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“ LA ROMA DEL CONCILIO NON É CAMBIATA ” Intervista di S. Ecc.za Mons. Richard Williamson
rilasciata al giornale francese “Minute” l'8 marzo 2006
I neretti sono nostri Minute: Monsignore, in questi ultimi mesi la Fraternità Sacerdotale San Pio X sembra aver esitato a riconciliarsi con Roma. La situazione si presenta confusa. Che cosa ne pensa? Mons. Williamson: I cattolici si trovano in una grande confusione perché si perde il dogma della fede.
Mons. Williamson: L'espressione è della stessa Vergine Maria: nel luglio del 1917, Nostra Signora rivela ai bambini di Fatima (a Lucia) ciò che si chiama il Terzo Segreto. Al di là della controversia sulla sedicente “pubblicazione” di questo testo da parte del Vaticano, nel 2000, è incontestabile che suor Lucia ne ha rivelato le prime parole: “In Portogallo non si perderà il dogma della fede”. Queste due parole portano diritte al cuore della crisi che ci affligge a partire dal Vaticano II. Esse sintetizzano trent’anni di tensione tra Roma e la FSSPX. Il mondo moderno dissolve la nozione stessa di verità oggettiva. Forse i cattolici non perdono la fede, ma perdono il vero significato del carattere dogmatico della fede, il che significa che, dai papi conciliari fino al più piccolo dei fedeli, tutti credono che la fede cattolica sia vera, ma non credono più che questa fede condanni gli errori e le false religioni ad essa avverse. Solo una piccola parte di fedeli non ha seguito il funesto concilio nella sua rinuncia al carattere dogmatico della fede cattolica. E questa piccola parte è costantemente tormentata dalla Chiesa ufficiale - e dal mondo - che non vuole assolutamente essere condannata da coloro che si rifiutano di perdere il dogma della fede.
Mons. Williamson: Come tutti, ho seguito gli eventi con attenzione, attraverso i mezzi di comunicazione. Inoltre, alcuni giorni dopo la riunione tenutasi a Roma il 15 novembre tra Mons. Fellay ed il cardinale Castrillón Hoyos, Prefetto della Congregazione per il Clero e Presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei, ho ricevuto da Mons. Fellay una relazione sull’incontro, che è durato oltre cinque ore. Devo confessare che per me la lettura di tale relazione è stata piuttosto deludente. Mi è sembrato che il cardinale Castrillón non comprenda la Fraternità meglio che nel 2000/2001, in occasione degli ultimi negoziati tra Roma e la Fraternità, che si conclusero con un fallimento.
Mons. Williamson: Questo discorso sembra presentare il programma del suo pontificato. La sua idea forza è che il Concilio Vaticano II sarebbe la soluzione dei problemi tra la Chiesa ed il mondo moderno e che la chiave di questa soluzione sarebbe il principio della libertà religiosa. Benedetto XVI difende questo principio con tre argomenti.
Mons. Williamson: A meno di un gran miracolo di Dio, che restituisca agli uomini della Chiesa del concilio il senso del dogma della fede, umanamente parlando non sembra vi sia granché da sperare da questo pontificato. “Divinamente parlando”, invece, i cattolici devono conservare una grande speranza, poiché questa situazione inedita della Chiesa fa guadagnare loro dei meriti immensi!Minute: Lei pensa che il dialogo con Roma sia possibile? Mons. Williamson: A me sembra che, a partire dalle consacrazioni del 1988, il dialogo tra questa Roma conciliare e la FSSPX sia molto difficile, o impossibile. " Cum negante principia nequit disputar ": " È impossibile discutere con qualcuno che nega i principi ", dice l’adagio scolastico. Ora, come sottolineava Mons. Lefebvre, rompendo il dialogo con Roma nel 1988 per procedere alle consacrazioni dei vescovi, questa Roma ? e in quell’occasione il cardinale Ratzinger! - con i principi del concilio cerca di scristianizzare il mondo, mentre la Fraternità cerca di cristianizzarlo. Vi è una opposizione diametrale! Cosa rimane da discutere?
