Esempio di pastorale moderna
Risposte alle critiche di un prete moderno
(2004)
Rilievi critici
Abbiamo accorciata la lunga
lettera, senza intaccare l'essenziale
Carissimi fratelli di “UnaVox”,
Ho letto attentamente in vs. commento
all’editoriale del periodico “Incontri” (aprile 2003), pubblicato dalla
Famiglia Cottolenghina di Torino.
[…]
L’editoriale in questione è contraddittorio,
come avete bene evidenziato ma in ogni caso rimango fortemente perplesso
dalle vostre risposte.
Il tono che usate nel commentare
i vari passaggi, mi “suona” più rabbioso che zelante (san Tommaso
ci insegna la differenza tra ira e collera). Ma a parte questo…
Già dalle prime battute
si respira l’aria della polemica. …
[…]
Giusto per fare qualche appunto…
Voi date risposta alla domanda: “Dove sarebbe oggi
la Chiesa cattolica senza questo incontro degli anni Sessanta che ha aperto
un nuovo cammino?” [seguono i nostri interrogativi]
[…]
Se questa sequela di domande (che a parer vostro dovrebbero
avere risposte scontate) si fossero rivolte alla Chiesa del ‘700? O senza
andare troppo indietro alla Chiesa di 50 anni or sono?
Cari signori e signore le risposte ? per la vs. buona
pace ? sarebbero le stesse e lo sapete bene!
[…]
Non metto in discussione la perdita della pietà
popolare, degli abusi (che c’erano anche prima), dello scoramento generale,
dei preti stanchi che pregano poco… Ma faccio fatica a credere veramente
che voi pensiate davvero, che il risultato dello sfacelo sia il Concilio.
Ne parlate come “l’abominio della desolazione”, la sintesi di tutte le
disgrazie, il comodato col demonio!…
Coraggio signori, dal momento che vi sentite così
legati al Papa e ai suoi predecessori, perché non incominciate seguire
quello che Giovanni Paolo II promuove e segue, cioè il Concilio
Vaticano II?
Aperto, tra l’altro, da un venerabile Papa e avallato
da un paio di migliaia di vescovi in comunione con lui? Sarebbe la peggiore
delle contraddizioni affermare di essere in comunione con il papa, per
il quale pregate e invitate a farlo nell’home page del vostro sito, e poi
rifiutate, bistrattate, criticate quello in cui il Papa crede e invita
a credere! Questa è bestemmia contro lo Spirito Santo! Questo
è non credere alla guida dello Spirito che ha illuminato i vescovi
nel Concilio! Avessero fatto anche delle scelte umanamente discutibili
senza prevederne l’effetto.
[…]
Se siete nella verità e l’attuale compagine
cattolica è nella menzogna, come mai dopo quarant’anni la menzogna
non è ancora stata smascherata?
Se Dio e la menzogna non possono stare insieme, come
si spiega questo vostro timido balbettio?
Tipico dei bambini bizzosi quando gli si toglie il
giocattolino preferito?
Mi rincresce ma la vostra vox è un sussurro
a confronto della tonante voce dei profeti veterotestamentari, certi di
quale fosse la verità che viene da Dio!
Facciamoci allora un esame di coscienza e vediamo
da che parte stiamo, e soprattutto a cosa veramente siamo interessati;
al Regno di Dio o a portare avanti le nostre idee (fossero anche le più
sante)?
Ve lo immaginate se san Paolo non avesse avuto il
coraggio di buttarsi nell’avventura dei pagani? Dio a letteralmente ribaltato
la sua vita e lui ha accettato la scommessa, cambiando modi di essere,
usi, costumi, linguaggio, adattandosi a consuetudini da far venire la pelle
d’oca a qualsiasi ebreo convertito dell’epoca (san Pietro compreso). Mangiando
carni immolate agli idoli, sfruttando la filosofia pagana e il culto degli
idoli per annunciare il Vangelo. Se si fosse sclerotizzato sulle paure
degli altri apostoli, oggi, non avremmo che la metà del Nuovo Testamento,
e forse meno.
Non intendo con questo dire che bisogna improvvisarci
tutti dei “san Paolo”; c’è un Magistero da seguire, ma occorre saper
leggere i segni dei tempi e adattare la nostra predicazione (N.B la predicazione
no il Vangelo) all’uomo distratto e smemorato di oggi. Tutto questo - mi
dispiace dirvelo - il Magistero l’ha fatto, e ha compreso che l’uomo di
oggi non è quello di ieri e non sarà neppure quello di domani,
quindi la tradizione bimillenaria con tutte le sue regole e discipline
è qualcosa che serve sì, come bagaglio prezioso dal quale
attingere al momento opportuno, no come qualcosa da riproporre meccanicamente
senza adattamenti, senza attenzioni alle differenti culture, storie, sensibilità.
Non verrete certo a dirmi che le vocazioni al sacerdozio
o alla vita consacrata nascono tutte secondo il medesimo cliché?
Dio si adatta alle capacità della persona alla
sua storia per fargli comprendere la sua volontà, perché
non dovremmo farlo noi usando i modi opportuni e non opportuni? Non siamo
forse invitati a questo? Ad annunciare il Vangelo di Gesù (senza
per questo annacquarlo) all’uomo di oggi, che parla le lingue di oggi ed
è figlio dell’oggi!
[…]
Se per voi la Chiesa odierna teme l’autorità,
chiedetevi, come mai!
Io lo sto facendo riguardo al vostro terrore “dell’apertura
e del rinnovamento”. Invece di ironizzare, chiedetevi perché dopo
il Concilio, la talare e/o il tanto amato Liber Usualis sono finiti in
un armadio polveroso se non addirittura nel fuoco. […] Il processo di abbandono
del sacro era già cominciato nel dopoguerra, con le novità
seducenti che arrivavano da oltre oceano, e a farne le spese non è
stata solo la religione cattolica, ma tutte le religioni del globo. Il
cambiamento cari signori c’è stato eccome, ma è stato a livello
antropologico, religioso per conseguenza (se l’uomo cambia, cambia pure
il suo modo di cercare Dio) e il fatto che siamo in continua evoluzione
non occorre che siate voi a dircelo. […]
Più avanti dite: Oggi, purtroppo, ciò
che piú conta, anche grazie al Concilio, non è la volontà
della Chiesa e la volontà di Dio, ma la volontà dei movimenti
e dei loro capetti carismatici.
