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Lettera enciclica Ai Venerabili Fratelli, Patriarchi, Primati,
Arcivescovi, Vescovi e agli altri Ordinari “Sulla Regalità di Cristo” 11 dicembre 1925 Venerabili Fratelli, salute e apostolica
benedizione Introduzione
Nella prima Enciclica che, asceso al
Pontificato, dirigemmo a tutti i Vescovi dell’Orbe cattolico — mentre
indagavamo le cause precipue di quelle calamità da cui vedevamo
oppresso e angustiato il genere umano — ricordiamo d’aver chiaramente
espresso non solo che tanta colluvie di mali imperversava nel mondo
perché la maggior parte degli uomini avevano allontanato
Gesù Cristo e la Sua santa legge dalla pratica della loro vita,
dalla famiglia e dalla società, ma altresì che mai poteva
esservi speranza di pace duratura fra i popoli, finché gli
individui e le nazioni avessero negato e da loro rigettato l’Impero di
Cristo Salvatore. Pertanto, come ammonimmo che era necessario
ricercare la pace di Cristo nel Regno di Cristo, così
annunziammo che avremmo fatto a questo fine quanto Ci era possibile;
nel Regno di Cristo — diciamo — poiché Ci sembrava che non si
possa più efficacemente tendere al ripristino e al rafforzamento
della pace, che mediante la restaurazione del Regno di Nostro Signore. Frattanto il sorgere e il pronto ravvivarsi di
un benevolo movimento dei popoli verso Cristo e la Sua Chiesa, che sola
può recar salute, Ci forniva non dubbia speranza di tempi
migliori; movimento tal quale s’intravedeva che molti i quali avevano
disprezzato il Regno di Cristo e si erano quasi resi esuli dalla Casa
del Padre, si preparavano e quasi s’affrettavano a riprendere le vie
dell’obbedienza.
E tutto quello che accadde e si fece, nel
corso di questo Anno Santo, degno certo di perpetua memoria, forse non
accrebbe l’onore e la gloria al divino Fondatore della Chiesa, nostro
supremo Re e Signore? E questo Regno di Cristo sembrò quasi
pervaso di nuova luce allorquando Noi, prova l’eroica virtù di
sei Confessori e Vergini, li elevammo agli onori degli altari. E qual
gioia e qual conforto provammo nell’animo quando, nello splendore della
Basilica Vaticana, promulgato il decreto solenne, una moltitudine
sterminata di popolo, innalzando il cantico di ringraziamento
esclamò: Tu Rex gloriæ,
Christe! Inoltre, ricorrendo, durante l’Anno Giubilare,
il sedicesimo secolo dalla celebrazione del Concilio di Nicea, volemmo
che l’avvenimento centenario fosse commemorato, e Noi stessi lo
commemorammo nella Basilica Vaticana tanto più volentieri in
quanto quel Sacro Sinodo definì e propose come dogma la
consustanzialità dell’Unigenito col Padre, e nello stesso tempo,
inserendo nel simbolo la formula «il regno del quale non
avrà mai fine», proclamò la dignità regale
di Cristo. Avendo, dunque, quest’Anno Santo concorso non
in uno ma in più modi ad illustrare il Regno di Cristo, Ci
sembra che faremo cosa quanto mai consentanea al Nostro ufficio
apostolico, se, assecondando le preghiere di moltissimi Cardinali,
Vescovi e fedeli fatte a Noi sia individualmente, sia collettivamente,
chiuderemo questo stesso Anno coll’introdurre nella sacra Liturgia una
festa speciale di Gesù Cristo Re. Gesù Cristo è Re
Da gran tempo si è usato comunemente di
chiamare Cristo con l’appellativo di Re per il sommo grado di
eccellenza, che ha in modo sovraeminente fra tutte le cose create. In
tal modo, infatti, si dice che Egli regna nelle menti degli uomini non
solo per l’altezza del suo pensiero e per la vastità della sua
scienza, ma anche perché Egli è Verità ed è
necessario che gli uomini attingano e ricevano con obbedienza da Lui la
verità; similmente nelle volontà degli uomini, sia
perché in Lui alla santità della volontà divina
risponde la perfetta integrità e sottomissione della
volontà umana, sia perché con le sue ispirazioni
influisce sulla libera volontà nostra in modo da infiammarci
verso le più nobili cose. Ma per entrare in argomento, tutti debbono
riconoscere che è necessario rivendicare a Cristo Uomo nel vero
senso della parola il nome e i poteri di Re; infatti soltanto in quanto
è Uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre la
potestà, l’onore e il regno [2], perché come Verbo di
Dio, essendo della stessa sostanza del Padre, non può non avere
in comune con il Padre ciò che è proprio della
divinità, e per conseguenza Egli su tutte le cose create ha il
sommo e assolutissimo Impero.
