un vero
sfasamento tra l’analisi e l’individuazione delle cause. Ci si accorge
che la conclusione è sproporzionata, che essa non corrisponde alla
descrizione che egli fa della situazione. E ci si chiede se questo accade
a causa del fatto che egli ha ricevuto troppi colpi, che ritiene di non
essere libero, di non poter fare come vorrebbe? È una interpretazione
molto benevola, e si potrà vedere se è fondata adesso che
egli si trova in cima alla Chiesa.
A proposito della messa, il cardinale Ratzinger ha perorato
la causa della messa antica. Questo è chiaro e pacifico. Ed è
anche uno dei pochi ad averlo fatto. Il cardinale Stickler l’ha fatto in
maniera più puntuale. Ma pochi vi hanno dedicato un intero libro.
Io
penso che nella Chiesa ufficiale e tra i cardinali, chi ha parlato di più
contro la nuova messa, fornendo argomenti a favore della messa antica,
è proprio il cardinale Ratzinger.
Ma spingiamoci un po’ più in là e vediamo
fin dove arriva questa difesa della liturgia tradizionale.
L’anno scorso, ad uno dei nostri fedeli che gli chiedeva
la libertà della messa per tutti, egli scriveva: Non si può
dare la libertà della messa, perché i fedeli sono prevenuti
contro di essa. Non verrebbe accettata. ? E questo perché la
sua soluzione consiste nell’arrivare ad una nuova messa: una nuova “nuova
messa” basata sull’antica.
È questo che egli proponeva l’anno scorso, quand’era
ancora cardinale.
La nuova messa, così com’è adesso, non
va bene, l’antica nemmeno. Dunque occorre una sorta di misto tra nuovo
ed antico, tra antico e nuovo.
Il cardinale Ratzinger e la Fraternità
San Pio X
E oggi? In concreto, nei confronti della Tradizione,
nei confronti nostri, della fraternità San Pio X?
Io penso che il cardinale Ratzinger è quello che
ci conosce meglio di tutti, quello che ci ha seguito fin dall’inizio.
È lui che, nel 1982, riprende in mano il dossier
del cardinale Seper e ristabilisce i rapporti, ufficiali e ufficiosi, con
Mons. Lefebvre, con la Fraternità.
È lui che dirige la redazione dell’accordo del
1988, prima delle consacrazioni.
Ma prima vi erano stati due o tre tentativi strani.
Dei seminaristi che ci avevano lasciati a causa del lavoro
di erosione condotto da Roma.
Poi l’essere stati obbligati a mandar via nove seminaristi
da Econe, i quali si presentarono a Roma e venne fondato per loro un seminario
sedicente tradizionale, chiamato Mater Ecclesiae, se non
ricordo male. Si promise ad essi la luna e la cosa abortì molto
presto. Uno di quelli che avevano partecipato a questa triste epopea scrisse
a Mons. Lefebvre, subito prima delle consacrazioni, per spiegargli come
il nostro fondatore avesse ragione.
Fu il cardinale Ratzinger a fondare praticamente la Fraternità
San Pietro.
Per coloro che non lo sanno, essa fu fondata da Roma
direttamente contro la Fraternità San Pio X.
Nel rapporto del cardinale Gagnon, o quanto meno nelle
sue stime, si diceva che al momento delle consacrazioni una cifra tra il
60 e l’80 % dei fedeli e dei preti avrebbe abbandonato Mons. Lefebvre.
Da qui la tattica del colpo di maglio su Mons. Lefebvre: la scomunica.
In seguito si aprirono le porte a tutti coloro che non
erano stati colpiti, perché entrassero nella Fraternità San
Pietro.
Tutto questo lavoro è stato concepito contro di
noi, e le cose stanno ancora oggi così.
Nelle diocesi, i vescovi vedono rosso quando arriva la
nostra Fraternità, e cercano di neutralizzarci facendo arrivare
la Fraternità San Pietro. Talvolta lo dicono chiaramente: "No,
non vi diamo niente, tranne che non avvenga che arrivi tra noi la Fraternità
San Pio X, allora apriremo una cappella San Pietro".
Due anni fa, il cardinale Castrillon voleva sbarazzarsi
del segretario dell’Ecclesia Dei, Mons. Perl. Ma Mons. Perl
trovò un difensore, un protettore che si oppose alla sua esclusione
dall’Ecclesia Dei: era il cardinale Ratzinger.
In queste condizioni, qual è il punto di vista
del cardinale Ratzinger sulla Fraternità?
Io penso che egli risenta ancora del fallimento degli
accordi del 1988; e poi, è vero che noi non abbiamo esitato ad attaccarlo
da tutti i lati. Questo non è piacevole e capisco che egli non lo
abbia gradito molto.
Ma, limitiamoci a considerare il passato recente. Anche
qui si possono notare degli strani intrecci.
Qualche esempio.
L’anno scorso, un gruppo di cardinali conservatori
si è riunito con l’idea di fare qualcosa per la Tradizione. È
una novità, ma è anche vero che essi sanno perfettamente
che le cose non vanno bene nella Chiesa. Di fronte a questa prospettiva
disastrosa, Roma guarda ai tradizionalisti in senso lato, a tutti coloro
che sono legati alla messa antica, e non solo alla Fraternità San
Pio X.
Questi cardinali si sono dunque riuniti per vedere
cosa si può fare per la Tradizione. Ne sono emerse due tendenze.