I movimenti, oggi, hanno “una missione e degli obiettivi
scelti da loro stessi”. […]
E’ curioso come dalle vostre parti si senta parlare
dell’esigenza di un “diritto di cittadinanza” per la Messa tridentina,
e poi criticate la Chiesa stessa per le concessione che dà ai vari
movimenti che nascono in seno ad essa; come se criticassi la bontà
di tali concessioni e poi di soppiatto le volessi anch’io. […]
Andando avanti, con un candore a dir poco sconvolgente,
dite di non essere concordi con molte delle linee dell’attuale magistero
riguardo: la morale, la dottrina, la fede, tutto insomma! Però vi
sentite i fedelissimi del Papa, i soli che capiscono cosa realmente vuole!
[…]
Guardate di fare un po’ di chiarezza sulle idee e
sui termini che avete, perché sono molto equivoci!
Il prossimo papa potrebbe essere più aperto
al progresso di quanto immaginate, e potrebbe, quindi, avere qualche perplessità
in più sulla vostra cattolicità.
Distinti saluti
Risposta
Abbiamo risposto con ritardo a questa lettera; come a tante altre,
peraltro.
Qualche giorno prima di inviarla abbiamo ricevuto una sollecitazione
dallo stesso mittente,
ma la risposta era già pronta e l'abbiamo inviata com'era;
abbiamo solo fatta una piccola aggiunta riferendoci
alla seconda lettera.
Fino a quando non è arrivata la seconda
lettera, non sapevamo che si trattasse di un prete, la risposta, quindi,
prescinde da questo dato.
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Piccolo gregge
Cause della crisi della
Chiesa
Il Regno di Dio
L'influenza dello
Spirito Santo
Ossequio alla
Tradizione
Non c'è incoerenza
Lo scollamento
del mondo
Vaticano II al bivio
Teoria e pratica
dell'adesione alla dottrina
Menzogne non smascherate
I tempi che cambiano
Cambiamento e dottrina
Ecumenismo interreligioso
Predica sfollagente
La Messa respingente
La voglia di dialogare
La dovuta obbedienza
Caro sig. …
voglia innanzi tutto scusare il ritardo col quale rispondiamo
alla sua interessante comunicazione del …. Purtroppo i nostri tempi sono
lunghi, per diversi motivi, non esclusa la difficoltà di rispondere
a tutti.
Lei fa notare che il nostro tono è rabbioso piuttosto
che zelante.
È possibile, è possibile che si ricavi
questa impressione, ma ci deve dare atto che nulla ci aiuta, in questo
contesto ecclesiale, a sentirci più a nostro agio, tanto da poterci
esprimere con maggiore serenità.
D'altronde, che noi ci si trovi in una posizione di “difensiva”,
quasi stretti da ogni parte in un angolo, è un fatto, non dovuto
alla nostra responsabilità. E se a questo si aggiunge che noi
siamo una minoranza che vive questa condizione all’interno di un àmbito
(la comunità cattolica) che è a sua volta stretto alle
corde da tutti i fattori che costituiscono questo nostro mondo moderno
così come esso è, potrà convenire con noi che c’è
poco da stare sereni.
Certo, ci rendiamo conto che è difficile evincere
con immediatezza dai nostri scritti la parte propositiva o costruttiva
che dir si voglia, ma Le possiamo assicurare in tutta coscienza che essa
è del tutto presente, ed è proprio questa che ci serve da
base per le cose che diciamo e che facciamo. Non v’è dubbio che
se si cercasse una trattazione sistematica in grado di delineare “organicamente”
un preciso piano di lavoro, non la si troverebbe. Ma questo aspetto non
è quello che può interessarci al momento, poiché la
nostra primaria preoccupazione si muove lungo linee che attengono ai principii
della dottrina e della liturgia. Sarebbe del tutto inutile fissare
delle linee d’azione senza prima aver fatto chiarezza su questi principii.
Senza contare che, in fondo, non siamo noi la Chiesa,
e sarebbe davvero stolto pensare di potersi sostituire ad Essa.
Se, domani, ci dovessimo trovare di fronte alla perdita
totale dei principii da cui tutto deriva necessariamente, sarebbe anche
vano parlare di pastorale.
Vede, quando Lei giustamente ci richiama a non esagerare
nella contrapposizione tra la pratica odierna della fede e la pratica di
qualche tempo fa, non tiene conto proprio del fatto che si debbano sempre
avere in vista quei principii di cui dicevamo prima.
La scompostezza dei fedeli di Cristo, il loro disordine
e la loro relativa infedeltà, sono tutte segnalate fin nelle lettere
di San Paolo, quindi nessuna meraviglia da parte nostra. Anzi, noi siamo
di quelli che sono convinti che il Concilio Vaticano II non è da
guardarsi come un accidenti capitato fra capo e collo chissà per
quale strano evento o chissà per quale improbabile complotto di
questi o di quelli: tutt’altro, se si è giunti al Vaticano II
e, soprattutto, se si è giunti al postconcilio con tutte le conseguenze
che ne sono derivate, le cause vanno ricercate molto più indietro
nel tempo, senza dimenticare di fare entrare in giuoco il destino escatologico
della stessa Chiesa.
Pensiamo che sia un male sottovalutare certi passi del
Vangelo in cui si parla dei tempi ultimi; come se questi non dovessero
o non potessero mai esistere concretamente.
Ma veniamo alla sua filippica che mira a bollare la nostra
supposta contraddizione.
Invero, anche Lei non scherza con le sferzate, e quindi
anche Lei, al pari di noi, è un figlio del secolo.
Ma, Le confessiamo che troviamo corretti i suoi appunti:
è
vero, nella nostra posizione è presente una certa contraddizione.
Per un verso ci dichiariamo fedeli al Papa e alla Gerarchia, per l’altro
ci sbracciamo e ci accaloriamo per criticarli entrambi.
Delle due l’una: o siamo degli schizofrenici o, peggio,
siamo degli individualisti che, come Lei dice, si preoccupano solo di portare
avanti le proprie idee.
In verità, anzi in coscienza (per quanto non sappiamo
bene dove finisca questa e dove incominci l’impero dell’io), Le possiamo
assicurare che non siamo schizofrenici (e ovviamente se anche lo fossimo
non potremmo oggettivamente riconoscerlo) e non siamo individualisti.
Cosa diavolo siamo allora?
Siamo uomini del nostro tempo, e il nostro tempo si caratterizza
essenzialmente per la contraddizione, l’incoerenza, l’ipocrisia, l’abbandono
dei principii e l’esplosione della titanica onnipotenza.
È questo che riconosciamo come prima cosa,
ed è da questo riconoscimento che prendono le mosse molte delle
nostre critiche.