E non leggiamo infatti spesso nelle Sacre
Scritture che Cristo è Re ? Egli invero è chiamato il
Principe che deve sorgere da Giacobbe [3], e che dal Padre è
costituito Re sopra il Monte santo di Sion, che riceverà le
genti in eredità e avrà in possesso i confini della terra
[4].
Il salmo nuziale, col quale sotto l’immagine di un re ricchissimo e
potentissimo viene preconizzato il futuro Re d’Israele, ha queste
parole: «II tuo trono, o Dio, sta per sempre, in eterno: scettro
di rettitudine è il tuo scettro reale» [5]. E gli altri Profeti non discordano da Isaia:
così Geremia, quando predice che nascerà dalla stirpe di
Davide il “Rampollo giusto” che qual figlio di Davide
«regnerà e sarà sapiente e farà valere il
diritto e la giustizia sulla terra» [8]; così Daniele che
preannunzia la costituzione di un regno da parte del Re del cielo,
regno che «non sarà mai in eterno distrutto... ed esso
durerà in eterno» [9] e continua: «Io stavo
ancora assorto nella visione notturna, quand’ecco venire in mezzo alle
nuvole del cielo uno con le sembianze del figlio dell’uomo che si
avanzò fino al Vegliardo dai giorni antichi, e davanti a lui fu
presentato. E questi gli conferì la potestà, l’onore e il
regno; tutti i popoli, le tribù e le lingue serviranno a lui; la
sua potestà sarà una potestà eterna che non gli
sarà mai tolta, e il suo regno, un regno che non sarà mai
distrutto» [10].
Del resto questa dottrina intorno a Cristo Re,
che abbiamo sommariamente attinto dai libri del Vecchio Testamento, non
solo non viene meno nelle pagine del Nuovo, ma anzi vi è
confermata in modo splendido e magnifico. E qui, appena accennando
all’annunzio dell’arcangelo da cui la Vergine viene avvisata che doveva
partorire un figlio, al quale Iddio avrebbe dato la sede di David, suo
padre, e che avrebbe regnato nella Casa di Giacobbe in eterno e che il
suo Regno non avrebbe avuto fine [12] vediamo che Cristo stesso
dà testimonianza del Suo Impero: infatti, sia nel Suo ultimo
discorso alle turbe, quando parla dei premi e delle pene, riservate in
perpetuo ai giusti e ai dannati; sia quando risponde al Preside romano
che pubblicamente gli chiedeva se fosse Re, sia quando risorto affida
agli Apostoli l’ufficio di ammaestrare e battezzare tutte le genti,
colta l’opportuna occasione, si attribuì il nome di Re [13],
e pubblicamente confermò di essere Re [14] e
annunziò solennemente a Lui era stato dato ogni potere in cielo
e in terra [15]. E con queste parole che
altro si vuol significare se non la grandezza della potestà e
l’estensione immensa del suo Regno? Non può dunque sorprenderci se Colui
che è detto da Giovanni «Principe dei Re della
terra» [16], porti, come apparve
all’Apostolo nella visione apocalittica «scritto sulla sua veste
e sopra il suo fianco: Re dei re e Signore dei dominanti» [17].
