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La Fraternità San Pio X e il Preambolo dottrinale Intervista con Mons. Bernard Fellay Pubblicata da DICI Questa discrezione è
normale in ogni procedura importante; ne garantisce la serietà.
Accade che il Preambolo dottrinale che ci è stato consegnato sia
un documento che, come indica la nota che l’accompagna, è
suscettibile di chiarimenti e di modifiche. Non si tratta di un testo
definitivo. Noi invieremo a breve una risposta a questo documento, ove
indicheremo con franchezza le posizioni dottrinali che ci sembra
indispensabile mantenere. Dopo l’inizio dei nostri colloqui con la
Santa Sede – i nostri interlocutori lo sanno bene – la nostra costante
preoccupazione è stata quella di presentare in tutta
lealtà la posizione tradizionale.
Malgrado tutte queste
precauzioni, le conclusioni della riunione dei Superiori della
Fraternità San Pio X ad Albano, del 7 ottobre, sono state
divulgate su internet, da fonti diverse, ma concordanti.Da parte di Roma, la discrezione s’impone anche perché questo testo – pur nello stato attuale che necessita numerosi chiarimenti – rischia fortemente di suscitare l’opposizione dei progressisti, i quali non ammettono la semplice idea di una discussione sul Concilio, perché considerano che questo Concilio pastorale sia indiscutibile o “non negoziabile”, come se si trattasse di un Concilio dogmatico. Su internet le indiscrezioni non
mancano mai! È vero che questo Preambolo dottrinale non
può ricevere il nostro avallo, benché comporti un margine
per una “legittima discussione” su certi punti del Concilio. Qual
è l’ampiezza di questo margine? La proposta che avanzerò
in questi giorni alle autorità romane e la loro risposta ci
permetteranno di valutare le possibilità che ci vengono
lasciate. E qualunque sia il risultato di questi scambi, il documento
finale che verrà accettato o respinto sarà reso pubblico.
Meglio fare apparire le difficoltà che le soluzioni Dal momento che questo documento è poco chiaro, a suoi occhi, non sarebbe più semplice opporre la non ricevibilità ai suoi autori? Più semplice forse, ma non
più onesto. Visto che la nota che l’accompagna prevede la
possibilità di apportare dei chiarimenti, mi sembra necessario
chiederli piuttosto che rifiutarli a priori. Questo non pregiudica in
niente la risposta che daremo.
Dal momento che il dibattito tra noi e Roma è essenzialmente dottrinale e verte principalmente sul Concilio, e considerato che questo dibattito non riguarda solo la Fraternità San Pio X, ma proprio tutta la Chiesa, le precisazioni che otterremo o meno, avranno il merito non trascurabile di far meglio apparire dove stanno le difficoltà e dove le soluzioni. È questo lo spirito che ha sempre guidato i nostri colloqui teologici in questi due ultimi anni. Questo documento serve da preambolo ad uno statuto canonico, questo non comporta implicitamente la rinuncia alla tabella di marcia che Lei aveva fissata e che prevedeva innanzi tutto una soluzione dottrinale prima di un accordo pratico? Si tratta proprio di un preambolo dottrinale la cui accettazione o il cui rifiuto condizionerà l’ottenimento o meno di uno statuto canonico. La dottrina non passa affatto in secondo piano. E prima di impegnarci su un eventuale statuto canonico, studieremo in maniera attenta questo Preambolo con il criterio della Tradizione, alla quale siamo fedelmente legati. Poiché noi non dimentichiamo che sono proprio le divergenze dottrinali all’origine della controversia fra Roma e noi, da 40 anni; il metterle da parte per ottenere uno statuto canonico ci esporrebbe al veder riemergere inevitabilmente le stesse divergenze, tale da rendere lo statuto canonico più che precario, molto semplicemente invivibile. Dunque, in fondo nulla è cambiato dopo questi due anni di colloqui teologici fra Roma e la Fraternità San Pio X. Questi colloqui hanno permesso ai
nostri teologi di esporre chiaramente i punti principali del Concilio
che presentano delle difficoltà alla luce della Tradizione della
Chiesa. Parallelamente, e forse grazie a questi colloqui dottrinali, in
questi due ultimi anni altre voci si son fatte sentire oltre alle
nostre, le quali hanno formulato delle critiche sul Concilio che si
riallacciano alle nostre. Così, Mons. Brunero Gherardini, nel
suo libro Concilio Vaticano II. Il
discorso mancato, ha insistito sui differenti gradi di
autorità dei documenti conciliari e sul “contro-spirito” che si
è infiltrato nel Concilio Vaticano II fin dall’inizio. Anche
Mons. Athanasius Schneider ha avuto il coraggio di chiedere, in
occasione di un congresso a Roma della fine del 2010, un Syllabus che
condanni gli errori d’interpretazione del Concilio. Nello stesso
spirito, lo storico Roberto de Mattei ha mostrato chiaramente le
influenze contrarie esercitate sul Concilio, col suo libro Il Concilio Vaticano II. Una storia mai
scritta. Bisognerebbe citare anche la supplica rivolta a
Benedetto XVI da quegli intellettuali cattolici italiani che chiedono
un esame approfondito del Concilio.
