Intervista di S. Ecc.za Mons. Bernard Fellay 
Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale San Pio X 

rilasciata a Olivier Figueras del giornale francese “Present”
pubblicata il 5 novembre 2005



I neretti sono nostri

                                        

Present: Monsignore, Lei ha incontrato Benedetto XVI alla fine di agosto. In quali circostanze ha avuto luogo l’incontro?

Mons. Fellay:   È dal 2000 che abbiamo dei colloqui con Roma, per cercare di vedere come si possano migliorare le nostre relazioni con la Chiesa ufficiale. 
Occorre dire, però, che il primo passo è venuto da Roma. 
Noi abbiamo sempre affermato di essere cattolici, e lo abbiamo espresso pubblicamente con il pellegrinaggio dell’Anno Santo a Roma; pellegrinaggio che ha colpito molti, fin nella Curia. 
Io penso che quello sia stato un elemento determinante per il procedere delle autorità romane. Tuttavia, resta il fatto che la nostra analisi della attuale situazione della Chiesa è diversa dalla loro. Ed è questo il nodo del problema. 
Nondimeno, in questo contesto, abbiamo ritenuto utile, ed anche necessario, manifestare pubblicamente che siamo cattolici, che riconosciamo il Santo Padre e gli testimoniamo la nostra deferenza. Al tempo stesso, prendendo atto della sua preoccupazione di fronte alla crisi della Chiesa, abbiamo cercato di suggerirgli che la Tradizione potrebbe essere la soluzione adatta per questa crisi: cosa di cui siamo profondamente convinti.


Present: Il Papa ha il vantaggio di conoscere bene la questione. Lei, su DICI, ha sottolineato tre punti ai quali il Santo Padre si sarebbe richiamato per migliorare la situazione: lo stato di necessità che voi invocate in relazione ai rapporti col Papa; la percezione del Concilio alla luce della Tradizione; e la questione, più pratica, del tipo di struttura in grado di comporre tutto questo. L’incontro ha prodotto un primo elemento di risposta alla vostra richiesta?

Mons. Fellay:   Certamente vi sono dei punti in comune, non si tratta di un dialogo tra sordi. 
Vi sono dei punti d’incontro sui quali si conviene che sia necessario spiegarsi, diversamente ogni discussione sarebbe del tutto inutile. Tuttavia, ed è questo il nostro dramma fin dall’inizio, noi ci scontriamo con una incomprensione da parte di Roma circa la nostra posizione. 
Comunque io penso che a poco a poco si giungerà ad una migliore comprensione di quello che noi facciamo. Non si tratta ancora di una comprensione completa, ma è evidente che vi è un certo progresso. E perché questo progresso prosegua non v’è altra soluzione, umanamente parlando, che il colloquio. Diversamente occorrerebbe che il buon Dio accordasse una grazia infusa ai nostri interlocutori. Da qui la nostra volontà di affrontare il problema con la Santa Sede per risolverlo, cosa che per noi è una ragione fondamentale. Questo non significa risolvere il problema come si intende comunemente, e cioè: si faccia un accordo e tutto è risolto. Si può pensare, infatti, che la Fraternità San Pio X sia in disputa con l’autorità romana, e dal momento che questa autorità adesso è disposta a negoziare per giungere ad un accordo,  si dovrebbe fare l’accordo e così risolvere ogni cosa. Questo ragionamento presuppone che noi costituiamo un problema per Roma, certo noi poniamo il problema, ma non siamo noi il problema. Noi siamo solo un indicatore del problema. La nostra situazione non è altro che la conseguenza del problema più grande nella Chiesa. 
Fino ad oggi si aveva l’impressione che le autorità della Chiesa, e cioè la gerarchia in generale, e non solo Roma, ma anche i vescovi diocesani, non volessero vedere questo problema, che per noi è di tutta evidenza. 
Nella Chiesa vi è un problema, un grave problema. Ecco allora che, quando si vede il Papa attuale,  e negli ultimi anni il cardinale Ratzinger, riconoscere che vi è una grave crisi nella Chiesa, noi ci sentiamo in qualche modo confortati e indotti a sperare. 
D’altronde è evidente  che se si vogliono cercare le soluzioni occorre riconoscere innanzi tutto che vi è un problema. Ecco perché io penso che si facciano dei passi avanti. Ed è su questa strada che occorre continuare per giungere alla vera soluzione. 
Vero è che il cardinale Ratzinger è a conoscenza della questione da lungo tempo, e in questo senso egli è, forse, uno di quelli più in grado di cogliere il problema.


