MIRARI VOS
Lettera enciclica
Ai Venerabili Fratelli, Patriarchi, Primati,
Arcivescovi, Vescovi e agli altri Ordinari
aventi con l’Apostolica Sede pace e comunione
“Sull'indifferentismo e per condannare la
libertà di coscienza, di stampa, di pensiero e di culto”
15 agosto 1832
Venerabili Fratelli, salute e apostolica
benedizione
Non riteniamo che voi vi meravigliate
perché, da quando è stato imposto alla Nostra pochezza
l’incarico del governo di tutta la Chiesa, non vi abbiamo ancora
indirizzato Nostre lettere, secondo la consuetudine introdotta fin dai
primi tempi e come la benevolenza Nostra verso di voi avrebbe
richiesto. Era questo per la verità uno dei Nostri più
vivi desideri: dilatare senza indugio sopra di voi il Nostro cuore, e
parlarvi in comunione di spirito con quella voce con la quale nella
persona del Beato Pietro fu divinamente ingiunto a Noi di confermare i
fratelli (Lc 22,32).
Ma voi ben sapete per quale procella di mali e di calamità fin
dai primi momenti del Nostro Pontificato fummo d’improvviso balzati in
un mare così tempestoso, che se la destra del Signore non avesse
testimoniato la propria virtù, avreste dovuto per la più
perversa cospirazione degli empi compiangere il Nostrofatale
sommergimento.
L’animo rifugge dal rinnovare con l’amara esposizione di tanti
infortuni il dolore vivissimo che ne provammo; e piuttosto Ci piace
innalzare riconoscenti benedizioni al Padre di ogni consolazione, il
quale con la dispersione dei ribelli Ci trasse dall’imminente pericolo
e sedata la furiosa tempesta Ci fece respirare.
Noi Ci proponemmo immediatamente di comunicarvi le Nostre idee relative
al risanamento delle piaghe di Israele: ma la grave mole di cure che
sopraggiunse per conciliare il ristabilimento dell’ordine pubblico pose
un ostacolo alla realizzazione del Nostro proposito.
Un nuovo motivo per tenerci silenziosi giunse dalla insolenza dei
faziosi, che tentarono di alzare nuovamente il vessillo della fellonia.
Vero è che, vedendo Noi che la lunga impunità e la
costante Nostra benigna indulgenza, anziché ammansire,
alimentavano piuttosto lo sfrenato furore dei ribelli, dovemmo infine,
sebbene con acerbissimo dispiacere, ricorrere alle armi spirituali (1Cor 4, 21) per frenare tanta loro
pervicacia, valendoci dell’autorità conferitaci a tal fine da
Dio: ma da questo appunto potete agevolmente comprendere quanto
più laboriosa e pressante sia resa la Nostra quotidiana
sollecitudine.
Ma giunti finalmente, secondo il costume dei Predecessori, a prendere
nella Nostra Basilica Lateranense quel possesso che per le citate
ragioni avevamo dovuto differire, troncato ogni indugio Ci rivolgiamo
sollecitamente a voi, Venerabili Fratelli, e quale testimonianza della
Nostra volontà vi indirizziamo questa Lettera fra l’esultanza di
questo giorno lietissimo, in cui festeggiamo il trionfo della Vergine
Assunta in Cielo, onde Ella, che fra le più dolorose
calamità Noi sperimentammo sempre Avvocata e Liberatrice, tale
pure Ci assista propizia nello scrivere a voi, e con la sua celeste
ispirazione fecondi la Nostra mente di quei consigli che siano
sommamente salutari per il gregge cristiano.
Dolenti invero, e col cuore sopraffatto dall’amarezza, veniamo a voi,
Venerabili Fratelli, che, atteso il vostro zelo ed il vostro
attaccamento alla Religione, ben sappiamo essere sommamente angustiati
per l’acerbità dei tempi in cui essa versa miseramente,
poiché davvero potremmo dire che questa è l’ora delle
tenebre per vagliare come grano i figli di elezione (Lc 22,53). A ragione si può
ripetere con Isaia: “Pianse, e la
terra avvelenata dai suoi abitanti scomparve, perché avevano
mutato il diritto, avevano rotto il patto sempiterno” (Is 24,5).
