Intervista di
S. Ecc.za Mons. Albert Malcom Ranjith Patabendige Don
Segretario della Congregazione per il Culto Divino
e la Disciplina dei Sacramenti
concessa a Isabelle de Gaulmyn,
per conto del giornale cattolico francese La Croix
Roma, 25 giugno 2006
(i neretti e le sottolineature sono nostri)
La riforma del Vaticano II non è mai decollata.
Per il Segretario della Congregazione per il Culto Divino
occorre ritrovare il vero spirito della riforma conciliare.
La Croix: Si ha l’impressione che per
Benedetto XVI la liturgia sia una priorità.
Mons. Ranjith: A giusta ragione. Quando
si ripercorre la storia della liturgia attraverso i secoli, si vede quanto
sia importante per ogni uomo il bisogno dell’ascolto di Dio e di contatto
con l’aldilà.
La Chiesa è sempre stata cosciente che la sua
vita liturgica deve essere orientata verso Dio e deve comportare un’atmosfera
profondamente mistica.
Ora, da alcuni anni vi è la tendenza a dimenticarlo,
per sostituirvi uno spirito di libertà totale che lascia tutto lo
spazio all’invenzione, senza radicamento né approfondimento.
La Croix: È per questo che la liturgia
è divenuta oggetto di polemiche, di discussioni nella Chiesa, cioè
un fattore di gravi divisioni?
Mons. Ranjith: Io penso che questo sia
un fenomeno propriamente occidentale.
La secolarizzazione in Occidente ha portato con sé
una forte divisione tra quelli che si rifugiano nel misticismo, dimenticando
la vita, e quelli che banalizzano la liturgia, privandola della sua funzione
di mediatrice verso l’aldilà.
In Asia, nello Sri Lanka per esempio, che è il
mio paese, ognuno, quale che sia la sua religione, è ben cosciente
del bisogno dell’uomo di essere condotto verso l’aldilà. E ciò
deve tradursi nella vita concreta.
Io penso che non bisogna abbassare il senso del divino
al livello dell’uomo, ma al contrario cercare di innalzare l’uomo verso
il livello soprannaturale, là dove possiamo accostarci al Mistero
divino.
Ora, la tentazione di diventare protagonisti di questo
Mistero divino, di cercare di controllarlo, è forte in una società
che divinizza l’uomo, come fa la società occidentale.
La preghiera è dono: la liturgia non è
determinata dall’uomo, ma da ciò che Dio fa nascere in lui. Essa
implica una attitudine di adorazione verso il Dio creatore.
La Croix: Lei ritiene che la riforma conciliare
si sia spinta troppo lontano?
Mons. Ranjith: Non si tratta di essere
anticonciliare o postconciliare, conservatore o progressista! Io credo
che la riforma liturgica del Vaticano II non è mai decollata.
D’altronde, questa riforma non inizia col Vaticano II:
in realtà essa ha preceduto il Concilio, è nata con il movimento
liturgico all’inizio del XX secolo.
Attenendoci al decreto Sacrosanctum Concilium
del Vaticano II, si trattava di fare della liturgia la via di accesso alla
fede, e i cambiamenti in materia dovevano emergere in maniera organica,
tenendo conto della tradizione, e non in maniera precipitosa.
Vi sono state numerose derive che hanno fatto perdere
di vista il vero significato della liturgia.
Si può dire che l’orientamento della preghiera
liturgica nella riforma postconciliare non è stato sempre il riflesso
dei testi del Vaticano II, e in questa ottica si può parlare di
una correzione necessaria, di una riforma nella riforma.
Bisogna ritornare alla liturgia nello spirito del
Concilio.
La Croix: In concreto, come attuare tale ritorno
?
Mons. Ranjith: Oggi i problemi della liturgia
ruotano attorno alla lingua (volgare o latino) e alla posizione del prete,
rivolto verso l’assemblea o rivolto verso Dio.
La sorprenderò: nel decreto conciliare non
vi è un posto in cui si dice che è necessario che ormai il
celebrante si giri verso l’assemblea, né si dice che è proibito
utilizzare il latino !
Se è consentito l’uso della lingua corrente, in
particolare per la liturgia della Parola, il decreto precisa invece
che l’uso della lingua latina sarà conservato nel rito latino.
Su questi argomenti aspettiamo che il papa ci dia le sue indicazioni.
La Croix: A tutti quelli che hanno seguito con
un grande senso dell’obbedienza le riforme postconciliari, bisogna dire
che si sono sbagliati ?
Mons. Ranjith: No, non bisogna farne un
problema ideologico.
Io qui sottolineo il fatto che i giovani preti amano
celebrare col rito tridentino.
Bisogna precisare con forza che questo rito, quello
del Messale di San Pio V, non è «fuori legge».
Occorre incoraggiarlo di più? È il papa
che deciderà.
Ma è sicuro che una nuova generazione chiede un
maggiore orientamento verso il mistero. Non è una questione di forma,
ma di sostanza.
Per parlare di liturgia non ci vuole solo uno spirito
scientifico, o storico-teologico, ma soprattutto un’attitudine di meditazione,
di preghiera e di silenzio.
Ancora una volta, non si tratta di essere progressista
o conservatore, ma semplicemente di permettere all’uomo di pregare, di
ascoltare la voce del Signore.
Ciò che avviene nella celebrazione della gloria
del Signore non è una realtà solamente umana. Se si dimentica
questo aspetto mistico, tutto si offusca e diventa confuso.
Se la liturgia perde la sua dimensione mistica e celeste,
chi, allora, aiuterà l’uomo a liberarsi dall’egoismo e dalla propria
schiavitù?
La liturgia deve anzitutto essere una via di liberazione,
aprendo l’uomo alla dimensione dell’infinito.
giugno 2006
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