Present: Questa progressione ha conosciuto un salto qualitativo con il cambio del pontificato o non è altro che il seguito di quanto già iniziato da lungo tempo?

Mons. Fellay:   Un po’ dell’uno e po’ dell’altro. Io penso che col nuovo Papa via sia un progresso. 
È di tipo qualitativo? Lo spero. Non ne sono assolutamente certo. Ma quanto meno lo spero. Il giornalista italiano Messori racconta un episodio: "Un giorno ­ dice ­ ho cercato di fare confessare a Giovanni Paolo II che quanto meno vi erano delle cose che non andavano bene nella Chiesa. Il Papa ha battuto un pugno sul tavolo, come per dire che tutto andava bene." Mentre invece un cardinale Ratzinger riconosceva che tutto non andava bene. 
Io penso veramente che in Benedetto XVI vi sia la volontà di frenare certe spinte del Concilio. Bisognerebbe dire fermarle? Lo penso. 
Sopprimerle? Lo spero. 
Ma fin dove si spingerà tutto questo? È qui che io esito a parlare di salto qualitativo, perché io credo che, in fondo, i principii che animano Benedetto XVI siano gli stessi che animavano Giovanni Paolo II. 
Ho l’impressione, comunque, che Benedetto XVI voglia spingersi meno lontano.


Present: Secondo Lei fin dove arriva lo stato di necessità, se si considera il caso di Campos, sul quale si conoscono le vostre riserve, o più in generale i luoghi di culto concessi qua e là con maggiore frequenza negli ultimi tempi? Ove pone il limite?

Mons. Fellay:   Lo stato di necessità è uno stato nel quale, per sopravvivere, si è costretti a fare appello a mezzi che escono dall’ordinario. 
In altre parole: se seguendo gli ordini che ci verrebbero dati nella struttura canonica che ci si vorrebbe offrire, si nuocesse al bene delle anime a riguardo della fede o della liturgia, o altro, questo costituirebbe una stato di necessità. 
Non vi sarà più stato di necessità nel momento in cui i sacerdoti e i fedeli legati alla Tradizione potranno vivere in maniera normale, ed avere un normale sviluppo della loro vita cattolica. 
Questo non significa che in quel momento non vi sarà più alcun disordine nella Chiesa. 
Si tratta innanzi tutto di una questione di diritto: se nella Chiesa i principii sono stabiliti chiaramente ­ se per esempio il Papa dicesse: la Tradizione ha il diritto di vivere ­ in questo caso non si potrebbe più parlare di stato di necessità. 
Ora, uno statuto canonico come quello di Campos è tale da sopprimere lo stato di necessità? Io non ne sono sicuro. Perché questo statuto è soggetto a delle condizioni, e le condizioni sono sempre le stesse: l’accettazione della nuova Messa e del Concilio. 
È qui che sta il problema. 
Perché, diciamolo francamente: perché tanti fedeli vengono verso di noi? 
La maggior parte perché sono rimasti urtati dalla liturgia conciliare. Sono stati scioccati ed allora hanno fatto un passo che è costato loro enormemente. Oggi essi hanno ritrovato la pace grazie alla liturgia tradizionale. A questo punto si dice loro: normalizziamo la vostra situazione, potrete avere la Messa tridentina, ma è necessario che accettiate anche l’altra che vi ha fatto male. In altri termini: se volete avere una situazione normalizzata siete obbligati ad accettare come norma che vi si possa urtare. Questo è duro da accettare.