Una secondo la quale bisognerebbe sostenere la Fraternità San Pio
X, che è la colonna portante di tutta la Tradizione ? e noi sappiamo
quale cardinale ha difeso questa tesi. L’altra, invece, che sostiene che
bisognerebbe rafforzare la San Pietro e l’Ecclesia Dei, cercando
di erodere la nostra Fraternità ? e anche qui sappiamo quali cardinali
sostengono questa tesi.
Quest’anno, due cardinali sono andati a trovare il
papa Giovanni Paolo II, e uno di questi era il cardinale Ratzinger. Essi
sono andati dal Santo Padre per chiedergli di nominare segretario della
Congregazione per la liturgia un vescovo che è convinto che la Chiesa
non uscirà da questa crisi senza ritornare alla messa antica. Un
vescovo che afferma che il prete non può trovare la sua identità
nella messa nuova. La sua posizione è conosciuta a Roma. Ed è
questo vescovo che venne proposto come segretario della Congregazione per
la liturgia. Un punto a favore del cardinale Ratzinger. Ma il vescovo in
questione non è stato nominato perché il segretario del papa
aveva già promesso il posto a qualcun altro.
È così che vanno le cose nella Chiesa!
Un altro esempio di questi intrecci sconcertanti.
Il cardinale Medina ha spiegato che, al momento della
pubblicazione della terza edizione tipica del nuovo messale, ha fatto degli
sforzi per cercare di includervi, come allegato, niente meno che la messa
antica.
È degno di nota osservare fin dove si sia spinto
il cardinale Medina, lui, di cui si sa che un tempo voleva far inserire
nell’edizione tipica la condanna e l’interdizione della messa antica. Allora
fu la Segreteria di Stato che glielo impedì. Adesso avrebbe voluto
introdurvi la messa antica, e questa volta non fu la Segreteria di Stato
a impedirglielo. Né una segreteria, né una Congregazione,
ma un uomo: il cerimoniere del papa, che fece una tale scenata a Giovanni
Paolo II da costringerlo a rinunciare.
Ecco come si fa la storia della Chiesa!
Benedetto XVI e il Vaticano II
E oggi, Benedetto XVI?
Egli è stato eletto chiaramente sull’onda di un
moto di reazione. Nei pochi giorni che hanno preceduto il conclave, egli
invitò i cardinali a parlare liberamente. Per la prima volta essi
parlarono seriamente tra loro dei gravi problemi della Chiesa, sostenendo
con fermezza che le cose vanno male. Si può legittimamente pensare
che questa visione della tragedia della Chiesa abbia spinto certi cardinali
ad eleggere Benedetto XVI.
A fronte del disastro che affligge la Chiesa vi è
una certa attesa da parte della gerarchia e della stessa Chiesa.
Si pensi al numero effettivo delle vocazioni: non v’è
nulla di cui gloriarsi!
Una diocesi come Dublino è arrivata a conoscere
un
anno senza alcuna vocazione sacerdotale. Si è caduti davvero
in basso. Da alcuni anni, in tutti i noviziati d’Irlanda vi sono stati
150 novizie a fronte delle 32000 religiose. Cosa che diventa più
pesante per gli uomini: a fronte dei 10000 frati, in tutti i noviziati
d’Irlanda vi sono stati 5 novizi.
I gesuiti, l’anno scorso o l’anno prima, hanno contato
solo sette professioni perpetue per tutto l’ordine; venti anni fa quest’ordine
contava 32000 membri, oggi ne annovera circa 25000.
Vedete bene che queste cifre sono in grado di essere
comprese da chiunque.
Il cardinale Castrillon parlava un giorno dello stato
delle università romane. Al suo interlocutore che gli diceva che
"le università pontificie a Roma sono zeppe di eretici",
egli aggiungeva che "Si, è terribile, io spero che il nuovo prefetto
abbia la forza sufficiente per rimettere ordine". E due anni più
tardi, il Prefetto della Congregazione per il Clero dichiarava: "Non
si può far niente".
Ecco come nella Curia romana si parla delle università
pontificie: Non possiamo farci niente!
Certo è che il cardinale Ratzinger, oggi papa Benedetto
XVI, si rende conto dello stato pietoso della Chiesa. Egli sa che la Chiesa
si trova in una situazione terribile. Ed egli conosce anche il terzo segreto
di Fatima.
Che bisogna dunque aspettarsi?
È necessario dirlo: vi è un problema che
oscura le nostre speranze; e questo problema è che Benedetto
XVI rimane legato al concilio: è la sua opera, la sua creatura.
Certo, egli riconosce che vi sono degli sviluppi inaccettabili, ma questo
significa anche che ve ne sarebbero degli accettabili.
Per quanto ci riguarda, la nostra posizione nei confronti
del concilio è molto semplice: in esso vi sono degli errori, delle
ambiguità che conducono ad altri errori ancora peggiori. Ciò
che ha ispirato questi testi, ciò che li rende inassimilabili, è
uno spirito non cattolico.
È questa la nostra posizione sul concilio.
Evidentemente vi si possono trovare degli elementi che
sono veri, ma l’insieme è inassimilabile. Ed è per questo,
guardando l’insieme, che noi rifiutiamo di sottoscrivere una dichiarazione
che, in una maniera o in un’altra, farebbe pensare che noi aderiamo a questo
concilio.
