SANTA MESSA TRADIZIONALE
Roma 24 maggio 2003
Basilica di S. Maria Maggiore
A margine della celebrazione:
versamenti di bile e veleni
Pubblichiamo quest'altra nota critica sulla S. Messa del 24 maggio,
apparsa su Settimana, soprattutto per il suo autore.
È risaputo che si tratta di un personaggio che riscuote pochissima
stima tra le persone serie,
ma pensiamo che sia il caso di sottolinearne la pochezza perché
purtroppo è un altro di quelli che
da trent'anni si spaccia e viene spacciato per persona competente,
in questo caso un liturgista.
Data la capziosità di alcune affermazioni, abbiamo pensato di
commentarle.
Settimana, Settimanale di attualità pastorale,
n° 24 del 22 giugno 2003
In merito a una messa celebrata a Roma in Santa Maria Maggiore
Non esiste un rito cattolico di San Pio V!
Cara Settimana,
non avrei immaginato di dover intervenire a distanza di pochi mesi
- dopo la commemorazione del 40° dell’inizio del concilio Vaticano
II con la “rilettura” della “Sacrosanctum Concilium” come “simbolo della
svolta epocale” (cf. “Settimana” 26.01.03, n. 3, pp. 12-13) con una
nota di stupore e di amarezza, se non di incredulità e di indignazione,
per la manipolazione operata da un illustre porporato del primo documento
conciliare, riportato a tutta pagina da “Avvenire” del 25 maggio 2003,
p. 17.
Mi riferisco alla messa celebrata in Santa Maria Maggiore a Roma secondo
il Messale di Pio V quello che per secoli, prima della riforma conciliare,
aveva costituito il rito ufficiale della chiesa romana e, annota
il giornalista, non per una operazione nostalgica, ma con autorizzazione
pontificia richiesta da un gruppo di fedeli con la duplice intenzione di
manifestare la loro comunione con il successore di Pietro e di innalzare
per lui, nel 25° di pontificato, una preghiera a Maria nell’àmbito
dell’anno del Rosario.
Per questo è stato incaricato di presiedere l’eucaristia il
card. Castrillon Hoyos, prefetto della congregazione per il clero e presidente
della commissione “Ecclesia Dei”, istituita nel 1988 per facilitare la
piena comunione di quanti erano legati alla comunità di San Pio
X, fondata dal vescovo scismatico mons. Lefebvre.
Non mi permetto di giudicare l’iniziativa, anche se mi sorprende la
risonanza offerta dal giornale della Cei e, di riscontro, il silenzio assordante
dell’Osservatore Romano che si è chiuso in un totale mutismo, mentre
doveva essere quello il luogo proprio e autorevole di informazione. Ma
già nel precedente mio intervento avevo rilevato il distacco della
chiesa italiana nei confronti del 40° anniversario del concilio.
Lascio cadere sia il titolo sia anche espressioni del tutto infelici
per la benevolenza e somma grazia che taluno ritiene “disgrazia”
di attenersi “pro bono pacis” e in attesa di tempi migliori; mi riferisco
all’ordinamento rituale espresso dal messale del 1962, precedente la riforma
disposta dal concilio perché ritenuto del tutto inadeguato alle
esigenze del popolo cristiano come è decisamente e autorevolmente
dimostrato dai due documenti di Paolo VI che aprono il Messale del 1970,
la “costituzione apostolica” e il “Proemio dell’introduzione”.
Paolo VI ha motivato i maggiori cambiamenti: arricchimento e
adattamento in piena fedeltà al passato e in doverosa risposta alle
attese pastorali del nostro tempo. Quelle pagine sono aperte a tutti, non
si può desiderare maggiore autorevolezza e garanzia.
Non ha senso ed è offensivo parlare di una veneranda ricchezza
che conserva, perché quello che era possibile conservare è
stato conservato. C’è un vuoto enorme (la mensa abbondante e varia
della parola di Dio, oltre le tre nuove preghiere eucaristiche con la duplice
epiclesi) e una sconsolata povertà. Basterebbe riconoscere questa
differenza tra il Messale di Pio V e quello di Paolo VI per indurre, a
dir poco, al silenzio e, se si vuole, al rispetto per persone denutrite
e inconsapevoli.