Da questa dottrina dei sacri libri venne per
conseguenza che la Chiesa, regno di Cristo sulla terra, destinato
naturalmente ad estendersi a tutti gli uomini e a tutte le nazioni,
salutò e proclamò nel ciclo annuo della Liturgia il suo
autore e fondatore quale Signore sovrano e Re dei re, moltiplicando le
forme della sua affettuosa venerazione. Essa usa questi titoli di onore
esprimenti nella bella varietà delle parole lo stesso concetto;
come già li usò nell’antica salmodia e negli antichi
Sacramentari, così oggi li usa nella pubblica ufficiatura e
nell’immolazione dell’Ostia immacolata. In questa laude perenne a
Cristo Re, facilmente si scorge la bella armonia fra il nostro e il
rito orientale in guisa da render manifesto, anche in questo caso, che
«le norme della preghiera fissano i principi della fede». Gesù Cristo è Re per diritto di natura e di conquista Ben a proposito Cirillo Alessandrino, a mostrare il fondamento di questa dignità e di questo potere, avverte che «egli ottiene, per dirla brevemente, la potestà su tutte le creature, non carpita con la violenza né da altri ricevuta, ma la possiede per propria natura ed essenza» [20]; cioè il principato di Cristo si fonda su quella unione mirabile che è chiamata unione ipostatica. Dal che segue che Cristo non solo deve essere adorato come Dio dagli Angeli e dagli uomini, ma anche che a Lui, come Uomo, debbono essi esser soggetti ed obbedire: cioè che per il solo fatto dell’unione ipostatica Cristo ebbe potestà su tutte le creature. Eppure che cosa più soave e bella che il pensare che Cristo regna su di noi non solamente per diritto di natura, ma anche per diritto di conquista, in forza della Redenzione? Volesse Iddio che gli uomini immemori ricordassero quanto noi siamo costati al nostro Salvatore: «Non a prezzo di cose corruttibili, di oro o d’argento siete stati riscattati... ma dal Sangue prezioso di Cristo, come di agnello immacolato e incontaminato» [21]. Non siamo dunque più nostri perché Cristo ci ha ricomprati col più alto prezzo [22]: i nostri stessi corpi sono membra di Cristo [23]. Natura e valore del Regno di Cristo <> Volendo ora esprimere la natura e il valore di questo principato, accenniamo brevemente che esso consta di una triplice potestà, la quale se venisse a mancare, non si avrebbe più il concetto d’un vero e proprio principato Le testimonianze attinte dalle Sacre Lettere circa l’Impero universale del nostro Redentore, provano più che a sufficienza quanto abbiamo detto; ed è dogma di fede che Gesù Cristo è stato dato agli uomini quale Redentore in cui debbono riporre la loro fiducia, ed allo stesso tempo come legislatore a cui debbono obbedire [24]. I santi Evangeli non soltanto narrano come Gesù abbia promulgato delle leggi, ma lo presentano altresì nell’atto stesso di legiferare; e il divino Maestro afferma, in circostanze e con diverse espressioni, che chiunque osserverà i Suoi comandamenti darà prova di amarlo e rimarrà nella sua carità [25]. Lo stesso Gesù davanti ai Giudei, che lo accusavano di aver violato il sabato con l’aver ridonato la sanità al paralitico, afferma che a Lui fu dal Padre attribuita la potestà giudiziaria: «Il Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso al Figlio ogni giudizio» [26]. Nel che è compreso pure il diritto di premiare e punire gli uomini anche durante la loro vita, perché ciò non può disgiungersi da una propria forma di giudizio. Inoltre la potestà esecutiva si deve parimenti attribuire a Gesù Cristo, poiché è necessario che tutti obbediscano al Suo comando, e nessuno può sfuggire ad esso e alle sanzioni da lui stabilite.
