NUOVI PRETI DELLA NUOVA CHIESA
Riportiamo il testo della lettera scritta da don Gino
Oliosi,
del clero di Verona,
a tutti i sacerdoti della Diocesi,
per comunicare loro il proprio dissenso circa lo svolgimento
e la conclusione del Sinodo diocesano che sta tenendosi
a Verona.
Il testo è stato pubblicato nel sito di Una Voce
delle Venezie
(http://www.unavoce-ve.it/02-05-21.htm)
Testo della lettera
Il nostro commento
Lettera aperta di don Gino Oliosi
AI MEMBRI DEL SINODO,
DEL CONSIGLIO PRESBITERALE E DELLA SUA SEGRETERIA
E A TUTTI I SACERDOTI DELLA DIOCESI DI VERONA
Il 13 febbraio 2005 i membri del Sinodo saranno chiamati a valutare
il cammino sinodale finora compiuto votando il testo con due sole possibilità
consentite: "approvo " o "non approvo". Il testo eventualmente approvato
dai sinodali verrà poi consegnato al Vescovo.
Nel "Direttorio per il ministero episcopale dei Vescovi" (nn. 172-175)
si legge:
"Il Vescovo fin dall'inizio del cammino sinodale dovrà
chiarire che i sinodali sono chiamati a prestare aiuto al Vescovo diocesano
con il loro parere e con il voto consultivo. La forma consultiva del voto
sta ad indicare che il Vescovo, pur riconoscendone l'importanza, è
libero di accogliere o meno le opinioni sinodali.
D'altra parte, egli non si discosterà da opinioni o voti espressi
in larga maggioranza, se non per gravi motivi di carattere dottrinale,
disciplinare o liturgico.
Il Vescovo chiarisca subito, qualora ve ne fosse bisogno, che non si
può mai contrapporre il Sinodo al Vescovo in forza di una pretesa
rappresentanza del Popolo di Dio.
Una volta convocato il Sinodo, il Vescovo, pur potendo delegare il
Vicario Generale o quello episcopale a presiedere singole sessioni. lo
diriga personalmente. In esso come maestro della Chiesa insegna, corregge,
discerne in modo che tutti aderiscano alla dottrina della Chiesa...
Il Vescovo farà in modo che i testi sinodali siano redatti con
formule precise, evitando di restare nel generico o in mere esortazioni.
Le dichiarazioni e i decreti sinodali dovranno essere sottoscritti
soltanto dal Vescovo.
Le espressioni usate nei documenti devono mostrare chiaramente che
nel Sinodo diocesano l'unico legislatore è il Vescovo diocesano.
Il Vescovo tenga presente che un decreto sinodale contrario al diritto
superiore è giuridicamente invalido...
Concluso il Sinodo, il Vescovo disporrà la trasmissione dei
decreti e delle dichiarazione al Metropolita e alla Conferenza Episcopale,
per favorire la comunione e l'armonia legislativa tra le Chiese particolari
di uno stesso ambito, ed invierà, attraverso la rappresentanza Pontificia,
ai Dicasteri interessati, alla Santa Sede, particolarmente alla Congregazione
per i Vescovi e a quella per l'Evangelizzazione dei Popoli, il Libro del
Sinodo".
Ci aiuta a comprendere e ad accogliere con fede questo cammino ecclesiale
di comunione gerarchica il num. 31 della bozza del Libro del Sinodo in
cui si legge:
"La comunione ecclesiale è intesa inscindibilmente come
unione a Cristo ed in Cristo; e unione fra i cristiani, nella Chiesa (Christi
Fideles Laici - n. 19). È l'unione a Cristo che genera l'unione
fraterna; questa è segno ed espressione viva di quella. Per questo,
la comunione ecclesiale comprende da subito e necessariamente la componente
gerarchica: il ministero ordinato, frutto dello Spirito, è destinato
alla Chiesa perché possa rappresentare sacramentalmente in essa
quella origine permanente da Cristo che costituisce il nucleo generatore
della sua fraternità. Il ministero ordinato presiede la Chiesa in
persona Christi capitis, per servire la Chiesa e per radunarla nello Spirito
Santo per messo del Vangelo e dei Sacramenti (Ibidem - n. 22).
Perciò il suo ministero è essenzialmente finalizzato
al sacerdozio regale di tutti i fedeli e a esso ordinato (Ibidem)".
* * * * *
Il 14 maggio 2005, vigilia di Pentecoste, si terrà la celebrazione
conclusiva in cattedrale e il Vescovo sottoscriverà e consegnerà
il Libro sinodale "con la sua personale autorità".
Inizierà così il momento normativo del Libro del Sinodo
da accogliere con fede poiché il primo modo di quella comunicazione
vera che Cristo è venuto a portare nel mondo avviene per la stessa
fedeltà alla vita della comunità ecclesiale e, per noi, alla
vita della Chiesa che è in Verona.
In tutti i tempi ogni cristiano arriva alle verità divine proposte
dalla Chiesa per una via ordinaria, che è la vita stessa della comunità.
La condizione è che essa sia veramente ecclesiale, cioè unita
al Vescovo, che è membro del Collegio episcopale presieduto dall'autorità
del Vescovo di Roma.
La sorgente normale di una conoscenza ultima sicura non si trova nello
Studio Teologico o nell'esegesi biblica (che potranno anche essere strumenti
preziosi in mano all'autorità che guida), ma nelle articolazioni
della vita comune della Chiesa legata al magistero ordinario del Papa e
dei Vescovi in comunione con lui. Il magistero ordinario, la cui continuità
dinamica si chiama "Tradizione", è lo strumento più grande
e più sicuro della comunicazione del vero nella vita della Chiesa.