Present: Ma se voi accettate le discussioni attuali, la soluzione, umanamente, può non comportare una coabitazione? Sembra difficile ottenere d’un sol colpo una inversione. Nella stessa casa la regola dev’essere comune. Diversamente si tratterebbe di due case parallele.

Mons. Fellay:   Giusto. Io distinguo due cose: il principio e le sue conseguenze correnti. 
Per esempio, se in una casa vi è una fuga di gas che alimenta un incendio, quando si spegne il gas l’incendio continua ancora per un po’, ma finirà per spegnersi. 
È questo che noi chiediamo: che si colpisca la causa, che si spenga il gas. Se poi vi sarà ancora del fuoco noi saremo disponibili a cooperare, ma è necessario che il principio distruttore sia identificato e che il gas sia affettivamente spento.


Present: Ma questa è solo un’analogia…

Mons. Fellay:   Eh, no! Si tratta di più che di una analogia. 
I principi della Tradizione devono essere ristabiliti. Fino a quando questo non avverrà noi non potremo cooperare. Poiché lasciando intatti i principii di distruzione significherebbe cooperare all’incendio.


Present: Quanto meno vi è un’enorme differenza di prospettive. Questi principii che Lei denuncia sono quelli che gli altri considerano come abituali, e non come una fuga di gas.

Mons. Fellay:   È giusto. Occorre approfittare di queste discussioni per condurre le autorità romane ad una diversa valutazione della situazione. La differenza di prospettive non è totale. A Roma e fra i vescovi vi sono già delle personalità che hanno compreso perfettamente questa situazione e le sue cause. 
In concreto: la Chiesa va male, non vi sono più vocazioni, in campo liturgico si fa di tutto, il catechismo non esiste più, le scuole cattoliche non si trovano più. Tutto questo significa che oggi la vita cattolica è moribonda. Vi sono delle cause. Noi diciamo: fin quando lascerete vivere queste cause non servirà a niente cooperare. Mettiamoci d’accordo. Lavoriamo per rimuovere le cause. 
Se noi percepissimo da Roma una tale volontà, risponderemmo subito presente. 
Ma fino a quando Roma ci dirà: venite a lavorare, ma lasciateci recidere i principii della Tradizione, questo non sarà possibile.


Present: Sulla questione della Messa, che è il punto più semplice tra le vostre richieste, Lei sostiene che potrebbe essere liberalizzata in modo parziale. Perché è così ottimista da pensare che possa esserci? Ed anche così pessimista da pensare che non sarà completa? E in che consisterebbe una liberalizzazione parziale?

Mons. Fellay:   Io mi baso su ciò che è accaduto fino ad ora. 
Si intende benissimo che Roma ­ il Papa e certi prelati ­ ha perfettamente compreso che la Messa antica non può essere interdetta: non vi sono argomenti teologici, né argomenti canonici che permettono di interdire questa Messa. 
È una questione di diritto. E siccome Roma questo lo sa, noi valutiamo che un giorno o l’altro vi sarà una liberalizzazione. 
Non permettere questo stato di diritto sarebbe un’ingiustizia. 
Perché allora non una liberalizzazione totale? 
Perché queste stesse autorità, che per un verso riconoscono questo principio, per un altro verso si vedono fortemente intralciati dall’atteggiamento dei progressisti, e temono una reazione che forse farebbe perdere loro financo il controllo della Chiesa. 
Sono cose che dicono loro stessi. 
Stando così le cose, si può pensare ad un permesso più ampio di quello attuale, perché si vede bene che l’indulto è attualmente troppo dipendente dalla cattiva volontà dei vescovi, perché si possa parlare di qualcosa che è permesso. Occorre maggiore libertà, ma non troppa, per non stuzzicare i progressisti. Un compromesso, insomma.


Present: Come potrebbe tradursi in pratica questa liberalizzazione parziale?