Venerabili Fratelli, diciamo cose che voi pure avete di continuo sotto
i vostri occhi e che deploriamo perciò con pianto comune.
Superba tripudia la disonestà, insolente è la scienza,
licenziosa la sfrontatezza. Viene disprezzata la santità delle
cose sacre: e l’augusta maestà del culto divino, che pur tanto
possiede di forza e di necessità sul cuore umano, viene
indegnamente contaminata da uomini ribaldi, riprovata, messa a
ludibrio. Quindi si stravolge e perverte la sana dottrina, ed errori
d’ogni genere si disseminano audacemente. Non leggi sacre, non diritti,
non istituzioni, non discipline, anche le più sante, sono al
sicuro di fronte all’ardire di costoro, che solo eruttano
malvagità dalla sozza loro bocca.
Bersaglio di incessanti, durissime vessazioni è fatta questa
Nostra Romana Sede del Beatissimo Pietro, nella quale Gesù
Cristo stabilì la base della Chiesa; i vincoli dell’unità
di giorno in giorno maggiormente s’indeboliscono e si sciolgono. La
divina autorità della Chiesa viene contestata e, calpestati i
suoi diritti, si vuole assoggettarla a ragioni terrene; con suprema
ingiustizia si vuole renderla odiosa ai popoli e ridurla ad ignominiosa
servitù. Intanto s’infrange l’obbedienza dovuta ai Vescovi, e
viene conculcata la loro autorità. Le Accademie e le Scuole
echeggiano orribilmente di mostruose novità di opinioni, con le
quali non più segretamente e per vie sotterranee si attacca la
Fede cattolica, ma scopertamente e sotto gli occhi di tutti le si muove
un’orribile e nefanda guerra.
Infatti, corrotti gli animi dei giovani allievi per gl’insegnamenti
viziosi e per i pravi esempi dei Precettori, si sono dilatati
ampiamente il guasto della Religione ed il funestassimo pervertimento
dei costumi. Scosso per tal maniera il freno della santissima
Religione, che è la sola sopra cui si reggono saldi i Regni e si
mantengono ferme la forza e l’autorità di ogni dominazione, si
vedono aumentare la sovversione dell’ordine pubblico, la decadenza dei
Principati e il disfacimento di ogni legittima potestà. Ma una
congerie così enorme di disavventure si deve in particolare
attribuire alla cospirazione di quelle Società nelle quali
sembra essersi raccolto, come in sozza sentina, quanto v’ha di
sacrilego, di abominevole e di empio nelle eresie e nelle sette
più scellerate.
Queste cose, Venerabili Fratelli, ed altre forse più gravi che
al presente sarebbe troppo lungo annoverare e che voi ben conoscete Ci
addolorano, di un dolore tanto più acerbo e continuo in quanto,
posti sulla cattedra del Principe degli Apostoli, Ci sentiamo obbligati
a tormentarci più di ogni altro dallo zelo per tutta la Casa di
Dio. Ma scorgendoci collocati in una sede ove non basta piangere
soltanto queste innumerabili sciagure, ma occorre compiere ogni sforzo
per procurarne l’estirpamento, ricorriamo a tal fine al sussidio della
vostra Fede, ed eccitiamo la vostra sollecitudine per la salvezza del
gregge cattolico, Venerabili Fratelli, la cui specchiata virtù,
religione, prudenza ed assiduità Ci danno coraggio, ed in mezzo
all’afflizione che Ci cagionano circostanze così disastrose,
dolcemente Ci confortano e consolano.
È Nostro obbligo, infatti, alzare la voce e tentare ogni prova,
perché né il cinghiale della selva devasti la vigna,
né i lupi rapaci piombino a fare strage del gregge. A Noi spetta
guidare le pecore soltanto a quei pascoli che siano per esse salubri, e
scevri d’ogni anche lieve sospetto d’essere dannosi.
Dio non voglia, o carissimi, che mentre premono tanti mali e tanti
pericoli sovrastano, manchino al proprio ufficio i Pastori che, colpiti
da sbigottimento, trascurino le pecore o, deposta la cura del gregge,
si abbandonino all’ozio ed alla pigrizia. Trattiamo anzi,
perciò, nell’unità dello spirito la comune causa Nostra,
o per meglio dire la causa di Dio, e contro i comuni nemici si abbiano
per la salute di tutto il popolo la medesima vigilanza in tutti e il
medesimo impegno.