Se noi vivessimo in un tempo più ordinato, un
tempo nel quale la vita ordinaria si svolgesse secondo una sia pur minima
maggiore aderenza alle esigenze del divino e avendo in vista primariamente,
seppure scompostamente e distrattamente, il perseguimento della vita eterna,
noi non esisteremmo neanche, come vox.
E quando Lei si chiede dove stanno le nostre proposte
e i nostri suggerimenti, Lei non tiene conto di tutto questo.
Dobbiamo tenere presente che il nostro vero interesse
è il Regno di Dio?
Sicuramente, ma non dobbiamo dimenticare che
il Regno
di Dio non è qua o là, ma è dentro di noi.
Il che significa che è dappertutto, tranne
che nelle cose che si vedono e si sentono e si toccano.
Non che Dio non sia in terra, in cielo e in ogni luogo,
ma il suo Regno non è di questo mondo. Non lo diciamo noi, ma Nostro
Signore, come Lei sa bene.
Ed allora?
Ecco, la prima cosa da mettere in chiaro è
il senso di questo Regno di Dio che “noi tutti” diciamo di ricercare.
Chi può mettere in dubbio che oggi la pastorale,
e quindi inevitabilmente la dottrina e la liturgia, si siano appiattite
sull’errato convincimento che il Regno di Dio comprenda a pieno titolo
questo nostro mondo moderno con tutte le sue mirabolanti appariscenze e
con tutto il suo incredibile misconoscimento di Dio?
E se questo diffuso convincimento informa perfino
i pronunciamenti del Magistero, non abbiamo il dovere, e anche il diritto,
di “puntare il dito”?
Noi siamo ben consci del fatto che mettiamo in problematica
la stessa personificazione dell’Autorità, ma cos’è più
urgente e più importante: la segnalazione della confusione dottrinale
con tutto quello che ne consegue, o l’ossequio alla personificazione dell’Autorità?
Intendiamoci: la prima nostra preoccupazione
è che non si metta minimamente in discussione il rispetto e l’ossequio
a tutto ciò che rappresenta visibilmente l’Autorità divina,
che per noi uomini si manifesta solo attraverso la Chiesa visibile, il
Papa, i Vescovi, e di cui noi uomini non possiamo fare minimamente
a meno. Ma questa prima preoccupazione si accompagna, si deve accompagnare,
necessariamente, inevitabilmente, col mantenimento della Dottrina,
senza
la persistenza della quale la stessa Chiesa visibile sarebbe un guscio
vuoto.
La Chiesa è santa, ma non per la
sua azione quotidiana, che passa quasi esclusivamente per l’azione umana,
Essa è santa per la sua intrinseca natura divina, che nessuna azione
umana potrà mai minimamente intaccare, perché non v’è
alcuna comune misura tra la sua santità e la sua stessa umanità.
E lo Spirito Santo attiene principalmente alla natura
divina della Chiesa, e solo secondariamente alla sua umanità.
Non è possibile pensare all’influenza dello
Spirito Santo come a qualcosa di “automatico”. Non basta essere vescovi,
o perfino papi, per costringere lo Spirito Santo ad esercitare la
sua influenza. Troppo semplice, troppo comodo addirittura.
Così si finirebbe con l’avallare qualsiasi cosa
messa in essere da quegli uomini che impersonano l’Autorità divina,
ma che non sono tout court l’Autorità divina stessa. Questa
sì che sarebbe una bestemmia contro lo Spirito.
Ed è proprio questo il principale “punto dolente”.
Questa sorta di idolatria della funzione e del funzionario.
Certo, l’Ordine, come il Battesimo, imprime un carattere
indelebile, ma questo carattere indelebile non fa scaturire “automaticamente”
il bene e la santità.
L’influenza dello Spirito Santo non è il prodotto
di una macchinetta a gettoni.
Ma allora, in che cosa consiste la coerenza e la rispondenza
tra questo carattere indelebile e la sua attualità?
Consiste nell’ossequio alla dottrina e all’insegnamento
trasmesso da Nostro Signore stesso attraverso gli Apostoli, i Padri, la
trasmissione apostolica e la trasmissione degli aspetti essenziali del
culto, in una parola nell’ossequio alla Tradizione.
Non è il Papa che fa la Tradizione, ma è
la Tradizione che fa il Papa.
Non è il successore degli Apostoli che fa la Tradizione,
ma è la Tradizione che fa il successore degli Apostoli.
E questo lo si può dire fin dall’ordinazione,
che se fosse fatta non in ossequio alla Tradizione, sarebbe invalida, come
certo lei saprà.
Possono esserci migliaia di successori potenziali,
ma perché lo siano in maniera attuale è indispensabile che
essi si attengano alla Tradizione, e cioè alla Dottrina e alla
Liturgia trasmessaci dallo stesso Nostro Signore.
È la dottrina ad essere infallibile e a realizzare
l’infallibilità del Magistero, perché è la dottrina
che è di natura divina. E la dottrina si manifesta all’intelligenza
dell’uomo per bocca di altri uomini, che ne sono i conservatori,
i custodi e i trasmettitori. Non è Dio che parla direttamente ad
ognuno di noi, come sembrano credere molti pseudo-fedeli moderni, ma Dio
parla a noi per il tramite degli uomini a ciò destinati, e questi
uomini sono i suoi portavoce, i suoi servitori fedeli, e non idealmente
o intellettualmente, ma praticamente, tangibilmente, trasmettendo ciò
che Dio ha insegnato e comandato una volta per tutte fino alla Parusia.
E come il carattere indelebile del Battesimo non impedisce
al fedele di Cristo di essergli infedele, così il carattere indelebile
dell’Ordine non impedisce ai portavoce di Dio di tradire, anche senza volerlo,
i suoi insegnamenti e i suoi comandamenti.
Non a caso il Concilio Vaticano I, costretto a definire
quello stesso criterio d’infallibilità magisteriale che fino ad
allora era dato per scontato, si preoccupò di ricordare che tale
infallibilità era da ritenersi strettamente limitata all’espressione
della Dottrina. E non di “una” dottrina, ma dell’unica vera Dottrina:
il cosiddetto depositum fidei.
Tutto il resto appartiene all’àmbito della fallibilità,
Concilio Vaticano II compreso, perché fu per espressa volontà
del Papa regnante (si veda il discorso di apertura del Papa Giovanni XXIII)
che il Concilio Vaticano II si è svolto in quanto Concilio “pastorale”,
senza alcuna pretesa di ordine dottrinale.
Ma c’è o non c’è l’incoerenza e la contraddizione
tra il pregare per il Papa e per i Vescovi e il criticarli?