Ma fino all'Assemblea del 13 febbraio 2005, i sinodali vivono il periodo
in cui sono chiamati a dare, "con propria e personale responsabilità
ecclesiale" (mons. Giampietro Mazzoni), la loro valutazione sulla bozza
del Libro del Sinodo, e sul percorso del cammino sinodale.
Il Vescovo, sentito il parere del Consiglio di Presidenza e perché
l'esperienza sinodale rifluisse già su tutta la diocesi, ha prolungato
i tempi dei Sinodo in modo che parrocchie e vicariati, guidati dai sinodali,
potessero "prendere contatto del libro sinodale prima della sua votazione
finale".
Al termine del ritiro di inizio d'anno ai sacerdoti il Vescovo ha dato
giustamente l'indicazione che la bozza del Libro del Sinodo, pur non avendo
le finalità di un Catechismo, sia in sintonia con la Dottrina di
fede del Catechismo della Chiesa cattolica.
Nel "Direttorio per il ministero episcopale dei Vescovi" (n. 139) si
legge:
"Nella sua duplice dimensione di atto di governo episcopale
ed evento di comunione, il Sinodo è mezzo idoneo per applicare e
adattare le leggi e le norme della Chiesa universale alla situazione particolare
della diocesi, indicando i metodi che occorra adottare nel lavoro apostolico
diocesano, superando le difficoltà inerenti all'apostolato e al
governo, animando opere e iniziative di carattere generale, proponendo
la retta dottrina e correggendo. se esistessero, gli errori sulla fede
e la morale".
Espongo ora le ragioni di una mia personale responsabilità ecclesiale,
avvallata anche da alcuni che mi hanno eletto al Consiglio presbiterale
e alla sua Segreteria, per cui ritengo di esprimere la mia valutazione
non votando né a favore né contro, ma dando le dimissioni
e dal Consiglio Presbiterale e dalla Segreteria e da membro del Sinodo
a motivo di rischi visti emergere nel percorso e non adeguatamente risolti
e non risolvibili sottoponendo tutto a votazione senza distinguere tra
dottrina e modalità di attuazione concreta in Diocesi: la votazione
sulla modalità pastorale è legittima, ma la dottrina non
è mai sottoponibile al voto sinodale.
Dichiaro subito che accoglierò con fede i decreti e le dichiarazioni
sinodali che il Vescovo, "unico legislatore", darà il 14 maggio
2005. Spero che nella stesura finale i testi siano redatti con "formule
precise", che per ora mancano, evitando di restare... "nel generico o in
mere esortazioni " e ribadisco ancora che rimarrà sempre diversa
l'autorevolezza dottrinale da quella pastorale.
- 1 - Il primo rischio è di rendere
normativa a livello diocesano non la Dottrina di fede del Catechismo, di
cui sta per uscire un Compendio, ma una teologia e precisamente quella
dello Studio Teologico e dell'Istituto di Scienze Religiose. È
una teologa a giudizio dal Vescovo legittima, ma non per questo è
lecito escludere altre posizioni teologico-pastorali e valutazioni critiche,
anche perché come ogni posizione teologico-pastorale ha i suoi limiti
e i suoi rischi in rapporto alla Dottrina di fede.
Durante il percorso sinodale c'è stata la prevalenza quasi esclusiva
di una certa linea sia nei responsabili di commissioni e sia negli animatori,
col risultato positivo che molti dell'area del "dissenso" ecclesiale hanno
sempre potuto esprimere il loro pensiero, con un ascolto reciproco rispettoso
e questo risultato occorre che non vada disperso nel prossimo cammino sinodale
di Chiesa.
Non si è percepito molto che il Vescovo, come avrebbe dovuto,
abbia diretto personalmente il Sinodo, come prescrive il "Direttorio per
il ministero episcopale dei Vescovi" (n. 139); "correggendo. se esistessero,
gli errori sulla fede e la morale". Cito un caso. Da una sinodale è
Stato proposto che "come i religiosi prima della professione perpetua hanno
il noviziato, è auspicabile che i futuri sposi abbiano, prima del
matrimonio, un periodo di convivenza". Con questa proposta la convivenza
non viene solo tollerata, o capita, ma viene elevata a una dignità
presacramentale. Il Vescovo, presente, non è intervenuto per escludere
questa proposta come contraria alla Dottrina morale della Chiesa. Non solo,
ma, concludendo la seduta ha affermato: "Anche quest'oggi abbiamo sentito
tutte belle proposte... " tralasciando un doveroso giudizio negativo sulla
proposta sopra citata.
L'indicazione del Vescovo di valutare la bozza del Libro del Sinodo
alla luce del Catechismo della Chiesa cattolica è stata del tutto
opportuna, ma l'aggiunta: "senza stravolgere il Libro del Sinodo " ha lasciato
spazio a una oggettiva ambiguità affiorata in diverse occasioni.
Certo se il richiamo di valutare la bozza del Libro del Sinodo alla
luce del Catechismo della Chiesa Cattolica fosse stato fatto fin dall'inizio
si sarebbe evitata quell'ambiguità che è affiorata in più
occasioni. A questo era finalizzata la relazione introduttiva del card.
Angelo Scola dell' 11 ottobre 2003 su "Il discernimento come esperienza
ecclesiale" all'avvio delle assemblee sinodali. Il taglio dato alla conferenza
dal card. Scola è stato di "una teologia" certamente legittima,
anche se non da tutti facilmente comprensibile, con molti elementi dottrinali
del Catechismo, ma pur sempre "una teologia" nell'attuale pluralità
di teologie.