Ciò poi adempirete felicemente se, come esige la ragione del
vostro incarico, attenderete indefessamente a voi stessi e alla
dottrina, richiamando spesso al pensiero che “la Chiesa Universale riceve l’urto di ogni
novità” ( S. Celstino papa, Ep. 21 ad Episc. Galline) e che, secondo
il parere del Pontefice Sant’Agatone, “delle
cose che furono regolarmente definite, nessuna dovessi diminuire,
nessuna mutare, nessuna aggiungere, ma tali esse debbono essere
custodite intatte nelle parole e nei significati” (S. Agatone
papa, Ep. ad Imp.). Integra
rimarrà così la fermezza di quella unità che ha il
proprio fondamento e si esprime in questa Cattedra di Pietro, donde
appunto derivano su tutte le Chiese i diritti della veneranda comunione
e dove tutte “possono rinvenire muro
di difesa e sicurezza, porto protetto dai flutti e tesoro
d’innumerevoli beni” (S. Innocenzo papa, Ep. II).
A rintuzzare pertanto la temerità di coloro i quali adoperano
tutti i mezzi o per abbattere i diritti di questa Santa Sede, o per
sciogliere il rapporto delle Chiese con la stessa (rapporto in forza
del quale esse hanno fermezza, solidità e vigore), inculcate il
massimo impegno di fedeltà e di venerazione sincera verso la
stessa Sede, facendo chiaramente intendere con San Cipriano che “falsamente confida di essere nella Chiesa
chi abbandona la Cattedra di Pietro, sopra la quale è fondata la
Chiesa” (San Cipriano, De
unitate Ecclesiae).
A tale obiettivo debbono perciò tendere i vostri travagli, le
vostre cure sollecite e l’assidua vostra vigilanza, affinché
gelosamente sia custodito il santo deposito della Fede in mezzo
all’infernale cospirazione degli empi, che con Nostro estremo cordoglio
vediamo intenta a derubarlo e a perderlo. Si ricordino tutti che il
giudizio intorno alla sana dottrina da insegnare ai popoli, non meno
che il governo ed il giurisdizionale reggimento della Chiesa sono
presso il Romano Pontefice, “a cui fu
conferita da Gesù Cristo la piena potestà di pascere,
reggere e governare la Chiesa universale” (Conc. Flor., sess.
25) come dichiararono solennemente i Padri del Concilio di Firenze .
È poi obbligo di ogni Vescovo tenersi fedelissimamente attaccato
alla cattedra di Pietro, custodire santamente e scrupolosamente il
deposito della Fede, e pascere il gregge di Dio affidatogli.
I Sacerdoti debbono stare soggetti ai Vescovi i quali, avverte San
Girolamo [S. Girolamo, Ep. 2 ad Nepot.
a. I, 24], devono essere considerati dagli stessi come “padri della
loro anima”: né si dimentichino mai che anche dagli antichi
Canoni è loro vietato d’intraprendere azione alcuna nel sacro
Ministero, e di assumersi l’ufficio d’insegnare e di predicare “senza il consenso del Vescovo a cui il
popolo fu affidato ed al quale si domanderà conto delle anime”(Ex
can. ap. 38).
Infine si tenga presente quale regola certa e sicura che tutti coloro
che osassero macchinare qualche cosa contro questo ordine così
stabilito perturberebbero lo stato della Chiesa.
Sarebbe poi cosa troppo nefanda ed assolutamente aliena da
quell’affetto di venerazione con cui si debbono rispettare le leggi
della Chiesa, il lasciarsi trasportare da forsennata mania di opinare a
capriccio, permettendo a qualcuno di disapprovare, o di accusare come
contraria a certi principi di diritto di natura, o di dire manchevole e
imperfetta e dipendente dalla civile autorità quella sacra
disciplina che la Chiesa fissò per l’esercizio del culto divino,
per la direzione dei costumi, per la prescrizione dei suoi diritti, e
per il gerarchico regolamento dei suoi Ministri.