Mons. Fellay:   Molto semplicemente. Noi chiediamo che sia riconosciuto il diritto della Chiesa. Trattandosi di una questione di diritto, si riconosca questo diritto. 
Si dica semplicemente: questa Messa non è interdetta. Tutto qui. 
Poi si vedrà quello che accadrà. Lasciate che si faccia l’esperienza della Tradizione.


Present: Cos’è che la renderebbe solo parziale?

Mons. Fellay:   L’opposizione degli Ordinarii, i quali, per un verso, si ergono contro questa Messa, perché vi vedono la negazione del Concilio e delle riforme, e per altro verso, forse più pragmatico, in questa liberalizzazione vedono la causa di un possibile caos nelle diocesi. 
Cosa che io personalmente non credo, ma certuni sembrano pensarla così. 
Per noi non si tratta di guadagnare o di perdere. La cosa è molto più sottile. 
Noi vediamo in questa Messa un principio di soluzione per uscire dalla crisi. Non si tratta di una semplice questione liturgica: nella santa liturgia vi è il sacrificio di Nostro Signore, che è un rimedio estremamente potente per ristabilire la via della grazia, per restaurare i principii cattolici, la fede, le esigenze morali, e in un tempo relativamente breve esso cambierebbero questo clima deleterio, questo spirito moderno dentro la Chiesa, che demolisce tutto. 
È per questo che chiediamo la Messa. 
Non per noi, perché noi l’abbiamo già, ma per la Chiesa, per tutte queste anime che soffrono, assetate, asfissiate, perché possano respirare di nuovo. 
Certo, questo farà bene anche a noi, ma innanzi tutto farà bene alla Chiesa. 
Ancora una volta: non siamo noi il problema. Ma noi possiamo apportare una parte della soluzione al grave problema della Chiesa.


Present: Se la Fraternità fosse percepita come una pietra d’inciampo, per questo motivo Lei arriverebbe fino a scioglierla, per placare gli spiriti, una volta ottenuto ciò che chiedete?

Mons. Fellay:   Non penso che questa sia la soluzione. 
Come ci diceva Mons. Lefebvre, non appena il Papa ci ripenserà, noi depositeremo nelle sue mani il nostro episcopato. Siamo del tutto disposti a farlo. 
Ma si comprende molto bene che Roma cerca di favorirci perché vede in noi un potenziale bene per la Chiesa. Sarebbe dunque controproducente sostenere: distruggiamo questo bene potenziale della Chiesa. Sarebbe anche contraddittorio.


Present: Ma questa soluzione non riguarderebbe solo la posizione della Fraternità. Vi sono anche le comunità dell’Ecclesia Dei, nonostante si possa discutere su certi punti!

Mons. Fellay:   Quando trattiamo con Roma, non trattiamo mai in una prospettiva limitata alla Fraternità. Noi abbiamo in vista il bene di tutte le comunità legate alla Tradizione. Non possiamo immaginare di fare un piccolo accordo separato, lasciando gli altri a sé stessi.


Present: Lei dice che non vi sono “negoziati” con Roma!

Mons. Fellay:   Non vi sono dei negoziati nel senso che non abbiamo niente da negoziare. 
La fede è semplice, non si può spezzettarla: tutto o niente. Noi vogliamo tutto. E questo tutto abbiamo il diritto di riceverlo dalla Chiesa: è questo che reclamiamo. 
Niente di più, ma niente di meno.


Present: Stanno in questo le “serie restrizioni” che Lei ha già richiamate a proposito delle vostre discussioni con Roma?

Mons. Fellay:   Si. A tutto quello che si presenta come uno sminuimento della nostra fede siamo obbligati a dire di no.


Present: Dunque vi è almeno il punto della percezione del Concilio che rappresenta un intoppo?

Mons. Fellay:   Senza dubbio: è la pietra d’inciampo.
 
Present: E il Papa lo percepisce come tale?
Mons. Fellay:   Si, il Papa lo percepisce come una seria pietra d’inciampo!