No che non c’è.
Si prega e si deve pregare per il Papa e per i Vescovi
in quanto rappresentanti dell’Autorità divina, ma si ha il dovere,
come fedeli di Cristo, di esigere da questo stesso Papa e da questi stessi
Vescovi la perfetta aderenza del loro insegnamento con la Dottrina di sempre.
E cioè con la dottrina che è stata tenuta per vera da sempre,
da tutti, ovunque.
Se questa corrispondenza, se questa aderenza, vengono
meno, anche solo in parte, il dovere del fedele di Cristo è di “puntare
il dito”.
Ma chi dà a questo o a quel fedele l’autorità
di “puntare il dito”?
Forse che possa darsi autorità al di fuori dell’Autorità?
Assolutamente no!
E allora?
Allora accade che è proprio questo il grande
chiodo infuocato dei nostri tempi.
Non esiste, a memoria storica, un tempo paragonabile
a quello che stiamo vivendo. Se una volta l’errore dei chierici, a qualunque
livello, riusciva a trovare un compenso nella tenuta del contesto complessivo
della compagine cattolica, oggi l’errore dei chierici si sposa con lo scollamento
della compagine cattolica. Anzi, oggi non v’è più neanche
una compagine cattolica, cioè una società che vive sulla
base dei valori cristiani, pur fra mille difetti, poiché non v’è
più la minima rispondenza tra la conduzione cosiddetta laica della
società e gli insegnamenti divini.
Questo scollamento non è un fatto casuale,
è l’epilogo di un processo che, partito da lontano, tende a separare
definitivamente la compagine umana dal divino; fino a quando, verificatasi
la rottura definitiva di ogni sia pur minimo rapporto, questo mondo collasserà,
e il Figlio di Dio tornerà per giudicarlo definitivamente.
Non si tratta di una visione apocalittica, ma del risultato
della semplice osservazione di ciò che ci sta intorno.
Questa situazione viene difficilmente colta da molti
cattolici, chierici e laici, perché noi tutti siamo portati a soggiacere
alle suggestioni e alle illusioni di “questo mondo”.
E l’illusione è così grande che si arriva
perfino a soffermarsi su quella strana riflessione secondo la quale se
certe cose accadono è perché Dio lo permette, quindi esse
non possono essere considerate come contrarie alla volontà di Dio.
Dimenticando però che anche il Demonio agisce
col permesso di Dio, senza che per questo il Demonio finisca con l’essere
l’Angelo del Bene piuttosto che l’Angelo del Male.
Quando venne convocato il Concilio Vaticano II, i
Vescovi si trovarono a dover risolvere, innanzi tutto nelle loro menti
e nei loro cuori, un grande dilemma.
Il mondo si muove a precipizio verso l’abisso della separazione
da Dio, la Chiesa deve scegliere: o resistere a questo movimento, rimanendo
ancorata allo scoglio della Verità, o lasciarsi andare al movimento,
cercando di mantenere come possibile un minimo di luce accesa nel buio
dell’abisso.
La prima scelta avrebbe comportato l’isolamento e l’accentuazione
della distanza tra sé e il mondo circostante.
La seconda scelta avrebbe comportato il rischio della
diffusione del germe della dissoluzione anche all’interno della Chiesa.
D’altronde, la Chiesa aveva già sperimentato
la possibilità di convivere col mondo, fino al coinvolgimento “secolare”,
e ciò nonostante non fu possibile impedire né la Riforma,
né l’Assolutismo, né la Rivoluzione, né l’Illuminismo,
né l’Ateismo, ecc. Ed allora tanto valeva cercare di convivere
con tutto questo, piuttosto che provare ad ostacolarlo inutilmente come
era stato fatto negli ultimi secoli.
A nessuno, tranne pochi, sembrò opportuno avventurarsi
lungo la strada della resistenza passiva.
Forse non lo permettevano tanti secoli di contrapposizione
controversa e la stessa indole dell’uomo occidentale.
Il risultato fu un piccolo trucco: redigere dei documenti
“pastorali” che fossero in grado di non sconfessare la Dottrina, data per
intonsa, e professare molte mode moderne provando a cogliere al loro interno
e a valorizzare quel poco di buono che inevitabilmente contengono.
Ma si trattò di un trucco. Poiché non
era possibile, in pratica, lasciare intoccata la Dottrina.
Ed eccoci all’altro aspetto problematicissimo e difficilmente
risolvibile che attanaglia le menti e i cuori dei credenti.
Come si misura l’adesione alla Dottrina? Con la lettura
dei documenti o con l’esame della conduzione della pratica della fede?
Insomma siamo ancora cattolici e seguaci di Nostro
Signore sulla base di quello che sta scritto nei documenti o dobbiamo misurare
la nostra fedeltà sulla base della conduzione ordinaria della vita
della Chiesa?
E facciamo degli esempii.
Non si può negare che dai documenti non si evince
il tradimento della dottrina sulla Santa Messa, certo, vi sono molti
passaggi equivoci, ma basterebbe leggerli alla luce dell’insegnamento di
sempre. Ma non si può neanche negare che la pratica della Santa
Messa è cosa del tutto diversa dalla dottrina dei documenti,
e perfino dalle “norme” dettate dai documenti.
Abbiamo avuto modo di scrivere centinaia di pagine sull’argomento,
quindi facciamo solo un esempio.
Quando il celebrante presenta ai fedeli il risultato
della transustanziazione che si è appena verificata, e declama:
“ecco l’Agnello di Dio”, annuncia cioè che Nostro Signore è
lì, in quell’Ostia, pronto ad essere assunto in corpo, ànima
e divinità dai fedeli pronti interiormente a riceverlo, quando il
celebrante fa questo che cosa accade nelle nostre chiese?
E, si badi, che cosa accade nelle nostre chiese dopo
quarant’anni di supposta ampliata consapevolezza dei fedeli, dopo
quarant’anni di spiegazione in volgare dei diversi passaggi della Messa,
dopo quarant’anni di supposta ampliata partecipazione, dopo quarant’anni
di questa nuova pastorale?
Cosa accade?
Accade che non c’è nessuno che si inginocchi,
e non per mero gesto convenzionale (come forse poteva sembrare che accadesse
quando i fedeli “non capivano niente”, ma … si inginocchiavano), ma perché,
oggi grandemente consapevoli, dovrebbero sapere di trovarsi al cospetto
sensibile di Dio.
Siamo o non siamo di fronte ad una situazione che
quantomeno può definirsi incomprensibile?