Essendo inoltre massima irrefragabile, per valerci delle parole dei
Padri Tridentini, che “la Chiesa fu
erudita da Gesù Cristo e dai suoi Apostoli, e che viene
ammaestrata dallo Spirito Santo, il quale di giorno in giorno le
suggerisce ogni verità” , appare chiaramente assurdo ed
oltremodo ingiurioso per la Chiesa proporsi una certa “restaurazione e rigenerazione”,
come necessaria per provvedere alla sua salvezza ed al suo incremento,
quasi che la si potesse ritenere soggetta a difetto, o ad oscuramento o
ad altri inconvenienti di simil genere: tutte macchinazioni e trame
dirette dai novatori al malaugurato loro fine di gettare le “fondamenta di un recente umano stabilimento”
onde avvenga quello che era tanto condannato da San Cipriano, “che la Chiesa divenisse cosa umana”
(S. Cipriano, Ep. 52), quando, al contrario, è cosa tutta
divina.
Ma coloro che vanno meditando siffatti disegni considerino che per
testimonianza di San Leone, al solo Romano Pontefice “è affidata la disciplina dei Canoni”
e che a lui solo appartiene, e non a privato uomo chicchessia, il
definire sulle regole “delle paterne
sanzioni”, e, come scrive San Gelasio [S. Gelasio, papa, Ep. ad Episcopum Lucaniae] “bilanciare in tal maniera i decreti dei
Canoni e commisurare in tal modo i precetti dei Predecessori: dopo
diligenti riflessioni si dia un conveniente temperamento a quelle cose
che la necessità dei tempi richiede di dover moderare
prudentemente per il bene delle Chiese”.
E qui vogliamo eccitare sempre più la vostra costanza a favore
della Religione, affinché vi opponiate all’immonda congiura
contro il celibato clericale: congiura che, come sapete, si accende
ogni dì più estesamente, unendo ai tentativi dei
più sciagurati filosofi dell’età nostra anche alcuni
dello stesso ceto ecclesiastico: di persone che, dimentiche della loro
dignità e del loro ministero, trascinate dal lusinghiero
torrente delle voluttà, proruppero in tale eccesso di licenziosa
impudenza che non ristettero dal presentare in più luoghi
pubbliche reiterate domande ai Governi, onde venisse abrogato ed
annientato questo santissimo punto di disciplina.
Ma troppo C’incresce di trattenervi lungamente sopra questi turpi
attentati, e piuttosto con fiducia incarichiamo la religione vostra
affinché impieghiate ogni vostro zelo per mantenere sempre,
secondo quanto prescritto dai Sacri Canoni, intatta, custodita, ferma e
difesa una legge di tanto rilievo, contro la quale da ogni parte si
scagliano gli strali degli impudichi.
Inoltre, l’onorando matrimonio dei Cristiani esige le Nostre comuni
premure affinché in esso, chiamato da San Paolo “Sacramento grande in Cristo e nella Chiesa”
(Eb 13,4), nulla s’introduca o
si tenti introdurre di meno onesto che sia contrario alla sua
santità o leda l’indissolubilità del suo vincolo. Vi
aveva già raccomandato insistentemente questo nelle sue lettere
il Nostro Predecessore Pio VIII di felice memoria: ma continuano a
moltiplicarsi tuttavia contro di esso gli attentati
dell’empietà.
È perciò necessario istruire accuratamente i popoli che
il matrimonio, una volta legittimamente contratto, non può
più sciogliersi, e che Dio ha ingiunto ai coniugati una perpetua
unione di vita ed un tal legame che solo con la morte può
rompersi. Rammentando che il matrimonio si annovera fra le cose sacre,
e che per questo è soggetto alla Chiesa, essi abbiano di
continuo presenti le leggi da questa stabilite in materia, e quelle
adempiano santamente ed esattamente come prescrizioni, dalla cui
osservanza fedele dipendono la forza, la validità e la giustizia
del medesimo.
Si astenga ognuno dal commettere per qualsivoglia motivo atti che siano
contrari alle canoniche disposizioni e ai decreti dei Concilii che lo
riguardano, ben conoscendosi che esito infelicissimo sogliono avere
quei matrimoni che o contro la disciplina della Chiesa o senza che sia
stata implorata prima la benedizione del Cielo, o per solo bollore di
cieca passione vengono celebrati senza che gli sposi si prendano alcun
pensiero della santità del Sacramento e dei misteri che vi si
nascondono.