Per usare un’immagine tratta dalla vita domestica: noi
disputiamo con Roma, dicendoci a vicenda: "Si tratta di minestra",
"No, non si tratta di minestra", "Si", "No".
E infine Roma ci dice: "Voi non la mangerete, ma in definitiva bisogna
anche dire che si tratta di minestra". E noi rispondiamo: "Sappiamo
bene che si tratta di minestra, ma essa è avvelenata". E
quindi non si può più chiamarla minestra, ma veleno. E quando
la si chiama minestra si inganna la gente perché le si fa credere
che si possa mangiarla. Il problema non sta nel sapere se si tratta di
una minestra o meno, ma se si tratta o meno di veleno, se può farci
del bene o può ucciderci. È questo il problema. E di fronte
ad un tale problema non serve a niente disputare per sapere se si tratta
o no di una minestra. Essa fa male, quindi non va mangiata.
Allora Roma cerca di trovare una formula che sia “mangiabile”:
"Il concilio alla luce della Tradizione". Ma nel contesto
in cui è impiegata questa formula, essa non ci si addice.
Che cosa significa infatti: "Accetto il concilio
alla luce della Tradizione"? Cos’è che può voler
dire quando ci si accusa di avere una falsa idea della Tradizione?
Nello stesso testo della scomunica di Mons. Lefebvre
è detto che egli ha commesso un errore consacrando dei vescovi perché
aveva una incompleta nozione di Tradizione. E poi ci si propone di firmare
una dichiarazione con la quale noi accettiamo il concilio alla luce della
Tradizione!
Lo stesso dicasi per la messa. Le formule che ci ha proposto
Roma sono giuste, ma solo fuori dal contesto. Ci si chiede di riconoscere
che la nuova messa è valida se celebrata con l’intenzione di compiere
il sacrificio di Nostro Signore, il che è ancora più
preciso di quanto richiede la teologia, ove si parla solo di celebrare
con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa. Questa frase in
sé è accettabile, ma siamo di nuovo all’immagine della minestra.
La nuova messa, anche valida, è avvelenata; è per questo
che non si deve mangiare, è per questo che noi vi diciamo: Non andateci!
Perché questa incomprensione tra noi e le autorità
romane?
Perché esse non riescono a sganciarsi dal concilio.
Dal concilio e dalle riforme.
Si capisce molto bene che esse provano come un disagio
nei nostri confronti. Esse riconoscono che ciò che noi facciamo
è cattolico. Il cardinale Castrillon ci dichiara: "Voi non
siete né eretici né scismatici".
Il problema non sta dunque dalla nostra parte.
L’attitudine di Roma nei nostri confronti si può
riassumere così: Vi si lascia fare perché ciò che
voi fate è buono; ma vorremmo che voi diceste che anche ciò
che facciamo noi è buono.
- E questo noi non possiamo farlo.
Al tempo stesso, si comprende bene che vi è la
volontà di colpevolizzarci: Voi avete sbagliato. Avete effettuato
delle consacrazioni contro la volontà del papa. Questo non si può
fare. Dite che il concilio è cattivo, che la messa è cattiva,
e questo non è possibile, questo è stato riconosciuto dal
papa, che è infallibile.
Come ha detto lo stesso cardinale Castrillon in una conferenza
a Münster: "La nuova messa è stata riconosciuta dal papa.
E questo è infallibile, è buono".
Nel corso di una discussione, il Prefetto della Congregazione
per il Clero mi ha detto: "Il papa e io stesso amiamo la nuova messa.
Noi pensiamo che essa è più apostolica. Vero è che
manca di qualcosa, e bisogna compensarla con una catechesi adeguata".
Io allora ho ripreso la definizione del male di San Tommaso d’Aquino: "Il
male è la privazione di un bene dovuto. Vi è qualcosa che
dovrebbe essere là e non c’è. Ora, voi stesso, Eminenza,
riconoscete che a questa nuova messa manca qualcosa. Dunque riconoscete
che è cattiva". Il cardinale non ha risposto.
Bisogna dire che non è stata la Chiesa a sbagliare,
ma gli uomini di chiesa.
Ora, le autorità romane non vogliono entrare in
questa logica; e siccome non vogliono cogliere il problema là ove
esso si trova, non sono in grado di prendere le misure necessarie per uscire
da questa crisi.
È questo il guaio!
La riunificazione con gli ortodossi.
Se guardiamo al nostro nuovo papa, vediamo che gli inizi
del suo pontificato non lasciano molto posto alla speranza.
Nella sua omelia in occasione della presa di possesso
della cattedra di San Pietro, in Laterano, egli ha parlato del vescovo
di Roma. Il Laterano è la chiesa del vescovo di Roma. Egli ha parlato
della potestas docendi, ed era da molto tempo che non
si parlava più del potere di insegnare. Ma quando si tratta
di parlare del primato, non solo del potere di insegnare, ma anche di reggere,
di governare, ecco che questo primato diventa un "primato d’amore";
e sotto questa espressione Dio solo sa che cosa vi si può mettere.
Benedetto XVI ha un’idea, ed ha confermato che
si tratta dell’idea chiave del suo pontificato. Su quest’idea egli concentrerà
tutta la sua energia e tutta l’energia della Chiesa. E questa idea è
la
riunificazione con gli ortodossi.
Benissimo. Si tratta in fondo dei più vicini;
e così si ridurrà sensibilmente il campo dell’ecumenismo.
