NUOVI PRETI DELLA NUOVA CHIESA
QUAL È LA VERA CHIESA ?
ovvero
Come i nuovi preti auspichino la più ampia
distruzione della Religione Cattolica
Pubblichiamo il testo di un articolo apparso sul settimanale
“Famiglia Cristiana"
ove si parla di come si dovrebbe intendere la nuova
chiesa sulla base di
una più spinta applicazione della riforma liturgica
Testo dell'articolo
Nostro commento
Famiglia Cristiana, n° 36 , 5 settembre 2004, p. 118, Il
teologo
LITURGIA: RIFORMA O ABUSI?
Ascoltando i canti, le prediche e come si legge la parola di Dio nelle
Messe, l'impressione è che la riforma liturgica ancora non sia stata
capita e attuata.
P. GIUSEPPE B. - BRESCIA
[Risponde Rinaldo Falsini, il teologo]
A distanza di quarant'anni dalla Sacrosanctum Concilium,
la Costituzione conciliare sulla liturgia, il 4 dicembre del 2003 è
stata pubblicata una lettera apostolica di Giovanni Paolo II.
In essa il Pontefice richiama l'importanza fondamentale
di quel documento conciliare, che ha rinnovato la vita della Chiesa, in
particolare della Messa, e invita, prima di provvedere all'approfondimento
e allo sviluppo, a una verifica del cammino sin qui compiuto.
Tra i vari punti, Giovanni Paolo II accenna al valore
della parola di Dio e si domanda se ha trovato un riscontro positivo nelle
nostre celebrazioni. E proprio sulla parola di Dio insiste il nostro lettore,
dalla lettura all'omelia, alla preghiera dei fedeli, pronunciando un giudizio
severo sul comportamento dei sacerdoti che accusa di improvvisazione e
faciloneria: dopo quarant'anni, accanto alle luci e ai vantaggi, la liturgia
si è offuscata, il senso del mistero è perduto, i fedeli
sono entrati in crisi e dicono: "Non c'è più fede".
Anche se la diagnosi del lettore, che vive in una comunità
religiosa accanto a una parrocchia, appare quasi catastrofica, sono in
molti a parlare di crisi dovuta a varie cause. E, al di là della
lettera apostolica, già in occasione di numerosi e qualificati incontri
nel corso di questo quarantennio, è diventata corale la richiesta
di una svolta.
Anzitutto per respingere vecchie e inconsistenti accuse
come quella della scomparsa del mistero e della sacralità.
Infatti, proprio con la riforma, al centro della liturgia
è stato ricollocato il vero "mistero", cioè l'evento della
morte e risurrezione di Cristo; e, sempre grazie alla riforma, è
stato ribadito che non è la sacralità ma la santità
il tipico valore cristiano. Ancora, la riforma ha messo in luce che l'assemblea
in festa, pervasa dalla gioia della risurrezione di Cristo, è la
ragione dell'incontro domenicale, in modo che possa partecipare della vittoria
del suo Signore nutrendosi del pane della Parola e del cibo e bevanda di
salvezza, in attesa del convito celeste.
Perciò, oltre agli sforzi degli ultimi decenni
per fare uscire i fedeli dalla secolare passività e per farli partecipare
attivamente alla celebrazione liturgica, è necessario d'ora in poi
condurre gli stessi fedeli alla comprensione e all'approfondimento dei
vari momenti celebrativi, alla conoscenza della Bibbia, libro chiuso da
secoli, all'ascolto della Parola dignitosamente proclamata nell'assemblea,
alla viva risposta dei fedeli con il canto e con la preghiera. Dio parla
oggi al suo popolo riunito in assemblea e Cristo annuncia ancora il suo
Vangelo. La musica e il canto, assieme a momenti di vero silenzio, frutto
di intensità interiore, dovranno accompagnare i movimenti dell'intera
celebrazione che appartiene a tutto il popolo sacerdotale.
Il rendimento di grazie, l’azione doverosa e giusta,
lo stupore per le meraviglie operate da Dio in Gesù Cristo saranno
il clima costante dell'intero rito dall'inizio al termine e non un semplice
momento del singolo cristiano.