Veniamo ora ad un’altra sorgente trabocchevole dei mali, da cui
piangiamo afflitta presentemente la Chiesa: vogliamo dire l’indifferentismo, ossia quella
perversa opinione che per fraudolenta opera degl’increduli si
dilatò in ogni parte, e secondo la quale si possa in qualunque
professione di Fede conseguire l’eterna salvezza dell’anima se i
costumi si conformano alla norma del retto e dell’onesto. Ma a voi non
sarà malagevole cosa allontanare dai popoli affidati alla vostra
cura un errore così pestilenziale intorno ad una cosa chiara ed
evidentissima, senza contrasto. Poiché è affermato
dall’Apostolo che esiste “un solo
Iddio, una sola Fede, un solo Battesimo” (Ef 4,5), temano coloro i quali
sognano che veleggiando sotto bandiera di qualunque Religione possa
egualmente approdarsi al porto dell’eterna felicità, e
considerino che per testimonianza dello stesso Salvatore “essi sono contro Cristo, perché non
sono con Cristo” (Lc
11,23), e che sventuratamente disperdono solo perché con lui non
raccolgono; quindi “senza dubbio
periranno in eterno se non tengono la Fede cattolica, e questa non
conservino intera ed inviolata” (Symbol. S. Athanasii).
Ascoltino San Girolamo il quale – trovandosi la Chiesa divisa in tre
parti a causa dello scisma – racconta che, tenace come egli era del
santo proposito, quando qualcuno cercava di attirarlo al suo partito,
egli rispondeva costantemente ad alta voce: “Chi sta unito alla Cattedra di Pietro,
quegli è mio” (S. Girolamo, Ep. 58).
A torto poi qualcuno, fra coloro che alla Chiesa non sono congiunti,
oserebbe trarre ragione di tranquillizzante lusinga per essere anche
lui rigenerato nell’acqua di salute; poiché gli risponderebbe
opportunamente Sant’Agostino: “Anche
il ramoscello reciso dalla vite ha la stessa forma, ma che gli giova la
forma se non vive della radice?”(S. Agostino, Salmo contro part. Donat.).
Da questa corrottissima sorgente dell’indifferentismo
scaturisce quell’assurda ed erronea sentenza, o piuttosto delirio, che
si debba ammettere e garantire a ciascuno la libertà di coscienza: errore
velenosissimo, a cui apre il sentiero quella piena e smodata libertà di opinione che va
sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato, non mancando chi
osa vantare con impudenza sfrontata provenire da siffatta licenza
qualche vantaggio alla Religione.
“Ma qual morte peggiore può
darsi all’anima della libertà dell’errore?” esclamava
Sant’Agostino (Ep. 166). Tolto infatti ogni freno che tenga nelle vie
della verità gli uomini già diretti al precipizio per la
natura inclinata al male, potremmo dire con verità essersi
aperto il “pozzo d’abisso”
(Ap 9,3), dal quale San
Giovanni vide salire tal fumo che il sole ne rimase oscurato, uscendone
locuste innumerabili a devastare la terra. Conseguentemente si
determina il cambiamento degli spiriti, la depravazione della
gioventù, il disprezzo nel popolo delle cose sacre e delle leggi
più sante: in una parola, la peste della società
più di ogni altra esiziale, mentre l’esperienza di tutti i
secoli, fin dalla più remota antichità, dimostra
luminosamente che città fiorentissime per opulenza, potere e
gloria per questo solo disordine, cioè per una eccessiva
libertà di opinioni, per la licenza delle conventicole, per la
smania di novità andarono infelicemente in rovina.
A questo fine è diretta quella pessima, né mai abbastanza
esecrata ed aborrita “libertà
della stampa” nel divulgare scritti di qualunque genere;
libertà che taluni osano invocare e promuovere con tanto clamore.
Inorridiamo, Venerabili Fratelli, nell’osservare quale stravaganza di
dottrine ci opprime o, piuttosto, quale portentosa mostruosità
di errori si spargono e disseminano per ogni dove con quella sterminata
moltitudine di libri, di opuscoli e di scritti, piccoli certamente di
mole, ma grandissimi per malizia, dai quali vediamo con le lacrime agli
occhi uscire la maledizione ad inondare tutta la faccia della terra.