Non si parlerà più tanto del dialogo interreligioso, come
ad Assisi.
Tutto questo va bene, ma… l’idea, che era già
quella del cardinale Ratzinger, è che per fare questa riunificazione,
visto che gli ortodossi non accettano il primato di Pietro, occorre ritornare
alla concezione che si aveva del papa prima dello scisma. In altre parole
occorre ritornare alla concezione del papa in vigore nel primo millennio.
Si tratta di un’idea fortemente radicata nel cardinale Ratzinger, e che
ora è di Benedetto XVI.
A Bari, nel corso del Congresso Eucaristico, egli ha
detto molto chiaramente che uno degli obiettivi del suo pontificato è
la riunione con gli ortodossi. Se questo si attuasse secondo la concezione
cattolica, non vi sarebbe niente da dire. Ma il problema è che le
autorità romane hanno attualmente un concetto dell’unità
che mi piacerebbe proprio capire.
Giovanni Paolo II diceva che non si sarebbe trattato
"né di un assorbimento, né di una fusione". Cos’è
che può essere l’unità senza assorbimento né fusione
di due esseri che per adesso sono separati?
Il cardinale Kasper è più esplicito: "Non
si tratterà di un agglomerato di Chiese", perché sarebbe
una concezione troppo politica, troppo amministrativa.
E ci si continua a chiedere di che cosa si potrebbe mai
trattare.
Come in questa espressione "unità nella
diversità"; unità qui significa “uno”, e diversità
significa “molti”, ed allora sarà "l’uno nei molti"?
È questa una formula molto alla moda in seno al
New Age, e forse anche in seno all’Europa moderna, ma in fin dei conti
o l’uno o l’altro, non tutti e due. No si può parlare di entrambi,
l’uno e i molti, allo stesso tempo, perché allora si dovrebbe sostenere
che i triangoli sono quadrati.
Io utilizzo spesso quest’immagine per spiegare l’ecumenismo
moderno: Ammettendo che ogni denominazione o confessione cristiana sia
una forma geometrica, come è possibile che si arrivi a ridurre all’unità
tutte queste forme geometriche, lasciando che ognuna resti ciò che
è, poiché è proprio questo che fa la diversità?
Ebbene! La cosa è presto fatta, basta che ogni
forma geometrica ammetta di essere un cerchio.
Evidentemente ciò significa sospendere il principio
di non contraddizione. È tutto qui il problema. Ma se si arriva
a risolverlo, va bene.
Questo è proprio quello che accade con l’ecumenismo:
ci
si vuol far credere che i quadrati sono dei triangoli o delle losanghe
e che tutte queste figure sono dei cerchi.
Ci si dice anche: Abbiamo tutti la stessa fede; quello
che affermava Giovanni Paolo II: "Tutti i cristiani hanno la stessa
fede". Ma noi sappiamo bene che non è vero!
Il cardinale Kasper ci spiega che per avere la stessa
fede non è necessario avere lo stesso credo: cosa che a chiare lettere
significa arrotondare gli angoli.
La posta fondamentale: la verità
Questo falso ecumenismo ci permette di toccare con mano
la gravità della situazione. Non si tratta di una semplice questione
di rubriche liturgiche ? tre colpi d’incensiere più o meno -; qui
si tratta e della verità.
"Che cos’è la verità?" Questa
famosa domanda di Pilato oggi non la si pone neanche più. Si vive
senza neanche porsela. Ci se ne infischia. L’unità ci sarà
perché "tutti sono buoni, tutti sono gentili". E tanto peggio per
la verità. Non ci interessa. Né la verità, né
la questione del bene sono più un problema per l’uomo moderno.
Quanti vescovi, quanti preti non credono più,
non credono più che Nostro Signore è Dio!
Basta citare il caso del cardinale Kasper
che ha scritto un libro intitolato, Gesù, il Cristo,
nel quale ci dice che quando si ama qualcuno si tende ad esagerare;
ed è per questo che vi sono così tanti miracoli nei Vangeli.
Gli evangelisti, che amavano Gesù, hanno esagerato sul numero dei
suoi miracoli! E Kasper prende la cesoia per sfoltire quasi tutto,
lascia solo qualche guarigione perché se ne vedono anche oggi, quindi
è possibile che ve ne fossero anche al tempo di Cristo. Egli
si permette perfino di affermare che non è stato mai detto che Nostro
Signore è il Figlio di Dio. E se gli si obietta che alla richiesta
di Caifa: "Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu
sei il Cristo, il Figlio di Dio", Gesù rispose: "Io lo sono", ecco
che Kasper ribatte: Dovete capire che in quel momento Gesù era
sotto pressione!
E costui è un cardinale, e non ha la fede!
Quanti cardinali non hanno la fede?
Benedetto XVI è in mezzo a costoro. Che farà?
Che potrà fare? Cosa vorrà fare?
Cosa possiamo sperare?
Nella stato attuale della Chiesa come possiamo guardare
al futuro pontificato di Benedetto XVI?
Per riassumere in una immagine, possiamo dire che se
si considera il pontificato di Giovanni Paolo II come una caduta libera,
probabilmente bisognerà vedere quello di Benedetto XVI come una
caduta col paracadute. La questione sta nel sapere di che tipo di paracadute
si tratterà.
Si andrà ancora nella stessa direzione, ma ad
una minore velocità.