E a Verona, ormai, la grande maggioranza dei sinodali si è rivelata
iniziata e assuefatta alla teologia dello Studio Teologico e dell'Istituto
di Scienze Religiose e il Vescovo non potrà discostarsi molto dai
voti espressi in larga maggioranza se non "per gravi motivi dottrinali,
disciplinari o liturgici".
Non ritengo che la base diocesana sia su questa linea. A livello, per
esempio, della preghiera introduttiva delle assemblee e dei canti, la novità
ha prevalso sulla continuità con il patrimonio spirituale e musicale
tradizionale.
Il Catechismo della Chiesa cattolica è norma per i Vescovi nell'elaborare
i catechismi particolari, normativo per i teologi nel loro insegnamento
pastorale e per tutti fedeli nell'impegno della nuova evangelizzazione.
Perché non accogliere, in spirito di attenzione e di comunione anche
con le minoranze, questa indicazione del Vescovo inserendola come "NOTA
PREVIA AL LIBRO DEL SINODO" (analoga alla "Nota previa" che il Concilio
ha anteposto alla "Lumen gentium") per indicarne, senza equivoci, i criteri
di lettura? Chi può aver paura di ciò che fa chiarezza? E
perché... ?
Mai una teologia, per quanto legittima, può essere imposta come
normativa anche perché, di solito, non dura più di una generazione.
Non così la Dottrina di fede che accompagna in continuità
dinamica o Tradizione il progredire di Cristo nella storia.
Quanto la Chiesa propone oggi con il Catechismo non può essere
in contrasto con quanto insegnava mille anni fa, o con il Catechismo maggiore
del Concilio di Trento o con quello minore di san Pio X, e non è
neanche lontanamente ipotizzabile, su ciò che riguarda la dottrina
di verità fondamentali, una decadenza rispetto al suo primitivo
messaggio apostolico, ma solo un approfondimento di fronte a nuovi problemi
e inedite possibilità sotto la preminente e decisiva azione guida
dello Spirito e del Magistero.
Purtroppo di questa richiesta del Vescovo nel mettere così a
contatto parrocchie e vicariati con la bozza del Libro Sinodale alla luce
del Catechismo prima della votazione finale non si è avuto alcun
cenno nell'Assemblea del 21 novembre.
Il problema si è riproposto nell'ultimo Consiglio presbiterale
e nella Segreteria a proposito di una ristrutturazione organica dell'Istituto
di Pastorale "Gian Matteo Giberti" in un "Forum" di pastorale diocesana.
Ho osservato che questo era già stato esperimentato nel 1970,
in un momento di "vacatio" della modalità dottrinale del Piccolo
catechismo di san Pio X, per recepire i lineamenti antropologici conciliari
senza discontinuità dottrinale e la ricchezza biblico - liturgica
- ecumenica del Vaticano II. Una normativa, però, c'era ed era il
Credo del popolo di Dio di Paolo VI del 1968. Ma l'entusiasmo troppo acritico
per una Chiesa sempre da riformare, ci ha portato (e a questo proposito
riconosco anche le mie responsabilità come Direttore dello Studio
Teologico, del Giberti e segretario della scuola di Teologia per laici
e religiosi) a una grave omissione in relazione a questo riferimento normativo
di dottrina di fede.
Ma l'11 ottobre 1992 Papa Giovanni Paolo II, con la costituzione apostolica
Fidei depositum ha dato alla Chiesa una dottrina della fede normativa con
il Catechismo della Chiesa cattolica, alla cui preparazione hanno contribuito
tutte le componenti della Chiesa (Vescovi, sacerdoti, religiosi e laici).
Ma come è ormai divenuto costume non solo nel Sinodo ma anche nel
Consiglio Presbiterale, oltre agli interventi che liberamente tutti possono
fare, in un clima di sereno ascolto, manca la fatica non facile, ma necessaria,
di un comune giudizio per una soluzione più o meno condivisa, come
dovrebbe avvenire in ogni assemblea, e quindi in un Consiglio Presbiterale,
per una concreta e libera operosità. Anzi ogni giudizio viene a
priori escluso per non rischiare tensioni, dimenticando che senza tendere
a un giudizio comune tra diversi apporti non può emergere la dimensione
veritativa e quindi libere scelte concrete.
Nel Consiglio presbiterale di giugno sembrava condivisa (perché
non votare più spesso le posizioni che si formano?), alla luce di
ciò che è avvenuto nel Consiglio presbiterale di Bologna,
una proposta per una spiritualità evangelizzatrice di presbiteri
diocesani all'inizio del terzo millennio. Vi ho lavorato tutta l'estate
con un contributo sul quale il Vescovo mi ha inviato una lettera di incoraggiamento.
Speravo in un gruppo di lavoro a settembre e mi sono sentito dire dal Vicario
Generale: "Ma che fine ti proponi? ". Dico questo per segnalare un forte
disagio diffuso tra i membri del Consiglio Presbiterale che spero venga
superato.
- 2 - Il secondo rischio sta nel "non affidare
ai chierici un ruolo prevalente, secondo la loro unzione nella comunione
ecclesiale" (Direttorio... n. 170). La composizione dei membri del
Sinodo riflette abbastanza la diversità di vocazioni, di impegni
apostolici, di origine sociale e geografica che caratterizza la diocesi.