Non meno impegnativo si presenta il compito del sacerdote
in quanto presidente dell'assemblea (SC 33) quello che la Conferenza
episcopale italiana ha precisato nella nuova edizione del Messale del 1983
-, cioè l'arte del presiedere non semplicemente del ministro esemplare,
tutto intento alla fedele esecuzione del rituale e immerso nel suo colloquio
con Dio. Spetta al presidente dell'assemblea, secondo un programma previsto
di approfondimento delle possibilità del Messale, disporre, organizzare
e dirigere, con la collaborazione di altri ministri, la celebrazione dall'inizio
al termine: un vero maestro e una guida intelligente e diligente del suo
popolo in cammino di domenica in domenica, in continua crescita per l'edifìcazione
del tempio di Dio. |
Nostro commento
Torniamo ancora ad occuparci di Rinaldo Falsini, “teologo”
(!?) anche di “Famiglia Cristiana”, il giornaletto pseudo-cristiano che
viene copiosamente e dispendiosamente distribuito nelle parrocchie.
Il nostro interesse, ovviamente, non è per il
Falsini in sé, ma per la cattiva e tendenziosa informazione che
viene ammannita ai fedeli cattolici per il tramite di certi giornali
e di certi personaggi che di cattolico hanno molto, ma molto poco, quasi
niente.
Nel numero 36, del 5 settembre 2004, a pag. 118, il Falsini,
con la sua solita sicumera, insinua che se c’è un abuso nella liturgia
questo consisterebbe nel non aver attuato appieno la riforma liturgica.
Niente da dire su questa insinuazione, essa rispecchia
fedelmente il pensiero del nostro “teologo”, ma certo non ha niente a che
vedere con la verità, né con la liturgia, né tampoco
col Vaticano II.
Vediamo allora come viene disinformato e fuorviato il
“popolo di Dio”.
Riferendosi alla Lettera Apostolica del Santo Padre nel
40° anniversario della “Sacrosanctum Concilium”, il “teologo” scrive:
“In essa il Pontefice richiama l'importanza fondamentale
di quel documento conciliare, che ha rinnovato la vita della Chiesa, in
particolare della Messa, e invita, …”
Se fosse vero che il documento conciliare “ha rinnovato
la vita della Chiesa, in particolare della Messa”, c’è da chiedersi,
a quarant’anni di distanza, qual è il senso delle preoccupazioni
espresse dal lettore (che sembra essere un chierico) e condivise dal Falsini.
Se in quarant’anni tale supposto rinnovamento ha prodotto
solo delle gravissime preoccupazioni circa la “perdita della fede”, una
persona seria dovrebbe chiedersi che cos’è che non ha funzionato,
non tanto nella pratica attuazione di tale rinnovamento, protrattasi per
tanti anni e con un dispendio di energie incredibile: tra commissioni,
simposii, studii, istruzioni, direttorii, tre versioni del Messale, centinaia
di risposte ai quesiti, ecc.; quanto nelle motivazioni stesse di tale rinnovamento
e nelle premesse dottrinali e liturgiche che lo hanno preparato, voluto
e attuato.
Dopo quarant’anni non ci si può venire a raccontare
la favola della “corale richiesta di una svolta”. Svolta di che? Svolta
rispetto a che?
La verità è che il tanto decantato “rinnovamento”
si è rivelato essere un catastrofico fallimento.
Intendiamoci, qui si tratta subito di precisare
qual è il punto di vista in cui ci si pone.
Se il punto di vista è quello della Chiesa, della
santificazione dei fedeli, della salvezza delle ànime: la catastrofe
è immane. Un rinnovamento che avrebbe dovuto condurre all’accrescimento
della Fede e ad una maggiore incidenza dei valori cristiani nei confronti
del mondo circostante, si è tradotto in una diminuzione della Fede
e in una maggiore incidenza degli pseudo-valori del mondo circostante nella
vita dei cristiani, nella vita dei chierici, nella vita della Gerarchia
e della Chiesa. Tutto il rovescio di quanto auspicato e di quanto perseguito.
Ne fanno testo proprio i documenti papali, ivi compreso quello qui citato,
in cui non si smette di parlare della necessità di una “nuova evangelizzazione”
in un mondo sempre più scristianizzato.
Se invece il punto di vista in cui ci si pone è
quello del mondo circostante, non v’è dubbio che ha ragione Falsini
e gli altri suoi compagni di cammino: non si è ancora fatto abbastanza
per ridurre la Religione, la Liturgia e la Dottrina della Chiesa, ad immagine
del mondo, tanto che quest’ultimo possa recepirle al pari di uno qualsiasi
dei trascinanti spettacoli di massa, così indispensabili per la
conduzione della vita moderna.