Vi sarà un colpo di freno, ma quale sarà
la sua efficacia? Voi sapete che quando si usa il freno in una macchina
in corsa non si sa bene che cosa possa accadere al veicolo. Normalmente
esso rallenta, ma talvolta sbanda da un lato…
E poi, tutto dipende dalla grandezza del paracadute.
Se è piccolo, praticamente non si vedrà alcuna differenza,
se è grande può effettivamente rallentare di molto la caduta.
Io credo che Benedetto XVI cercherà di frenare.
Si deve sperare di più? Certo, occorre sperare di più, ma
non dagli uomini. Ancora una volta la nostra speranza è in Dio.
Le promesse di Nostro Signore valgono per sempre; valevano
sotto Giovanni Paolo II, valgono sotto Benedetto XVI. Il buon Dio si serve
di tutto per far procedere la sua Chiesa verso là ove Egli vuole.
A questo punto vi do un mio personale parere: io penso
che se Benedetto XVI si trovasse in una situazione critica ? cosa che non
è da escludere del tutto -, se fosse messo con le spalle al muro:
per esempio per una reazione violenta condotta dai progressisti o per delle
persecuzioni derivate da una crisi politica, io penso che se fosse costretto
in circostanze simili farebbe la scelta giusta. Credo questo in forza
delle reazioni che ha avuto fino ad oggi.
Questo significa che la Chiesa è sicuramente in
stato di sofferenza, ma che le sofferenze sono salvatrici. Indubbiamente
non ci si augura mai la persecuzione, come non ci si augura mai di spezzarsi
una gamba, ma se questa frattura vi permette di salvarvi la vita allora
non si esita più. Non è vero?
Io non dico che accadrà sicuramente una cosa del
genere, ma credo che non bisogna farsi illusioni sulla situazione del mondo,
né su quella della Chiesa. Le leggi che oggi vengono votate nel
mondo rendono lentamente, ma sicuramente impossibile la vita cattolica.
Questo significa che presto o tardi il cristiano sarà
costretto a dire: No, non posso!
E che fa uno Stato quando gli si dice di no? Vi mette
in prigione.
Oggi si mettono in prigione persone che dicono di no
all’aborto o che recitano il Rosario a cinquanta o cento metri da dove
si pratica l’aborto, e questo in una paese liberale come gli Stati Uniti.
Come vedete oggi non è poi così difficile andare in prigione
per la giusta causa.
Occorre essere pronti. Occorre prepararsi.
Mi chiederete com’è che ci si prepara. Semplice.
Gesù Cristo ci ha data una regola per prepararci alle grandi prove,
una regola d’oro, e tuttavia estremamente semplice: la fedeltà alle
piccole cose o, se volete, il dovere di stato. La fedeltà alle piccole
cose è quella che ci garantisce la fedeltà alle grandi. È
Nostro Signore stesso che l’ha detto.
Conservare le relazioni con Roma
Cos’è che chiediamo a Roma?
Molto semplicemente noi vogliamo essere e vogliamo restare
cattolici.
Non si può chiedere di meno: che la Chiesa sia
cattolica, che la nostra madre Chiesa sia una, santa, cattolica e apostolica.
Non chiediamo niente di più e niente di meno.
Noi chiediamo tutta la fede, tutti i sacramenti, tutta
la disciplina. Ecco il nostro scopo.
Quali sono i nostri mezzi? Certo, non spetta a noi
convertire Roma, possiamo però collaborarvi, cooperarvi, e noi dobbiamo
fare tutto quello che possiamo. E tra tutto quello che possiamo vi
è innanzi tutto il dovere di conservare le relazioni con Roma. Non
bisogna troncarle, sarebbe un errore metter da parte il papa, la curia
e i vescovi, per poi finire col dire: ci siamo solo noi.
Se vi serve una prova, sappiate che coloro che incominciano
così finiscono sempre col darsi un papa, il loro papa. Oggi ve ne
sono già una quindicina!
Uno di essi mi ha scritto, si fa chiamare Pietro II,
e mi ha chiesto il permesso di conservare il Santissimo Sacramento nel
suo garage! Ecco a che punto si arriva!
Ve n’è un altro, Pio XIII, un cappuccino, che
si è detto: "Adesso che sono papa, mi servono dei cardinali", e
ha nominato cardinale un australiano. Qualche giorno dopo lo ha consacrato
vescovo, mentre era ancora un semplice frate cappuccino, e tre giorni dopo
si è fatto consacrare vescovo da lui!
Tutto ciò è ridicolo, è penoso.
Siamo alle false soluzioni che non portano a niente. Vescovi dappertutto!
Un vescovo in un garage! E poi i papi! Così non va bene.
Sappiamo molto bene che ancora oggi nella Chiesa ufficiale
vi sono delle ànime, dei preti, dei vescovi, che non si mostrano,
ma che sono indubbiamente cattolici. Senza ombra di dubbio. Per contro
si può dire che siamo rimasti solo noi, i fedeli alla Tradizione,
che conserviamo in vita l’insieme della dottrina, e intanto vi sono sfortunatamente
molti cattolici che non lo sono più. È questo che crea la
difficoltà.
Un cancro, quand’esso è ben delimitato, si può
provare a toglierlo. Ma se il cancro è generalizzato, se la malattia
è dappertutto non si prova neanche a toglierlo, poiché non
si sa più ciò che bisogna togliere e ciò che bisogna
lasciare. I medici sono impotenti.