Senza contare che tutto questo accade con la piena e
totale responsabilità dei nuovi preti, non solo, ma con la piena
consapevolezza dei Superiori, per non parlare della totale desistenza dell’esercizio
dell’autorità fin nelle alte sfere.
A questo proposito, abbiamo sentito con le nostre orecchie
un novello prete affermare che non siamo più al tempo degli schiavi
e che è finito il tempo in cui si facevano salamelecchi al Signore.
Eccessi? Forse. Ma che dire quando si constata che questi
eccessi sono diffussissimi e per giunta sostenuti da supposte argomentazioni
pseudo-teologiche o pseudo-liturgiche?
Certo.
Non si trova in alcun documento la negazione della
unicità della Redenzione per il tramite del Sacrificio del Calvario.
Ma qual è allora il senso di richiami come quelli contenuti nella
Dominus Iesus, rivolti a presuli e a insegnanti di teologia dogmatica
che continuano a rimanere ai loro posti a insegnare ai seminaristi una
dottrina diversa da quella cattolica?
Certo.
Ancora oggi nel corso della stessa celebrazione della
S. Messa si ricorda che la pace di Cristo non è quella del mondo.
Ma qual è allora il senso di questa rincorsa alla
comunione con gente che non sa neanche che cosa sia la pace di Cristo?
Qual è il senso di questa ricerca assillante di
una pace terrena, che viene intesa dai fedeli come elemento primario e
determinante, e che si vuole perseguire a prescindere da Cristo perché
la si ricerca insieme a chi non sa e non vuol saperne di Cristo e a chi
addirittura dileggia o condanna Cristo?
E via così.
Ci sono stati, nel corso di questi duemila anni, perfino
tanti Papi che hanno predicato bene e razzolato male, e addirittura tanti
Vescovi e tanti preti che hanno predicato male. Ma, grazie a Dio, il tessuto
connettivo dell’àmbito cristiano, che era anche il nerbo della società,
ha sempre sopperito a mancanze anche gravi. Inevitabili, peraltro, perché
la Chiesa, che è santa, cammina con i piedi degli uomini, che sono
peccatori.
Ma oggi le cose sono ben diverse.
Quando dall’interno della Chiesa vengono segni eclatanti
di distrazione della dottrina o perfino di misconoscimento della
dottrina, non v’è nulla che sopperisca,
neanche la stessa autorità apostolica.
Ed ecco che si perde la fede e, nella migliore delle
ipotesi, si finisce col trasformare la pratica religiosa in mera religiosità,
la contrizione del cuore in mero sentimentalismo, la speranza della vita
eterna in grottesca aspettativa paraspiritica.
Senza contare che il vuoto lasciato dalla religione finisce
con l’essere colmato dalle pseudo-religioni, e la mancanza di vera spiritualità
spinge tanti semplici a lasciarsi suggestionare dallo spiritualismo.
Chi può negare che per un ànimo debole
sia più attraente la suggestione della potenza del Demonio, piuttosto
che la banalità della celebrazione liturgica moderna?
Lei scrive: Se siete nella verità e l’attuale
compagine cattolica è nella menzogna, come mai dopo quarant’anni
la menzogna non è ancora stata smascherata?
Ci sembra che lei soffra di una ingenuità inimmaginabile.
Intendiamoci, magari tutti noi fossimo come i più semplici e più
piccoli, saremmo davvero fortunati!
Ma, chi sa appena appena di religione e perfino di come
vanno le cose nel mondo, sa anche che la sua domanda è di per sé
una risposta.
Scusi, ma allora il Demonio che ci sta a fare? Tranne
che anche Lei non creda più nel Demonio!
Sta scritto: sorgeranno falsi cristi e falsi profeti,
e inganneranno anche gli eletti, se possibile.
Caro amico! Se fosse così facile smascherare la
menzogna, siamo certi che non sarebbe stata necessaria neanche l’Incarnazione
del Verbo Divino.
Il fatto è che lo scandalo è inevitabile
che ci sia, ma guai a colui che lo provoca, dice il Signore.
E altrettanta ingenuità la riscontriamo quando
Lei parla dei tempi che cambiano.
Ora, non v’è dubbio che i tempi cambiano, e
con i tempi cambia anche il modo di esprimersi degli uomini. Questo
è vero.
Ma, senza entrare nell’esame qualitativo di questi cambiamenti,
e attenendoci al cambiamento per sé stesso, ci sembra perlomeno
strano che non si rifletta sul fatto che questo benedetto cambiamento non
è sopraggiunto, magari inaspettato e sorprendente, solo appena qualche
anno fa, o quarant’anni o cent’anni fa.
Il cambiamento è un processo insito nella stessa
esistenza. Non v’è nulla che non cambi a questo mondo, e non da
adesso, ma da sempre.
Basta leggere anche solo superficialmente la Bibbia,
per trovare la prova del cambiamento continuo (e là si trova anche
la precisa indicazione che al cambiamento si è costantemente accompagnato
lo scadere continuo della qualità).
Ne dovrebbe allora conseguire che la dottrina e la
liturgia della Chiesa, in questi duemila anni, non hanno fatto altro che
cambiare.
Prendiamo per esempio la lingua liturgica, e ciò
che segue non vale solo per il latino, perché lo stesso si può
dire del siriaco, dell’aramaico, del copto, del greco, dello slavonico.
Da quanto tempo è che la nostra gente, in Occidente, non parla più
il latino? Eppure esso è stato mantenuto dalla Chiesa come lingua
liturgica perché preservava la correttezza delle espressioni liturgiche
che fanno parte la liturgia stessa ed era segno tangibile della Chiesa
Una, Santa, Cattolica, Apostolica.
Non solo, ma anche gli analfabeti, pur con tante storpiature,
ripetevano in latino e finivano col capire le preghiere liturgiche e le
preghiere della devozione popolare.
Non solo, ma ovunque si trovassero, i fedeli cattolici,
che non si capivano con la loro lingua giornaliera, si ritrovavano tutti
insieme a parlare la stessa lingua per rivolgersi a Dio: lo stesso
Credo, le stesse preghiere, gli stessi canti, e d’un sol colpo ecco che
si sentivano tutti un corpo solo e un’ànima sola.
Enfasi?
Forse, ma questa realtà, seppure qui enfatizzata,
oggi, con la pastorale “aggiornata” a misura del cambiamento, è
scomparsa.
È stato un passo in avanti o un passo indietro?
Ci dicono che è stato un passo in avanti, ma
non ci spiegano perché non ha dato frutti.
E se l’albero si riconosce dai frutti, chi può
negare che qualcosa non ha funzionato?