E durante le assemblee sinodali si è constatato che il senso della
fede, richiamato dal Vaticano II (cioè la capacità soprannaturale
di tutta la Chiesa di penetrare nel mistero della rivelazione), è
da tale azione sorretto e guidato "al possesso di tutta la verità"
riconducendo tutto nella sfera soprannaturale, dove preminente e decisiva
è l'azione-guida dello Spirito Santo (Gv 16,13). Ma questo non toglie
che sia il ministero ordinato a presiedere la Chiesa in persona di Cristo
Capo a servizio del sacerdozio regale di tutti i fedeli, senza doversi
assegnare un ruolo esclusivamente attivo all'uno e uno esclusivamente passivo
all'altro, ma tentando e ritentando anzi una autorevolezza condivisa.
Nella sua duplice dimensione di "atto di governo episcopale con i presbiteri
ed evento di comunione con i fedeli", questo secondo aspetto ha occupato
quasi tutto e già si prospetta, da alcuni, di eliminare il Consiglio
presbiterale o la Congrega lasciando solo il Consiglio pastorale diocesano
e vicariale, come pure la formazione permanente insieme, fedeli laici,
fedeli consacrati e fedeli presbiteri. È una virtualità possibile,
ma non si possono negare i rischi, primo tra tutti quello di mettere in
ombra il ruolo del sacerdozio ministeriale.
- 3 - Il terzo rischio è che le numerose
richieste nelle prime assemblee sinodali di affrontare i problemi dei movimenti
ecclesiali, delle nuove comunità e soprattutto quello attualmente
spinoso del rinnovamento carismatico cattolico, proveniente dal movimento
Pentecostale protestante, non abbia trovato una adeguata attenzione. "L'aspetto
istituzionale e quello carismatico - ha ricordato il Papa il 30 maggio
1998 - sono quasi coessenziali alla costituzione della Chiesa e concorrono,
anche se in modo diverso, alla sua vita, al suo Rinnovamento e alla santificazione
del popolo di Dio. È da questa provvidenziale riscoperta della dimensione
carismatica della Chiesa che, prima e dopo il Concilio, si è affermata
una singolare linea di sviluppo dei movimenti ecclesiali e delle nuove
comunità".
Il Papa sottolinea che i movimenti, le nuove comunità e soprattutto
il Rinnovamento carismatico cattolico sono una novità inattesa che
suscita anche tensioni: "Per loro natura, i carismi sono comunicativi e
fanno nascere quella 'affinità spirituale tra le persone' e quell'amicizia
in Cristo che dà origine ai 'movimenti '. Il passaggio dal carisma
originario al movimento avviene per la misteriosa attrattiva esercitata
dal fondatore su quanti si lasciano coinvolgere nella sua esperienza spirituale.
In tal modo i movimenti riconosciuti ufficialmente dall'autorità
ecclesiastica si propongono come orme di autorealizzazione e riflessi dell'unica
Chiesa. La loro nascita e diffusione ha recato nella vita della Chiesa
una novità inattesa, e talora persino dirompente. Ciò non
ha mancato di suscitare interrogativi, disagi e tensioni; talora ha comportato
presunzioni e intemperanze da un lato, e non pochi pregiudizi e riserve
dall'altro. È stato un periodo di prova per la loro fedeltà,
un'occasione importante per verificare la tenuta dei loro carismi. Oggi
dinnanzi a voi si apre una tappa nuova: quella della maturità ecclesiale.
Ciò non vuol dire che tutti i problemi siano stati risolti. È,
piuttosto, una sfida. Una via da percorrere. La Chiesa si aspetta da voi
frutti 'maturi' di comunione di impegno".
È fuori dubbio che nell'attuale situazione storica la parrocchia
abbia limiti obiettivi per rispondere alla domanda di salvezza, limiti
da non imputare totalmente all'imperizia o alla negligenza dei pastori.
È per questo che nella Chiesa esistono e accadono nuove possibilità
di incontro con Cristo, altri luoghi in cui il soggetto cristiano può
essere rigenerato. Questa possibilità, oggi rappresentata soprattutto
da movimenti e dalle aggregazioni ecclesiali carismatiche, va difesa e
gioiosamente accolta, soprattutto in un momento sinodale. Parrocchia e
movimenti hanno compiti diversi; la parrocchia e l'Azione Cattolica assicurano
l'annuncio cristiano e la celebrazione del mistero a tutti coloro che abitano
in un preciso territorio; i movimenti riguardano solo le persone dei battezzati
che ne condividono il carisma.
Salvo un tenerne conto nominale insieme all'Azione Cattolica, alle
Associazioni previste dal Codice, il problema, la natura, la collocazione
dei movimenti in rapporto alla parrocchia non è neppure affrontato
nel Libro del Sinodo, nonostante tanti interventi e richieste, soprattutto
all'inizio del percorso sinodale. Quante volte mi sono permesso di chiederlo
nel Consiglio Presbiterale anche perché sta crescendo, soprattutto
in rapporto alle varie forme di Rinnovamento carismatico cattolico il problema
pastorale degli Esorcismi, delle Preghiere di liberazione!
Ci sono interventi poi come per la Comunità "Vita nuova " di
Peschiera dove un confronto nel Consiglio presbiterale avrebbe potuto evitare
o attenuare molte attuali situazioni di disagio. In Segreteria del Consiglio
presbiterale si era concordato con il Vescovo un incontro con mons. Corti
sul "Rapporto tra Movimenti, Nuove Comunità e Parrocchia". Ma senza
sapere il perché Mons. Corti ha parlato della "Parrocchia missionaria".
