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Primo Assistente del Superiore Generale della Fraternità San Pio X a proposito del “preambolo dottrinale” 29 settembre 2011 L'intervista è stata pubblicata sul sito del Distretto tedesco della FSSPX Parzialmente ripresa e tradotta da DICI Pubblicata in italiano sul sito del Distretto italiano della Fraternità i
neretti sono nostri
Si sa che è stato consegnato un preambolo dottrinale di grande interesse. Benché Lei sia obbligato alla riservatezza sul contenuto del documento, può dirci come vede questo testo? Il testo proposto ammette delle correzioni
da parte nostra. E questo è necessario, se non altro per
eliminare chiaramente e definitivamente la minima ombra di
ambiguità o di malinteso. Da parte nostra, adesso dobbiamo
consegnare a Roma una risposta che rifletta la nostra posizione e
manifesti senza ambiguità le preoccupazioni della Tradizione. In forza della nostra missione di
fedeltà alla Tradizione cattolica, noi non dobbiamo fare dei
compromessi. I fedeli, e ancor più i sacerdoti, sanno
molto bene che le offerte romane fatte nel passato alle diverse
comunità conservatrici erano inaccettabili. Se adesso Roma fa un’offerta alla
Fraternità bisogna che questa sia chiaramente e
inequivocabilmente per il bene della Chiesa e acceleri il ritorno alla
Tradizione. Noi facciamo nostri il pensiero e il modo d’agire di
tutta la Chiesa cattolica: la sua missione universale, e questo fu
sempre l’ardente desiderio del nostro fondatore: che la Tradizione
rifiorisse dovunque nel mondo. È
questo che potrebbe giustamente favorire un riconoscimento canonico
della Fraternità Sacerdotale San Pio X.
Certi critici dicono che Roma, con questo preambolo, vorrebbe tendere una trappola alla Fraternità: una Fraternità legittimamente integrata potrebbe apportare alla Chiesa moderna il suo “carisma della Tradizione”, ma dovrebbe anche accettare altri percorsi e il pensiero conciliare, nel senso del pluralismo. Questa critica è del
tutto giustificata e dev’essere presa sul serio. Noi non possiamo
escludere l’impressione che si stabilirebbe una accettazione
silenziosa, che condurrebbe in effetti a quella diversità che
relativizza la sola verità: è proprio questa la base del
modernismo.
Assisi III e più ancora l’infelice beatificazione di Giovanni Paolo II, insieme a molti altri esempi, dimostrano chiaramente che le autorità della Chiesa non sono sempre pronti ad abbandonare i falsi principi del Vaticano II e le loro conseguenze. Di modo che ogni offerta fatta alla Tradizione deve garantirci la libertà di continuare sia la nostra opera sia la nostra critica nei confronti della «Roma modernista». E per essere franchi, questo sembra molto, molto difficile. Ancora una volta, dev’essere escluso ogni compromesso falso e pericoloso. È inutile comparare la situazione attuale con gli incontri del 1988. A quell’epoca, Roma voleva impedire ogni autonomia della Fraternità San Pio X, il vescovo che si voleva concedere, forse sì o forse no, avrebbe dovuto dipendere in ogni caso da Roma. A Mons. Marcel Lefebvre questo appariva troppo aleatorio. Se egli avesse ceduto, Roma avrebbe potuto veramente sperare che una Fraternità senza vescovi «propri», una volta o l’altra avrebbe finito con l’orientarsi verso la linea conciliare. Oggi la situazione è tutt’altra. Vi sono quattro vescovi e 550 sacerdoti sparsi nel mondo, mentre le strutture della Chiesa ufficiale si sbriciolano sempre più velocemente. Roma non può più confrontarsi con la Fraternità come fece più di vent’anni fa. Intravede la possibilità di una risposta positiva? E che la Fraternità sottoscriva il preambolo? Qui la diplomazia svolge un
ruolo importante. All’esterno, Roma vuole salvare la faccia. Il Papa ha
già ricevuto troppi rimproveri per aver rimesso la “scomunica”
ai nostri vescovi senza preamboli. Se fosse dipeso dalla maggioranza
dei vescovi tedeschi, la Fraternità avrebbe dovuto prima firmare
un riconoscimento in bianco del Concilio. Del resto, è quello
che essi esigono oggi. Il Papa Benedetto XVI non l’ha fatto. Lo stesso
dicasi per la liberalizzazione della Messa tridentina, l’altra
condizione chiesta dalla Fraternità. In tal modo Roma ha
acconsentito per due volte ai desideri della Fraternità. È evidente che oggi si chiede un
testo che possa essere presentato al pubblico. La questione sta nel
capire se questo testo si possa sottoscrivere. Fra una
settimana, i Superiori della Fraternità San Pio X si riuniranno
a Roma per discutere della cosa. Ovviamente,
dev’essere chiaro al Cardinale Levada e alla Congregazione per la
Dottrina della Fede, che non possono pretendere un testo che a sua
volta la Fraternità non potrebbe giustificare di fronte ai suoi
membri e ai suoi fedeli.
A chi hanno apportato maggiore vantaggio i colloqui: a Roma o alla Fraternità San Pio X? È un punto molto
interessante, quindi insisto: per noi non si tratta di acquisire un
vantaggio. Noi vogliamo rendere
nuovamente accessibile a tutta la Chiesa il tesoro che Mons. Lefebvre
ci ha trasmesso. Su questo punto, uno statuto canonico sarebbe un
beneficio per tutta la Chiesa. Per esempio, si può
supporre che un vescovo conservatore possa chiedere ad un sacerdote
della Fraternità di venire ad insegnare nel suo seminario
diocesano. In più, una regolarizzazione della nostra posizione
potrebbe anche significare che dei cattolici, che in altre occasioni si
sono lasciati dissuadere da etichettature infamanti, a quel punto osino
unirsi a noi. Ma non è di
questo che si tratta, da 41 anni la Fraternità si è
sviluppata regolarmente, e questo malgrado il pesante argomento della
“scomunica”. Quello che più ci importa è la Chiesa
cattolica. Con Mons. Lefebvre, anche noi ripetiamo le parole di San
Paolo: «Tradidi quod et accepi»,
trasmettiamo ciò che noi stessi abbiamo ricevuto.
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ottobre 2011 |