Che poi questo Regno sia principalmente
spirituale e attinente alle cose spirituali, ce lo dimostrano i passi
della sacra Bibbia sopra riferiti, e ce lo conferma Gesù Cristo
stesso col Suo modo di agire. Questo Regno nei Vangeli viene presentato in
tal modo che gli uomini debbano prepararsi ad entrarvi per mezzo della
penitenza, e non possano entrarvi se non per la fede e per il
Battesimo, il quale benché sia un rito esterno, significa
però e produce la rigenerazione interiore.
D’altra parte sbaglierebbe gravemente chi
togliesse a Cristo Uomo il potere su tutte le cose temporali, dato che
Egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create,
in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio. Tuttavia, finché
fu sulla terra si astenne completamente dall’esercitare tale potere, e
come una volta disprezzò il possesso e la cura delle cose umane,
così permise e permette che i possessori debitamente se ne
servano. A questo proposito ben si adattano queste parole: «Non
toglie il trono terreno Colui che dona il regno eterno dei cieli»
[27].
Non rifiutino, dunque, i capi delle nazioni di
prestare pubblica testimonianza di riverenza e di obbedienza all’Impero
di Cristo insieme coi loro popoli, se vogliono, con l’incolumità
del loro potere, l’incremento e il progresso della patria. Regno benefico Se invece gli uomini privatamente e in pubblico avranno riconosciuto la sovrana potestà di Cristo, necessariamente i segnalati benefici di giusta libertà, di tranquilla disciplina e di pacifica concordia pervaderanno l’intero consorzio umano. La regale dignità di nostro Signore come rende in qualche modo sacra l’autorità umana dei principi e dei capi di Stato, così nobilita i doveri dei cittadini e la loro obbedienza. In questo senso 1’Apostolo Paolo, inculcando alle spose e ai servi di rispettare Gesù Cristo nel loro rispettivo marito e padrone, ammoniva chiaramente che non dovessero obbedire ad essi come ad uomini ma in quanto tenevano le veci di Cristo, poiché sarebbe stato sconveniente che gli uomini, redenti da Cristo, servissero ad altri uomini: «Siete stati comperati a prezzo; non diventate servi degli uomini» [32]. Che se i principi e i magistrati legittimi saranno persuasi che si comanda non tanto per diritto proprio quanto per mandato del Re divino, si comprende facilmente che uso santo e sapiente essi faranno della loro autorità, e quale interesse del bene comune e della dignità dei sudditi prenderanno nel fare le leggi e nell’esigerne l’esecuzione. In tal modo, tolta ogni causa di sedizione, fiorirà e si consoliderà l’ordine e la tranquillità: ancorché, infatti, il cittadino riscontri nei principi e nei capi di Stato uomini simili a lui o per qualche ragione indegni e vituperevoli, non si sottrarrà tuttavia al loro comando qualora egli riconosca in essi l’immagine e l’autorità di Cristo Dio e Uomo. Per quello poi che si riferisce alla concordia e alla pace, è manifesto che quanto più vasto è il regno e più largamente abbraccia il genere umano, tanto più gli uomini diventano consapevoli di quel vincolo di fratellanza che li unisce. E questa consapevolezza come allontana e dissipa i frequenti conflitti, così ne addolcisce e ne diminuisce le amarezze. E se il regno di Cristo, come di diritto abbraccia tutti gli uomini, così di fatto veramente li abbracciasse, perché dovremmo disperare di quella pace che il Re pacifico portò in terra, quel Re diciamo che venne «per riconciliare tutte