Mons. Williamson: Se la discussione deve avere luogo, il grande principio dev’essere il primato della dottrina della fede. La tensione tra questa Roma conciliare e la FSSPX non è cosa da poco: ne va della fede cattolica, senza la quale nessun essere umano può salvare la propria anima. E quindi gli interessi di questa fede sono ben al di sopra degli interessi di questa Roma o della FSSPX.
Mons. Williamson: Coraggio! Meditate, meditate, meditate i fini ultimi! A che serve ad un uomo guadagnare tutta Roma se lascia minare la sua fede? Che importa ad un uomo perdere i suoi amici, la sua tranquillità, il suo prestigio, persino il suo focolare e - apparentemente - anche la sua Chiesa, se conserva il dogma della fede e, conservando questa fede, può ancora salvare la sua anima? Tutto stanca, tutto passa, salvo l’eternità!
Mons. Williamson: Così come è stata fondata da Mons. Lefebvre, la Fraternità è stata alla testa della battaglia della fede e lo è ancora, ma non lo sarebbe più se compromettesse il dogma della fede.
Mons. Williamson: L’ambiente del FSSPX è molto cambiato dagli anni tra il 1970 e il 1980: mentre la Chiesa conciliare è sprofondata nei suoi errori e nella sua decadenza, noi abbiamo visto nascere diversi movimenti che si richiamano alla tradizione cattolica, ma che non condividono completamente le posizioni della Fraternità. In altre parole la confusione delle anime è sempre più grande. Come si è adattata la Fraternità a queste evoluzioni?
Mons. Williamson: Mi sembra che noi dobbiamo armare maggiormente i nostri futuri sacerdoti contro gli errori del mondo liberale. La buona dottrina classica non basta più. I seminaristi hanno bisogno di una formazione contro-rivoluzionaria fondata in particolare sulle grandi encicliche antiliberali dei papi pre-conciliari, alle quali Mons. Lefebvre teneva tanto.
Mons. Williamson: Innanzitutto non pensiamo che vi sia solo la Fraternità che perda dei sacerdoti. L’apostasia universale, lo smembramento delle famiglie e della società hanno indebolito gli uomini e li hanno costantemente spinti per ogni dove. Di conseguenza, i seminari devono somigliare più ad una famiglia e meno ad una caserma. Noi superiori dobbiamo vegliare perché si mantenga un contatto paterno con i nostri sacerdoti, e dobbiamo chiederci se non avremmo potuto evitare certe partenze.
Mons. Williamson: Abbiamo visto che al centro di questa crisi vi è la perdita del senso della verità, del primato della dottrina e della purezza della fede cattolica. È questo, dunque, ciò che il prossimo Superiore generale dovrà tenere come priorità. In tal modo, gli sarà più facile far comprendere e far praticare quella vera carità di cui parla san Paolo e di cui le ànime hanno perdutamente bisogno.
Mons. Williamson: Ebbene, il futuro Superiore generale dovrà guidare la piccola barca della Fraternità fra onde sempre più alte! Si vede bene come si accelera il cambiamento del mondo: i vecchi riferimenti scompaiono l’uno dopo l’altro.
Mons. Williamson: Sì. O prende la strada eroica delle cime e, rifiutando prestigio e onori, accetta di essere vilipesa e perseguitata dal mondo; ed allora sarà amata e seguita dal “piccolo gregge” di nostro Signore Gesù Cristo. Oppure prende la strada della comodità e della facilità, compromettendosi con il mondo e la Chiesa del mondo, cioè la Chiesa conciliare; ed allora a poco a poco verrà abbandonata dalle pecore, che non riconosceranno più in essa la voce del Divino Maestro.
Mons. Williamson: Innanzi tutto essere forte nella fede, e poi umano, soprattutto verso i suoi sacerdoti. Gli occorrerà giudizio, prudenza e capacità di adattamento per discernere e per salvaguardare l’essenziale. Questa era una delle grandi qualità di Mons. Lefebvre.
Mons. Williamson: Vegliamo, e preghiamo Nostra Signora.
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