NUOVI PRETI DELLA NUOVA CHIESA

IL NUOVO SANTUARIO DELLA 

MADONNA DEL DIVINO AMORE A ROMA

I tempi cambiano, non v'è alcun dubbio, i cambiamenti sono sotto gli occhi di tutti: chi potrebbe negare una tale realtà?
C'è solo il “piccolo problema” della lettura qualitativa del cambiamento.
Oggi va tanto di moda il convincimento che il “nuovo”, di per sé, è “bello”. 
Noi siamo convinti che il “bello” è solo ciò che è conforme alle leggi di Dio, solo ciò che riflette qualcosa del divino, e in quanto tale il bello è anche edificante perchè aiuta l'uomo a ricondursi a Dio.

Ci chiediamo: cosa c'è di bello in questo nuovo santuario della Madonna del Divino Amore?

Quello che salta agli occhi è quest'idea della dispersione, dello squallore che si vorrebbe gabellare per “semplicità”.
C'è invero tutto un abisso tra la semplicità delle chiese cistercensi, dove anche solo i muri danno il senso della trascendenza del divino, e la semplicità di questi locali “prefabbricati” affogati peraltro in una superilluminazione distrattiva e falsificante.

Il fatto è che oggi non è più bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace: come dire che l'elemento di riferimento non è più Dio, ma l'uomo. Non è più Dio con la sua immutabilità eterna, ma l'uomo con la sua indefinita e irrefrenabile mutabilità.

Ne abbiamo un esempio nell'uso tutto distorto e nient'affatto cattolico che in questo nuovo santuario si fa della “menorah” ebraica.
Alle spalle dell'altare è collocata una immagine della Madonna del Divino Amore, e sotto quest'immagine si vede un candelabro a sette braccia (la “menorah”, appunto).
A prima vista potrebbe non esserci niente di male, tanto più che nell'immagine dell'altare del vecchio santuario, proprio ai piedi del dipinto si notano sette luci disposte come nel candelabro suddetto.
Dove sta allora lo scandalo?

Come si può vedere ancora oggi, il vecchio altare, al pari di quasi tutti i vecchi altari, è addobbato con sei candele, tre per lato con al centro il Crocefisso.
I cattolici sanno (o dovrebbero sapere) che questa disposizione delle luci sull'altare è l'esatta riproduzione delle sette luci del candelabro ebraico.
La differenza sta nel fatto che nella disposizione cattolica si evidenzia tutta la differenza tra l'ebraismo e il cattolicesimo.
Cristo è venuto a rinnovare la Legge: il vecchio Israele è stato sostituito dal nuovo Israele. La vecchia luce centrale della “menorah” si è resa tangibile ai nostri occhi con l'Incarnazione del Figlio di Dio ed è divenuta la nuova luce del mondo col Sacrificio della Croce.
Ecco perché la Chiesa ha sempre usato le sette luci ove la centrale non poteva essere altro che il Crocefisso.

Si noti la particolare disposizione delle figure nel quadro che sta sopra l'altare antico e l'altare stesso:
in alto lo Spirito Santo, in mezzo la Madonna col Bambino (l'Incarnazione), sotto le sette luci con quella centrale che si accosta scendendo al Crocefisso che completa le sette luci dell'altare.

Non v'è dubbio che non può essere fatta alcuna confusione tra la “menorah” ebraica e le sette luci dell'altare cattolico, se non altro per non creare confusione nelle menti dei fedeli.

Cosa accade invece nel nuovo santuario? 
Si sostituiscono le sei luci e il Crocefisso con il candelabro a sette braccia che non è un simbolo cattolico.
Cosa si vuole suggerire ai fedeli?
Che in fondo non v'è alcuna differenza tra l'ebraismo e il cattolicesimo.

Ora, questa cattiva catechesi, che porta all'indifferentismo, è aggravata ancora di più dal fatto che scompare il simbolo centrale della nostra fede: il Crocefisso, e il tutto per un malinteso senso dell'ecumenismo che rasenta la follia e scade decisamente nella miscredenza.

E non ci si venga a parlare di “nuove sensibilità”, perché non riusciamo a comprendere che cosa ci sia in comune tra questo “luogo comune” senza un vero significato e i simboli della fede cattolica.
Ma soprattutto non possiamo accettare che nelle nostre chiese scompaiano i simboli della fede, e massimamente il Crocefisso, per far posto ai prodotti della “nuova sensibilità“.


 


 


 


 


 




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