Ma ciò che colpisce è la superficialità
con cui viene affrontata la grave crisi che attanaglia la vita della Chiesa.
Dice Falsini: “dopo quarant'anni, accanto alle luci
e ai vantaggi, la liturgia si è offuscata, il senso del mistero
è perduto, i fedeli sono entrati in crisi e dicono: "Non c'è
più fede". Anche se la diagnosi del lettore, che vive in una comunità
religiosa accanto a una parrocchia, appare quasi catastrofica, sono in
molti a parlare di crisi dovuta a varie cause.”
Ma dopo non si sofferma affatto sulle possibili cause
di questa crisi, che dalle sue stesse parole è davvero inquietante.
Passa invece a fare l’elogio della riforma, come se non fosse proprio
la riforma la causa prima di questa catastrofe.
È evidente che Falsini, e gli altri suoi compagni,
non riescono nemmeno a scorgere né i connotati della crisi, né
gli elementi che hanno concorso a determinarla.
Falsini è stato uno di quelli che ha contribuito,
e continua a contribuire, all’applicazione della riforma liturgica, quindi
dovrebbe saperne più di qualche altro, ma il fatto è che
coloro che si sono applicati a rinnovare “la vita della Chiesa, in particolare
della Messa”, non avevano e non hanno minimamente idea di che cosa sia
la Chiesa, né di che cosa sia la Messa.
Costoro hanno chiara in mente solo una visione tutta
personale della religione cattolica e della vita della Chiesa cattolica,
una visione maturata per di più “a tavolino”, quello stesso tavolino
da cui hanno partorito la riforma liturgica, la nuova Messa, i nuovi riti
e la nuova pastorale: tutte intrise di richiami alla “partecipazione” del
“popolo di Dio”, e tutte aventi in vista un “popolo” e un “dio” che non
hanno riscontro né nella terra né nel Cielo.
Non esageriamo, ci atteniamo a quanto scrive lo stesso
Falsini.
“sempre grazie alla riforma, è stato ribadito
che non è la sacralità ma la santità il tipico valore
cristiano”.
Ci chiediamo: che significa una cosa del genere?
Vi è forse esclusione tra la sacralità
e la santità?
C’è da pensare che la sacralità sia qualcosa
di anticristiano, a fronte della santità che sarebbe “il tipico
valore cristiano”?
Ora, è ovvio che la sacralità e la santità
sono due termini diversi, ma solo uno stolto potrebbe affermare che la
prima non ha niente a che vedere con il cristianesimo.
Il termine sacralità implica l’accezione di “separazione”:
una cosa sacra è una cosa “separata”, che si distacca dal contesto
in cui si viene a trovare. E forse al Falsini, fissato com’è con
la comunione a tutti costi, e cioè con la promiscuità indifferenziata,
del tutto innaturale, ma di certo molto di moda, il termine “sacro” dà
fastidio. Come dà fastidio a tanti suoi compagni.
Ma ciò non toglie che anche quando si raggiungesse
la “santità” (cosa peraltro notevole e indispensabile per la vita
del fedele cristiano), ecco che si determinerebbe inevitabilmente la “separazione”.
Cosa avrebbe a che fare un “santo” con l’ordinarietà, e per di più
con l’ordinarietà moderna? Potrebbe solo essere un separato, potrebbe
solo acquisire un’aura di “sacralità”, con buona pace dei Falsini
e dei falsinisti o falsiniani che dir si voglia.
Certo, proprio il “santo” sta in mezzo
a tutti gli uomini, più di quanto senta di starci uno qualsiasi
di noi col suo egoismo, ma proprio il “santo” è, per definizione
stessa, un diverso, un separato: vive nel mondo, ma non appartiene al mondo:
esattamente come ha insegnato Nostro Signore.
Nella concezione di Falsini, invece, escludendo il concetto
di “sacralità”, la santità porterebbe ad una comunione
“popolare” e indifferenziata che non si riscontra neanche nelle fantasie
degli illuministi.