Si, ma questi studi
universitari, queste analisi dotte non apportano alcuna soluzione
concreta ai problemi che il Concilio pone hic et nunc.Tutte queste iniziative, tutti questi interventi, indicano chiaramente che la Fraternità San Pio X non è più la sola a vedere i problemi dottrinali posti dal Vaticano II. Questo movimento si estende e non si fermerà più. Questi lavori sollevano le
difficoltà dottrinali poste dal Vaticano II e dimostrano quindi
perché l’adesione al Concilio è problematica. Il che
è un primo passo essenziale.
Il Credo non è più
sufficiente per essere riconosciuti come cattolici?A Roma stessa, le interpretazioni evolutive che si danno della libertà religiosa, le modifiche che sono state apportate a questo proposito nel Catechismo della Chiesa Cattolica e nel suo Compendio, le correzioni attualmente allo studio del Codice di Diritto Canonico… esprimono la difficoltà che si incontra quando ci si voglia attenere ai testi conciliari ad ogni costo, e dal nostro punto di vista questo dimostra proprio l’impossibilità di aderire in maniera stabile ad una dottrina in movimento. Ai suoi occhi, cos’è che oggi è stabile dottrinalmente? La sola dottrina ne varietur è in tutta
evidenza il Credo, la professione di fede cattolica. Il Concilio
Vaticano II s’è voluto pastorale, non ha definito dei dogmi. Non
ha aggiunto agli articoli di fede: “credo nella libertà
religiosa, nell’ecumenismo, nella collegialità…”. Il Credo non
sarebbe più sufficiente, oggi, per essere riconosciuto come
cattolico? Esso non esprime più tutta la fede cattolica? Si
esige oggi che coloro che abbandonano i loro errori e si riuniscono
alla Chiesa cattolica professino la loro fede nella libertà
religiosa, nell’ecumenismo o nella collegialità? Per noi figli
spirituali di Mons. Lefebvre, che ha sempre evitato di costituire una
Chiesa parallela e che ha voluto essere sempre fedele alla Roma eterna,
non v’è alcuna difficoltà ad aderire pienamente a tutti
gli articoli del Credo.
In questo contesto, si
può avere una soluzione alla crisi nella Chiesa?A meno di un miracolo, non
può esserci alcuna soluzione immediata. Per riprendere
l’espressione di Santa Giovanna d’Arco, pretendere che Dio doni la
vittoria senza chiedere agli uomini d’arme di dare battaglia, è
una forma di diserzione. Volere la fine della crisi senza sentirsi
interessati o implicati significa non amare davvero la Chiesa. La
Provvidenza non ci dispensa dal compiere il nostro dovere di stato
là dove essa ci ha posto, dall’assumere le nostre
responsabilità e dal rispondere alle grazie che ci ha accordato.