È questo lo stato della Chiesa. Siamo di fronte
ad un cancro generalizzato al punto tale che non si può neanche
prendere il bisturi per recidere i tumori.
Una volta, vi era un prete eretico qua, un vescovo eretico
là, bastava che li si facesse saltare e tutto tornava a posto. Oggi
invece il male è talmente diffuso che Roma stessa non osa più
usare il bisturi.
Non chiedetemi come tutto questo possa essere possibile.
Questo fa parte del mistero della Chiesa.
In questo possiamo vedere una associazione del Corpo
mistico con le sofferenze di Cristo sulla croce. Si capisce che la Chiesa
attraversa lo stesso stadio del suo fondatore, quello di una passione
inaudita.
Tutto questo sfocerà nella morte, come per Nostro
Signore? Si giungerà ad una morte apparente, come una sparizione
della Chiesa?
Io mi chiedo se la parte pubblicata del terzo segreto
di Fatima non riguardi proprio questa Passione. In definitiva si tratta
di un massacro: una processione che segue il papa, con i vescovi, i religiosi,
i fedeli di ogni condizione, e tutti vengono uccisi. E la visione si conclude
con gli angeli che presentano questo sangue a Dio, e questo sangue ricade
come grazia su coloro che restano. È come se vi fosse una sparizione
apparente della Chiesa.
Questa interpretazione non è esattamente quella
che ha fornito Roma, ma io non faccio altro che descrivere puramente e
semplicemente la visione.
Il dovere di testimoniare
La situazione in cui viviamo è proprio inaudita.
Non di meno, voi stessi vedete che con del coraggio, degli sforzi, con
pene e lacrime, oggi si riesce ancora a vivere cristianamente. E ci si
riesce perché la grazia del Buon Dio è ancora effettiva.
Prova ne è questa piccola Fraternità che continua a portarsi
dappertutto.
La testimonianza: ecco il nostro semplicissimo compito.
Noi ci siamo e quelli che sono vicini a noi se ne accorgono. Voi non vi
rendete conto dell’effetto che producono queste famiglie cattoliche con
dei figli che si comportano come si deve. Non vi rendete conto quanto questo
impressioni le persone che ci conoscono.
Un piccolo esempio: una suora, una religiosa
insegnante italiana, viene ad Econe per le ordinazioni. Alla fine della
Messa ella piange: è sconvolta. Perché? Perché ha
visto un gran numero di bambini, uno sciame in mezzo alla folla, sotto
un sole cocente, rimasti composti per cinque ore. E ci dice: "Io non
riesco a tenerli a bada dieci minuti, e qui invece è intera folla
di bambini che rimane composta." Ne è rimasta segnata: ha lasciata
la sua congregazione per unirsi a noi.
È quello che è anche accaduto in occasione
del nostro pellegrinaggio a Roma. Abbiamo dato semplicemente l’esempio
la vita cattolica. Non c’è bisogno di fare niente di straordinario.
Eravamo là. Abbiamo recitato il rosario in ginocchio per circa un’ora.
Ma il fatto è che questo non si vede più.
Un tempo era perfettamente normale. Oggi sono queste le cose che colpiscono,
delle cose così semplici come queste. Non bisogna cercare l’impossibile.
Le cose come queste obbligano a riflettere anche i teologi e i vescovi.
Il capo di un Dicastero a Roma, quando ha visto quelle
processioni ha detto: "Ma questi sono cattolici, dobbiamo fare qualcosa
per loro." Come se venisse dal cielo!
Perché, voi lo sapete, noi siamo francamente demonizzati
da tutti i giornali.
Si può ancora fare molto.
Certo, è con la croce che noi andiamo avanti,
ma noi dobbiamo dimostrare che la religione cattolica esiste, che è
possibile praticarla in questo mondo, che si possono fare anche dei progressi.
Illuminare i vescovi e i preti
Il nostro compito è, giustamente, di mantenere
quel minimo di relazioni che permette di far passare questo esempio. È
per questo che non bisogna rompere. Bisogna convertire.
E ancora una volta, non siamo noi che convertiamo, ma
il Buon Dio. Ma noi possiamo apportare la nostra piccola pietra.
Approfittiamo così di queste relazioni per dare
a Roma degli studi teologici che dimostrano che esistono veramente dei
seri problemi nei testi del concilio, e dopo il concilio. Si tratta di
un lavoro a lunga scadenza… prima che le autorità romane acconsentano
a riflettervi e a parlarne!
Ma non si perde niente nel dire la verità, anche
quando fa male.
Vi è anche tutto un lavoro da svolgere presso i
vescovi e i preti. Questo li infastidisce, lo capite bene. Ma poi, all’improvviso
vi è un vescovo francese che vi dice: "Sono contento che visitiate
i miei preti, ne hanno bisogno. Continuate!". Un altro, sempre
in Francia: "La Chiesa ha bisogno di voi, Ma, vi supplico, restate
come siete. Non cambiate!".
Per contro si continuano a raccogliere delle batoste
da parte di altri vescovi, e le si raccoglie volentieri se questo può
aiutarli a vederci chiaro, un giorno.
Quelli che incominciano a comprendere non sono troppo
coraggiosi. Sanno bene che se aprissero la bocca verrebbero subito colpiti.
Alcuni addirittura ci dicono: "Pregate per me, perché io possa
parlare".
