CHIESE  POSTCONCILIARI

LA NUOVA CHIESA

DI SAN PIO DA PIETRELCINA


Il primo luglio 2004, dopo circa dieci anni dall’inizio dei lavori, è stata inaugurata la nuova chiesa di San Giovanni Rotondo, dedicata a San Pio da Pietrelcina, quella che dovrà sostituire il santuario di Santa Maria della Grazie.

La dedicazione della chiesa è stata celebrata dal vescovo di Mafredonia e San Giovanni Rotondo, S. Ecc. Mons. Domenico Umberto D’Ambrosio, assistito da 7 diaconi e coadiuvato da circa 150 tra cardinali e vescovi e 500 preti, i quali, come si usa dire oggi, hanno “concelebrato” con lui.
Uno spettacolo. Un po’ confuso, a dire il vero. Ma pur sempre un gran bello spettacolo, soprattutto per i numeri: oltre ai chierici, si calcola che fossero presenti circa 20.000 persone (qualcuno si aspettava che fossero anche 40.000).

Come tutti sanno, ormai gli Altari non si consacrano più murando all’interno del piano una reliquia; così è stato anche per questa nuova chiesa: il piano dell’altare è stato incensato e unto. D’altronde, nel nuovo rito della Messa non si parla delle reliquie e non si invoca più il Signore ricordando la loro presenza, quindi non servono più.

Questa nuova chiesa non differisce molto dalle nuove chiese-santuario che sono state costruite in questi ultimi trent’anni. Indubbiamente, però, ha delle sue specifiche caratteristiche, che vale la pena esaminare, seppure sommariamente, non avendo queste note alcuna pretesa da “studio”.

La prima cosa che colpisce è la decisa inversione di tendenza nella sua collocazione spaziale: per andare in questa chiesa si “scende”, non si “sale”. Vero è che non sarebbe la prima volta, ma qui non vi sono vincoli relativi all’obbligante andamento orografico, non si tratta di una piccola chiesetta in un contesto angusto, non si è mai trattato di un accomodamento: qui si tratta di una chiesa importante, sia per il titolo sia per  la devozione dei fedeli, e non v’era mancanza di  spazio, anzi. 
In tempi come questi, nei quali ci si riempie la bocca di “ritorno alle origini”, ecco che per questa nuova chiesa ci si dimentica di ogni preoccupazione “originaria”. Il luogo della chiesa, della casa di Dio, il luogo più elevato, questa volta è il più basso: una fossa. E non solo la chiesa si trova in una fossa, nel punto più basso, ma lo stesso suo interno è disposto in maniera che anche l’altare si trovi nel punto più basso della chiesa; non è quindi un caso o una costrizione, ma una scelta precisa, che magari avrà delle giustificazioni pratiche e utilitaristiche, ma che certo non tiene conto delle giustificazioni religiose, anzi, di ciò che una volta si pensava fosse un dovere: collocare la chiesa e l’altare nel punto più alto, perché questo è il punto che si addice a Dio.
Oggi che si parla tanto dell’attenzione nei confronti dei “segni dei tempi”, ci chiediamo: di che segno si tratta in questo caso? A noi fa uno strano effetto questo continuo discendere e ci richiama alla mente la “discesa agli inferi” piuttosto che la salita al monte di evangelica memoria.

Quando ci si trova sul sagrato (se è ancora lecito chiamarlo così), si ha una strana sensazione. Sullo sfondo vi è un apparato semicircolare che si stenta a riconoscere come la chiesa, sulla sinistra vi è una grande croce, posta su un muro che non ha niente a che vedere con la chiesa. Sulla chiesa non v’è la croce.

Entrati in chiesa ci si trova al cospetto di un gigantesco tendone, che ricorda subito un circo equestre, con degli archi enormi che attraggono subito l’attenzione: si cerca l’altare, ma l’altare non c’è.
Solo se ci si gira da un lato ci si accorge che vi è un altare. 
Per la difficoltà prospettica di guardare all’interno, non è possibile volgersi all’altare se non prima ci si inoltri entro la chiesa. 
Una chiesa enorme, un sagrato enorme, ma, entrando, lo sguardo non trova alcun altare. Esso è  rovesciato: a ridosso dell’ingresso, volge le spalle al sagrato e a tutti i fedeli che si accingono a giungervi. Non v’è continuità nel percorso.
Si va verso la chiesa scendendo verso il basso, ma la direzione non è indicata dalla croce, che si trova da un lato, e una volta giunti in chiesa non si va verso l’altare, anche qui, al pari della croce, esso si trova da un lato.

Certo, oggi i tempi sono cambiati, non si può certo pensare di entrare in una chiesa moderna è provare gli stessi richiami che suscita nell’ànimo l’accesso in una chiesa gotica, per esempio, o in una chiesa romanica o perfino rinascimentale. Non si può  certo pretendere di ritrovare la “navata”, né tampoco si può pretendere che gli architetti moderni possano eguagliare i costruttori di cattedrali. Ma, a onor del vero, non ci sognavamo neanche di doverci misurare financo con una nuova terminologia, pensavamo, ingenuamente, che almeno quella potesse rimanere: chissà, avrebbe potuto costituire un punto di partenza per il recupero di tante cose neglette. 
La navata. Macché, ecco che si chiama “aula liturgica”, in fondo con una certa coerenza: poiché di tutto sembra trattarsi tranne che di una chiesa. La stessa terminologia usata ricorda molto di più l’“aula chirurgica”, piuttosto che la navata. 
Una volta la chiesa (e la Chiesa) era disposta per accogliere i fedeli di Cristo e condurli salvi in porto, come una “nave”, appunto, con precisi richiami alla nave che salvò i fedeli di Dio dal diluvio universale; oggi la chiesa (e la Chiesa) è un locale “operativo”, un’aula, un’aula liturgica, dove gli uomini compiono le loro operazioni di routine, come in qualsiasi altro posto di lavoro: l’aula liturgica: là dove si fa della liturgia, dove i fedeli compiono le loro operazioni liturgiche.