Ma vi è un’affermazione intollerabile che desidero respingere,
partendo proprio dalla S. C. 4, quel numero del “Proemio” secondo il quale
il concilio “considera sulla stessa base di diritto e di onore tutti i
riti legittimamente riconosciuti”. Per questo ha proseguito il porporato
l’antico rito romano conserva nella chiesa il suo diritto di cittadinanza
nella multiformità dei riti cattolici sia latini sia orientali.
Ciò che unisce la diversità di questi riti è la stessa
fede nel mistero eucaristico, la cui professione ha sempre assicurato l’unità
della chiesa.
Ora, l’affermazione è tre volte falsa.
Primo, perché il numero in questione è stato inserito
per sfatare che un rito cattolico sarebbe inferiore, secondo un’opinione
comune, a quello romano, mentre tutti i riti legittimamente riconosciuti
godono dello stesso onore e diritto. E’ questo il contenuto della “declaratio”
annessa allo schema conciliare che, assieme alle altre “giustificazioni”,
non fu comunicata ai padri conciliari, provocando un’accesa discussione
in seno alla commissione conciliare (ricordo bene l’episodio, descritto
nei verbali ancora segreti di cui conservo copia). Si pensava in particolare
al rito ambrosiano ma anche a quelli orientali seguiti dai cattolici.
Secondo: il testo prosegue dichiarando che tali riti siano conservati,
ma anche incrementati, riveduti nello spirito della tradizione, e venga
loro dato nuovo vigore come richiedono le circostanze e le necessità
del nostro tempo. Così infatti è avvenuto per il rito ambrosiano
e per quello di Braga in Portogallo e ispanico di Toledo.
Terzo: si prospettava la possibilità della formazione di ulteriori
riti (ritus agnoscendos) in considerazione dell’adattamento ai paesi di
missione di nuove culture (S. C. 39-40).
Comunque, quello in discussione, oggetto delle riforma conciliare,
era precisamente quello che oggi viene detto “rito di San Pio V”, che il
concilio ha ritenuto del tutto inadatto alle nuove esigenze. La S. C. è
il giudizio inappellabile dato dal concilio a proposito del rito espresso
dal Messale di Pio V: si tratta di una fase storica del rito romano “trasformato”
dalla riforma del Vaticano II. La sua sostituzione con il Messale di Paolo
VI è la riprova del suo superamento e della sua estinzione. Non
è una questione del rito inteso come espressione della vita di una
chiesa, ma semplicemente dell’ordinamento rituale della messa, anche se
la concessione al gruppo sembra estendersi anche ad altri ordinamenti rituali.
Un conto è l’accettazione o la tolleranza di un “rito particolare”,
ossia di un “ordo”, e magari più di un semplice ordinamento; altro
conto è parlare di un rito di San Pio V, anche con la clausola “cosiddetto”;
altro conto ancora è dichiararlo del tutto legittimo, con uguale
diritto e onore, perché il rito romano legittimo è uno solo,
quello tradizionale riveduto e rinnovato dalla riforma del Vaticano II.
Se quello precedente detto di San Pio V fosse equiparato al
rito romano attuale, ci troveremmo di fronte ad una sconfessione inaudita
che nessuno può permettersi. Abbiamo il diritto e il dovere di respingere
con forza queste affermazioni irresponsabili.
Supposto che identica sia la fede nel mistero eucaristico, non altrettanto
si può dire della sua forma celebrativa (e le differenze non sono
da poco); se la prima esprime l’opposizione al Vaticano II pur camuffata
dalla comunione con il papa per la sua personale benevolenza, la seconda
è dichiaratamente fedele e aperta al concilio Vaticano II non inferiore
per dignità e per valore a quello di Trento, anzi che si aggiunge
a quello stesso.
R. Falsini
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La S. Messa tradizionale del 24 maggio a Roma, colpisce ancora!