Present: Ma vi è un punto sul quale egli accetterebbe di negoziare?

Mons. Fellay:   Penso di sì. Nel senso che si riconosca che il Concilio Vaticano II non appartiene al dominio del definitivo. Esso è un Concilio che è stato voluto pastorale, che mai si è detto infallibile e per ciò stesso può essere soggetto a discussione. 
Un po’ come per l’antica Messa che non è stata mai soppressa e quindi chiediamo il diritto di celebrarla liberamente, così per questo Concilio, che è di per sé discutibile, noi chiediamo la libertà di discuterlo. 
Precisando che è lo stesso Concilio che ha voluto essere pastorale e non dogmatico, e cioè ha voluto essere legato a delle circostanze particolari, pratiche. Esso è storicamente superabile, per sua stessa natura. Se ne può discutere, non bisogna farne un dogma.


Present: In ogni caso,  non si può far finta che il Concilio non sia esistito. Non ci si può ritrovare nel 1958!

Mons. Fellay:   No. Ci si troverà nel 2006, nel 2007, 2008! Ci si ritroverà ad oggi. 
In questa nostra epoca la Chiesa deve risollevarsi dallo stato pietoso in cui si trova.


Present: E cosa potrà ricavare da questa esperienza?

Mons. Fellay:   Da un lato ne ricaverà che la fedeltà al passato è fruttuosa, dall’altro che l’amore del mondo è sterile! 
Interverrà il Buon Dio per impartire la lezione? 
È possibile. Non lo escludo, ma con un certo fremito.


Present: E le cose buone, gli sviluppi che possono esserci stati in questo quadro generale che voi non accettate?

Mons. Fellay:   Certo, gli sviluppi felici saranno conservati. La Chiesa è sufficientemente saggia, è guidata dallo Spirito Santo, e saprà conservare le cose buone.


Present: Può dirci adesso qual è il suo pensiero sugli avvenimenti che hanno scosso la Fraternità, e che, se forse non sono molto importanti per Lei, hanno avuta una certa eco all’esterno?

Mons. Fellay:   La cosa ha fatto scalpore, è evidente. E rispondo volentieri. 
Da un lato, in maniera generale, la situazione della Fraternità è sana, malgrado certe apparenze locali. 
Effettivamente, su alcuni punti sensibili, vi sono stati dei turbamenti, ma essi, dal posto che occupo, rientrano tra i problemi ordinarii. 
In ogni famiglia un po’ numerosa si hanno ogni tanto dei problemi umani. 
In questo caso il problema è stato gonfiato con i mezzi di comunicazione, perché proprio i preti che ci hanno lasciato hanno una capacità di comunicazione notevole. Sono delle persone dotate, ed è triste perderle.


Present: Non v’è nulla che possa giustificare la loro posizione? In una società come la vostra è possibile porsi degli interrogativi - anche se, a rigore, la questione non ha ragion d’essere - senza che questo provochi situazioni come quelle?

Mons. Fellay:   Evidentemente sì! Questo accade tutti i giorni. Solo che in qualunque società vi sono delle regole. Dal club di calcio all’impresa, in qualsivoglia società vi sono un certo numero di leggi che occorre rispettare, anche quando vi sono dei problemi. 
Ma se quando si tratta di esporre questi problemi si vuole giuocare al franco tiratore, se si vuole "sfasciare la baracca", questo obbliga l’autorità a proteggere il bene comune, il bene della società da questi attacchi. 
Non si trattava di una semplice contestazione: gli atti, in sé stessi, erano gravi. È questo che ha provocato le gravi misure da parte dell’autorità.


Present: Si può affermare che quando la Fraternità invoca lo stato di necessità nei confronti di Roma, tracci la strada per quei suoi membri che, in seguito, stimassero che la stessa situazione esiste in seno alla vostra società?