Ma ecco che finalmente, inoltratisi nella chiesa, ci si può volgere veramente verso l’altare, e che ti capita di vedere? Che non v’è una croce, non v’è una riproduzione della croce del Calvario, ma una strana struttura, un po’ goffa, a forma di croce. Si dice che l’artefice si sia richiamato ai chiodi della crocifissione, e moltiplicandoli li abbia messi insieme a comporre una forma di croce. È possibile. Ma, se così è, questo lo sa solo lui, poiché chiunque entri in quella chiesa non capisce perché per rappresentare la croce si sia usato quell’ammasso spigoloso che dà più l’idea di un groviglio ferroso che di due pali posti ortogonalmente. 
La semplicità, la si predica e la si spredica, ed ecco che per rappresentare la cosa più semplice e più immediatamente significativa della nostra religione, si sente il bisogno di comporre un incredibile agglomerato di pezzi di ferro; e passi per l’artefice, ma i tanti chierici che hanno sovrainteso?
Misteri dei tempi moderni: un altro “segno”!

Com’è inevitabile, poi, in queste nuove chiese-contenitori si fa fatica a trovare un’immagine sacra: eppure ci si dovrebbe trovare nella casa di Dio! Mistero!
Ma no, una grande immagine sembra ci sia: un immagine ad effetto speciale, una raffigurazione dell’Apocalisse che compare e scompare premendo un bottone. È essa che costituisce la “facciata” del “tempio”. Il grande arco che la contiene è chiuso da una serie di finestre apribili, sulle quali è sovrapposto un pannello composto da tante tende colorate che insieme formano l’immagine suddetta e che si possono ritrarre a scomparsa. Roba da cinematografo.

Ma il Signore? Dov’è il Signore? Dov’è il Padrone di casa?
Attenzione, siamo in una chiesa moderna, quindi il Padrone di casa è in una piccola stanzetta riservata.
Adiacente all’“aula liturgica” si trova un piccolo locale di 120 mq (quanto un appartamento in città) detto “cappella eucaristica”, dove possono trovare posto 64 persone a sedere. Nella piccola cappella si trova un tabernacolo a forma di parallelepipedo ottagonale rastremato in alto, in pietra nera, arricchito con formelle di argento.
Quale sarà mai il significato simbolico di un menhir in pietra nera? Per di più adibito a tabernacolo?
Ci viene in mente che se, per caso, due pulmann di pellegrini si trovassero a visitare insieme questa chiesa, e volessero ad un tempo inginocchiarsi per adorare il SS. Sacramento, sarebbero costretti a fare la fila, perché nella cappella eucaristica troverebbero posto solo a turno.

E vi è anche una sagrestia,  questa sì bella grande, 550 mq, capace di ospitare 300 preti insieme mentre si addobbano per la concelebrazione, insomma una cosa di tutti i giorni e quindi inevitabile, il progettista non poteva non tenerne conto vista l’importanza della concelebrazione, oggi. 
Non viene il sospetto che l’esigenza della concelebrazione abbia fatto scambiare i due locali? Che l’importanza di quest’ultima abbia prevalso sulla importanza della adorazione eucaristica? 

Si racconta che quando Padre Pio vide la nuova chiesa di Santa Maria delle Grazie abbia scherzato sulla sua piccolezza. Ci chiediamo: come avrebbe reagito il santo frate alla vista di questo enorme circo equestre, dove c’è posto per tutti, ma dove sembra che il Signore sia solo un ospite occasionale?
L’unica cosa che ci consola è la benefica influenza che San Pio da Pietrelcina esercita sui pellegrini che vanno a pregare sulla sua tomba, che, siamo certi, sopravvarrà di gran lunga sull’influenza nefasta che tante chiese moderne esercitano sull’ànimo dei fedeli.
 

Una vista dall'alto
 
 
 
 

L'altare sovrastato dalla croce
 
 

Una veduta della nuova chiesa, in basso.
In alto si può vedere l'esistente chiesa di 
Santa Maria delle Grazie
 
 

Una veduta dell'interno,
col pavimentio che scende verso l'altare
Sulla destra si nota il retro della facciata col pannello
mobile che raffigura una scena dell'Apocalisse
 
 

Una veduta del sagrato con la facciata della chiesa,
sulla sinistra si intravede la croce.
Subito dietro la facciata, a destra, vi è l'altare
 
 


 
 
 


 
 
 


 
 

La cappella eucaristica, a sinistra si può vedere
il tabernacolo in pietra nera
 
 

La cripta che dovrebbe ospitare le  spoglie del Santo
 
 




 


 
A proposito di moderna architettura sacra si veda: Esempii di nuova architettura postconciliare
 



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