le cose, che non venne per farsi servire, ma per servire gli altri» e che, pur essendo il Signore di tutti, si fece esempio di umiltà, e questa virtù principalmente inculcò insieme con la carità e disse inoltre: «II mio giogo è soave e il mio peso leggero?» [33]. Oh, di quale felicità potremmo godere se gli individui, le famiglie e la società si lasciassero governare da Cristo! «Allora veramente, per usare le parole che il Nostro Predecessore Leone XIII venticinque anni fa rivolgeva a tutti i Vescovi dell’orbe cattolico, si potrebbero risanare tante ferite, allora ogni diritto riacquisterebbe l’antica forza, tornerebbero i beni della pace, cadrebbero dalle mani le spade, quando tutti volentieri accettassero l’Impero di Cristo, gli obbedissero, ed ogni lingua proclamasse che nostro Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre» [34]. La Festa di Cristo Re
E perché più abbondanti siano i
desiderati frutti e durino più stabilmente nella società
umana, è necessario che venga divulgata la cognizione della
regale dignità di nostro Signore quanto più è
possibile. Al quale scopo Ci sembra che nessun’altra cosa possa
maggiormente giovare quanto l’istituzione di una festa particolare e
propria di Cristo Re. Infatti, più che i solenni documenti
del Magistero ecclesiastico, hanno efficacia nell’informare il popolo
nelle cose della fede e nel sollevarlo alle gioie interne della vita le
annuali festività dei sacri misteri, poiché i documenti,
il più delle volte, sono presi in considerazione da pochi ed
eruditi uomini, le feste invece commuovono e ammaestrano tutti i
fedeli; quelli una volta sola parlano, queste invece, per così
dire, ogni anno e in perpetuo; quelli soprattutto toccano salutarmente
la mente, queste invece non solo la mente ma anche il cuore, tutto
l’uomo insomma. Invero, essendo l’uomo composto di anima e di corpo, ha
bisogno di essere eccitato dalle esteriori solennità in modo
che, attraverso la varietà e la bellezza dei sacri riti, accolga
nell’animo i divini insegnamenti e, convertendoli in sostanza e sangue,
faccia si che essi servano al progresso della sua vita spirituale. In tale ordine di cose dobbiamo ammirare i
disegni della divina Provvidenza, la quale, come suole dal male
ritrarre il bene, così permise che di quando in quando la fede e
la pietà delle genti diminuissero, o che le false teorie
insidiassero la verità cattolica, con questo esito però,
che questa risplendesse poi di nuovo splendore, e quelle, destatesi dal
letargo, tendessero a cose maggiori e più sante. Ed invero le festività che furono
accolte nel corso dell’anno liturgico in tempi a noi vicini, ebbero
uguale origine e produssero identici frutti. Così, quando erano
venuti meno la riverenza e il culto verso l’augusto Sacramento, fu
istituita la festa del Corpus Domini,
e si ordinò che venisse celebrata in modo tale che le solenni
processioni e le preghiere da farsi per tutto l’ottavario richiamassero
le folle a venerare pubblicamente il Signore; così la
festività del Sacro Cuore di
Gesù fu introdotta quando gli animi degli uomini,
infiacchiti e avviliti per il freddo rigorismo dei giansenisti, erano
del tutto agghiacciati e distolti dall’amore di Dio e dalla speranza
della eterna salvezza. Ora, se comandiamo che Cristo Re venga
venerato da tutti i cattolici del mondo, con ciò Noi
provvederemo alle necessità dei tempi presenti, apportando un
rimedio efficacissimo a quella peste che pervade l’umana società.