Eppure (ahi, doloroso riflesso!) vi sono taluni che giungono alla
sfrontatezza di asserire con insultante protervia che questo
inondamento di errori è più che abbondantemente
compensato da qualche opera che in mezzo a tanta tempesta di
pravità si mette in luce per difesa della Religione e della
verità. Nefanda cosa è certamente, e da ogni legge
riprovata, compiere a bella posta un male certo e più grave,
perché vi è lusinga di poterne trarre qualche bene. Ma
potrà mai dirsi da chi sia sano di mente che si debba
liberamente ed in pubblico spargere, vendere, trasportare, anzi
tracannare ancora il veleno, perché esiste un certo rimedio,
usando il quale avviene che qualcuno scampa alla morte?
Ma assai ben diverso fu il sistema adoperato dalla Chiesa per
sterminare la peste dei libri cattivi fin dall’età degli
Apostoli, i quali, come leggiamo, hanno consegnato alle fiamme
pubblicamente grande quantità di tali libri (At 19,19). Basti leggere le
disposizioni date a tale proposito nel Concilio Lateranense V, e la
Costituzione che pubblicò Leone X di felice memoria, Nostro
Predecessore, appunto perché “quella
stampa che fu salutarmente scoperta per l’aumento della Fede e per la
propagazione delle buone arti, non venisse rivolta a fini contrari e
recasse danno e pregiudizio alla salute dei fedeli di Cristo”
(Act. Conc. Lateran. V, sess. 10).
Ciò stette parimenti a cuore dei Padri Tridentini al punto che
per applicare opportuno rimedio ad un inconveniente così
dannoso, emisero quell’utilissimo decreto sulla formazione dell’Indice
dei libri nei quali fossero contenute malsane dottrine (Conc. Trid.,
sess. 18 e 25).
Clemente XIII, Nostro Predecessore di felice memoria, nella sua
enciclica sulla proscrizione dei libri nocivi afferma che “si deve lottare accanitamente, come
richiede la circostanza stessa, con tutte le forze, al fine di
estirpare la mortifera peste dei libri; non potrà infatti essere
eliminata la materia dell’errore fino a quando gli elementi impuri di
pravità non periscano bruciati” (Christianae reipublicae, 25 novembre 1766).
Pertanto, per tale costante sollecitudine con la quale in tutti i tempi
questa Sede Apostolica si adoperò sempre di condannare i libri
pravi e sospetti, e di strapparli di mano ai fedeli, si rende assai
palese quanto falsa, temeraria ed oltraggiosa alla stessa Sede
Apostolica, nonché foriera di sommi mali per il popolo cristiano
sia la dottrina di coloro i quali non solo rigettano come grave ed
eccessivamente onerosa la censura dei libri, ma giungono a tal punto di
malignità che la dichiarano perfino aborrente dai principi del
retto diritto e osano negare alla Chiesa l’autorità di ordinarla
e di eseguirla.
Avendo poi rilevato da parecchi scritti che circolano fra le mani di
tutti propagarsi certe dottrine tendenti a far crollare la
fedeltà e la sommissione dovuta ai Principi, e ad accendere
ovunque le torce della guerra, vi esortiamo ad essere sommamente
guardinghi, affinché i popoli, a seguito di tale seduzione, non
si lascino miseramente rimuovere dal diritto sentiero. Riflettano tutti
che, secondo l’ammonimento dell’Apostolo, “non vi è potere se non da Dio, e le
cose che sono furono ordinate da Dio. Perciò chi resiste al
potere, resiste all’ordinamento di Dio, e coloro che resistono si
procurano da se stessi la condanna” (Rm 3,2).
Il divino e l’umano diritto gridano contro coloro i quali, con
infamissime trame e con macchinazioni di ostilità e di sedizioni
impiegano i loro sforzi nel mancare di fede ai Principi, ed a cacciarli
dal trono.
Fu appunto per non contaminarsi di tanto obbrobrioso delitto che gli
antichi Cristiani, pur nel bollore delle persecuzioni, sempre bene
meritarono degl’Imperatori e della salvezza dell’Impero, adoperandosi
con fedeltà nell’adempiere esattamente e prontamente quanto
veniva loro comandato che non fosse contrario alla Religione:
impegnandosi con costanza ed anche con il sangue abbondantemente sparso
in battaglie per essi.