Ma, a parte l’esempio della lingua liturgica, non v’è
dubbio che la Chiesa in duemila anni ha deciso tanti cambiamenti, che è
molto più corretto chiamare adattamenti.
Sarebbe impensabile che oggi i nostri preti andassero
in giro con il tipo di abito che indossavano i loro confratelli trecento
anni fa.
E lo stesso dicasi per i preti e per i religiosi di cinquecento
anni fa, che non avrebbero mai potuto indossare abiti simili a quelli indossati
nell’800.
Ma nessuno si era mai sognato di anche solo pensare
che i preti non dovessero indossare un abito da prete, ma semplicemente
un abito qualunque. Nessuno aveva mai pensato che un prete non avesse il
dovere di distinguersi anche visibilmente dal resto dei fedeli.
Ma c’è di più, anche oggi non esiste àmbito
serio in cui la gente non continui a vestirsi in maniera consona all’ambiente
in cui vive, alla funzione che svolge, al mestiere che fa, al posto di
lavoro in cui si trova, alla posizione sociale che occupa, ecc. Anche oggi,
perfino oggi che si blatera tanto, e ipocritamente, della possibilità
che ognuno si possa comportare come meglio crede.
Ebbene, solo i preti, non solo disubbidiscono a quello
stesso Papa a cui Lei continua ad appellarsi, ma si sforzano per apparire
quelli che non sono: nessuno li ha obbligati a farsi preti, ma ogni
scusa è buona per mimetizzarsi, per far finta di essere come gli
altri.
È o non è legittimo pensare e dire e
scrivere che forse questi preti non sono dei preti?
Se poi si pone mente alla dottrina e all’insegnamento,
le cose si complicano davvero fino all’assurdo.
Cosa ha a che vedere il cambiamento con la dottrina
e l’insegnamento del Signore?
Forse che avendo il Signore insegnato e comandato 2000
anni fa, i suoi insegnamenti e i suoi comandamenti non sono più
validi o adatti in seguito al cambiamento?
Crediamo che nessuno possa affermare alla leggera una
cosa così insensata.
Ma allora il cambiamento come incide, e inevitabilmente,
nei confronti della pratica e della predicazione religiosa?
Come è sempre accaduto: adattando certe forme
e certe espressioni, ma mantenendo integra la dottrina e l’insegnamento.
Anzi,
se è vero, come è vero, che la dottrina è di diretta
derivazione divina, sarebbe incredibile credere che essa non contenga in
nuce perfino tutte le rispondenze rispetto a tutti i cambiamenti possibili,
fino alla Parusia.
Ma nessun adattamento potrà mai entrare in conflitto
o in contraddizione o in contrasto con la dottrina, in nessun punto,
da nessun punto di vista, per nessun motivo, in nessun contesto:
perché se questo accadesse non si tratterebbe più della stessa
dottrina.
Chi può dire, in piena coscienza, che oggi
non vi siano tantissimi punti di contrasto e di conflitto tra ciò
che si insegna e si pratica nelle nostre chiese e ciò che si insegnava
e si praticava un tempo in queste stesse chiese?
Se questo significa adattare l’espressione della dottrina
agli inevitabili cambiamenti dei tempi, qui c’è qualcosa che non
funziona, perché in realtà i detti contrasti e i detti conflitti
non sono relativi alle semplici omelie di questo o di quel prete rispetto
alle omelie dei suoi immediati predecessori, ma essi sono relativi ad una
sorta di separazione che si è venuta a determinare tra l’insegnamento
odierno e tutti gli insegnamenti, messi insieme, dei trascorsi duemila
anni: Dottori e Santi compresi.
Un esempio?
Quando mai non sono stati coltivati dai cattolici, chierici
e laici, i rapporti con il resto degli Ebrei che non hanno voluto
accettare la venuta del Figlio di Dio e con i sopraggiunti Musulmani anch’essi
derivati dalla stessa “cultura” abramica?
Come si fa a ricordare solo l’aspetto cruento delle
crociate e a dimenticare che proprio le crociate erano strettamente legate
ai rapporti culturali e sociali fra cattolici e musulmani?
Come si fa a dimenticare che da questi rapporti, che
comprendevano anche quelli con i rabbini ebrei, attinse lo stesso San Tommaso
per il suo manuale ad uso degli studenti di teologia: la Summa Teologica
e, sempre per esemplificare, ancor prima lo stesso San Girolamo per la
stesura della sua Vulgata?
Ma questo, non significò mai confusione dottrinale,
questi rapporti non interessarono mai l’insegnamento e la pratica della
fede, non vi fu mai confusione religiosa, né da una parte né
dall’altra.
Chi può dire che oggi, invece, la predicazione
ad ogni pie’ sospinto della necessità dell’ecumenismo non
venga condotta impegnando perfino il Magistero, coinvolgendo quindi la
stessa dottrina e ingenerando nei fedeli una sorta di indifferentismo strisciante?
Si ha voglia a sostenere che è proprio l’uomo
moderno a muoversi in maniera indifferentista, e non si può non
tenere conto di questo “dato di fatto”. I distinguo dotti e riservati
ai documenti ufficiali non servono a niente, il fedele cattolico sente,
intuisce, percepisce, che essere cattolici o essere musulmani o ebrei è,
in fondo, la stessa cosa.
E se questo ragionamento lo si facesse anche in relazione
a tutti gli altri campi del sapere, a tutti gli altri àmbiti della
vita ordinaria, il quadro che ne verrebbe fuori è devastante: come
di fatto è devastante lo stato della religione oggi.
Nessuno si illuda che il cosiddetto bisogno di spiritualità,
possa coincidere con la ripresa della pratica della fede e con una nuova
adesione al Credo cattolico.
Non bisogna dimenticare che il Principe di questo mondo
è il miglior teologo e le sue suggestioni possono facilmente essere
scambiate per ispirazioni dello spirito, perché lui non è
un semplice uomo, ma un angelo.
Tralasciamo ovviamente quelle parti del suo scritto dove
traspare la sua passione e la sua foga, che comprendiamo benissimo, ma
che pensiamo non corrispondano appieno al suo pensiero, o forse è
meglio dire al suo più intimo sentire.
Teniamo solo a precisare che se mai il Signore vorrà
che il prossimo Papa sia “più aperto al progresso” di quanto immaginiamo,
come lei dice, “e potrebbe, quindi, avere qualche perplessità in
più” sulla nostra cattolicità, non abbiamo di che preoccuparci,
se non dello stesso prossimo Papa, per il quale continueremmo a pregare
perché il Signore lo illumini e perché preservi la sua Santa
Chiesa e i suoi fedeli dalle conseguenze degli errori degli uomini di chiesa.