Questa volta è rimasto ferito seriamente il già sofferente
Rinaldo Falsini.
Si tratta di un francescano specializzato, non nella predicazione dell’insegnamento
del Poverello di Assisi (roba da preistoria!), ma nella diffusione
di liturgie eterodosse in seno alla Chiesa Cattolica (passatempo che
da trentacinque anni va molto di moda).
Con la scusa di aver partecipato a quelle commissioni conciliari che
il card. Antonelli diceva composte da “incompetenti”, da trentacinque
anni questo Rinaldo affligge tutti con i suoi eretici suggerimenti e le
sue cervellotiche invenzioni.
Non poteva mancare, quindi, un suo intervento sulla S. Messa del 24
Maggio.
Già sofferente per i contraccolpi derivati dai disastri liturgici
provocati da quelli come lui, pare che a Falsini la S. Messa del 24 maggio
abbia procurato un attacco di “stupore e amarezza”, di “incredulità
e indignazione”, … , ma soprattutto pare che di quella S. Messa e di tutto
quello che essa ha rappresentato e rappresenta il Falsini non condivida
assolutamente nulla.
Dobbiamo pensare che questi suoi sentimenti li abbia manifestati
subito al Pontefice, perché altrimenti è davvero un bell’ipocrita!
Ma perché non gli sta bene niente?
Pur presentando tante motivazioni, è solo alla fine della sua
lettera che ci fa capire veramente il suo pensiero.
“Supposto che identica sia la fede nel mistero eucaristico, non
altrettanto si può dire della sua forma celebrativa (e le differenze
non sono da poco); se la prima esprime l’opposizione al Vaticano II pur
camuffata dalla comunione con il papa per la sua personale benevolenza,
la seconda è dichiaratamente fedele e aperta al concilio Vaticano
II non inferiore per dignità e per valore a quello di Trento, anzi
che si aggiunge a quello stesso.”
“Supposto che identica sia la fede nel mistero eucaristico”,
dice Falsini. Identica cioè la fede del rito tradizionale e quella
del rito moderno.
Ora, a parte questo incredibile modo di esprimersi, il “supposto” di
Falsini significa che questa identità di fede è ancora tutta
da dimostrare. E dobbiamo subito confessare che siamo completamente
d’accordo con Falsini: noi fedeli alla Tradizione è da trentacinque
anni che abbiamo dei seri dubbi sulla fede eucaristica del rito moderno
e, soprattutto, dei suoi sostenitori, come Falsini.
Ma adesso è proprio il Falsini che ci confessa di essere profondamente
convinto che si tratta di due fedi diverse; e siccome non può esservi
dubbio che la fede del rito tradizionale è quella vera e propria
della S. Chiesa, da duemila anni, resta solo da prendere atto che la fede
del rito moderno, essendo diversa da quella del rito tradizionale, non
è la fede cattolica. Falsini dixit.
La forma celebrativa del rito tradizionale sarebbe (lui dice si
“esprime”) in opposizione al Vaticano II, mentre la forma celebrativa del
rito moderno è “dichiaratamente fedele e aperta” al Vaticano
II…
E qui si danno veramente i numeri.
Quindi da duemila anni la forma celebrativa del rito tradizionale si
sarebbe opposta ad un Vaticano II che ancora non esisteva. Sembra davvero
assurdo! Ma, a ben pensarci, non lo è: nella logica dei modernisti
non lo è.
Posto che la vera fede nel mistero eucaristico è tutta dalla
parte del rito moderno e del Vaticano II, non v’è dubbio che la
Chiesa, fino al Vaticano II, non ha mai avuta la fede nel mistero eucaristico,
e, quindi, ha sempre vissuto in contrasto con l’insegnamento del Signore
che invece è interamente e veramente contenuto nel Vaticano II e
nelle menti malate dei suoi sostenitori. È inevitabile: anche
senza saperlo, la forma celebrativa del rito tradizionale è stata
sempre ed è ancora in opposizione al Vaticano II!