Più avanti il Falsini “insegna” che: “la riforma
ha messo in luce che l'assemblea in festa, pervasa dalla gioia della risurrezione
di Cristo, è la ragione dell'incontro domenicale, in modo che possa
partecipare della vittoria del suo Signore nutrendosi del pane della Parola
e del cibo e bevanda di salvezza, in attesa del convito celeste.”
Ora, non possiamo far finta di non sapere che
certa verbosità gratuita, inconcludente e perniciosa ha finito col
sostituire molta parte della celebrazione liturgica, fino al punto che:
parla … parla … le parole dei preti-presidenti hanno finito col soppiantare
la “parola di Dio”.
E che preti! E che parole!
“l’assemblea in festa, pervasa dalla gioia della risurrezione,
è la ragione dell’incontro domenicale”
Noi dobbiamo confessare che andiamo occasionalmente ad
assistere alle Messe moderne, anche perché cerchiamo se possibile
di non commettere peccato, ma quelle volte che ci andiamo non abbiamo mai
avuto l’impressione di trovarci al cospetto di una “assemblea in festa,
pervasa dalla gioia della resurrezione”. Qui siamo davvero all’incredibile:
o Falsini è un imbonitore o è un cieco.
Quando mai ha visto una tale fantasticheria?
Ma quale festa! La gente va a Messa per assolvere al
precetto domenicale e neanche le forbite parole del più scomposto
dei modernisti possono parteciparle questa supposta gioia della risurrezione.
Anzi, proprio nelle celebrazioni pasquali, nei momenti
in cui tale gioia potrebbe percepirsi e potrebbe pervadere i fedeli, le
interminabili chiacchiere del “presidente” finiscono con l’annoiarlo a
morte: figuriamoci negli altri giorni dell’anno!
L’unica festa che si fa in chiesa, ai giorni nostri,
è costituita da quello spettacolo indecoroso dei cori moderni che
accompagnano certe celebrazioni liturgiche: l’unico momento in cui certi
giovani diseducati dai nuovi preti credono di trovarsi ad un concerto rock
con tanto di urla e di agitazione.
Ma c’è di più. E lo diciamo con
tutta franchezza e con grande dolore. Ma la Messa quando mai è stata
incentrata sulla festa, sia pure della risurrezione?
Anzi. Se il Signore si fosse sacrificato sulla Croce
perché le assemblee potessero far festa per la sua risurrezione,
ci sarebbe da chiedersi davvero se questa è religione!
Non vogliamo essere blasfemi, seppure costretti da tanta
incredibile e temibile superficialità, ma non possiamo ammettere
che il Sacrificio di Cristo per acquistarci la Grazia si possa risolvere
in una “assemblea in festa”.
Forse abbiamo sbagliato chiesa?
La Messa è il rinnovamento incruento del
Sacrificio cruento del Calvario, essa non può suscitare in noi sentimenti
di gioia festosa come se fossimo ad un compleanno, essa ci ricorda i nostri
peccati e le nostre manchevolezze, essa suscita la contrizione per la nostra
indegnità, essa ci stimola a piangere fin nel profondo per il Sacrificio
dell’Agnello che si è fatto carico della miseria del peccato del
mondo, essa ci muove a chiedere perdono a Dio per la nostra pochezza e
a tremare di timore perché sappiamo di non essere degni della Sua
Misericordia.
Altro che “assemblea festosa”!
Non bastava aver ridotto la Messa al “ricordo”
della “cena”, ad un incontro conviviale, qui il Falsini sottolinea che
il vero significato della Messa è il far festa la Domenica. Ed era
inevitabile, perché a forza di umanizzare tutto, di ridurre tutto
a misura d’uomo, di circoscrivere tutto entro la sentimentalità
e l’emozione umana, non si poteva che giungere alla negazione della soprannaturalità
della Messa e all’abolizione del Mistero.
Forse abbiamo sbagliato chiesa?
O più semplicemente stiamo parlando di
due chiese diverse?
E allora c’è da chiedersi: qual è la
vera Chiesa, quella indicata dall’insegnamento di duemila anni di Magistero
o quella di Falsini?
“in modo che possa partecipare della vittoria del
suo Signore nutrendosi del pane della Parola e del cibo e bevanda di salvezza,
in attesa del convito celeste.”
Partecipare alla vittoria del suo Signore?!
Ma cos’è una specie di “trionfo” alla moda romana,
con tanto di corteo, di ghirlande e di giuochi nel circo?