Nell'ultimo Consiglio presbiterale, rifacendomi a due fatti (cioè
a Loreto e a un incontro del Vescovo in Cattedrale con i neo-catecumenali
dove ha riconosciuto loro uno spazio diocesano e parrocchiale), mi sono
sentito irriso, quasi fossi un patito di questo problema, e il Vescovo
è intervenuto dicendo: "È dal 1998 che il Papa lo chiede".
- 4 - Il quarto rischio, quello nell'ambito
ecumenico si coglie nel n. 184 della bozza del Libro del Sinodo:
"Nella prospettiva del Concilio Vaticano II la Chiesa Cattolica, riconoscendo
il primato della Parola, prima ancora di esserne ministra si comprende
e rimane creatura della Parola (?), discepola che mentre annuncia si lascia
formare dall'unica Parola di Cristo, evitando di fissare se stessa come
criterio di misura".
Qual è il senso di questa misteriosa espressione, comprensibile
solo se si vuol sottolineare il suo carattere sacramentale? Per evitare
un relativismo ecclesiologico, oggi diffuso in tutte le confessioni anche
a causa di un comune indifferentismo verso la propria identità confessionale,
è necessario riprendere i punti salienti che permettono di riconoscere
la Chiesa cattolica come la vera continuazione storica dalla Chiesa che
Cristo ha fondato. Questo tema è stato affrontato dal Concilio Vaticano
II il quale nella Lumen gentium ha scritto: "È questa l'unica Chiesa
di Cristo che il Salvatore nostro, dopo la risurrezione, diede da pascere
a Pietro, affidandone a lui e agli altri la diffusione e la guida; egli
l'ha eretta per sempre come colonna e fondamento della verità. Questa
Chiesa, costituita e organizzata in questo modo come società, sussiste
nella Chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai Vescovi
in comunione con lui " (LG - n. 8).
Nessun dubbio, pertanto, che i Padri abbiano voluto riaffermare la continuità
storica della Chiesa di Cristo nella Chiesa cattolica malgrado e nonostante
le divisioni dei cristiani. Ciò che importa, inoltre, è osservare
il fatto che in questo modo il Concilio riafferma che la vera Chiesa di
Cristo non è affatto divisa: essa rimane "una, santa. cattolica
e apostolica". Divisi sono i cristiani, non la Chiesa; essa nella sua natura
e nella sua sostanza rimane quella che Cristo ha fondato e questa permane
senza interruzione nella Chiesa cattolica.
Le divisioni tra i cristiani, tuttavia, non sono indolori, perché
impediscono che la "Chiesa attui la pienezza della cattolicità ad
essa propria" (Unitatis redintegratio - n. 4). Ciò significa che
l'unità interna della Chiesa è sempre salvaguardata per la
presenza dello Spirito Santo, ma ne deriva una minore efficacia, nella
credibilità che siamo chiamati ad esprimere.
È importante comunque verificare più da vicino i motivi
di unità e quelli di divisione che caratterizzano la Chiesa cattolica
dalle altre comunità. In primo piano vi sono le Chiese ortodosse,
presenti anche qui a Verona. E in rapporto all'enciclica "Ecclesia de Eucaristia"
abbiamo constatato che la comunione con loro è così profonda
che manca davvero poco per poter celebrare insieme un giorno l'Eucaristia.
Diversa l'identità con le comunità che sono derivate
dalla Riforma. È per questi motivi che il Concilio e la recente
Dichiarazione "Dominus Jesus" (2000) riservano solo alla Chiesa cattolica
e a quelle ortodosse il titolo di "chiesa", mentre si preferisce chiamare
con il termine "comunità ecclesiali" tutte le altre provenienti
dalla Riforma.
Questa distinzione nulla toglie all'autocomprensione ecclesiale che
queste comunità hanno; d'altronde, è necessario che i termini
da utilizzare indichino con chiarezza e libertà la realtà
significata.
Ciò che si vuole indicare nell'uso del linguaggio è che
esiste ancora una grande differenza tra queste comunità per realizzare
l'essere "chiesa". Certo l'impegno ecumenico è tra gli obiettivi
primari nella vita della Chiesa cattolica; è un cammino lungo e
spesso difficile, ma necessario per corrispondere alla missione che Gesù
ci ha affidato. E questo aspetto al Sinodo è emerso molto bene perché
la verità non deve mai offendere quando è presentata nella
carità; essa, piuttosto, fa prendere coscienza delle responsabilità
che tutti abbiamo e del cammino che si deve percorrere.
Ma occorre essere liberi e convinti della propria identità di
cattolici (e questo non è sufficientemente emerso nel Sinodo) di
ortodossi, di cristiani riformati. Ricordo con gratitudine la testimonianza
del pastore valdese Enzo Bertalot cui nel 1969 lo Studio Teologico aveva
affidato il corso sull'ecumenismo con don Olivo Bolzon. Ai chierici di
allora, cui non pareva vero di evidenziare con esuberanza giovanile tutti
i difetti della propria Chiesa cattolica, Bertalot, con grande onestà
disse:
"Per ascoltare critiche alla Chiesa cattolica basta che rimanga nella
mia confessione valdese. Qui mi attendo di sentire da voi perché
amate la Chiesa cattolica e vi rimanete fedeli, da voi vorrei cogliere
elementi positivi non solo in rapporto all'ascolto Parola che noi, comunità
della Riforma, sottolinearne più di voi perché ci sentiamo
creature della Parola, ma anche in riferimento alla vita sacramentale cattolica
e ortodossa, al tesoro delle vostre tradizioni come io sono legato a quelle
della Riforma. L'identità delle comunità che sono derivate
dalla Riforma è diversa da quella della Chiesa cattolica e di quelle
ortodosse. Solo l'unica fede in Cristo e l'unico battesimo non devono farci
perdere di vista l'unica speranza a cui tutti siamo chiamati e per la quale
siamo già uniti, nonostante tutte le nostre peccaminose divisioni".