Sembra una pazzia! Ma è da più di trent’anni che noi
cattolici siamo in mano a questi pazzi!
Ma si tratta di pazzi lucidi, poiché sono molto attenti ad usare
le parole: “la forma celebrativa” , dice Falsini… incredibile! Come
se tutti non sapessero che la differenza tra il rito tradizionale e il
rito moderno non consiste nella forma, ma nel contenuto: si tratta di un
altro rito, non di un’altra forma.
Chi crede di imbrogliare il nostro francescano!
E spiega ancora meglio… il Falsini.
Il “Vaticano II non (è) inferiore per dignità e per valore
a quello di Trento, anzi … si aggiunge a quello stesso.”
Falso, caro Falsini: Giovanni XXIII che lo indisse e tutti gli
altri che lo condussero e lo conclusero, papi e vescovi, vollero che il
Vaticano II fosse espressamente “pastorale” e non “dogmatico-teologico”,
ed è inutile che stiamo qui ad elencare i riferimenti testuali:
è una cosa che sanno anche i muri. Quindi, caro Falsini, lo è:
il Vaticano II è inferiore; e lei lo sa benissimo: perché
la pastorale è, per sua natura, sottoposta ai principi teologici
(Cf. Rinaldo Falsini, su Vita Pastorale, n° 2, febbraio 2001: “Un
gesto pastorale che prescinde da un principio teologico non ha senso”).
Quindi… il Vaticano II, che ha voluto essere “pastorale”, ha voluto
anche essere “inferiore per dignità e valore” al Concilio di Trento.
Poi il Falsini conclude che “ anzi … si aggiunge a quello stesso”,
insinuando che il Vaticano II possa essere “più” che il Trento.
Falso, anche questo: dal meno non può venire il più,
quindi il Trento può essere solo “più” del Vaticano II.
Solo in un caso il concilio Vaticano II può essere, in una qualche
maniera, più del concilio di Trento: nel caso in cui il primo non
è più in continuità col secondo, nel caso in cui
è “un’altra cosa”: ma allora sarà più di ciò
che si vuole, ma mai del concilio di Trento.
Presentato così il personaggio, cerchiamo di capire che cos’è
che manda in bestia Falsini.
“…la manipolazione operata da un illustre porporato del primo
documento conciliare, riportato a tutta pagina da “Avvenire” del 25 maggio
2003, p. 17.”
Come si è permesso il cardinale Castrillon di parlare dei documenti
conciliari senza prima aver interpellato Falsini? Ma chi si crede di essere!
Ma, il nostro, non ci spiega subito in cosa consista la manipolazione,
perché sente il bisogno di esternare prima di tutto la sua rabbia
e la sua impotenza: scarabocchiando confusamente.
Incomincia subito con un travaso di bile: la benevolenza del Papa
nei confronti dei fedeli legati alla Tradizione Cattolica è una
“disgrazia” da sopportare in attesa di tempi migliori.
Povero Falsini! … Non riesce ad arrendersi, neanche dinanzi all’evidenza.
Peggio per lui!
Poi una balla, di sua esclusiva invenzione!
“…mi riferisco all’ordinamento rituale espresso dal messale del
1962, precedente la riforma disposta dal concilio perché ritenuto
del tutto inadeguato alle esigenze del popolo cristiano come è decisamente
e autorevolmente dimostrato dai due documenti di Paolo VI che aprono il
Messale del 1970, la “costituzione apostolica” e il “Proemio dell’introduzione”.
Ora, a parte il fatto che fu proprio Paolo VI a parlare di “autodemolizione”
della Chiesa (ma questo è un problema che Montini sta forse
ancora cercando di risolvere nell’al di là, magari in attesa che
giunga Falsini a dargli una mano), i due documenti citati non dimostrano
affatto che il Messale tradizionale fosse “del tutto inadeguato alle esigenze
del popolo cristiano”. Questo è un pregiudizio di Falsini, e di
quelli come lui.