Ma come si fa a parlare in questo modo. Forse che davvero
si pensa che i fedeli cattolici siano tutti degli imbecilli?
La vittoria che Cristo ha riportato sulla “Morte”,
non è la vittoria di Cesare, ma è la manifestazione tangibile
della Onnipotenza di Dio, che si mostra come tale per l’edificazione degli
uomini non per una necessità di Dio o per una sua inimmaginabile
battaglia contingente.
E questa vittoria, perché possa diventare partecipativa
per gli uomini, necessita innanzi tutto della disposizione sacrificale
dell’uomo che chiede di essere redendo.
Altro che partecipazione alla vittoria!
La prima cosa che si chiede al fedele cristiano
è la partecipazione alla Passione del Signore e al Sacrificio della
Croce… solo dopo, se uno riesce a compiere un tale percorso, con l’aiuto
di Dio e l’assistenza della Santa Vergine, degli Angeli e dei Santi, …
solo allora può sperare di rendere operante in sé la Grazia
santificante elargita gratuitamente dalla Misericordia di Dio, proprio
in virtù della Croce.
Questo moderno modo di parlare di Falsini e compagnia
bella è quanto di più distante vi sia dalla dottrina di Cristo,
come la Chiesa l’ha sempre insegnata dal tempo degli Apostoli.
E come si parteciperebbe a questa vittoria?
“nutrendosi del pane della Parola e del cibo e bevanda
di salvezza”
Un puro flatus vocis!
L’elemento della “nutrizione” col Corpo e col
Sangue di Cristo, è proprio la conclusione del cammino di contrizione
e di pentimento che compie il fedele: elemento nei confronti del quale
egli non è neanche sicuro dell’effetto salvifico, perché
non è sicuro di avere veramente rinunciato all’orrore del peccato,
e per questo si affida sempre alla Misericordia di Dio. Nell’assumere
in sé il Corpo e il Sangue del Figlio di Dio, il fedele cattolico
sa che, se ne è veramente degno avrà mangiato e bevuto la
sua salvezza, ma se non lo è avrà mangiato e bevuto
la sua condanna.
Altro che gioia e partecipazione alla vittoria!
Il nutrimento spirituale che viene ai fedeli
dall’assunzione corporale del Corpo e del sangue di Cristo è un
“mistero” che fa tremare le vene e i polsi al solo pensarla. … Certo …
se ci si crede!
Se invece si tratta solo di un comizio, beh! …
allora si può dire quello che si vuole.
Se non fosse che così facendo non si aiutano i
fedeli ad accostarsi alla salvezza, ma li si illude e si prepara
loro il terreno perché scivolino nella leggerezza rispetto alle
cose di Dio, perché perdano completamente il timore di Dio, perché
si lascino penetrare dalla semplicistica e satanica suggestione che “comunque
… Dio perdona tutto”.
Questa non è la religione cattolica!
Dio, che è Iddio dell’universo, che è l’Unico,
il tre volte Santo, non è un distributore automatico di pannicelli
caldi. Dio è innanzi tutto Giustizia, perché è innanzi
tutto Amore, e guarda ai Suoi figli con Misericordia e con Rigore.
Non ha mandato il Suo Unigenito ad incarnarsi e a lasciarsi
crocifiggere dagli uomini per poi elargire in maniera indiscriminata la
Sua Misericordia a chiunque!
La nostra concezione di Dio, come ce l’ha insegnata il
Suo Figlio Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore, e come
ce l’hanno trasmessa gli Apostoli e i Padri e i Santi, non è una
concezione da burletta, così che Dio si divertirebbe a fare dei
bei gesti per poi, tanto, abbracciare tutti … perché è buono.
La nostra concezione di Dio è una cosa
seria, in cui Dio non c’entra niente con le nostre fantasie e con le nostre
piccolezze, e si manifesta in Cristo per ricordarci che è solo per
Cristo, con Cristo e in Cristo che ci si salva, che è solo con l’imitare
la sua Passione e la sua Morte che si giunge alla Resurrezione, che è
solo ricambiandone la sacrificale Incarnazione e incorporandoci in Lui
sacrificando la nostra mera umanità che si acquista la vita eterna.
Tutte le malsane fantasie moderne dell’abbracciamoci e del
vogliamoci bene, perché è l’esser buoni che porta in Paradiso,
sono roba da miscredenti.