Io credo che Roma si sbagli sullo stato della Chiesa.
I progressisti fanno molto rumore, sono in tanti, ma vi sono ancora dei
fedeli del tutto pronti a riavere la messa antica. Certo, bisogna prepararli,
ma ve ne sono più di quanto si creda.
Con i preti le cose sono più difficili. La nostra
esperienza dimostra che vi è una categoria di preti che non sentire
niente. Sono quelli tra i 60 e i 75 anni, quelli che hanno l’età
del concilio, quelli che hanno dovuto lasciare tutto quello che avevano
prima. Essi si sono abbandonati a queste novità e adesso non riescono
più a far marcia indietro. È impressionante. Fa male. È
la fascia d’età più toccata. I più anziani, al di
sopra dei 75 anni, in maggioranza non hanno problemi.
I più giovani invece, in maniera del tutto impressionante,
sono molto aperti. Non sanno niente, è vero, ma non di meno sono
aperti.
Ecco cosa mi dice un vicario che mi viene a trovare:
"Ascoltate. Quando visito i fedeli, mi dicono: perché avete
cambiato la Chiesa? Perché avete cambiato la messa? Noi vogliamo
l’altra, l’antica", e confessa: "Io vorrei, ma non la conosco.
Non l’ho mai vista. Ho 28 anni. Quando cerco di chiedere ai preti anziani,
mi trattano male. Volete insegnarmi la messa antica? Com’era la Chiesa
di prima? Io conosco quella dopo il Vaticano II, ma di prima non so niente."
Un altro esempio edificante: un ragazzo che va alla nuova
messa. Un bel giorno apprende che vi sono stati dei martiri che sono morti
per la messa, e dice a sé stesso: "Non è possibile".
Subisce un certo travaglio a causa di questo fatto storico, poiché,
ai suoi occhi, non si poteva morire per la messa, non era possibile. Fino
a quando apprende che vi era un’altra messa. La cosa lo ha interessato:
ci ha cercati e ci ha trovati. Ora è un seminarista.
Bisogna sapere che nei seminari moderni, gruppi di
candidati al sacerdozio si riuniscono per studiare San Tommaso. Per ricevere
il l’antidoto contro ciò che hanno appreso il giorno. Accade anche
di ricevere delle richieste telefoniche di seminaristi che ci chiedono:
"Il nostro professore di Sacra Scrittura ci ha detto che vi erano
tre Isaia. Mi sembra un po’ bizzarro. Che dice la Chiesa?". Si
tratta di un austriaco. Stessa domanda da un seminarista dell’Australia.
In questa generazione di preti vi è qualcosa di
sorprendente, che lascia stupefatti i responsabili delle vocazioni nei
seminari moderni. Tutto a un tratto essi si rendono conto che nei loro
seminari vi sono dei movimenti sotterranei di seminaristi che vogliono
essere conservatori. Certo, quando li si scopre, li si caccia. Poiché
oggi è un peccato essere conservatori.
Capite allora perché si è obbligati a
dire che così non si può andare avanti. Noi abbiamo il dovere
di dirlo a Roma: Non vogliamo dei compromessi, degli accordi a metà.
No. Noi vogliamo essere cattolici, punto e basta. E non ci aspettiamo di
meno da Roma.
Il cardinale Castrillon, nel 2004, parlando di noi mi
diceva: "Sono scoraggiato". Ma io non sono completamente
scoraggiato. Si vede bene che il Buon Dio è al lavoro. Certo, non
si può dire che il rinnovamento della Chiesa è compiuto,
ma
è come quando si scorgono tanti piccoli germogli verdi in mezzo
al deserto: se ne vede uno qui, uno là, e si sa che dopo di questo
il Buon Dio farà in modo che in mezzo al deserto un giorno vi sia
l’erba verde dappertutto.
Verso il rafforzamento della Commissione
Ecclesia Dei?
Nella situazione attuale, che si prepara per noi?
Secondo, le informazioni che abbiamo, il cardinale Ratzinger,
già l’anno scorso, lavorava al rafforzamento dell’Ecclesia Dei,
e non era il solo. Si può legittimamente pensare che oggi il papa
prosegua in questo lavoro di rafforzamento dell’Ecclesia Dei. Egli
accorderà maggior peso a questa Commissione e ne aumenterà
il personale. Per ciò stesso egli sosterrà ancora meglio
quelli che vogliono la messa antica. Ma questo riguarderà solo gli
organismi riconosciuti dall’Ecclesia Dei: San Pietro, Cristo Re,
ecc.
Paradossalmente, tutto questo ci aiuterà, perché
il Buon Dio si serve della Fraternità San Pietro come di un trampolino
verso la Fraternità San Pio X.
In definitiva, il bilancio dell’indulto è proprio
questo. Roma ha sbagliato i conti: aprendo le porte, le autorità
pensavano di condurre i fedeli alla nuova messa. Nei fatti è accaduto
il contrario, così che si può solo gioire per ogni apertura
a favore della messa antica.
Perché questa libertà ha favorito il movimento
in questo senso piuttosto che nell’altro?
Perché la messa antica, in quanto tale, ha una
potenza straordinaria. Essa esige la fede e dona la fede. E quando si è
appena gustata la fede tradizionale, non se ne vedono tutte le implicazioni.
Vi sono dei preti che hanno detto la nuova messa e che
hanno ridetto l’antica, una, due, tre volte; e poi hanno dichiarato: "Mai
più la nuova".