Ma ecco che Falsini si rivela anche un acrobata: e… op là! Subito
dopo dice che Paolo VI ha parlato di “arricchimento e adattamento”,
e non di inadeguatezza…; e qui Falsini doveva già essere parecchio
confuso; perché aggiunge: “…in piena fedeltà al passato”!
Caspita!
Questa storiella delle piena fedeltà al passato è
da trent’anni che ce la gettano addosso come fumo negli occhi, per poi
fare scempio di ogni cosa del passato.
No! Non siamo noi che esageriamo: è Falsini ad avere la lungua
biforcuta. Ecco cosa intende Falsini per “piena fedeltà al passato”:
“La sopravvalutazione del culto eucaristico fuori della Messa
nel suo apparato rituale rispetto alla celebrazione dell’Eucaristia, da
cui quello dipende come origine e come fine, non è affatto una quisquilia
perché getta ombra sulla celebrazione "fonte e culmine della vita
della Chiesa". Non ci siamo ancora liberati della tradizione "marginale"
del culto eucaristico degli ultimi secoli, nonostante siano passati trent’anni
dalla Eucharisticum mysterium. …” (Vita Pastorale, n° 12 - dicembre
1998).
Ma la rabbia sale! … Povero Falsini… Non può farci nulla…
e lo prende alla gola… e gli tremano le mani… non riesce neanche
più a scrivere…
“Non ha senso ed è offensivo parlare di una veneranda
ricchezza che conserva, perché quello che era possibile conservare
è stato conservato. C’è un vuoto enorme (la mensa abbondante
e varia della parola di Dio, oltre le tre nuove preghiere eucaristiche
con la duplice epiclesi) e una sconsolata povertà. Basterebbe riconoscere
questa differenza tra il Messale di Pio V e quello di Paolo VI per indurre,
a dir poco, al silenzio e, se si vuole, al rispetto per persone denutrite
e inconsapevoli."
Farfuglia! Povero, acciaccato Falsini! …
Veramente potevano risparmiargliela questa cattiva azione della S.
Messa tradizionale del 24 maggio a Roma! Poverino, per poco non ci rimane!
“C’è un vuoto enorme e una sconsolata povertà”,
dice il povero Falsini, riferendosi al rito tradizionale. Dimostrando così
di non aver capito mai niente della S. Messa cattolica, che continua a
scambiare per una “mensa abbondante e varia”, da buon crapulone eretico
protestante.
Il guaio è che costui continua a fare scuola tra i cattolici
e nessuno lo ha mai buttato fuori a calci.
E uno così si permette pure di affermare che è il confronto
che convince, un confronto che farebbe capire subito come i fedeli alla
Tradizione sono “persone denutrite e inconsapevoli”. Di che?
Inconsapevoli di che… caro Falsini?
Noi, che siamo ben nutriti dalla vera dottrina e dalla vera S. Messa
cattolica, proprio per questo siamo ben consapevoli che nella Chiesa operano
liberamente impuniti eretici come lei, che hanno trovato il modo di diventare
“qualcuno” affastellando incredibili amenità da barzelletta, che
farebbero pure ridere se non venissero irresponsabilmente diffuse tra i
cattolici come fossero cose serie.
“…è la magistrale conferma di quanto la rivista propone
da vari anni, il superamento della teologia "manualistica" o scolastico-tridentina,
che lo studioso chiama "teologia eucaristica del secondo millennio", costruita
a tavolino, prescindendo dalla tradizione biblico-patristica dei primi
quattro secoli, con l’estrapolazione di alcune parole dell’ultima cena,
manomettendo il racconto dei "gesti e delle parole" del Signore, con una
triplice suddivisione suggerita da ragioni apologetiche contingenti, accolta
come unica e completa sintesi cattolica.” (Vita Pastorale, 8-9 -
agosto-settembre 2001)
(come dire: tolti i primi quattro secoli cioè
quelli su cui il Falsini ha delle rivelazioni private e personali
tutto il resto è poltiglia: meno male che adesso abbiamo il Vaticano
II e i Falsini!)