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Quando avevamo quasi finito di scrivere questa risposta,
da Lei stesso sollecitata, ci siamo visti arrivare una sua nuova lettera,
questa volta un po’ più arrabbiata.
Riportiamo qui la lettera per comodità
di chi legge
Fratelli in Cristo di Unavox
È la quarta volta che vi scrivo, e qualcosa
mi dice che sarà anche la quarta volta che quest’e-mail sarà
cestinata senza avere risposta. (Che sia l’indirizzo e-mail sbagliato?
Boh?) Non fa niente, perché finalmente ho capito che siete bravi
solo a sentenziare tutto e tutti, ma quando si tratta di avere il coraggio
del confronto aperto e sincero, del dialogo (sia pure virtuale) con chi
vi chiede quali siano le vostre proposte, i vostri metodi educativi, i
vostri “miracoli” pastorali, ecco che ci si ritrova travolti dalla stessa,
identica, verbosità gratuita, inconcludente e perniciosa dell’articolo
di Famiglia Cristiana, n° 36, 5 settembre 2004, p. 118, del Falsini.
Un esempio? Voi scrivete: “La vittoria che Cristo
ha riportato sulla “Morte”, non è la vittoria di Cesare, ma è
la manifestazione tangibile della Onnipotenza di Dio, che si mostra come
tale per l’edificazione degli uomini non per una necessità di Dio
o per una sua inimmaginabile battaglia contingente. E questa vittoria,
perché possa diventare partecipativa per gli uomini, necessita innanzi
tutto della disposizione sacrificale dell’uomo che chiede di essere redento”.
Provate a fare un’omelia con queste parole alla santa Messa domenicale,
poi stiamo a vedere quanta gente riempie le panche la domenica successiva.
Mi rincresce dirlo, ma non sarebbe migliore di quelle che si sentono oggi.
Poco prima scrivete come risposta al Falsini: “Noi
dobbiamo confessare che andiamo occasionalmente ad assistere alle Messe
moderne, anche perché cerchiamo se possibile di non commettere peccato…”
Ecco i veri cristiani! Ecco la crema della crema della
fede cattolica! Ecco la sintesi della Caritas Dei (che tutto copre, tutto
spera, tutto sopporta), quelli pronti a evidenziare il tanto che ci unisce
anziché il poco che ci divide, come diceva un santo Papa. Il vostro
sarcasmo è ridicolo se non addirittura preoccupante!
Domando piuttosto, quanti del vostro comitato hanno
ricevuto i sacramenti dell’iniziazione cristiana nel rito di san Pio V
cioè “quello valido”? Perché, attenzione Signori, se così
non fosse dovreste ripeterlo! Perché il rito di Paolo VI non solo
è invalido, ma è anche peccato mortale parteciparvi!
Dunque voi, quando andate ad elemosinare i permessi
e gli indulti vari per celebrare le liturgie preconciliari, non sapete
che vi rivolgete a preti, vescovi e cardinali apostati? Attenzioni a codesti
“peccatori manifesti”, perché dovrebbero (Papa compreso) rientrare
nella vera Chiesa, quella di UnaVox! Pensate, il santo padre celebra nel
rito di Palo VI! Che schifo eh? Quale insulto a Dio? E magari lo fa anche
in italiano… Roba da andare diretti all’inferno! Mentre Dio, lo sanno tutti,
parla solo latino. Ma ancora più curioso è vedere che quel
“gran peccatore” di Giovanni-Paolo II lo avete “piazzato” proprio al centro
nell’home page del vostro sito, (forse come esempio da non seguire) e non
solo, esiste pure un link, con la supplica al santo Padre!!! Che contraddizioni!
Ora, da quando un Papa scismatico, traditore della tradizione, ha diritto
alla supplica dei fedeli? Vuoi stare a vedere che forse la Chiesa del Concilio
Vaticano II è davvero la Chiesa voluta da Dio? Mah? Te lo immagini
che fregatura per i tradizionalisti.
Senza che ve ne accorgiate state giocando al gioco
pericoloso di quelli che vogliono fare il Papa e/o i vescovi, senza essere,
né Papa né vescovi (meno male).
Voi che gridate dai tetti la disobbedienza del clero
alla Santa Sede, dov’è la vostra obbedienza al clero e alla Santa
Sede? Dov’è il vostro aiuto ai parroci? Dov’è la vostra “Voce”
in diocesi? Quali sono le vostre soluzioni ai problemi della pastorale
giovanile?
Rimettere il velo in testa alle donne? Ricelebrare
in latino per recuperare il mistero perduto? Rigirare gli altari contro
il muro? Allora sì che le chiese saranno piene di gente che crede!
Piene di gente che vive la propria fede secondo gli insegnamenti della
Chiesa, che canta il gregoriano e che obbedisce in pieno alla morale cristiana!
MA QUALE FILM AVETE VISTO?!? Don Camillo Monsignore ma non troppo?!
Vi rigiro la vostra frittata: “Chi ci legge, capirà
che basterebbe fermarsi qui per comprendere che occorre decidersi, una
volta per tutte, e cercare di capire chi ha sbagliato Chiesa.”
Mi ricordate tanto i personaggi descritti in alcuni
salmi: “Ecco, gli empi tendono l'arco, aggiustano la freccia sulla corda
per colpire nel buio i retti di cuore”. (Sal 10,2); “Affilano la loro lingua
come spada, scagliano come frecce parole amare per colpire di nascosto
l'innocente; lo colpiscono di sorpresa e non hanno timore”.(Sal 63,4)
Uh…Pardon! Forse i salmi dovevo riportarli nel latino
della Vulgata!
Se non vi terrorizza o vi scandalizza rispondere all’e-mail
di un prete della Chiesa del Concilio Vaticano II
|
Ci dispiace avere toccato il feticcio Falsini, ma
forse non si sarà accorto che non è la prima volta che “sparliamo”
di lui.
A questo punto abbiamo il sospetto che lei in realtà
non abbia letto bene ciò che è presente nel nostro sito;
soprattutto in relazione al fatto che lei sembrava che scrivesse dopo una
discreta conoscenza delle nostre posizioni. Lo avevamo pensato, ma probabilmente
sbagliavamo.
Alla fine della sua lettera, se non abbiamo capito male,
lei si qualificherebbe come un “prete della Chiesa del Concilio Vaticano
II”.
Siamo un po’ sorpresi, perché non pensavamo
che anche lei si mimetizzasse: nella sua prima lettera non v’è
traccia della sua qualifica. Diciamo “un po’ sorpresi”, perché non
è la prima volta che ci scrive qualche prete senza qualificarsi
per quello che è.