- 5 - Il quinto rischio è che
dal percorso sinodale e dal Libro del Sinodo emerga un volto di Chiesa
con l'assenza totale della connotazione mariana. "In Maria, che 'brilla
innanzi al Popolo di Dio pellegrinante sulla terra'. il Vescovo contempla
ciò che la Chiesa è nel suo mistero, vede già raggiunta
la perfezione alla santità alla quale egli deve rendere con tutte
le sue forze e la addita come modello di intima unione con Dio ai fedeli
che gli sono affidati... Sarà proprio l'Eucaristia, 'fonte e culmine
di tutta l'evangelizzazione', alla quale sono strettamente uniti tutti
i Sacramenti a far sì che la devozione mariana del Vescovo sia esemplarmente
riferita alla Liturgia, dove la Vergine ha una particolare presenza nella
celebrazione dei misteri della salvezza ed è per tutta la Chiesa
modello esemplare dell'ascolto e della preghiera, dell'offerta e della
maternità spirituale" (Direttorio... - n. 35).
sac. Gino Oliosi
POST-SCRIPTUM
A - Anche se con un certo dispiacere, sento il dovere di far sapere
a tutti voi, miei Confratelli Sacerdoti, che, rivoltomi alla Segreteria
del Sinodo per avere gli indirizzi dei Sinodali, ai quali desideravo far
pervenire in spirito di dialogo fraterno queste mie osservazioni, mi son
sentito dire che non potevano darmeli. Ho avuto la netta sensazione di
essere considerato come una persona pericolosa, quasi attentassi a sovvertire
un risultato già faticosamente acquisito da alcuni... e che per
nessuna ragione si vuol mettere in discussione. Mi chiedo: Ma è
già stato deciso il risultato finale dei Sinodo? Ed eventualmente,
da chi? E ancora... E fraternità questa? E dialogo? E capacità
di ascolto? E capacità di confronto?
B - Perché i risultati finali del Sinodo non diventino in qualche
modo un piccolo "colpo di stato" perpetrato da pochi privilegiati e che
porterebbe per i prossimi decenni dannose conseguenze per la Chiesa che
è in Verona, chiedo anche a te di far sentire la tua voce col Vescovo.
A tale scopo mi permetto di suggerirti una traccia:
"Rev.mo Padre Flavio Roberto.
il 13 feb. 2005 i sinodali sono chiamati a votare il testo della bozza
del Libro del Sinodo e il 14 maggio 2005, Vigilia di Pentecoste, Lei lo
promulgherà 'con la Sua autorità personale.
Sento anch'io il dovere di partecipare a questo avvenimento della Chiesa
che è in Verona con la mia responsabilità ecclesiale, suggerendo
che l'indicazione che Lei ha giustamente dato nell'ottobre del 2004, al
termine del ritiro dei sacerdoti, di valutare la bozza del Libro del Sinodo
alla luce del Catechismo della Chiesa Cattolica, di cui uscirà tra
breve il Compendio, diventi la "NOTA PREVIA DEL LIBRO DEL SINODO".
La sorgente normale di una conoscenza ultima non può essere
lo Studio Teologico o l'esegesi biblica ? che possono essere strumenti
preziosi in mano all'Autorità che deve guidare - ma le articolazioni
della vita comune della Chiesa legate al magistero ordinario del Papa e
dei Vescovi in comunione con Lui e cioè, oggi, la Dottrina di fede
del Catechismo.
Ritengo che questo sia un valido contributo alla comunione ecclesiale
intesa inscindibilmente come l'unione a Cristo e in Cristo, e unione fra
i cristiani nella Chiesa' (Christi Fideles Laici - n. 19). Ringrazio per
l'attenzione."
* * * * *
Può essere considerato causa di "rottura di comunione" (è
il rilievo fattomi da mons. Fiorio in segreteria) uno come me che cerca
che la volontà che il Vescovo ha già saggiamente espresso
trovi piena attuazione?
La "rottura di comunione" non sta, semmai, nell'impedire che il Vescovo
possa esplicare in piena libertà il suo ruolo guida? Lascio a voi
la risposta.
sac. Gino Oliosi
Nostro commento
Come è facile constatare, don Gino Oliosi, pur
con la circospezione che richiede una comunicazione come la sua, denuncia
alcuni dei tanti mali che affliggono la Chiesa a partire dal Concilio.
Si fa della pastorale stravolgendo tranquillamente la dottrina; si lascia
sempre più spazio ad una concezione evolutiva dell’insegnamento
cristiano avendo in vista solo la soddisfazione personale o di gruppo;
con la scusa dell’adattamento al mondo (che è già una grave
violazione dell’insegnamento di Nostro Signore) si fanno passare le più
stupide concezioni correnti, talvolta addirittura già in parte superate
dalla stessa pratica laica ordinaria, considerando trascurabile il loro
contrasto con la dottrina cattolica.
Purtroppo si tratta di una situazione che va sempre più
aggravandosi, soprattutto perché non si dipana piú lungo
prese di posizione gridate e pretese dal singolo o dal gruppo (soprattutto
da parte dei chierici che si definiscono specialisti in questo o in quel
campo), ma si muove in maniera subdola e dissimulata appoggiandosi sulla
miriade di documenti prodotti in questi ultimi quarant’anni ove c’è
posto per tutto e, soprattutto, ove si può riuscire a trovare una
qualche giustificazione per qualsiasi nuova creazione, o scelleratezza
che dir si voglia, del pensiero ecclesiale moderno.