“ Tra le conseguenze negative della "vecchia" teologia eucaristica
che io pure, come lei, ho studiato e per circa un decennio ho anche insegnato
(e me ne pento) vi era, oltre la scomparsa del rapporto fra rito
e Parola e della liturgia della Parola come parte costitutiva della celebrazione,
la separazione della comunione dal sacrificio, ridotta a un incontro personale
con Gesù (solo mediante l’ostia), ad atto devozionale, …” (Vita
Pastorale, 8-9 - agosto-settembre 2001)
(“la liturgia della Parola come parte costitutiva della celebrazione”
è una delle più grandi imbecillità inventate a partire
dal Vaticano II: non solo non ve n’è traccia alcuna nei secoli,
ma è di per sé una contraddizione in termini, poiché
non v’è liturgia laddove si fa dell’istruzione, mentre, al contrario,
quando c’è della vera liturgia si fa anche dell’istruzione e dell’edificazione.
Ma il Falsini queste cose non le capirà mai: perché lui prima
ancora di essere un seguace di Gesú Cristo è un seguace di
sé stesso.)
“È stata una difficilissima conquista la rimozione del tabernacolo
dall’altare centrale, suggerita già nel 1967 dall’Eucharisticum
mysterium n. 55 con motivazioni relative al valore dei segni, e oggi nessuno,
salvo i reazionari e conservatori (ma lei sicuramente non appartiene a
questa categoria) vorrebbe rimettere in discussione. … Ma lei sa bene che
lo sviluppo del culto eucaristico è la ragione che ha condotto dalla
semplice collocazione del pane eucaristico in una cassetta fino a sovrastare
l’altare.” (Vita Pastorale, N° 7 - luglio 1998)
(il fatto che il pane eucaristico si sia sempre conservato
sull’altare o sopra l’altare, fin dai primi tempi, è cosa che non
importa al Falsini, il cui vero scopo è distruggere il culto eucaristico,
trasformarlo nella divisione contingente di una pagnotta e affossare ogni
verità cattolica per far trionfare le sue eresie.)
E potremmo continuare.
Ma vediamo dove va a parare Falsini con la sua rabbia.
Sostiene che quando il Card. Castrillon, basandosi sulla Sacrosanctum
Concilium (S. C.), afferma che “l’antico rito romano conserva nella
chiesa il suo diritto di cittadinanza nella multiformità dei riti
cattolici sia latini sia orientali”, la sua affermazione è
tre volte falsa. Sia perché nel n° 4 della S. C. non si parla
affatto del rito di San Pio V, sia perché la S. C. ha stabilito
che qualsivoglia rito cattolico debba essere riformato, sia perché
in realtà la S. C. aveva in vista la creazione di nuovi riti nei
paesi di missione.
Il Falsini ricorda che lui queste cose le sa bene, perché all’epoca
era presente (e questo aiuta a capire lo sfacelo del concilio e del postconcilio),
e quindi dovremmo credergli sulla parola; ma forse, il Falsini, non si
rende conto che i cattolici sanno leggere: e sappiamo leggere perfino noi
che siamo “denutriti e inconsapevoli”.
Cosa dice il Falsini?
“…che il concilio ha ritenuto (il rito di San Pio V) del tutto
inadatto alle nuove esigenze. La S. C. è il giudizio inappellabile
dato dal concilio a proposito del rito espresso dal Messale di Pio V: si
tratta di una fase storica del rito romano “trasformato” dalla riforma
del Vaticano II.”
Il Falsini mente sapendo di mentire, perché in tutta la S. C.
non c’è una sola parola che possa giustificare le assurde affermazioni
di Falsini: tranne il fatto che la S. C. di cui parla Falsini è
quella che sta nella sua testa, perché in trentacinque anni si è
fatto sempre così: non conta quello che sta scritto nella S. C.,
ma quello che esso significa, e questo significato è quello conosciuto
da Falsini e dai suoi amici.
Da dove si evince tanta malafede? Qui il nostro dice: “si tratta
di una fase storica del rito romano “trasformato” dalla riforma del Vaticano
II”. Una fase storica? E che significa?