Ma lasciamo stare queste piccolezze.
Veniamo alla sua ingenua affermazione secondo cui una
certa predica sfollerebbe le chiese.
È davvero sorprendente come lei non si renda conto
che questa sua affermazione corrisponda in pieno a quando da noi denunciato.
Secondo lei, quindi, ciò che è più
importante è che vi siano le chiese piene (ammesso che poi sia così,
perché invece le chiese continuano ad essere vuote), non quello
che il prete ha il dovere di dire nelle omelie.
Secondo lei, quindi, visto che predicando l’insegnamento
di Cristo, e cioè dicendo ai fedeli la verità, le chiese
si svuoterebbero, sarà meglio tacere tale insegnamento, tacere la
verità, per mantenere la gente in chiesa.
Ma, scusi, non si tratta di una solenne smentita della
sua funzione pastorale? Sempre che lei sia un prete?!
Se i fedeli fuggono dalle chiese quando le prediche
sono scomode, di che razza di fedeli si tratta?
E se i preti si adeguano a questo stato di fatto anticattolico
e antireligioso in genere, di che razza di preti si tratta?
Ed ecco, come vede, confermate le nostre riflessioni.
Oggi i preti cercano di “piacere ai fedeli”, non di “piacere a Dio”, senza
rendersi conto che così non si predica e non si pratica la religione
cattolica, che non è questo l’insegnamento del Signore.
Per far questo non serve la Chiesa, basta un qualsiasi
dopolavoro.
E in questi quarant’anni di postconcilio non s’è
fatto altro che cercare di “piacere ai fedeli”, tralasciando anche il Vangelo.
Non dica di no!
Lei stesso lo afferma, seppure indirettamente.
Ed è proprio così, niente reprimenda, niente
castighi, niente Diavolo, niente Inferno, solo raccomandazioni mielate,
inviti all’amore fraterno (come si fa anche in televisione), solo vogliamoci
bene, solo perdoni incondizionati, solo fiumi di misericordia.
Eppure San Paolo stesso ricorda che la misericordia e
la grazia sovrabbondano là dove sovrabbonda il peccato.
Ma prima deve essere colto questo peccato, prima dev’essere
esposto e condannato, prima dev’essere chiaro che si tratti del peccato,
perché sopravvenga la Grazia e la Misericordia, e queste giungeranno
immancabilmente quando riconosciuto il peccato in tutta la sua miseria
ad esso seguirà il dolore e il pentimento.
E come potrà mai sopraggiungere, di grazia, il
dolore e il pentimento, e quindi la Grazia e la Misericordia, se non si
dispiacciono i fedeli, piuttosto che compiacerli?
Più avanti lei si lancia in una filippica speciosa
e cerca di dare ad intendere che dal nostro scritto sia stato indotto a
capire ciò che noi non abbiamo mai scritto.
Chi può negare che andando a una Messa moderna
si debba provare, e si provi, un tuffo al cuore quando si vede il “presidente”
seduto, in pompa magna, di fronte ai fedeli e con le spalle al Santissimo
Sacramento?
Chi può negare che andando a tante Messe moderne
si debba sobbalzare, e si sobbalza, ascoltando il “presidente” che
afferma che il Sacrificio di Cristo è una bella cosa accaduta duemila
anni fa?
Chi può negare che andando a tante Messe moderne
si debba piangere, e si pianga, di dolore per i tanti fedeli che si
accostano alla Comunione come se si trattasse della distribuzione del rancio?
E chi potrà mai affermare che in simili condizioni
si possa evitare di commettere peccato “in pensieri e omissioni” senza
neanche la possibilità di confessarlo?
Saremo forse un po’ strambi, ma le assicuriamo che solo
qualche volta ci è capitato di assistere ad una S. Messa moderna
celebrata come si deve, omelia compresa, e quelle poche volte il nostro
cuore si è riempito di gioia e abbiamo ringraziato Iddio perché
ci concede ancora dei buoni sacerdoti, e abbiamo anche ringraziato
quegli stessi sacerdoti perché ci hanno aiutato a rimanere vicini
a Dio e alla Santa Chiesa.
Dal resto della sua lettera si comprende bene che lei
non ha voglia di “dialogare”, come va di moda oggi, con nessuno.
Lei ha solo voglia di rimproverare e di stigmatizzare.
Sarà pure giustificata la sua voglia, magari giustificata
proprio dal fatto che forse lei è davvero un prete moderno, ma non
ci sembra che sia seriamente attenta e circostanziata.
Certo che denunciamo i preti che credono di poter
fare ciò che vogliono.
Certo che denunciamo i Superiori che glielo lasciano
fare.
Certo che gridiamo contro lo scompiglio e il disordine
e l’apostasia e l’eresia.
Perché non dovremmo farlo?
In quanto poi a riprendere la solita tiritera della
dovuta
obbedienza proprio perché noi saremmo gli strenui difensori
dell’obbedienza, lasci stare: non prendiamo mai sul serio i sofismi
come questi.
Lo abbiamo sempre detto e lo ripetiamo:
la nostra ubbidienza è dovuta al Signore e ai
suoi insegnamenti,
e siccome la stessa ubbidienza è dovuta dai preti,
dai Vescovi e dal Papa, abbiamo tutto il diritto, come fedeli di Cristo,
e tutto il dovere, come figli della Santa Chiesa, di puntare il dito
ogni volta che si rende necessario.
Non solo, ma abbiamo il sacrosanto diritto di esigere
che ci vengano forniti i mezzi per la nostra salvezza, e non possiamo
renderci complici di tutti gli uomini di chiesa che trascurano questo loro
dovere di stato.
Anzi, abbiamo il dovere di richiamarli e di rimproverarli,
per il bene della loro stessa ànima, perché, se possibile,
non vengano cacciati nelle tenebre esteriori. Come promesso.
Ci dispiace che lei dimostri di non sapersi controllare,
soprattutto se è un prete, ma questo non ci impedisce, ne sia certo,
di pregare anche per lei, perché il suo cuore si apra all’ascolto
della Voce di Dio che grida nel più profondo del nostro cuore e
ci muove a rinunciare al mondo e alle sue lusinghe, ad abbandonare la compiacenza
degli uomini per sforzarci di piacere solo a Lui.
Che il Signore ci aiuti in questo tempo così buio
e la Santa Vergine ci acquisti la Sua Misericordia a fronte dei nostri
imperdonabili peccati.
Laudetur IC
IMUV
settembre 2007
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