“I soldati cristiani –
afferma Sant’Agostino – servirono
l’Imperatore infedele; quando si toccava la causa di Cristo, non
conoscevano che Colui che è nei Cieli. Distinguevano il Signore
eterno dal Signore temporale, tuttavia proprio per il Signore eterno
ubbidivano quali sudditi anche al Signore terreno” (Salmo 124, n. 7).
Tali argomenti aveva sotto gli occhi l’invitto martire San Maurizio,
capo della Legione Tebana, allorché – come riferisce
Sant’Eucherio – così rispose all’Imperatore: “Imperatore, noi siamo tuoi soldati,
però siamo al tempo stesso servi di Dio, e lo confessiamo
liberamente... Eppure, neanche questa stessa dura necessità di
serbare la vita ci spinge alla ribellione: ecco, abbiamo le armi,
eppure non facciamo resistenza, perché reputiamo sorte migliore
il morire che l’uccidere” (S. Eucherio, apud Ruinart, Act. SS. MM. de SS. Maurit. et Soc.,
n. 4).
Tale fedeltà degli antichi Cristiani verso i loro Principi
risplende anche più luminosa se si riflette con Tertulliano che
a quei tempi “non mancava ai
Cristiani gran numero di armi e di armati se avessero voluto farla da
nemici dichiarati. Siamo usciti da poco all’esterno, egli dice
agli Imperatori, e già
abbiamo riempito ogni vostro luogo, le città, le isole, i
castelli, i municipi, le adunanze, gli accampamenti stessi, le
tribù, le curie, il palazzo, il senato, il foro... A qual guerra
non saremmo stati idonei e pronti, quando pure fossimo inferiori di
numero, noi che ci lasciamo trucidare tanto volonterosamente, se dalla
nostra disciplina non fosse permesso più il lasciarsi uccidere
che l’uccidere? Se tanta moltitudine di persone, quale noi siamo,
allontanandosi da voi, si fosse rifugiata in qualche remotissimo angolo
dell’orbe, avrebbe certamente recato vergogna alla vostra potenza la
perdita di tanti cittadini, quali che fossero; anzi l’avrebbe punita
con lo stesso abbandono. Senza dubbio vi sareste sbigottiti di fronte a
tale solitudine... e avreste cercato a chi poter comandare: vi
sarebbero rimasti più nemici che cittadini, mentre ora avete
minor numero di nemici, tenuto conto della moltitudine dei Cristiani.”
(Tertulliano, Apologet., cap.
37).
Esempi così luminosi d’inalterabile sommissione ai Principi, che
necessariamente derivavano dai santissimi precetti della Religione
Cristiana, condannano altamente la detestabile insolenza e
slealtà di coloro che, accesi dall’insana e sfrenata brama di
una libertà senza ritegno, sono totalmente rivolti a
manomettere, anzi a svellere qualunque diritto del Principato, onde
poscia recare ai popoli, sotto colore di libertà, il più
duro servaggio.
A questo scopo per verità cospirarono gli scellerati deliri e i
disegni dei Valdesi, dei Beguardi, dei Wiclefiti e di altri simili
figli di Belial, che furono l’ignominia e la feccia dell’uman genere,
meritamente perciò tante volte colpiti dagli anatemi di questa
Sede Apostolica.
Né certamente per altro motivo codesti pensatori moderni
sviluppano le loro forze, se non perché possano menar festa e
trionfo con Lutero, e compiacersi con lui di “essere liberi da tutti”, disposti
perciò decisamente ad accingersi a qualunque più
riprovevole impresa per giungere con più facilità e
speditezza a conseguire l’intento.
Né più lieti successi potremmo presagire per la Religione
ed il Principato dai voti di coloro che vorrebbero vedere separata la
Chiesa dal Regno, e troncata la mutua concordia dell’Impero col
Sacerdozio. È troppo chiaro che dagli amatori d’una
impudentissima libertà si teme quella concordia che fu sempre
fausta e salutare al governo sacro e civile.
Ma a tante e così amare cause che Ci tengono solleciti e nel
comune pericolo Ci crucciano con dolore singolare, si unirono certe
associazioni e determinate aggregazioni nelle quali, fatta lega con
gente d’ogni religione, anche falsa e di estraneo culto, si predica
libertà d’ogni genere, si suscitano turbolenze contro il sacro e
il civile potere, e si conculca ogni più veneranda
autorità, sotto lo specioso pretesto di pietà e di
attaccamento alla religione, ma con mira in fatto di promuovere ovunque
novità e sedizioni.