Anche i pagani e anche gli atei sono buoni, ma solo
i figli di Dio si salveranno e coloro che Dio stesso, nella sua imperscrutabile
Giustizia, vorrà destinare alla salvezza.
Chi ci legge, capirà che basterebbe fermarsi qui
per comprendere che occorre decidersi, una volta per tutte, e cercare di
capire chi ha sbagliato Chiesa. O noi o Falsini e compagni.
Ma non è inutile precisare velocemente alcune piccole
cose, tenendo sempre presente che per fare un milione sono proprio le unità,
le piccole cose, che si devono sommare.
“oltre agli sforzi degli ultimi decenni per fare uscire
i fedeli dalla secolare passività”
Qualcuno, tra i soliti “teologi” d’assalto ovviamente,
si è permesso di usare addirittura la metafora dell’uscita dall’Egitto
per indicare questa nuova uscita dalla “secolare passività”.
Certo, roba da bambini dell’asilo, ma slogan corrente,
di una certa efficacia, che colpisce l’immaginazione dei semplici, secondo
l’antico adagio: calunnia, calunnia … qualcosa sempre rimane!
Ma ve l’immaginate questa “secolare passività”
di centinaia di milioni di fedeli cattolici?
Come dire che la Chiesa, fino all’arrivo dei “falsini”,
fino al colpo di stato dei modernisti, fino alla nuova dottrina e alla
nuova liturgia, non sarebbe mai esistita.
Che sciocchezze!
Ma … attenzione … non sottovalutiamo queste sciocchezze
… è con esse che è stata approntata la nuova chiesa di questi
nuovi preti.
“è necessario d'ora in poi condurre gli stessi
fedeli … alla conoscenza della Bibbia, libro chiuso da secoli”
Davvero “chiuso da secoli”, chiuso alla comprensione
degli stolti non “da secoli” … da sempre!
Qualunque sciocco che prenda un qualsiasi libro di storia,
anche senza capirci granché, legge che la Bibbia è stato
il libro di riferimento di centinaia di generazioni; che la Bibbia ha forgiato
la mente e i cuori di milioni di fedeli; che la Bibbia … aperta … è
il libro su cui hanno giurato milioni di uomini e donne cattoliche in milioni
di occasioni.
Solo per Falsini e per i “falsinisti” essa è sempre
stata un libro “chiuso”.
Certo … chiuso perché contenente la Parola di
Dio, che di per sé è chiusa, ferma, inamovibile, non manipolabile,
intoccabile … sacra, appunto. E solo coloro che sono desiderosi di agitarla,
di manipolarla, di violarla … di dissacrarla, appunto, … solo per loro
è sempre stato un “libro chiuso”.
E oggi? Oggi che è diventato un “libro aperto”,
che ne è della Bibbia? O meglio, che ne è delle tante diverse
versioni della Bibbia che circolano a destra e a manca, nelle mani di chiunque,
ad uso e consumo di chiunque?
Che ne è della Parola di Dio?
Ecco come ci siamo ridotti … dopo tanta “apertura”: con
i “falsini” che usano gli slogan del sottoprodotto culturale dei peggiori
nemici della Chiesa; con i “falsinisti” che si lanciano a spada tratta
contro due millenni di vita della Chiesa; con il “falsinismo” che pretende
di far passare per verità una delle più sciocche e delle
più bieche parole d’ordine del Principe di questo mondo.
“La musica e il canto, assieme a momenti di vero silenzio,
frutto di intensità interiore,”
Il silenzio frutto di intensità interiore?!
Ma dove mai s’è letta una fantasia del genere?
Ecco che il silenzio, mezzo per facilitare la meditazione,
atteggiamento distaccato dal mondo, che è rumore e distrazione,
via pratica per cogliere la silenziosa voce di Dio che grida nel
più profondo del nostro cuore … ecco che il silenzio diventa frutto.
Ecco che si capovolge la realtà. Ecco che dallo stupore che incute
timore e rispetto e lascia attoniti, muti e silenziosi, si passa
alla psicanalitica intensità interiore, dove si muovono convulsi
e imperiosi gli istinti più abietti, e che dovrebbe dare come “frutto”
il silenzio.
Una volta, quando qualcuno, inopportunamente, faceva
chiasso, gli si intimava: Silenzio! Si richiedeva la compostezza,
il rispetto, l’ordine!