Il rito di San Pio V non è una invenzione o un adattamento
legato ad una fase storica, ma la codificazione della liturgia praticata
nella Curia romana da tempo immemorabile: fin dal tempo dei Padri. In duemila
anni nessuno si era mai permesso di buttare alle ortiche i libri liturgici
risalenti ai Padri della Chiesa: il Vaticano II lo ha fatto… e il Falsini
vorrebbe farci credere nella “trasformazione” del rito romano, come fosse
pratica ordinaria della Chiesa.
Caro Falsini… in duemila anni di storia della Chiesa, neanche dopo
lo scisma della Chiesa d’Oriente si è mai pensato di poter manomettere
i libri liturgici, né da una parte né dall’altra. Ci sono
stati solo due casi di aperta e clamorosa manomissione: uno è quello
di Lutero e compagni, un altro è quello del Vaticano II. Ma con
una profonda differenza. Nel primo caso Lutero è stato brutale,
ma onesto, distruttore, ma alla luce del sole, apostata, ma dichiarato;
nel secondo caso, invece, si è distrutto tutto quello che era possibile
distruggere, negando che si stava facendo questo, e professando una fedeltà
alla Tradizione che in trentacinque anni è stata violata sistematicamente.
“La sua sostituzione con il Messale di Paolo VI è la riprova
del suo superamento e della sua estinzione.”
Caro Falsini, o lei non sa neanche cosa scrive, o scrive sapendo di
dire cose inesatte, oppure vive come in stato di trance.
Quindi, secondo lei, il Messale di san Pio V è stato superato
ed è estinto!
Ma, scusi, perché allora si dimena così tanto?
Se lo fa è proprio perché, ancora dopo trentacinque anni,
il Messale di San Pio V è vivo e vegeto e continua a creare non
pochi problemi a lei, a quelli come lei e a tutta la vostra artificiosa
a anticattolica liturgia. Altro che estinto!
Estinto fra poco sarà lei, non certo il Messale di San Pio
V che, anzi, dal 24 maggio 2003 ha preso maggior forza e vigore, e non
in un cantuccio occupato da quattro nostalgici, ma nel centro stesso della
Cristianità, a Roma, in una Basilica papale, con la benedizione
del Papa.
Che poi lei continui a considerare “estinto” un rito che si è
continuato a praticare nella Chiesa Cattolica Romana, in maniera ininterrotta
oltre il 62, oltre il 65 e oltre il 70, è cosa che riguarda solo
lei e il suo psichiatra.
Ma il suo caso, caro Falsini, è davvero molto grave se lei non
si rende conto di quello che accade nella Chiesa in termini di liturgia…
ma che razza di liturgista è lei?
“Non è una questione del rito inteso come espressione della
vita di una chiesa, ma semplicemente dell’ordinamento rituale della messa,
anche se la concessione al gruppo sembra estendersi anche ad altri ordinamenti
rituali.”
Ma lei, povero caro Falsini, dove vive?
Il rito di San Pio, e non solo il Messale di San Pio V, insieme con
la disciplina liturgica di San Pio V (capisce, vero, cosa significa!),
è il rito esclusivo di una Chiesa particolare di rito cattolico
romano (l'Amministrazione Apostolica di Campos)…
o non lo hanno informato, caro Falsini?
Vuoi vedere che anche il Papa si è permesso di adottare un
provvedimento così grave senza prima aver consultato il Falsini?
Ma lo sa o non lo sa, caro Falsini, che da trent’anni nella Chiesa
Cattolica si dice Messa, si battezza, si cresima, si sposa, si confessa,
si ordina e si unge seguendo il rito di San Pio V?
Ma lei, povero caro, dove vive?
Lo sa o non lo sa, che le Messe, i battesimi, le cresime, i matrimoni,
le confessioni, le ordinazioni e le estreme unzioni col rito di San Pio
V continuano a crescere anno per anno ad opera di sacerdoti diocesani e
non?