In questa lettera don Gino Oliosi elenca 5 problemi
di non poco conto, che ritiene saranno inseriti nel documento sinodale
definitivo con tutte le deviazioni che comportano dal punto di vista dottrinale.
1 - Da una sinodale è Stato proposto che "come
i religiosi prima della professione perpetua hanno il noviziato, è
auspicabile che i futuri sposi abbiano, prima del matrimonio, un periodo
di convivenza".
Questa sorta di normalizzazione del concubinato prematrimoniale
non deve però stupire minimamente. Certo, se ci si riferisce ai
documenti ufficiali della Chiesa, esso non ha diritto di esistenza all’interno
dell’insegnamento cattolico, ma se si pone mente a quanto si “pratica”
nelle parrocchie della Chiesa Cattolica (e qui sono da intendere tutte
le parrocchie e non solo le parrocchie italiane o alcune parrocchie di
certe province italiane o straniere) non credo che si possa negare che
la convivenza prematrimoniale sia una prassi ormai consolidata.
In effetti, è necessario ammettere che sia giunto
il momento di puntualizzare che non è dalla lettura dei documenti
che si può giudicare della conduzione pastorale delle diocesi e
dell'intera Chiesa, comprese le ricadute di tale conduzione sulla dottrina
e sulla catechesi, bensì proprio dall’esame della diffusa “pratica”
della fede, ormai ampiamente avallata dagli Ordinari anche in tutti quei
suoi risvolti che fanno a pugni con l’insegnamento di Nostro Signore.
Allo stato delle cose, è inutile continuare a
richiamarsi a questo o a quel documento. La definita “desistenza” dell’autorità,
a tutti i livelli, ha trasformato le disposizioni prescrittive dei documenti
della Chiesa in mero esercizio verbale o di scrittura. Ognuno in questa
nuova Chiesa fa come gli pare e sembra proprio che non vi sia la capacità
di reagire decisamente contro tale andazzo, pure a fronte di tante manifestazioni
di buona volontà.
2 - Il secondo rischio sta nel "non affidare ai chierici
un ruolo prevalente, secondo la loro unzione nella comunione ecclesiale".
Altro punto dolente che si cerca di minimizzare e che,
a onor del vero, il semplice fedele non avverte neanche più come
tale dopo quarant’anni di equivoca predicazione sul cosiddetto “sacerdozio
comune” inteso alla maniera conciliare.
E qui non si può certo negare che questo problema
trovi la sua causa prima negli stessi documenti conciliari, i quali con
la loro equivocità e la loro reticenza hanno permesso il diffondersi
di una dottrina dell’Ordine che è tutta derivata dal mondo “protestante”
e che è tutta in contrasto con l’insegnamento della Chiesa.
Anche qui, chi sarebbe davvero in grado di affermare
onestamente che la dottrina della Chiesa è rimasta quella di sempre
per il semplice fatto che si riesca ad estrapolare frasi, richiami e riferimenti
in nota, dalle tonnellate di dichiarazioni prodotte da ogni e qualsivoglia
consesso ecclesiale?
Tra chierichette e liberi lettori, tra ministri straordinari
e collaboratori in presbiterio, tra animatori e consiglieri a tutti i livelli,
tra scambi di funzioni e supplenze straordinarie, chi è oggi in
grado di affermare qual è il compito dei chierici e qual è
quello dei laici in seno alla Chiesa, financo nell’amministrazione dei
Sacramenti e nella celebrazione dell’Eucaristia?
E questa pratica volutamente equivoca non interessa solo
qualche sparuta parrocchia retta da qualche bizzarro prete moderno, no!,
perché essa viene praticata ai più alti livelli con un totale
sprezzo del pericolo e un completo indifferentismo.
3 - Il terzo punto riguarda i movimenti ecclesiali
e i cosiddetti gruppi carismatici.
Non v’è dubbio che la Chiesa non potrebbe essere
mai un corpus piattamente uniforme e rigidamente statico, ed infatti non
è mai stata nulla di simile; se non altro per la sua intrinseca
“cattolicità”, che va intesa nella sua duplice valenza di organismo
valido per l’universo intero e nel contempo composto dalle molteplici diversità
divenienti dei vari organismi umani presenti in questo stesso universo.
Ma questo non ha mai significato per la Chiesa che la sua stessa esistenza
dovesse dipendere dalla varietà, dalla molteplicità e dal
continuo cambiamento, né la Chiesa ha mai anche solo pensato di
dover soggiacere alle mutevoli sensazioni scaturenti dalle sue molteplici
componenti, né tampoco Essa ha mai supposto che la verità,
di cui è depositaria e custode, potesse dipendere dal divenire degli
uomini che ad Essa dicono di rifarsi.
Oggi invece, grazie al Concilio e alle sue applicazioni,
siano esse mosse dalla buona fede o dalla mala fede dei singoli e dei gruppi,
ogni “creazione” umana è bene accetta; magari ad experimentum,
per poi consolidarsi in prassi ordinaria indipendentemente dalla rispondenza
con la dottrina della Chiesa.
Anzi, la tendenza che continua ad affermarsi consiste
nel cambiare (o adattare, come si suol dire eufemisticamente) la dottrina
per star dietro alle “creazioni” umane, sia con la scusa che in fondo è
lo Spirito Santo che “soffia dove vuole” sia con la pretesa di considerare
che la vera tradizione è la cosiddetta “tradizione vivente”.