Adesso, secondo Falsini, sarebbe proprio il tumultuoso
ribollire della “intensità interiore” che darebbe come frutto il
silenzio.
Roba da manicomio! O meglio … roba da psicologia dell’inconscio!
“dovranno accompagnare i movimenti dell'intera celebrazione
che appartiene a tutto il popolo sacerdotale.”
Come si vede, non esageriamo affatto: il silenzio
dovrebbe accompagnarsi alla musica e al canto (!?), e insieme dovrebbero
accompagnare i “movimenti”.
Chi riesce a raccapezzarsi in questo slancio sbrigliato
della fantasia?
Ma il meglio del fantastico viene quando risuona ancora
una volta “la celebrazione che appartiene a tutto il popolo sacerdotale”.
Questa espressione è come una sorta di sintesi
dell’“apostasia silenziosa” di cui parla lo stesso Giovanni Paolo II. L’apostasia
che ormai si muove indisturbata in mezzo alla Chiesa, che viene diffusa
attraverso i giornaletti pseudo-cattolici in tutte le parrocchie, che staziona
con tanto di lasciapassare fin nelle stanze del Vaticano, … non del Vaticano
II … quello vecchio, quello usato e gettato alle ortiche … no, del Vaticano,
a Roma, nei palazzi delle Congregazioni che un tempo si chiamavano “sacre”.
La celebrazione appartiene al popolo, dice Falsini,
e lo dice citando a suo sostegno il Vaticano II, e lo dice in Vaticano,
a Roma.
Il popolo di cui parla è il popolo sacerdotale,
cioè il popolo dei nuovi sacerdoti? o forse il popolo che è
fatto tutto di sacerdoti? o forse l’insieme dei sacerdoti che si è
fatto popolo? … abbandonando ogni cura sacerdotale, ogni dovere sacerdotale,
ogni voto sacerdotale, per darsi alle sbrigliate fantasie della nuova apostasia
silenziosa … dell’abominazione che è entrata nel luogo sacro?
Che ne è stato del sacerdote, ordinato secondo il
comando di Cristo e le disposizioni degli Apostoli, per svolgere in nome
del vescovo la funzione di sacrificatore in persona Christi?
Falsini dice che è diventato “presidente dell’assemblea”
ed esercita “l’arte del presiedere” (!?), e non fa “semplicemente
il ministro esemplare, tutto intento alla fedele esecuzione del rituale
e immerso nel suo colloquio con Dio” [povero scemo!].
Da ministro del culto ecco che il nuovo prete
è diventato regista della pantomima che si rappresenta in chiesa
insieme a tutto il “popolo sacerdotale” … “secondo un programma previsto”
che scaturisce dalle possibilità offerte dal Messale. Egli, il regista,
ha il compito di “disporre, organizzare e dirigere, …, la celebrazione
dall'inizio al termine”. Egli, il regista, dev’essere un “vero maestro
e una guida intelligente e diligente del suo popolo in cammino … di domenica
in domenica, in continua crescita per l’edificazione del tempio di Dio”.
E meno male che non c’era più spazio nella pagina,
perché altrimenti il Falsini ci avrebbe sommersi e soffocati con
le sue eresie e con le sue blasfemie, ma, anche con così poco, è
riuscito lo stesso a darci un’idea di come si possa distruggere in poche
righe tutto l’insegnamento della Chiesa.
Insomma, che cos’è la Messa per costoro? La Messa
è quella cosa che fanno i cattolici, la domenica, quando si riuniscono
in un posto tutti assieme, e, diretti da uno di loro che fa da regista,
si mettono tutti a camminare, percorrendo un pezzo di strada di domenica
in domenica, e crescendo (forse di statura) si danno all’edificazione di
una cosa che ancora non si sa come sia, ma che chiamano già tempio
di Dio.
Sfidiamo chiunque, sano di mente, a dimostrarci che non
è questo che dice il Falsini, che non è questo quello che
si ripete in tanti ambienti ecclesiali da quarant’anni, che non è
questo che di fatto si fa oggi nelle nostre chiese.
All’apostasia si aggiunge poi la demagogia.