Queste cose, Venerabili Fratelli, con animo dolentissimo, ma pieni di
fiducia in Colui che comanda ai
venti e porta la tranquillità, vi abbiamo scritto
affinché, impugnato lo scudo della Fede, seguitiate animosi a
combattere le battaglie del Signore. A voi sopra ogni altro compete
stare qual muro saldo di fronte ad ogni superba potenza che si voglia
alzare contro la scienza di Dio. Da voi si brandisca la spada dello
Spirito, che è la parola di Dio, e siano da voi provveduti di
pane coloro che hanno fame di giustizia.
Chiamati ad essere coltivatori industriosi nella vigna del Signore,
occupatevi di questo solo, e a questo solo volgete le comuni vostre
fatiche: cioè che ogni radice di amarezza sia divelta dal campo
a voi assegnato e, spento ogni seme vizioso, cresca in esso, abbondante
e rigogliosa, la messe delle virtù. Abbracciando con paterno
affetto coloro che si applicano agli studi filosofici, e più
ancora alle sacre discipline, inculcate loro premurosamente che si
guardino dal fidarsi delle sole forze del proprio ingegno per non
lasciare il sentiero della verità e prendere imprudentemente
quello degli empi. Si ricordino che Dio “è il duce della sapienza e il
perfezionatore dei sapienti” (Sap
7,15), e che non può mai avvenire che senza Dio conosciamo Dio,
il quale per mezzo del Verbo insegna agli uomini a conoscere Dio (S.
Ireneo, lib. 14, cap. 10).
È proprio del superbo, o piuttosto dello stolto, il volere
pesare sulle umane bilance i misteri della Fede, che superano ogni
nostra possibilità, e fidare sulla ragione della nostra mente,
che per la condizione stessa della umana natura è troppo fiacca
e malata.
Per il resto, i Nostri carissimi figli in Cristo, i Principi,
assecondino questi comuni voti – per il bene della Chiesa e dello Stato
– con il loro aiuto e con quell’autorità che devono considerare
conferita loro non solo per il governo delle cose terrene, ma in modo
speciale per sostenere la Chiesa. Riflettano diligentemente su quanto
deve essere fatto per la tranquillità dei loro Imperi e per la
salvezza della Chiesa; si persuadano anzi che devono avere più a
cuore la causa della Fede che quella del Regno, come ripetiamo con il
Pontefice San Leone: “Al loro diadema
per mano del Signore si aggiunga anche la corona della Fede”.
Posti quasi come padri e tutori dei popoli, procureranno a questi
quiete e tranquillità vera, costante e doviziosa,
particolarmente se si adopreranno a far fiorire tra essi la Religione e
la pietà verso Dio, il quale porta scritto nel femore: “Re dei Re, e Signore dei Signori”.
Ma per impetrare successi così prosperi e felici, solleviamo
supplichevoli gli sguardi e le mani verso la Santissima Vergine Maria,
la quale sola vinse tutte le eresie, ed è la massima Nostra
fiducia, anzi la ragione tutta della Nostra speranza. Ella, la grande
Avvocata, col suo patrocinio, in mezzo a tanti bisogni del gregge
cristiano, implori benigna un esito fortunatissimo a favore dei Nostri
propositi, sforzi ed azioni.
Tanto con umile preghiera domandiamo ancora al Principe degli Apostoli
San Pietro e al suo Co-Apostolo San Paolo, affinché rimaniate
tutti saldi come solido muro, e non si ponga altro fondamento diverso
da quello che fu già posto.
Animati da questa serena speranza, confidiamo che l’Autore e il
Perfezionatore della Fede Gesù Cristo consolerà
finalmente noi tutti nelle tribolazioni che troppo ci tengono
bersagliati.
Intanto, foriera ed àuspice del celeste soccorso, a voi,
Venerabili Fratelli, e a tutte le pecore affidate alla vostra cura
impartiamo affettuosamente l’Apostolica Benedizione.
Dato a Roma, presso Santa Maria Maggiore, il 15 agosto,
giorno solenne dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, dell’anno
1832, anno secondo del Nostro Pontificato.
GREGORIO PP. XVI
settembre 2016
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