Per contro, conosco un prete che non osa ridire la
messa antica, perché riconosce che dopo non potrà più
dire quella nuova. Viene voglia di dirgli: "Forza, coraggio!"
Questa messa nutre, essa è davvero il
cuore della Chiesa, il cuore che manda il sangue in tutto il corpo. E il
sangue porta la vita, l’ossigeno, la respirazione. Il cuore è la
pompa del nostro corpo; e la pompa soprannaturale della Chiesa, che porta
la vita a tutto il Corpo mistico, è la messa. Alimentando la pompa
si rigenera tutto il corpo: è per questo che chiediamo la libertà
per la messa. So bene che non si limita tutto a questo, che vi sono delle
eresie da combattere, ma bisogna cominciare da qualche parte, e innanzi
tutto dal concreto.
Per il momento occorre cambiare il clima, cominciare
col far dire alle autorità, con i fatti, che la Tradizione non è
una curiosità archeologica, preistorica; ma lo stato normale: il
solo stato normale della Chiesa.
Evidentemente questo non si potrà fare in un giorno.
Roma lavora dunque a questo rafforzamento della comunità
dell’Ecclesia Dei. Si può pensare che noi saremo ignorati,
così che per un certo tempo la nostra situazione potrà essere
più difficile di quanto fosse sotto Giovanni Paolo II, poiché
molti si inganneranno e diranno "Ecco, è fatta, va bene, abbiamo
ottenuto", quando invece non si è ancora ottenuto niente.
Il rafforzamento dell’Ecclesia Dei si tradurrà
probabilmente, ad un certo punto, nella creazione di entità più
o meno esenti dalla giurisdizione dei vescovi diocesani. Le autorità
romane saranno obbligate ad accordare una certa esenzione malgrado la violenta
opposizione dei vescovi.
Per adesso esse evitano di andare contro questa opposizione,
ma si rendono perfettamente conto che questa situazione è ingiusta.
Esse sanno che i fedeli che vogliono la messa antica ne hanno diritto.
Si, Roma sa perfettamente che questa messa non può essere interdetta,
e questo o quel cardinale incomincia a dirlo. Tra di essi, l’ex Prefetto
della Congregazione per la liturgia, il cardinale Medina, ha dichiarato:
"Io ho fatto delle ricerche e non vi sono dei testi che interdicono
la messa antica". Ora, dire che non è interdetta significa
riconoscere che è permessa.
Roma lo sa, e per Roma io intendo la Curia, Giovanni
Paolo II e adesso Benedetto XVI, essi sanno ce la messa tridentina non
è mai stata interdetta e non può essere interdetta, che non
v’è alcun elemento giuridico o teologico che permette l’interdizione
di questa messa. Lo sanno, e dunque un giorno questa ingiustizia fatta
alla Chiesa e alla messa antica sparirà.
Preghiamo perché questo accada il più presto
possibile. Preghiamo perché questo accada sotto questo pontificato,
perché è del tutto possibile che sia così.
Tutto quello che si può fare in favore della Tradizione
è benefico.
Qual è il bilancio da dopo le consacrazioni fino
ad oggi? Negli Stati Uniti ? sono le cifre ufficiali della messa dell’indulto
? 150.000 fedeli possono beneficiare della messa tridentina. Se non ci
fossero state le consacrazioni questi fedeli oggi non avrebbero questa
messa.
La vittoria dopo la battaglia.
Per concludere, qual è la nostra attuale disposizione?
La speranza, una speranza certa.
Perché certa?
Perché essa non si fonda su un uomo, ma sul Buon
Dio, che è fedele alle sua promesse.
Preghiamo proprio perché la grazia del Buon Dio
sia talmente forte da superare tutte le debolezze di coloro che hanno degli
incarichi nella Chiesa.
Dio può farlo, e forse Egli ha perfino legato
l’ottenimento di questa grazia alle nostre preghiere e ai nostri sacrifici;
poiché vi è una stupefacente solidarietà nel Corpo
mistico. Non dimentichiamolo.
Invece di imprecare contro questi poveri vescovi o questi
preti che conducono delle vite scandalose, preghiamo per loro. In questo
modo si fa loro e alla Chiesa molto più bene di quando li si insulta.
Domandiamo al Buon Dio di far discendere la grazia su
di loro.
Io credo nella Santa Vergine. Fatima non è finita!
Noi siamo nell’epoca della Santa Vergine. E vedendo tutto ciò che
è accaduto a partire dal XIX secolo, io sono convinto che noi viviamo
nell’epoca della Santa Vergine.
Alla fine, il mio cuore immacolato trionferà.
Ma al trionfo precede la battaglia, la vittoria giunge
alla fine della battaglia, non prima. Come la resurrezione viene dopo la
morte.
Oggi si vuole pregare solo Gesù resuscitato, ma
prima di resuscitare Egli è morto.
Ricordiamoci che la vittoria viene dopo la battaglia,
e non dimentichiamo che adesso noi siamo nel pieno della battaglia.
Chiediamo alla Santa Vergine di rimanere sotto il suo
mantello, sotto la sua protezione, nella sua armata, per contribuire a
questa vittoria mettendo tutte le nostre energie nella presente battaglia.
Coraggio! Continuiamoci a battere, non siamo alla fine.
La vittoria sarà il trionfo del Cuore immacolato.
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