La peste della età nostra è il
così detto laicismo coi suoi errori e i suoi empi incentivi; e
voi sapete, o Venerabili Fratelli, che tale empietà non
maturò in un solo giorno ma da gran tempo covava nelle viscere
della società. Infatti si cominciò a negare l’Impero di
Cristo su tutte le genti; si negò alla Chiesa il diritto — che
scaturisce dal diritto di Gesù Cristo — di ammaestrare,
cioè, le genti, di far leggi, di governare i popoli per condurli
alla eterna felicità. E a poco a poco la religione cristiana fu
uguagliata con altre religioni false e indecorosamente abbassata al
livello di queste; quindi la si sottomise al potere civile e fu
lasciata quasi all’arbitrio dei principi e dei magistrati. Si
andò più innanzi ancora: vi furono di quelli che
pensarono di sostituire alla religione di Cristo un certo sentimento
religioso naturale. Né mancarono Stati i quali opinarono di
poter fare a meno di Dio, riposero la loro religione nell’irreligione e
nel disprezzo di Dio stesso. I pessimi frutti, che questo allontanamento da
Cristo da parte degli individui e delle nazioni produsse tanto
frequentemente e tanto a lungo, Noi lamentammo nella Enciclica Ubi arcano Dei e anche oggi
lamentiamo: i semi cioè della discordia sparsi dappertutto;
accesi quegli odii e quelle rivalità tra i popoli, che tanto
indugio ancora frappongono al ristabilimento della pace; l’intemperanza
delle passioni che così spesso si nascondono sotto le apparenze
del pubblico bene e dell’amor patrio; le discordie civili che ne
derivarono, insieme a quel cieco e smoderato egoismo sì
largamente diffuso, il quale, tendendo solo al bene privato ed al
proprio comodo, tutto misura alla stregua di questo; la pace domestica
profondamente turbata dalla dimenticanza e dalla trascuratezza dei
doveri familiari; l’unione e la stabilità delle famiglie
infrante, infine la stessa società scossa e spinta verso la
rovina. Tale stato di cose va forse attribuito
all’apatia o alla timidezza dei buoni, i quali si astengono dalla lotta
o resistono fiaccamente; da ciò i nemici della Chiesa traggono
maggiore temerità e audacia. Ma quando i fedeli tutti
comprendano che debbono militare con coraggio e sempre sotto le insegne
di Cristo Re, con ardore apostolico si studieranno di ricondurre a Dio
i ribelli e gl’ignoranti, e si sforzeranno di mantenere inviolati i
diritti di Dio stesso.
E chi non vede che fino dagli ultimi anni
dello scorso secolo si preparava meravigliosamente la via alla
desiderata istituzione di questo giorno festivo? A buon diritto si direbbe che il popolo
cristiano, mosso da ispirazione divina, tratto dal silenzio e dal
nascondimento dei sacri templi, e portato per le pubbliche vie a guisa
di trionfatore quel medesimo Gesù che, venuto nel mondo, gli
empi non vollero riconoscere, voglia ristabilirLo nei suoi diritti
regali. L’istituzione della
festa di Cristo Re Pertanto, con la Nostra apostolica
autorità istituiamo la festa di nostro Signore Gesù
Cristo Re, stabilendo che sia celebrata in tutte le parti della terra
l’ultima domenica di ottobre, cioè la domenica precedente la
festa di tutti i Santi. Similmente ordiniamo che in questo medesimo
giorno, ogni anno, si rinnovi la consacrazione di tutto il genere umano
al Cuore santissimo di Gesù, che il Nostro Predecessore di santa
memoria Pio X aveva comandato
di ripetere annualmente. In quest’anno però, vogliamo che sia
rinnovata il giorno trentuno di questo mese, nel quale Noi stessi
terremo solenne pontificale in onore di Cristo Re e ordineremo che la
detta consacrazione si faccia alla Nostra presenza. Ci sembra che non
possiamo meglio e più opportunamente chiudere e coronare 1’Anno
Santo, né rendere più ampia testimonianza della Nostra
gratitudine a Cristo, Re immortale dei secoli, e di quella di tutti i
cattolici per i beneficii fatti a Noi, alla Chiesa e a tutto l’Orbe
cattolico durante quest’Anno Santo. E non fa bisogno, Venerabili Fratelli, che vi
esponiamo a lungo i motivi per cui abbiamo istituito la
solennità di Cristo Re distinta dalle altre feste, nelle quali
sembrerebbe già adombrata e implicitamente solennizzata questa
medesima dignità regale. Pertanto questo sia il vostro ufficio, o
Venerabili Fratelli, questo il vostro compito di far sì che si
premetta alla celebrazione di questa festa annuale, in giorni
stabiliti, in ogni parrocchia, un corso di predicazione, in guisa che i
fedeli ammaestrati intorno alla natura, al significato e all’importanza
della festa stessa, intraprendano un tale tenore di vita, che sia
veramente degno di coloro che vogliono essere sudditi affezionati e
fedeli del Re divino.