Mons. Fellay:   È un pericolo insito nella nostra situazione. Non abbiamo mai preteso che la nostra attuale situazione fosse una situazione normale nei confronti di Roma. Ed è vero che questa nostra situazione apre la porta a simili comparazioni, ma esse non sono giustificate. Vorrei dire semplicemente che non basta considerare gli atti compiuti, perché vi sono anche i motivi che ispirano quegli atti. 
Noi pensiamo che in ciò che si è fatto e si è detto vi sia materia sufficiente perché ogni fedele possa farsene un’idea.


Present: Lei dà l’impressione di essere in generale ottimista. Al di là del suo naturale modo d’essere, cos’è che le dà questo ottimismo?

Mons. Fellay:   La fede! La fede mi dà le certezze. 
Dio ha promesso alla Chiesa la sua assistenza, quindi non l’abbandonerà. 
Io vedo la Chiesa nella pena, vedo la Chiesa che soffre, ed io so, per mezzo della fede, che questo stato non durerà, che questa crisi che fa male alle anime sarà superata. 
Ve ne saranno altre, perché so anche che la Chiesa è militante, che Essa vive in un mondo che non l’ama affatto, e dunque vi saranno nuove sofferenze, che saranno superate a loro volta. 
Il mio ottimismo è veramente nel Signore: è tutta la nostra religione che ce lo insegna, facendosi cantare che la nostra gioia è nel Nome del Signore, la nostra forza, il nostro aiuto è nel Nome del Signore. Sta qui la ragione del mio ottimismo.


Present: Ed esso si rafforza dal punto di vista pratico?

Mons. Fellay:   Io scorgo una linea generale. Da diversi anni si constata che stiamo arrivando al piede dell’onda. Io penso anche che siamo già in procinto di risalire. 
Innanzi tutto, la generazione degli uomini del Concilio sta per sparire. Il Buon Dio li sta chiamando a Sé. 
La generazione seguente, che non ha conosciuto il Concilio o lo ha conosciuto solo in maniera indiretta, non è attaccato ad esso come la generazione che l’ha preceduta. 
Questi giovani preti sentono un vuoto, sono alla ricerca, e si rendono anche conto che noi non conosciamo questo senso di vuoto, perché siamo in possesso di una soluzione. 
Si tratta di un dato oggettivo. 
Lo si constata tutti i giorni: il numero di preti, religiosi e religiose che si rivolgono a noi è in aumento. Così il numero dei vescovi che ci manifestano la loro simpatia. Per adesso questi vescovi restano in silenzio; alcuni sono francesi! 
Abbiamo delle testimonianze di preti e di fedeli che dimostrano proprio che, senza considerarci chissà che, siamo per loro una speranza. Non noi, sicuramente, ma il nostro modo di vita, ciò che noi facciamo, ciò a cui noi teniamo! Vi sono anche dei vicari generali che ci dicono: tenete duro, voi siete la nostra sola speranza! 
Tutto questo è una novità, ed è in aumento. È un po’ come le prime erbe nel deserto: non è ancora un prato, ma vi sono i primi fili che incominciano a spuntare. Non si tratta affatto della primavera, non vi sono ancora abbastanza rondini: ma si indovina che essa sta arrivando!


Present: Vi è dunque una certa soddisfazione?

Mons. Fellay:   Se ancora per certi aspetti noi manifestiamo un entusiasmo molto riservato, è perché non vorremmo che preti e fedeli, dopo un entusiasmo eccessivo, cadano nella delusione. 
Si tratta di un processo lento, che va nella giusta direzione. 
Ma se si ha d’un colpo un entusiasmo esagerato ed esso fosse deluso, sarebbe difficile risollevarsi.


Present: E tuttavia ne serve un po’!

Mons. Fellay:   Certamente! Ancora una volta: si va nella direzione giusta. 
Quasi un anno fa il cardinale Castrillon Hoyos mi parlava del suo scoraggiamento, ed io gli risposi: io non sono scoraggiato, io constato che questo va dalla parte giusta. 
È un processo lento, ma è nelle mani del Buon Dio.


Ritorna a Documenti