In realtà, con la scusa della “tradizione vivente”
si continuano ad avallare le pratiche e le predicazioni più strambe
e più difformi dall’insegnamento del Signore Gesù.
Una volta, anche sulla base del semplice buonsenso, era
tacito che si dovesse ritenere per vero tutto ciò che per tale era
stato ritenuto “sempre, dovunque e da tutti”; oggi ci si sforza di fare
passare per vero tutto ciò che per tale è ritenuto ora da
questo ora da quello, ora qua ora là, considerando che tale supposto
“vero” possa mutare a seconda del tempo e dello spazio.
E giù con i “mea culpa”, col “siamo tutti fratelli”,
con gli ecumenici incontri tra la verità e l’errore, per giungere
perfino a far assurgere al rango di scopo principale della Chiesa il perseguimento
della felicità e della pace su questa terra.
4 - Il quarto rischio, quello nell'ambito ecumenico
si coglie nel n. 184 della bozza del Libro del Sinodo:
"Nella prospettiva del Concilio Vaticano II la Chiesa
Cattolica, riconoscendo il primato della Parola, prima ancora di esserne
ministra si comprende e rimane creatura della Parola (???), discepola che
mentre annuncia si lascia formare dall'unica Parola di Cristo, evitando
di fissare se stessa come criterio di misura".
E lo stesso don Gino Oliosi si chiede quale mai possa
essere il vero significato di una espressione come questa!
In realtà si tratta di una delle tante espressioni
volutamente equivoche ormai in uso nella Chiesa cattolica proprio a partire
dal Concilio.
Il vostro parlare sia “si si no no”, ciò
che è in più viene dal maligno: dice il Signore.
Questa è la parola di Dio, riportata nei Vangeli
e da sempre custodita dalla Santa Chiesa.
Cosa è detto invece in questa espressione che
non osa neanche essere chiara per timore di ancora residue legittime reazioni?
La Chiesa non è la custode della parola di Dio,
perché è innanzi tutto una entità continuamente mutevole,
sempre pronta ad adattarsi ai più diversi convincimenti che scaturiscono
dalla libera interpretazione dei Vangeli operata da chiunque per il semplice
fatto di esistere.
Non è un paradosso, ma è l’acquisizione
inavvertita (e tante volte colpevolmente voluta) della predicazione eretica
e diabolica di Lutero e compagni. Dopo quasi cinquecento anni finalmente
tanti uomini di Chiesa si sono arresi alla più comoda pratica della
parola che “forma continuamente” senza mai fissare criteri di misura, perché
l’unico criterio di misura è il libero esame, la libera coscienza
e l’incessante divenire: Francia o Spagna basta che se magna!
Non meravigli dunque se i nuovi preti della nuova chiesa
non perdono occasione per mettere in essere fiumi di parole che sommergono
e inabissano perfino la celebrazione eucaristica. In fondo non hanno fatto
altro che capire e mettere in pratica che il modo migliore per esaltare
la parola di Dio è quello di profferire la loro di parola.
Non meravigli se poi i frutti di tale pratica sono solo
avvelenati: ciò che è in più viene dal maligno,
dice il Signore.
5 - Il quinto rischio è che dal percorso sinodale
e dal Libro del Sinodo emerga un volto di Chiesa con l'assenza totale
della connotazione mariana.
Anche questo punto dolente è perfettamente in
linea con la protestantizzazione della Chiesa Cattolica messa in essere
a partire dal Concilio. Che poi questo venga fatto in maniera cosciente
o in maniera incosciente, nulla cambia della triste realtà delle
cose.
Leggevamo ultimamente (SI SI NO NO, n°
2, 31 gennaio 2005) che il vescovo di Lanciano-Ortona, mons. Carlo Ghidelli,
sostiene che la Madonna non ci salva, ma semplicemente ci ama, il che significa
gettare alle ortiche duemila anni di dottrina mariana.
Come non notare che, anche in questo caso, ci si trovi
al cospetto dell’adesione all’insegnamento “protestante” e del rigetto
dell’insegnamento della Santa Chiesa?
E qui si tratta di un Vescovo, cioè di un supposto
successore degli Apostoli, che per nostra disgrazia non è solo,
ma in numerosa compagnia tra cardinali, vescovi, preti, religiosi e uno
stuolo sempre crescente di fedeli: tutti rigorosamente infedeli.
E poi, di grazia, basta con questa tiritera del “ci ama”,
che oggigiorno significa tutto e anche il suo contrario! Basta con queste
sollecitazioni epidermiche da psicanalisi dei poveri! Basta con queste
suggestioni buoniste che spaziano indiscriminatamente dall’amore e dalla
compassione per i miscredenti all’amore e alla compassione per i cani e
per le piante.
Ridateci il vero insegnamento del Signore fatto sì
d’amore, ma anche di timore, fatto sì di misericordia, ma anche
di rigore, fatto sì di gratuità della grazia, ma solo per
coloro che si dispongono a riceverla.
Ciò detto, dobbiamo ricordare che, grazie a
Dio, non tutta la Chiesa è ridotta così. Ci sono ancora tanti
fedeli e tanti sacerdoti che resistono alla deriva, e ce ne sono tanti
che si oppongono ad essa, anche a costo di essere considerati ai margini
della Chiesa.
A noi spetta tenere fermi gli insegnamenti che ci
sono stati trasmessi, incuranti dell’emarginazione e degli ostracismi,
in attesa che il Signore porti a termine i suoi imperscrutabili disegni.
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I
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