Giunti al termine di questa Nostra lettera Ci
piace, o Venerabili Fratelli, spiegare brevemente quali vantaggi in
bene sia della Chiesa e della società civile, sia dei singoli
fedeli, Ci ripromettiamo da questo pubblico culto verso Cristo Re. La celebrazione di questa festa, che si
rinnova ogni anno, sarà anche d’ammonimento per le nazioni che
il dovere di venerare pubblicamente Cristo e di prestargli obbedienza
riguarda non solo i privati, ma anche i magistrati e i governanti: li
richiamerà al pensiero del giudizio finale, nel quale Cristo,
scacciato dalla società o anche solo ignorato e disprezzato,
vendicherà acerbamente le tante ingiurie ricevute, richiedendo
la Sua regale dignità che la società intera si uniformi
ai divini comandamenti e ai principii cristiani, sia nello stabilire le
leggi, sia nell’amministrare la giustizia, sia finalmente
nell’informare l’animo dei giovani alla santa dottrina e alla
santità dei costumi.
Conclusione
Cristo regni! Faccia il Signore, Venerabili Fratelli, che
quanti sono fuori del suo regno, bramino ed accolgano il soave giogo di
Cristo, e tutti, quanti siamo, per Sua misericordia, Suoi sudditi e
figli, Lo portiamo non a malincuore ma con piacere, ma con amore, ma
santamente, e che dalla nostra vita conformata alle leggi del Regno
divino raccogliamo lieti ed abbondanti frutti, e ritenuti da Cristo
quali servi buoni e fedeli diveniamo con Lui partecipi nel Regno
celeste della Sua eterna felicità e gloria. Questo nostro augurio nella ricorrenza del
Natale di nostro Signore Gesù Cristo sia per voi, o Venerabili
Fratelli, un attestato del Nostro affetto paterno; e ricevete
l’Apostolica Benedizione, che in auspicio dei divini favori impartiamo
ben di cuore a voi, o Venerabili Fratelli, e a tutto il popolo vostro. Dato a Roma,
presso S. Pietro, il giorno 11 Dicembre dell’Anno Santo 1925, quarto
del Nostro Pontificato. PIUS PP. XI
NOTE 2 - Dan., 7, 13-14. 3 - Num., 24, 19. 4 - Ps. 2, 6. 5 - Ps., 44, 6. 6 - Ps. 44, 8. 7 - Is., 9, 6-7. 8 - Jer., 23, 5. 9 - Dan., 2, 44. 10 - Dan., 7, 13-14. 11 - Zach., 9, 9. 12 - Lc., 1, 32-33. 13 - Matth., 25, 31-40. 14 - Joh., 18, 37. 15 - Matth., 28, 18. 16 - Apoc., 1, 5. 17 - Apoc. 19, 16. 18 - Hebr., 1, 1. 19 - I Cor., 15, 25. 20 - In Luc., 10. 21 - I Petr., 1, 18-19. 22 - I Cor., 6, 20. 23 - Ibid., 6, 15. 24 - Conc. Trid., Sess. VI, can. 21. 25 - Joh., 15, 10. 26 - Joh., 5, 22. 27 - Brev. Rom. Inno del Mattutino dell'Epifania. 28 - Leone Pp. XIII, Enc. Annum Sacrum, 25. V.1899. 29 - Act., 4, 12. 30 - S. Agostino, Lettera a Macedone, III. 31 - Pio Pp. XI, Enc. Ubi arcano Dei. 32 - I Cor., 7, 23. 33 - Matth. 11, 30. 34 - Leone Pp. XIII, Enc. Annum sanctum, 25.V.1899. 35 - S. Agostino, De Sanctis, Serm. 47. 36 - Rom., 6, 13. ottobre 2023 |