Tralasciamo il prete che guida intelligentemente e diligentemente
il “suo” popolo in cammino: si tratta di un lapsus falsiniano. Il “suo”
popolo: altro che clericalismo, qui siamo all’aggettivo possessivo: il
tanto acclamato e accarezzato popolo di Dio ecco che improvvisamente scopriamo
che è il popolo del prete-presidente, in altre parole il popolo
di Falsini. Alla faccia della modestia!
Ma tralasciamo, e soffermiamoci a riflettere su questo
“popolo in cammino”.
In cammino! in cammino verso dove? in cammino
con quale meta? in cammino per quale strada?
Retorica, demagogia, pura invenzione intellettiva, elucubrazione
psichica!
Un tempo l’espressione “popolo in cammino” evocava
correttamente l’insieme dei figli di Dio che si sentivano in esilio in
questa valle di lacrime, che è il breve tempo della vita terrena,
e che si sforzavano di predisporre tutta la loro esistenza in vista del
“ritorno” alla loro vera “patria”, il cielo,ove avrebbero potuto finalmente
godere della vera vita, la vita eterna fatta della beata contemplazione
di Dio. E questo “popolo in cammino” era la stessa Chiesa pellegrina in
questo mondo che non è il suo, tutta volta al raggiungimento della
meta agognata: che non appartiene a questo mondo.
Nessuno si sentiva seriamente impegnato in un qualche
“cammino” terreno che avrebbe potuto portare a chissà quale illusorio
porto terreno, peraltro contingente al pari della stessa esistenza. L’accettazione
paziente e caritatevole delle destinazioni terrene veniva fatta propria
sempre e solo in vista della meta finale: la “remissionem peccatorum”,
la “resurrectionem mortuorum” e la “vitam venturi saeculi”.
Tolto tutto questo, o ridotto tutto questo ad una mera
prospettiva terrena, di quale cammino si parla?
È da quarant’anni che si parla di questo “popolo
in cammino” e basta guardarsi intorno per vedere in che stato siamo ridotti.
Per concludere, crediamo sia opportuno ricordare che tutte
queste concezioni moderne sulla Chiesa e sulla Messa, che ci vengono presentate
come delle stupefacenti novità e delle nobili aspirazioni da perseguire
con approfondimento e applicazione, non sono altro che vecchie fantasie
già predicate e praticate da quei cristiani che cinque secoli fa
pensarono di “protestare” contro la Chiesa cattolica e decisero di farsi
un’altra chiesa, con tanto di “pensatori”, “teologi”, “pastori”, “liturgie
rinnovate” e via dicendo.
Niente di nuovo sotto il sole. Anche se vi sono fin troppi
preti moderni che, tra ignoranza e malafede, vorrebbero farci credere a
chissà quale novità.
Ebbene … che ne è della “Protesta”, dei “Protestanti”
e del “Protestantesimo”?
Centinaia di sette e di conventicole. Continuo separativismo.
Diffuso indifferentismo. Esaltazione dell’individualismo. Esasperata religiosità.
Diffuso sensazionalismo. Disconoscimento della Madonna e dei Santi. … Senza
contare i disastri liturgici: sparizione o riduzione al minimo dei riti,
abolizione del sacerdozio, confusione dei ruoli tra uomini e donne, sentimentalismo
partecipativo. … E senza contare anche le conseguenze di ordine sociale
e morale che si sono generate nell’ambito del mondo “Protestante”, conseguenze
che sono servite bellamente ai piani di distruzione del Principe di questo
mondo e che ultimamente hanno ammorbato le menti e cuori di tanti cattolici.
Ora, ci sembra che sia estremamente facile capire che
in questi quarant’anni il famoso “popolo in cammino”, sia stato condotto
per mano in questa stessa direzione, e nella Chiesa abbia finito col diffondersi
questo “nuovo spirito conciliare” che non ha niente di nuovo e che ha molto
a che vedere con quel “fumo di Satana entrato nella Chiesa” di cui parlava
Paolo VI.
Riusciamo a comprendere, senza giustificarla affatto,
l’aspirazione dei vari “falsini”, ce ne facciamo perfino una ragione, ma
non possiamo esimerci dal dichiarare a gran voce che questa “nuova chiesa”
apostata e neoprotestante di questi "nuovi preti" non ci interessa, non
è la Chiesa Cattolica, non è la Chiesa dei nostri Padri,
non è e non potrà mai essere la nostra Chiesa.
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I
frutti del Concilio
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