E lo sa lei, che dice di essere un liturgista, che i battesimi,
le cresime, i matrimoni e soprattutto le ordinazioni non possono essere
appannaggio di vecchi rimbambiti “denutriti e inconsapevoli”, ma di giovani
ben consci di ciò che credono, di ciò che vogliono, di ciò
che praticano?
Ma lei è tanto maldestro, e anche tanto bugiardo, che continua
a parlare di concessione che “sembra estendersi”: ma che “sembra”, caro
Falsino: è.
Purtroppo si tratta ancora di una concessione, ed è questo
l’incredibile!, ma essa è, non ‘sembra”. Ed essa è da parecchi
anni ormai!
Lei mente ai suoi corrispondenti e ai suoi lettori, se continua a dire
che “sembra”. Caro Falsini: la liturgia cattolica romana di rito romano
regolarmente praticata nella Chiesa non è più solo quella
che vi siete inventati voi modernisti col Vaticano II, ma è anche
quella di san Pio V.
Altro che estinzione!
E lei mente soprattutto a sé stesso se fa finta di non rendersi
conto che da un po’ di anni le cose sono cambiate.
Certo, è comprensibile che lei non possa comprendere tutto!
Ma non aver ancora capito che il Vaticano II è stato un grande
fiasco, che la liturgia moderna è stata una disastrosa esperienza,
che la liturgia tradizionale è sempre più desiderata da chierici
e laici nonostante trentacinque anni di persecuzione e di martellante indottrinamento…
beh, non aver ancora capito queste cose così elementari è
davvero grave, caro Falsini!
“…perché il rito romano legittimo è uno solo, quello
tradizionale riveduto e rinnovato dalla riforma del Vaticano II. Se quello
precedente detto di San Pio V fosse equiparato al rito romano
attuale, ci troveremmo di fronte ad una sconfessione inaudita che nessuno
può permettersi. Abbiamo il diritto e il dovere di respingere con
forza queste affermazioni irresponsabili.”
Quindi, secondo lei, il rito di san Pio V, che è praticato in
tutto il mondo cattolico, Roma compresa, sarebbe illegittimo!
Ma, Falsini, la smetta di dire sciocchezze! Il rito di san Pio V è
praticato nella Chiesa fin dai tempi di Paolo VI… credavate che si potesse
trattare di un fenomeno marginale destinato a morire da solo… ma vi siete
sbagliati, cari voi, né marginale, né morente, ma vivo e
vegeto, rigoglioso e vigoroso.
Lei si agita tutto all’idea che il rito di San Pio V possa essere equiparato
a quello attuale, perché “ci troveremmo di fronte ad una sconfessione
inaudita che nessuno può permettersi”.
Non ci troveremmo, caro Falsini… ormai è da diversi anni che
le cose stanno così.
E non è che nessuno può permettersi… tale sconfessione…
è che tutti continuano a parlarne, a giusto titolo e a buona ragione.
Solo i testoni come lei, che credevano di essere in possesso di chissà
quali verità assolute, non se ne sono accorti. Ma è da diversi
anni ormai che si sta sconfessando il Vaticano II, la riforma liturgica,
la nuova pastorale, la nuova teologia…
Ma, caro lei, ha mai sentito parlare del disagio che provano tanti
seminaristi di fronte alla teologia, alla pastorale, alla liturgia che
vengono loro ammannite nei seminari da gente come lei?
Ha mai sentito parlare del fatto che nel mondo ci sono più
di dieci seminari cattolici che formano nuovi sacerdoti con la dottrina
e la liturgia preconciliari e che non riescono ad accogliere tutti i postulanti
che si presentano, tanto che sono costretti a respingerne il 90 per cento?
Ma, lei, povero caro, dov’era mentre nella Chiesa capitava tutto questo?
Si aggiorni, caro Falsini, e prenda in considerazione l’idea di andarsi
a rileggere i vecchi trattati di teologia dogmatica e di liturgia… chissà,
così facendo potrebbe un giorno capitare a fianco di Montini
e tornargli utile… a lui che continua a dibattersi senza pace perché
non riesce ancora a capire cos’è che è andato storto.
Ritorna a Roma Maggio 2003
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