La situazione presente della Chiesa, nei nostri paesi un tempo cristiani, è la caduta drammatica delle vocazioni: quattro ordinazioni a Parigi nel 2011, una sola nella diocesi di Roma per il 2011-2012; è la rarefazione allarmante dei preti: come quel curato nell’Aude che ha 80 chiese; si tratta di diocesi esangui al punto che nel prossimo avvenire in Francia bisognerà raggrupparle come sono già state raggruppate le parrocchie… In una parola, la gerarchia ecclesiastica oggi è alla testa di strutture sovradimensionate per degli effettivi in calo costante, cosa che è propriamente ingestibile e non solo sul piano economico… Per darne un’idea, sarebbe come voler mantenere attivo un convento concepito per 300 religiosi quando non ne sono rimasti che 3. Tutto questo può continuare così ancora 10 anni? Dei giovani vescovi e preti che ereditano questa situazione prendono sempre più coscienza della sterilità di 50 anni di apertura al mondo moderno. Non danno la colpa unicamente alla laicizzazione della società, si interrogano sulle responsabilità del Concilio che ha aperto la Chiesa a questo mondo in piena secolarizzazione. Essi si chiedono se la Chiesa poteva adattarsi fino a questo punto alla modernità, senza adottarne lo spirito. Questi vescovi e questi preti si pongono tali domande, e certuni le pongono a noi… discretamente, come Nicodemo. Noi rispondiamo loro che è necessario sapere se di fronte a tale penuria, la Tradizione cattolica è una semplice opzione o una soluzione necessaria. Rispondere che è un’opzione significa minimizzare, cioè negare la crisi nella Chiesa e volersi accontentare con misure che hanno già dato prova della loro inefficacia. L’opposizione dei vescovi Ma anche se la Fraternità San Pio X ottenesse da Roma uno statuto canonico, non potrebbe offrire alcuna soluzione sul campo, malgrado tutto, poiché i vescovi vi si opporrebbero, come hanno fatto col Motu Proprio sulla Messa tradizionale. Questa opposizione dei vescovi
nei confronti di Roma si è espressa in maniera sorda ma efficace
riguardo al Motu Proprio sulla Messa tridentina e continua a
manifestarsi ostinatamente da parte di certi vescovi a proposito del
pro multis del canone della Messa, che Benedetto XVI, conformemente
alla dottrina cattolica, vuole che si traduca con «per molti” e
non con “per tutti”, come nella maggior parte delle liturgie in lingua
volgare. In effetti, certe conferenze episcopali persistono nel
mantenere questa falsa traduzione, come recentemente in Italia.
Così è il Papa stesso che fa esperienza di questa dissidenza di molte conferenze episcopali, su questo argomento e su molti altri, e questo può permettergli di comprendere facilmente l’opposizione feroce che la Fraternità San Pio X incontrerà immancabilmente da parte dei vescovi nelle loro diocesi. Si dice che Benedetto XVI desideri personalmente una soluzione canonica; occorrerà anche che voglia usare i mezzi che la rendano realmente efficace. È in ragione della gravità della crisi recente che Lei ha indetto una nuova crociata del Rosario? Domandando queste preghiere, ho
voluto soprattutto che i sacerdoti e i fedeli fossero più
intimamente uniti a Nostro Signore e alla Sua Santa Madre, con la
recitazione quotidiana e la meditazione profonda dei misteri del
Rosario. Noi non siamo in una situazione ordinaria, che ci
permetterebbe di accontentarci di una mediocrità abitudinaria.
La comprensione della crisi attuale non si fonda sulle voci diffuse via
internet, come le soluzioni non scaturiscono dall’astuzia politica o
dalla negoziazione diplomatica, su questa crisi occorre avere uno
sguardo di fede. Solo la frequentazione assidua di Nostro Signore e
della Madonna permetterà di conservare, tra tutti i sacerdoti e
i fedeli legati alla Tradizione, quella unità di vedute che
procura la fede soprannaturale. È così che faremo blocco
in questo periodo di grande confusione.
Pregando per la Chiesa, per la consacrazione della Russia, come ha chiesto la Santa Vergine a Fatima, e per il trionfo del Suo Cuore Immacolato, noi ci eleviamo al di sopra delle nostre aspirazioni troppo umane, superiamo i nostri timori troppo naturali. È solo a questa altezza che potremo veramente servire la Chiesa, col compimento del dovere di stato affidato ad ognuno di noi. Menzingen, 28 novembre 2011 (torna su)
novembre 2011 |